Argomento:
Data:
25 Novembre 2009
Descrizione breve:
Il rapporto affronta i temi dell'impresa e dell'apprendistato come strumento ponte tra formazione e lavoro.
Contenuto nascosto:
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RAPPORTO
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Rubbettino
Sintesi
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Testo chiuso a ottobre 2009
Finito di stampare nel mese di novembre 2009
da Rubbettino Industrie Grafiche ed Editoriali
per conto di Rubbettino Editore Srl
88049 Soveria Mannelli (Catanzaro)
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Lo scenario economico internazionale:
crisi finanziaria, mercato del lavoro
e capitale umano
Ad oltre un anno di distanza dal crollo delle borse del 15 settembre 2008 ci si interroga in merito
agli effetti della crisi economica sull’occupazione e sul capitale umano, nel quadro di un contesto
caratterizzato da grandi mutamenti che hanno profondamente condizionato l’evoluzione delle eco-
nomie industrializzate negli ultimi venti anni. In particolare, ci si riferisce a tre principali tenden-
ze: il cambiamento tecnologico, il processo di globalizzazione, le riforme del mercato del lavoro e
del mercato dei beni e servizi, nell’ottica di una progressiva deregolamentazione. Tali fenomeni han-
no amplificato il ruolo del capitale umano nel favorire la competitività delle imprese e, al tempo
stesso, hanno determinato una spinta verso l’aumento delle opportunità di occupazione e di red-
dito per i lavoratori qualificati, soprattutto nei settori ad alta intensità tecnologica.
La crisi si è inserita in questo scenario complessivo, interagendo con le diverse dinamiche dei si-
stemi economici e determinando impatti sul mercato del lavoro a seconda delle peculiarità spe-
cifiche di ciascun paese.
Alcuni aspetti del sistema bancario italiano considerati elementi di debolezza strutturale, come
la ridotta propensione al rischio sul mercato del credito, sembra abbiano protetto il nostro Pae-
se dagli effetti della crisi più che altrove. D’altro canto, tali elementi possono divenire un freno
alla ripresa dell’economia, rallentando il necessario flusso di liquidità per le imprese.
Quanto al nostro sistema produttivo, nel corso dell’ultimo ventennio l’aumento della compe-
tizione internazionale legata al processo di globalizzazione ha fatto emergere alcune debolezze,
quali un certo rallentamento della dinamica della produttività e una perdita di competitività del-
le imprese a partire dalla metà degli anni Novanta. Tutto ciò si è verificato in un quadro segna-
to da un ampio dualismo territoriale. Le Regioni settentrionali si trovano in una posizione più
vantaggiosa rispetto alla media comunitaria (tassi di specializzazione produttiva, di disoccupa-
zione, di occupazione, ecc.), mentre quelle meridionali appaiono fortemente penalizzate. Di con-
seguenza, i valori medi degli indicatori nazionali riflettono questa polarizzazione, nasconden-
do situazioni di eccellenza nel Centro-Nord e sacche di forte criticità nel Mezzogiorno.
Sempre a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, sul fronte del mercato del lavoro - an-
che grazie alle norme introdotte dalle riforme Treu e Biagi - si è comunque registrato un con-
sistente e generalizzato incremento dell’occupazione. Contestualmente è aumentata l’offerta di
lavoro, con un incremento del tasso di attività, una più alta partecipazione femminile e crescenti
flussi migratori. È seguita una riduzione del tasso di disoccupazione e, in particolare, della du-
rata della disoccupazione giovanile.
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rapporto isfol 2009
Da registrare, inoltre, come il numero di occupati a termine e la durata media di trasformazio-
ne dei contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato siano sostanzialmen-
te in linea con la media europea.
Relativamente al capitale umano, nella realtà italiana (produzioni tradizionali, limitata capacità
innovativa, dimensioni medio-piccole delle imprese) si registrano dinamiche almeno in parte
in controtendenza rispetto alle evoluzioni di scenario sopra evidenziate. Sono diminuiti, infat-
ti, i rendimenti dell’investimento in istruzione da parte degli individui e non si è verificato un
aumento delle opportunità occupazionali della forza lavoro più qualificata. In sostanza, la do-
manda di high skilled workers non si è incrementata in misura sufficiente ad assorbire l’offerta.
I mismatch tra profili richiesti dalle imprese e quelli offerti dalla forza lavoro in ingresso nel-
l’occupazione hanno ulteriormente pesato sulla bassa dinamica salariale dei lavoratori con ele-
vate competenze.
A ciò si affianca la ancora scarsa diffusione della formazione sul lavoro, fenomeno anch’esso con-
nesso alle caratteristiche della realtà produttiva italiana in termini di settori produttivi, inten-
sità di innovazione e dimensioni d’impresa.
La crisi economica rende urgente l’attivazione di interventi in grado di fare della formazione un
elemento strutturale di politica economica, per diffondere conoscenze e competenze professio-
nali collegate al sistema produttivo, alle sue dinamiche innovative, allo sviluppo compatibile, e
per favorire al contempo l’acquisizione di competenze di base capaci di facilitare processi di ap-
prendimento lungo tutto il corso della vita.
La polarizzazione territoriale che caratterizza il nostro Paese impone comunque un’articolazione
delle politiche economiche, del lavoro e della formazione in modo tale da potere attivare stru-
menti differenziati tra le Regioni del Centro-Nord e Regioni del Mezzogiorno.
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sezione formazione
capitolo 1
Contesto ed evoluzione delle politiche
1.1 Il contesto nazionale e internazionale
Il processo di integrazione economica internazionale genera un vantaggio strategico per le pro-
duzioni caratterizzate da maggiore intensità di lavoro qualificato e un rischio di espulsione per
quelle contrassegnate da lavoro poco qualificato e minore innovazione tecnologica. Si prevede
che entro il 2015 quasi il 30% dei posti di lavoro in Europa richiederà un alto titolo di studio,
mentre il 50% necessiterà di qualifiche di medio livello e il 20% basse qualifiche. I paesi euro-
pei devono quindi aumentare i loro sforzi per garantire a tutti i cittadini l’accesso al Lifelong Lear-
ning ed essere più in sintonia con i bisogni del mercato del lavoro.
L’apprendimento lungo tutta l’arco della vita coinvolge soprattutto i cittadini europei con un ele-
vato livello di istruzione. Nel nostro Paese lo scarto è particolarmente ampio: si va dall’8,2% di
chi possiede la licenza media al 51,4% di chi è laureato. Significativo è anche il divario tra le op-
portunità degli occupati (27,7%) e quelle dei disoccupati (16,9%).
Il programma di lavoro europeo Istruzione e Formazione 2010, varato nel 2002 a Barcellona ed
inserito nella strategia di Lisbona, si conclude senza purtroppo avere pienamente compiuto i pro-
gressi auspicati. È infatti ormai assodato che gli obiettivi fissati non saranno in buona parte rag-
giunti. Nessuno tra i paesi in ritardo nel 2000 è riuscito a colmare il divario con quelli meglio
posizionati ed anzi in alcuni casi il gap si è addirittura allargato. Per quel che riguarda l’Italia, si
è comunque ridotto lo scarto con il dato medio europeo relativamente all’abbandono scolasti-
co e formativo e al grado di scolarizzazione secondaria di secondo grado.
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rapporto isfol 2009
Sarà necessario che gli Stati membri implementino le loro azioni volte a realizzare un rappor-
to virtuoso e reciprocamente di rinforzo tra nuove competenze e nuovi lavori. Anche in relazione
a tale obiettivo si inquadra in Italia la strategia delineata nel documento ITALIA 2020. Piano di
azione per l’occupabilità dei giovani attraverso l’integrazione tra apprendimento e lavoro, presen-
tato nel settembre 2009 congiuntamente dal Ministero del Lavoro e il Ministero dell’Istruzione.
Le priorità delineate nel Piano puntano, infatti, a superare definitivamente la frattura tra istru-
zione, formazione e lavoro facilitando e rafforzando i processi di transizione.
A livello europeo si prevede la ridefinizione degli obiettivi e il rilancio delle strategie di coope-
razione, da realizzarsi attraverso un programma che ha posto cinque nuovi criteri di riferimento
(benchmark) da raggiungersi entro il 2020:
almeno il 95% dei bambini tra i 4 anni e l’età d’inizio della scuola primaria dovrebbero es-
sere inseriti in percorsi educativi;
i 15enni con insufficienti livelli di lettura, matematica e scienze dovrà essere meno del 15%;
i giovani che abbandonano in anticipo i percorsi di istruzione e formazione non dovranno
superare il 10%;
i 30-34enni in possesso di un titolo superiore dovranno essere almeno il 40%;
la percentuale di popolazione 25-64enne ogni anno coinvolta in un’attività di apprendimento
permanente non dovrà essere inferiore al 15%.
Stato di avanzamento degli obiettivi di Lisbona in materia di istruzione e formazione*. Alcuni benchmark ed indicatori struttura-
li (val. %)
* Programma Istruzione e Formazione 2010. I nuovi indicatori e benchmark sono ancora in fase di proposta e discussione.
(a) Percentuale della popolazione 18-24enne in possesso al massimo della licenza media (ISCED 2) che non partecipa ad alcuna attività di istruzione e
formazione. Entro il 2010 non oltre il 10%.
(b) Percentuale della popolazione 20-24enne che ha completato con esito favorevole almeno il ciclo di scuola secondaria superiore o un equivalente
percorso formativo (ISCED 3). Il parametro è stato originariamente tarato sulla popolazione 22enne ma è misurato sulla più ampia classe di età 20-24enne
per garantirne la rappresentatività statistica, poiché si tratta di un dato campionario. Entro il 2010 l’85%.
(c) Percentuale della popolazione 25-64enne che ha partecipato ad attività di istruzione e formazione nelle settimane precedenti la settimana di rife-
rimento dell’indagine. Entro il 2010 il 12,5%.
(d) Percentuale della popolazione 25-64enne che ha completato con esito favorevole almeno il ciclo di scuola secondaria superiore o un equivalente
percorso formativo (ISCED 3).
(e) Percentuale della popolazione 25-64enne che ha conseguito un titolo di istruzione terziaria (ISCED 5-6).
Fonte: Commissione europea DGEAC, EUROSTAT, elaborazione ISFOL su dati ISTAT
Benchmark ed Indicatori
Anni
2000 2007 2008
UE27 Italia UE27 Italia UE27 Italia
Abbandono scolastico e formativo (a) 17,6 25,3 15,2 19,3 15,1 19,7
Conseguimento dell’istruzione secondaria su-
periore dei giovani (b)
76,6 69,4 78,1 76,3 78,5 76,5
Partecipazione degli adulti ad attività di LLL (c) 7,1 4,8 9,5 6,2 9,6 6,3
Tasso di istruzione secondaria superiore della
popolazione 25-64enne (d)
64,4 45,2 70,8 52,3 n.d. 52,8
Tasso di istruzione terziaria della popolazione
25-64enne (e)
19,4 9,6 23,0 13,6 n.d. 14,4
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sintesi
Tali benchmark vanno sostenuti dallo sviluppo della qualità nei sistemi di istruzione e forma-
zione. La relativa Raccomandazione emanata dal Parlamento e dal Consiglio europeo impegna
in tal senso tutti gli Stati membri a definire entro 24 mesi un’apposita strategia nazionale.
Se l’accreditamento rappresenta un importante strumento di garanzia della qualità in entrata
al sistema (input), diventa ora necessario introdurre in modo più sistematico strumenti di ga-
ranzia di qualità degli esiti dei processi (output).
L’attenzione ai risultati dovrebbe significare la realizzazione di diverse tipologie di azione, tra cui
la valutazione degli esiti della formazione professionale e la determinazione degli standard di ri-
sultato (certificazione).
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rapporto isfol 2009
1.2 L’evoluzione delle politiche nazionali e regionali per l’istruzione
e la formazione
L’istruzione e la formazione iniziale
Le politiche dell’istruzione e della formazione stanno progressivamente superando antiche con-
trapposizioni, in modo tale che la capacità di rispondere ai fabbisogni professionali emersi dai
cambiamenti degli assetti produttivi possa conciliarsi con lo sviluppo del capitale umano, come
fattore essenziale per la partecipazione alla cittadinanza attiva.
Tra le novità normative di quest’ultimo anno, le più rilevanti riguardano l’istruzione secondaria
superiore. Il quadro che emerge risulta semplificato rispetto al passato. I modi e i tempi di at-
tuazione del riordino dovrebbero decorrere dal 2010-2011, scadenza assai ravvicinata che por-
terà le scuole a misurarsi con nuovi modelli organizzativi, con la revisione dei curricula, la rior-
ganizzazione delle attività di orientamento degli allievi e l’acquisizione di nuove metodologie
didattiche.
Con i nuovi regolamenti dei licei, degli istituti tecnici e degli istituti professionali ci si attende
la ridefinizione complessiva dell’intero secondo ciclo, in modo da assicurare: una fisionomia ef-
fettivamente sistemica che contempli la coerenza dei curricula in tutti e tre i comparti, con l’ac-
quisizione delle competenze chiave per l’obbligo di istruzione; lo sviluppo della formazione scien-
tifica; la modernizzazione della formazione culturale dei licei attraverso l’integrazione nei cur-
ricula di componenti essenziali, quali le scienze sociali, l’informatica e la valorizzazione delle at-
tività di laboratorio; l’approccio didattico basato sull’apprendimento per competenze. Tutti aspet-
ti che sono stati rilevati anche dal Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione.
L’istruzione e formazione tecnica superiore
La riorganizzazione del sistema di istruzione e formazione superiore non accademica, così come
delineata a seguito dell’emanazione del d.p.c.m. del 25 gennaio 2008, segna la volontà di istituire
un canale alternativo finalizzato prioritariamente alla formazione di figure ad alta professiona-
lità tecnica. A questa esigenza si è dapprima risposto mediante l’istituzione degli ifts, successi-
vamente con l’introduzione dei Poli Formativi e recentemente con la riorganizzazione dell’in-
tero sistema di formazione tecnica superiore. Il suddetto d.p.c.m., in particolare, presenta due
percorsi: quello degli Istituti Tecnici Superiori (its) e quello dell’Istruzione e Formazione Tec-
nica Superiore, riproposto in una veste rinnovata. Gli ifts e gli its presentano macro obiettivi
comuni, ovvero; garantire interventi formativi fortemente ancorati ai fabbisogni territoriali; of-
frire percorsi formativi individualizzati; promuovere e garantire la partecipazione anche di adul-
ti occupati; rispondere a standard di qualificazione europea.
I processi di riforma nel sistema universitario
A livello europeo il Processo di Bologna ha rilanciato i suoi obiettivi per il prossimo decennio.
I Ministri dell’Istruzione superiore dei 46 Paesi aderenti hanno deciso, infatti, di proseguire fino
al 2020 l’impegno comune per la costruzione dello Spazio europeo dell’istruzione superiore.
Intanto, il sistema universitario del nostro Paese è stato interessato negli ultimi anni da consi-
stenti processi di trasformazione, nati dall’esigenza di adeguarsi al modello europeo di istruzione
superiore e, nel contempo, di sanare alcune lacune a livello nazionale. L’Italia è stata il Paese, tra
quelli firmatari la Dichiarazione di Bologna, che ha avviato le riforme strutturali più rapide e
radicali, attraverso un processo d’innovazione scandito da provvedimenti normativi che stan-
no incidendo profondamente sul funzionamento delle istituzioni didattiche.
A circa otto anni dall’applicazione del D.M. 509/1999 è possibile fare un primo bilancio del-
l’attuazione della riforma del 3+2, in termini di luci e ombre, anche in considerazione ed in con-
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sintesi
nessione con il recente avvio di una seconda fase riformatrice. All’enorme proliferazione del-
la proposta didattica, soprattutto a livello di laurea triennale (i corsi attivi che nel 2000-2001
erano 2.444, nel 2006-2007 erano già passati a 5.734) è connessa un’ingente frammentazione
dei percorsi formativi, caratterizzata da un gran numero di insegnamenti anche con pochi cfu
e molte prove di valutazione, così come da molti corsi di studio con ridotto numero di imma-
tricolati. D’altro canto, sembra che la riforma abbia avvicinato all’università più giovani pro-
venienti da ambienti sociali meno favoriti ed abbia condotto ad una lieve diminuzione dell’età
di laurea e del numero dei fuori corso, oltre che ad un nuovo impulso nell’utilizzo di strumenti
quali tirocini e stage.
L’evoluzione normativa dell’apprendistato
La revisione della disciplina dell’apprendistato si colloca tra i primi provvedimenti adottati dal-
l’attuale Governo e l’attenzione per lo strumento ritorna anche nei documenti successivi, secondo
una strategia che mira al potenziamento del ruolo degli Enti bilaterali. Da una situazione di con-
correnzialità tra il sistema pubblico e quello privato bilaterale si attende certamente una cresci-
ta della quantità e della qualità della formazione erogata agli apprendisti. L’intenzione è di ri-
scoprire la vocazione formativa dell’impresa. Sulla base di tali obiettivi è stata modificata la pre-
cedente disciplina dell’apprendistato professionalizzante: i contratti collettivi stipulati a qualunque
livello possono oggi definire integralmente la disciplina della formazione svolta.
Anche nel Libro Bianco ci si è soffermati sul ruolo dell’apprendistato, che valorizzando le po-
tenzialità dell’impresa come luogo di apprendimento rappresenta uno degli strumenti fonda-
mentali del sapere professionale.
Il riordino dell’istruzione degli adulti
È in atto una profonda riforma del sistema per l’istruzione degli adulti, con la messa a punto del-
lo schema di regolamento recante norme generali per la ridefinizione dell’assetto organizzati-
vo-didattico. Il tutto è ricondotto ai nuovi Centri per l’istruzione degli adulti, che realizzeran-
no a partire dal 2010-2011 un’offerta formativa finalizzata al conseguimento dei titoli di studio
e di certificazioni, in riferimento al primo e al secondo ciclo di istruzione.
L’innovazione riguarda anche l’ampliamento delle tipologie di utenti.
Nella fase di messa a regime si assisterà comunque ad una situazione molto differenziata nelle
diverse realtà territoriali.
La formazione dei lavoratori
Nel maggio 2009 è stato presentato un progetto di legge che attribuisce una delega al Governo
per l’adozione di uno o più decreti legislativi recanti norme finalizzate a riconoscere e discipli-
nare il diritto dei lavoratori all’apprendimento e alla formazione. Il progetto si accompagna ad
altre due proposte di legge sull’apprendimento permanente, incentrate l’una sul diritto dei la-
voratori alla formazione e allo sviluppo professionale, l’altra sulla costruzione di un sistema per
l’apprendimento permanente che riconosca a tutti i soggetti adulti, occupati e non occupati, il
diritto di accedere a percorsi formali e non formali di istruzione, formazione, sviluppo cultu-
rale per l’occupabilità e per la cittadinanza attiva.
Concretamente, le attività rilevanti dell’ultimo anno consistono essenzialmente in un insieme
di misure finalizzate ad intervenire sugli effetti della crisi. Il cosiddetto Decreto anti-crisi ha am-
pliato il sistema degli ammortizzatori in deroga, prevedendo l’erogazione di un insieme inte-
grato di misure di politica attiva e passiva a favore dei lavoratori in esubero. Sulla stessa lunghezza
d’onda si è mosso l’accordo sancito dalla Conferenza Stato-Regioni del 26 febbraio 2009 e il D.L.
78/2009.
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rapporto isfol 2009
L’impianto complessivo così delineato rappresenta un valido esempio di un mix di politiche in
cui la formazione ha un ruolo centrale, anche rispetto alla tutela e alla protezione del lavorato-
re. Si tratta, quindi, di un importante modello innovativo.
Una criticità riguarda, invece, la partecipazione finanziaria degli Enti bilaterali e dei Fondi pa-
ritetici interprofessionali per quanto riguarda, in modo particolare, il sostegno al reddito.
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sezione formazione
capitolo 2
I fenomeni
2.1 L’istruzione e la formazione dei giovani
I percorsi del secondo ciclo
Nell’analisi del sistema italiano di istruzione e formazione un dato consolidato è quello relati-
vo al tasso di passaggio dalla scuola media inferiore al secondo ciclo, anche in considerazione
del vigente obbligo di istruzione fino ai 16 anni. Il tasso di scolarità dei giovani tra i 14 e i 18
anni è così arrivato al 93%. Si registra comunque un calo del tasso di scolarità in relazione al
crescere dell’età ed in particolare in corrispondenza temporale con la conclusione del ciclo di
istruzione obbligatoria. Un fattore critico rimane, quindi, la permanenza nel sistema educati-
vo e formativo fino alla conclusione del percorso intrapreso. Altro aspetto problematico è la re-
golarità degli studi: il relativo tasso è molto buono nei licei mentre negli istituti professionali
solo 55 studenti su 100 risultano in regola con il percorso scolastico. Quanto al tasso di pro-
duttività (numero di maturi in rapporto agli iscritti al 1° anno di scuola secondaria superiore
5 anni prima) su 100 studenti iscritti nel 2003/2004 sono 66 quelli che hanno conseguito la ma-
turità nel 2007/2008.
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rapporto isfol 2009
Gli studenti iscritti alla scuola secondaria di II grado nell’anno scolastico 2008/2009 sono com-
plessivamente 2.716.688, il 33,8% agli istituti tecnici, il 34,1% ai licei, il 20,3% agli istituti pro-
fessionali. Dal 2000 ad oggi gli studenti iscritti ai licei sono aumentati del 22,2%, mentre si è pro-
dotta un’importante flessione del 6,8% nella scelta di un percorso di istruzione tecnica. È il fe-
nomeno della licealizzazione dell’istruzione. Nell’ultimo biennio si osserva, tuttavia, nel quadro
di una generalizzata diminuzione delle iscrizioni da attribuire a fenomeni demografici, una fles-
sione più consistente proprio nei licei.
Continua a contrarsi nell’anno scolastico 2007-2008 il numero dei diplomati presso gli istituti
tecnici (-2,9%) e presso gli istituti professionali (-3,8%), mentre è in crescita il numero degli stu-
denti che conseguono la maturità liceale (+3,4%).
I percorsi triennali di istruzione e formazione professionale
Il bilancio dei percorsi triennali di istruzione e formazione professionale è sostanzialmente po-
sitivo, a giudicare dalle richieste provenienti dal territorio e dall’apprezzamento delle imprese.
Emerge un progressivo radicamento delle sperimentazioni in quasi tutte le realtà regionali: dai
1.329 percorsi del 2003-2004 si passa ai 7.642 del 2008-2009. Il numero degli allievi è aumen-
tato di cinque volte in sei anni.
Sul piano organizzativo, l’impostazione tradizionale del vecchio Centro di formazione profes-
sionale (cfp), con una struttura direttore-docente esclusivamente impostata sull’erogazione del-
la formazione, ha ceduto il posto alla multifunzionalità delle attuali Agenzie, che alla formazio-
ne uniscono analisi dei fabbisogni, progettazione, orientamento, monitoraggio e valutazione. Un’im-
postazione che permette una maggiore penetrazione nel territorio; ne è prova anche la particolare
attrattività per le giovani generazioni di immigrati.
Analizzando il rapporto tra il numero dei qualificati e gli iscritti al primo anno dei percorsi di
iefp, risulta un’apprezzabile percentuale del 78,4% di allievi che non abbandonano, nonostan-
te l’estrema “fragilità” sociale e scolastica del target di riferimento.
Evoluzione degli indicatori di scolarizzazione
Indicatori
Anni
2000/2001 2005/2006 2006/2007 2007/2008
Tasso di scolarità scuola secondaria superiore (a) 86,3 92,4 92,5 93,0
Tasso di qualifica (b) 12,6 16,6 16,8 16,8
Tasso di maturità (c) 72,4 78,0 76,5 73,9
Tasso di produttività scuola secondaria superiore (d) 67,4 70,4 68,6 66,6
Tasso di partecipazione alla FP iniziale (e) 3,9 3,3 4,3 4,7
Tasso di partecipazione alla FP post secondaria (f) 1,4 2,0 4,4 3,2
Forza lavoro in possesso di almeno un titolo ISCED 3 52,0 59,2 60,0 61,0
(a) Frequentanti in totale in rapporto alla popolazione di giovani 14-18enni. Tale indicatore ha un valore diverso rispetto ai tassi di scolarità calcolati
per le singole età, poichè nel numero degli iscritti sono compresi anche 19-20 enni in ritardo e ancora iscritti nella scuola secondaria di II grado.
(b) Percentuale di qualificati degli istituti professionali di Stato in rapporto alla media della popolazione 16-17enne.
(c) Numero di maturi in rapporto alla media della popolazione 19-20enne.
(d) Numero di maturi - interni - in rapporto al numero degli iscritti al 1° anno di scuola secondaria superiore 5 anni prima.
(e) Iscritti in complesso ai corsi di formazione iniziale sul totale dei giovani 14-18enni.
(f) Iscritti in complesso ai corsi di formazione post secondaria e IFTS sul totale dei giovani 19-24enni.
Fonte: Elaborazione ISFOL su dati ISTAT, MIUR ed Amministrazioni di Regioni e Province autonome
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sintesi
In continuità con i percorsi triennali si sviluppa l’esperienza dei quarti anni sperimentali, fino-
ra visti come un prolungamento dei percorsi di formazione professionale e, dunque, non in for-
ma di percorsi integrati con la scuola. Tale esperienza ha dato i migliori risultati nelle realtà lo-
cali che presentano un maggior radicamento nel tessuto produttivo del territorio (Lombardia,
Provincia di Bolzano e Provincia di Trento).
Quanto alla richiesta delle aziende, si assiste ad una crescita costante delle preferenze relative alle
assunzioni a “livello formazione professionale regionale” (fino a 4 anni), mentre decresce quel-
la a “livello istruzione professionale di Stato”. Proprio nel 2009 si è realizzato un sorpasso delle
prime sulle seconde.
La dispersione e gli strumenti di contrasto
Il tasso di abbandono dei percorsi di istruzione e formazione professionale senza il conseguimento
di una qualifica o di un titolo di studio è nel 2008 pari al 5,4%, sul totale della popolazione tra
i 14 e i 17 anni, cioè la fascia d’età che risulta maggiormente colpita dal fenomeno della disper-
sione formativa. Si tratta di quasi 126 mila giovani, di cui fanno parte anche quei ragazzi occu-
pati con un contratto di apprendistato che non hanno tuttavia svolto alcuna attività formativa.
Stato formativo dei giovani 14-17enni, a.s.f. 2008/2009 per ripartizione territoriale (v.a. e composizione %)
(a) Licei ed istituti psicopedagogici e dei servizi rivolti alla persona.
(b) Istituti d’arte e licei artistici.
Fonte: Elaborazione ISFOL su dati MLSPS, MIUR, regionali, ISTAT
Valore assoluto Nord-Ovest Nord-Est Centro Sud Isole Totale Totale%
Iscritti nei licei 151.321 110.422 156.094 217.699 100.147 735.683 31,6
Iscritti negli istituti tecnici 153.684 118.425 112.654 183.606 77.097 645.466 27,8
Iscritti negli istituti professionali 83.873 65.223 67.549 116.611 48.813 382.069 16,4
Iscritti nell’istruzione magistrale (a) 35.763 25.202 26.030 56.204 26.721 169.920 7,3
Iscritti nell’istruzione artistica (b) 17.622 12.087 14.155 18.004 9.845 71.713 3,1
Iscritti alla secondaria di I grado 24.036 17.080 17.630 18.728 15.655 93.129 4,0
Iscritti alle agenzie formative 44.683 30.100 8.162 4.382 8.489 95.816 4,1
Apprendisti in formazione 1.470 4.860 242 77 0 6.649 0,3
Fuori di percorsi formativi 27.198 10.844 16.536 51.428 19.847 125.853 5,4
Totale popolazione 14-17enne 539.650 394.243 419.052 666.739 306.614 2.326.298 100,0
A livello territoriale la percentuale più elevata è quella relativa al Sud e alle Isole: rispettivamente
7,7% e 6,5%, pari ad un totale complessivo di 71 mila “dispersi”. Il Nord-Est è invece l’area meno
penalizzata (2,8%), anche considerando che una quota rilevante dei quasi 11 mila “dispersi” ri-
guarda gli occupati con contratto di apprendistato.
Tutto ciò invita a riflettere sulle possibili piste di lavoro finalizzate alla riduzione della disper-
sione formativa che dovrebbero, se si vuole impattare su un numero significativo di giovani, con-
centrarsi verso le regioni meridionali, dove i sistemi informativi sono meno efficienti, lo stru-
mento dell’apprendistato quasi inutilizzato e il tessuto produttivo meno in grado di assorbire
lavoratori privi di qualifica.
È poi essenziale lavorare sul fronte delle azioni di sistema. In tal senso, la disponibilità presso le
amministrazioni locali di informazioni sullo stato scolastico-formativo dei 14-17enni rappre-
senta uno dei principali strumenti per garantire l’assolvimento del diritto-dovere, nonché la base
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rapporto isfol 2009
di riferimento obbligato per la costruzione dell’Anagrafe nazionale degli studenti gestita dal miur,
come previsto dal decreto 76/2005. Il presidio del territorio interessa tuttora circa la metà del-
le amministrazioni regionali: ammontano, infatti, a 11 le regioni che dispongono di un proprio
sistema informativo. Vi è ancora un ritardo molto netto delle regioni del Sud, dove la carenza
informativa interessa più del 60% del territorio (contro il 30% delle regioni del Nord e circa il
40% di quelle del Centro). È evidente che tale debolezza del sistema abbia come contraccolpo
il limitato potere di intervento dei servizi per l’impiego.
L’istruzione e la formazione tecnica superiore
In un decennio sono stati programmati 3.500 percorsi di istruzione e formazione tecnica supe-
riore, pari a circa la metà delle iniziative di raccordo formazione-lavoro e dei corsi di formazione
professionale di II livello organizzati dalle Regioni in un solo anno formativo.
L’istituzione dei Poli formativi ha rappresentato un momento di cesura evidente, con differen-
ti scelte attuate dalle amministrazioni regionali. Alcune hanno preferito procedere alla pro-
grammazione esclusivamente all’interno dei Poli; altre hanno invece scelto di proseguire nella
programmazione annuale dei percorsi ifts a bando e, contestualmente, avviare il processo di co-
stituzione dei Poli. In alcuni casi il Polo si configura come soggetto deputato esclusivamente al
segmento dell’istruzione e formazione tecnica superiore, in altri i soggetti hanno interpretato
il settore di riferimento trasversalmente ai differenti livelli di istruzione e formazione.
I percorsi universitari
Si registra un aumento del tasso di passaggio all’università (+2,7%) e del tasso di immatricola-
zione (+1,2%), a conferma di una ripresa della propensione dei giovani a proseguire gli studi.
In generale, la partecipazione ai percorsi universitari non è trascurabile, ma comunque ancora
insufficiente: la quota di immatricolati rispetto alla media teorica dei giovani di età corrispon-
dente è il 52,5%.
I livelli di istruzione della forza lavoro sono in lenta ma costante crescita: i laureati sono il 16,6%,
valore che rimane però ancora al di sotto della media dei paesi europei.
Partecipazione al sistema universitario - anni vari
(a) Numero di immatricolati per la prima volta nel sistema universitario in rapporto al numero di quanti hanno conseguito la maturità al termine del
precedente anno scolastico.
(b) Immatricolati in complesso in rapporto alla media dei giovani 19-20enni.
(c) Numero complessivo di iscritti all’università in rapporto alla popolazione 19-23enne.
(d) Ad eccezione dell’a.a. 2000/2001, comprendono i corsi di laurea del I ciclo, i diplomi universitari e le scuole dirette a fini speciali.
(e) Comprendono i corsi di laurea biennale specialistici o magistrali, del vecchio ordinamento ed i corsi di laurea specialistica a ciclo unico.
Fonte: Elaborazione ISFOL su dati ISTAT e MIUR
Indicatori
Anni
2000/2001 2006/2007 2007/2008 2008/2009
Tasso di passaggio all’università (a) 63,9 68,6 68,4 71,1
Immatricolati per 100 coetanei (b) 43,8 53,0 51,3 52,5
Tasso di iscrizione all’università (c) 49,6 59,8 59,3 59,1
Fuori corso su 100 iscritti 37,3 36,9 35,6 n.d
Laureati su popolazione 23 enne (d) 2,5 28,1 27,7 n.d
Laureati su popolazione 25 enne (e) 23,1 19,0 18,6 n.d
Forza di lavoro in possesso di un titolo universitario (ISCED 5-6) 11,9 15,7 16,6 n.d
15
sintesi
Si conferma preponderante il numero degli studenti che scelgono un corso di laurea triennale,
mentre continuano a diminuire le iscrizioni ai corsi di diploma universitario (-36,2%) e alle lau-
ree del vecchio ordinamento (-26,3%). Vi è anche una riduzione degli iscritti alla laurea specialistica
(di 2° livello). Parte di questa diminuzione viene assorbita dai nuovi corsi di laurea magistrale
(ex D.M. 270/2004) che presentano un numero di iscritti pari al 2% del totale. Aumenta il gra-
do di attrazione delle lauree a ciclo unico.
Quanto agli indicatori di esito, nel 2007-2008 diminuisce il numero di laureati in rapporto alla
popolazione dei 23enni e 25enni. Fenomeno che potrebbe essere causato dalla scarsa regolarità
degli studi: sempre nel biennio in questione, quasi 36 iscritti su 100 risultavano fuori corso.
L’integrazione tra istruzione, formazione e lavoro nell’apprendistato
Nel 2008 l’occupazione in apprendistato, pur confermando un incremento positivo, evidenzia
segnali di rallentamento. Le più ampie criticità si rilevano con riferimento all’area del Mezzo-
giorno, dove si verifica una riduzione del 6,4% rispetto al 2007. Nel resto d’Italia la crescita pro-
segue ma a ritmi ridotti rispetto al passato.
La filiera della formazione per l’apprendistato raccoglie annualmente un’utenza di circa 165 mila
soggetti, di cui 40 mila tutor aziendali. Si tratta di una quota significativa nel panorama della for-
mazione professionale pubblica: un sesto rispetto al totale. Ma la probabilità di essere inclusi in
attività formative presenta forti differenziazioni territoriali: nel Nord-Est sale al 35% e nel Nord-
Ovest si attesta al 25%; precipita al 10% nel Centro e si dimezza ancora nelle regioni del Sud (5,1%),
mentre nelle Isole è ferma all’1%.
A livello nazionale si è avviata una nuova modalità di formazione regolamentata esclusivamen-
te dalle Parti sociali. Si è infatti aperta la possibilità per le imprese di optare per una formazio-
ne “esclusivamente aziendale”. È questa una delle strade sulle quali si gioca la sfida per il rinno-
vamento della formazione lanciata attraverso il Libro Bianco.
Per quanto riguarda l’apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere è ancora poco utiliz-
zato e rimane al momento privo di una disciplina che ne consenta l’utilizzo. Tuttavia, proprio
recentemente si è riacceso l’interesse su tale tipologia, sia da parte delle istituzioni centrali sia di
qualche amministrazione territoriale.
Ancora debole è anche l’apprendistato per il conseguimento di un diploma o di un titolo di alta
formazione, nonostante sia uno strumento strategico per le relazioni tra sistema delle imprese e
delle università. In tal senso ne è stato ampliato il campo di applicazione ai dottorati di ricerca.
16
rapporto isfol 2009
2.2 La formazione degli adulti
I livelli di qualificazione delle forze di lavoro
In Italia i lavoratori in possesso di titoli di studio universitari sono poco più della metà di altri
paesi simili per dimensione e sistemi produttivi (Francia, Spagna, Regno Unito, Germania). Fra
i dipendenti solo il 16% ha un titolo alto, il 47,1% medio e il 36,9% basso.
Analizzando congiuntamente istruzione e inquadramento professionale dei lavoratori dipendenti
è evidente la forte correlazione tra le due dimensioni.
Lavoratori dipendenti: distribuzione per livello di istruzione e inquadramento professionale (v.a.)
Fonte: Elaborazione ISFOL su dati ISTAT (Forze di lavoro), media 2008
Livello di istruzione Operai Impiegati Quadri/Dirigenti Totale
Basso 5.282.355 1.079.228 65.358 6.426.941
Medio 2.953.176 4.676.518 590.247 8.219.941
Alto 180.211 1.545.632 1.073.134 2.798.977
Totale 8.415.742 7.301.378 1.728.739 17.445.859
Gli operai hanno principalmente un livello di istruzione basso (62,8%); gli impiegati medio (64%)
e i dirigenti/quadri alto (62,1%).
Emergono anche elementi di squilibrio: oltre 65 mila dirigenti/quadri con livello di istruzione
basso ed oltre 180 mila lavoratori in possesso di titoli di studio universitari ma occupati come
operai. Nella fascia d’età 25-34 anni i laureati inquadrati come operai raggiungono quasi il 10%
del totale dei laureati che lavorano.
La domanda e l’offerta di formazione delle imprese e dei lavoratori
Cresce nel 2008 la partecipazione della popolazione adulta alle attività formative, arrivando a più
di sei milioni di individui 15-64enni. La media annuale, pur mostrando un’incidenza ancora bas-
sa (15,5%), mette in evidenza una tendenza positiva, con un incremento di circa 370 mila unità
(+0,8%) nel triennio 2006-2008, prevalentemente registrato nell’ultimo anno (+216 mila unità).
Relativamente alla fascia dei 25-64enni la partecipazione ad attività di apprendimento perma-
nente - indicatore utilizzato per il benchmark della strategia di Lisbona e fissato al 12,5% entro
il 2010 - raggiunge nel 2008 il 6,3%.
Considerando i dati della Rilevazione istat sulle forze di lavoro, circa un milione e 700 mila oc-
cupati (7,4%) hanno svolto corsi di formazione professionale o corsi di studio. A livello nazio-
nale, il 74,2% dei corsi di formazione professionale frequentati dagli occupati sono stati preva-
lentemente organizzati in ambito aziendale mentre per appena il 10,6% si è trattato di forma-
zione professionale regionale.
17
sintesi
I tassi di partecipazione risultano più elevati se consideriamo i dati relativi all’indagine isfol-in-
daco, che utilizza una metodologia diversa da quella della Rilevazione istat forze di lavoro. È una
metodologia in linea con la rilevazione europea Adult Education Survey. Nel 2008 gli occupati che
hanno avuto in Italia nell’arco di un anno l’opportunità di partecipare ad almeno un’attività di for-
mazione collegata al proprio lavoro risultano in questo caso il 42,8% del totale, con una crescita
in quattro anni di oltre dieci punti. Tale valore sale al 58,3% per i dipendenti pubblici.
Popolazione di 15-64 anni per frequenza di corsi di studio e/o di formazione, condizione e ripartizione geografica - media 2008
(v.a in migliaia e incidenza %)
Area geografica
Frequenta corsi di studio e/o
di formazione (v.a.)
Frequenta corsi di studio e/o
di formazione (%)
Occupati
Totale
popolazione
Occupati
Totale
popolazione
Nord-Ovest 494 1.410 7,2 13,7
Nord-Est 411 1.108 8,2 15,0
Centro 380 1.244 8,0 16,4
Sud e Isole 411 2.298 6,4 16,5
Italia 1.696 6,06 7,4 15,5
Fonte: ISTAT (RCFL - Rilevazione Continua Forze di Lavoro)
Occupati che hanno partecipato ad attività di formazione continua sul totale degli occupati, per condizione occupazionale, area
geografica e settore di attività - anno 2008 (incidenza %)
Fonte: ISFOL (INDACO - Lavoratori)
Occupati
MediaDipendenti
privati
Autonomi
Dipendenti
pubblici
Nord-Ovest 41,6 36,4 61,5 43,7
Nord-Est 44,3 26,8 64,0 43,6
Centro 33,3 38,3 59,0 40,2
Sud e Isole 37,3 41,7 53,2 43,1
Media 39,5 36,3 58,3 42,8
Più evidenti i divari interni a ciascuna categoria professionale: la partecipazione dei lavoratori
appare fortemente legata all’inquadramento professionale, alle caratteristiche socio-demogra-
fiche e alla dimensione d’impresa, favorendo una distribuzione delle opportunità formative che
di fatto genera forti disparità e ulteriori ineguaglianze nel mondo del lavoro. Sappiamo, ad esem-
pio, che il livello di istruzione rappresenta un’evidente discriminante nell’accesso alla formazione
continua. Al tempo stesso, il livello di istruzione del lavoratore è ancora oggi fortemente legato
alla scolarità della famiglia di origine.
Un altro esempio di disuguaglianza è quello relativo al forte ruolo svolto dalla posizione ricoperta
nella gerarchia aziendale, con le maggiori opportunità formative concentrate nelle fasce medio-alte.
18
rapporto isfol 2009
Sul fronte delle imprese, una su quattro coinvolge i propri dipendenti in corsi di formazione. Il
divario tra le grandi e le piccole rimane consistente. In quelle con più di 250 dipendenti si va dal
57,8% di imprese formatrici nel 2000 all’80,2% nel 2008. Le micro imprese hanno comunque
finalmente raggiunto un valore superiore al 20%.
L’offerta di formazione finanziata
Le adesioni ai Fondi paritetici interprofessionali evidenziano un aumento maggiore di quello re-
gistrato lo scorso anno, sia in termini di imprese (8,1%), sia in termini di lavoratori (9,3%). Il
contributo all’aumento delle adesioni sembra provenire soprattutto da imprese di piccola o pic-
colissima dimensione. Inoltre, il peso percentuale del Sud, per la prima volta in cinque anni, au-
menta a scapito del Nord e del Centro.
Distribuzione delle adesioni e dei lavoratori delle imprese aderenti, esclusi i Fondi per dirigenti* - anno 2009
* Al netto delle cessazioni e delle revoche.
Fonte: Elaborazione ISFOL su dati MLSPS/INPS e ISTAT (ASIA 2006)
Adesioni % Lavoratori %
Nord-Ovest 154.236 30,3 2.566.613 38,1
Nord-Est 168.140 33,1 1.917.085 28,5
Centro 74.373 14,6 1.256.701 18,7
Sud 67.063 13,2 669.843 10,0
Isole 44.293 8,7 319.625 4,7
Non attribuibili 88 - 327 -
Italia 508.193 100,0 6.730.194 100,0
Dall’avvio nel 2004 all’aprile 2009 si può stimare che i Fondi paritetici hanno ricevuto com-
plessivamente circa 1.726 milioni di euro. Di questi, circa 1.000 sono stati impegnati per il fi-
nanziamento di attività formative. Nel quinquennio sono stati finanziati circa 10 mila Piani for-
mativi che hanno coinvolto 57 mila imprese e circa 1,1 milioni di lavoratori, raggiungendo quin-
di il 16% dell’utenza potenziale, che ammonta attualmente a 6,7 milioni di lavoratori.
Venendo agli strumenti nazionali di sostegno (legge 236/1993), nell’arco temporale 2004-2008
il Ministero del Lavoro ha ripartito tra le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano
circa 464 milioni di euro. Le amministrazioni regionali hanno emanato i relativi avvisi pubbli-
ci per un ammontare di circa 385 milioni (pari all’82,9% del totale). A questo importo vanno
inoltre aggiunti ulteriori 100 milioni di euro, relativi ai residui di precedenti decreti di riparto.
Complessivamente, sono stati quindi emanati avvisi regionali per un importo pari a circa 483
milioni di euro. Di questi, circa 380 milioni sono stati utilizzati per finanziare Piani formativi
concordati (aziendali, settoriali e territoriali); i restanti 103 hanno contribuito al finanziamen-
to di Piani formativi a domanda individuale (attraverso lo strumento del voucher). Al riguardo,
si evidenzia una preferenza dello strumento del voucher individuale da parte delle Regioni del
Nord-Est (ed in particolare Emilia Romagna e Veneto) e una sua scarsa diffusione nelle Regio-
ni del Mezzogiorno.
Inoltre, in alcune Regioni del Centro-Nord accanto alle forme tradizionali si stanno diffonden-
do pratiche più complesse relative sia all’aggregazione della domanda, sia alle tecniche di fi-
nanziamento, sia alle metodologie formative.
19
sintesi
Il numero stimato di beneficiari coinvolti nelle attività formative è stato pari ad oltre 800 mila
lavoratori, di cui circa 725 mila in azioni formative sviluppate nei piani concordati e più di 90
mila in voucher formativi individuali.
Risorse e beneficiari dei Piani formativi concordati e i Piani individuali finanziati attraverso la L. 236/1993 dal 2004 al 2008 (v.a.
e composizione % per area georgrafica)
Fonte: Elaborazione ISFOL su dati regionali
Area geografica
Piani formativi concordati Piani formativi individuali
Risorse
messe a
bando (v.a.)
Risorse
messe a
bando %
Beneficiari
(v.a.)
Beneficiari
%
Risorse
messe a
bando (v.a.)
Risorse
messe a
bando %
Beneficiari
(v.a.)
Beneficiari
%
Nord-Ovest 139.525.065 36,8 472.130 65,0 28.533.800 27,6 24.064 26,2
Nord-Est 53.094.884 14,0 62.765 8,6 51.290.583 49,5 42.209 45,9
Centro 88.933.424 23,5 96.744 13,4 15.017.530 14,5 18.725 20,4
Sud e Isole 97.531.775 25,7 94.276 13,0 8.680.080 8,4 6.900 7,5
Italia 379.085.148 100,0 725.915 100,0 103.521.993 100,0 91.897 100,0
Relativamente al Fondo sociale europeo, nella programmazione 2000-2006 sono stati spesi in Ita-
lia per la formazione dei lavoratori 2 milioni e 171 mila euro, di cui il 74,4% ha riguardato la for-
mazione continua mentre la restante quota è stata spesa per l’attuazione di azioni di sistema re-
lativi alla filiera. Nelle Regioni del Centro-nord la formazione per occupati ha riguardato in mi-
sura nettamente prevalentemente i lavoratori del settore privato (86,6% delle risorse erogate),
mentre nel Mezzogiorno la spesa per la formazione nella pubblica amministrazione assume con-
notati più robusti.
In termini di beneficiari, sono stati coinvolti oltre 1,7 milioni di occupati, di cui solo 364 mila
nel Mezzogiorno, dove in compenso c’è un maggiore coinvolgimento degli operatori della for-
mazione e dei Servizi per l’impiego.
Si tratta soprattutto di lavoratori con titoli di studio medio-alti. Tra i beneficiari solo il 20,5%
risulta in possesso di licenza media e l’8% di certificato di qualifica professionale.
La formazione nei Centri territoriali permanenti e nelle scuole
L’offerta formativa dei Centri territoriali permanenti (ctp) e degli istituti scolastici gestori di cor-
si serali presenta un trend in crescita relativamente al numero dei corsi complessivamente rea-
lizzati, ma soprattutto un costante e progressivo aumento degli iscritti, passati da 423.937 nel-
l’anno scolastico 2004/2005 a 482.570 nell’anno scolastico 2007/2008. In quest’ultimo i reali fre-
quentanti sono stati quasi 386 mila.
I Centri territoriali permanenti e i corsi serali per il conseguimento di titoli di studio attualmente
in funzione saranno ricondotti ai Centri per l’istruzione degli adulti (una tipologia di istituzione
scolastica autonoma, articolata in reti territoriali di servizio, di norma su base provinciale), che
realizzeranno a partire dall’a.s. 2010/2011 un’offerta formativa finalizzata al conseguimento del
titolo di studio e di certificazioni riferiti al primo ciclo e al secondo ciclo di istruzione in rela-
zione ai percorsi degli istituti tecnici, degli istituti professionali e dei licei artistici.
20
rapporto isfol 2009
Frequentanti per provenienza a.s. 2007/2008
Fonte: Elaborazione ISFOL su dati MIUR (Monitoraggio Nazionale EdA) Agenzia per lo sviluppo dell’autonomia scolastica (ex INDIRE)
Tipologie di corso Frequentanti
di cui
Italiani Stranieri
Corsi del primo ciclo di istruzione (CA+CSI) 64.221 17.711 46.510
Corsi a favore dei cittadini stranieri per l’Integrazione Linguistica e Sociale (CILS) 67.102 1.509 65.573
Corsi brevi modulari, di alfabetizzazione funzionale (CBM) 185.294 166.316 18.978
Corsi serali finalizzati al conseguimento del diploma di istruzione superiore e/o
di qualifica (CSII) - inclusi quelli erogati dai CTP
69.246 60.002 9.244
di cui erogati dai CTP 5.090 4.106 984
Totale 385.863 245.538 140.305
21
sintesi
2.3 Le caratteristiche della formazione professionale nei sistemi regionali
L’offerta e la partecipazione: un quadro complessivo
In merito alle attività formative realizzate dalle Regioni si evidenzia un livello di partecipazione piut-
tosto consistente: nell’anno formativo 2007/2008 sono stati realizzati circa 53 mila corsi. Emerge un
numero elevato di interventi in favore degli adulti occupati e degli apprendisti (rispettivamente 19.245
e 12.300 corsi). Significativa anche la quota dedicata alla formazione iniziale: 7.600 corsi, il più alto
numero di corsi realizzati in questa tipologia formativa dall’avvio delle sperimentazioni dei precorsi
triennali di Istruzione e formazione professionale. Risultano in continuo aumento i corsi per disoccupati
(ora a quota 4.173), forse anche come iniziale risposta di contrasto alle difficoltà legate alla crisi. La
formazione post-secondaria fa registrare un valore pari a 4.662 corsi.
I dati per ripartizione geografica restituiscono una distribuzione direttamente proporzionale al-
l’ampiezza del territorio di riferimento; nelle aree del Nord Italia si concentra il 55% dei corsi, al
Centro il 15% e al Sud e Isole il 30%. Tale scarto risulta più marcato se si considerano gli allievi,
con il Mezzogiorno a quota 16,2%. Complessivamente, gli allievi coinvolti sono 1.013.860, cui van-
no aggiunte circa 51.800 unità - quasi esclusivamente nel Centro-Nord - che hanno usufruito del-
la formazione attraverso tipologie di finanziamento individuali (voucher, dote formativa, ecc.).
(a) Formazione rivolta ai giovani finalizzata al conseguimento di una prima qualifica.
(b) Formazione rivolta ai qualificati di I livello, diplomati e laureati. Comprende il raccordo formazione - istruzione.
(c) Dati non disponibili.
Fonte: Elaborazione ISFOL su dati regionali e monitoraggi ISFOL
Formazione
iniziale (a)
Formazione
post
secondaria
e IFTS (b)
Disoc -
cupati
Appren -
disti
Occupati
Sogg. a
rischio di
esclusione
Altri Totale
Nord-Ovest 48.342 31.536 43.142 62.334 106.082 6.067 1.559 299.062
Nord-Est 45.426 29.898 17.268 75.562 219.056 4.377 16.167 407.754
Centro 19.634 21.974 10.425 9.169 45.474 10.180 25.969 142.825
Sud 5.259 30.751 13.635 12.834 26.954 3.699 3.007 96.139
Isole 20.368 5.576 16.132 219 22.455 2.826 504 68.080
Totale 139.029 119.735 100.602 160.118 420.021 27.149 47.206 1.013.860
Allievi per tipologia e ripartizione geografica - anno formativo 2007/2008
Nell’ambito della formazione rivolta ai giovani si registra un grado di copertura molto elevato, pari
al 43% del bacino potenziale (15-24enni in cerca di occupazione); mentre nella formazione rivol-
ta agli adulti occupati (oltre i 25 anni) la percentuale di incidenza scende al 2%. Nella formazione
destinata ad adulti disoccupati gli allievi sono il 10% dell’utenza potenzialmente interessata.
Il contributo del FSE per l’ingresso al lavoro
Relativamente alle politiche cofinanziate dal fse nel periodo di programmazione 2000-2006 (dati
al 31.12.2008), la spesa impegnata ammonta a poco meno di 17 miliardi di euro, di cui il 56,5%
(9,5 miliardi di euro) a beneficio delle Regioni dell’Obiettivo 3 e il restante 43,4% (7,3 miliardi
di euro) a favore delle Regioni dell’Obiettivo 1.
La forma principale attraverso cui l’utenza viene raggiunta dal fse continua ad essere la formazione.
22
rapporto isfol 2009
La spesa regionale per la formazione professionale
Relativamente alla spesa per la formazione professionale sostenuta e preventivata dalle Regioni
e Province autonome, per il 2009 si registra un lieve decremento rispetto l’anno precedente. La
somma delle previsioni di spesa ammonta a 3,2 miliardi rispetto ai 3,4 miliardi del 2008, anno
in cui si era registrata una forte crescita dovuta essenzialmente alla assegnazione delle dotazio-
ni derivanti dal fse.
Per quanto concerne i dati dei bilanci consuntivi, nel 2007 le risorse disponibili ammontavano
a 3,4 miliardi di euro, registrando un decremento del 26% rispetto al 2006, dovuto principal-
mente alla mancanza delle risorse derivanti dal fse, essendo il 2007 l’anno di inizio della nuo-
va programmazione.
L’accreditamento delle strutture formative
L’isfol ha realizzato una ricognizione presso tutte le Regioni e le Province autonome sull’appli-
cazione dei criteri generali di accreditamento delle strutture formative che realizzano i percorsi
triennali di istruzione e formazione professionale. Dalla prima analisi delle schede pervenute si
può rilevare come a livello generale quasi tutte le amministrazioni regionali abbiano contemplato,
sebbene in forme diverse, i sette criteri generali previsti per l’obbligo di istruzione all’interno dei
propri sistemi di accreditamento e/o nei bandi per la selezione dei progetti formativi.
Obiettivo 3 Obiettivo 1 Totale
Progetti Destinat. Progetti Destinat. Progetti Destinat.
Tirocini 7.126 26.037 1.365 2.444 8.491 28.481
Piani d’inserimento lavorativo 378 3.384 10 - 388 3.384
Borse lavoro 2.827 5.402 - - 2.827 5.402
Altre forme di work experience 768 2.559 58 1.483 826 4.042
Totale work experience 11.099 37.382 1.433 3.927 12.532 41.309
Formazione all’interno dell’obbligo formativo 10.978 248.235 3.506 73.332 14.484 321.567
Formazione post obbligo formativo e post diploma 14.414 259.612 4.451 90.832 18.865 350.444
Formazione nell’ambito dell’apprendistato
post obbligo formativo
1.144 48.938 59 4.525 1.203 53.463
Alta formazione 210 3.912 285 4.859 495 8.771
Formazione finalizzata al reinserimento lavorativo 3.690 56.410 203 10.750 3.893 67.160
Formazione per la creazione di impresa 172 3.271 8 437 180 3.708
Totale formazione 30.608 620.378 8.512 184.735 39.120 805.113
Percorsi integrati per l’inserimento lavorativo 1.154 35.696 1.405 29.093 2.559 64.789
Percorsi integrati per la creazione di impresa 71 1.267 442 11.887 513 13.154
Totale percorsi integrati 1.225 36.963 1.847,00 40.980 3.072,00 77.943
Incentivi alle persone per la formazione 15.424 37.394 443 1.577 15.867 38.971
Incentivi alle persone per il lavoro autonomo 738 3.080 759 3.420 1.497 6.500
Incentivi alle imprese per l’occupazione 6.018 16.824 293 35.388 6.311 52.212
Totale incentivi 22.180 57.298 1.495 40.385 23.675 97.683
Totale 65.112 752.021 13.287 270.027 78.399 1.022.048
Numero di progetti e di destinatari per tipologia di azione
Fonte: Elaborazione ISFOL su dati MEF IGRUE (Monitweb)
23
sintesi
In sintesi, i risultati suggeriscono l’esistenza di una certa omologia tra i fenomeni di sviluppo eco-
nomico e coesione sociale e quelli del governo regionale della formazione professionale attra-
verso l’accreditamento. Questo parallelismo rende plausibile l’ipotesi interpretativa che il fattore
determinante nello sviluppo del sistema di offerta formativa delle Regioni sia esogeno rispetto
al sistema formativo in quanto tale: se la formazione professionale funziona nelle Regioni più
ricche, con minore disoccupazione e maggiore capitale sociale, questo significa che le politiche
delle altre Regioni non sono state in grado di ridurre l’influenza negativa degli altri fattori di con-
testo in certa misura riconducibili a fenomeni appunto esogeni, legati alla qualità strutturale e
alla governance dei territori.
25
sezione formazione
capitolo 3
Approfondimenti
3.1 Il rendimento della formazione del personale per le imprese
Le aziende che fanno formazione registrano in media performance migliori in termini di roi (Re-
turn On Investment, indice che esamina la redditività delle attività delle imprese). Ciò è vero fino
ad una percentuale di addetti formati compresa tra il 60% e l’80%. Sembra quindi esserci una
soglia critica, al di sotto della quale il rendimento è crescente e al di sopra torna invece a dimi-
nuire. Anche l’analisi della redditività aziendale per fasce di spesa pro-capite in formazione sem-
bra confermare questa ipotesi: la percentuale di imprese con un roi in aumento cresce fino a quan-
do la spesa per formazione non tocca i 100 euro per addetto, per poi diminuire tra 100 e 200 euro
e tornare a crescere in modo molto significativo solo per investimenti superiori ai 400 euro. In
alcune fasi del loro sviluppo, molte imprese potrebbero dunque trovarsi in una sorta di “trap-
pola della formazione”, ovvero in una situazione in cui un piccolo investimento marginale in for-
mazione non appare in connessione con il miglioramento delle performance. In queste condi-
zioni, un forte investimento sul capitale umano può contribuire ad accrescere i profitti.
È significativo, inoltre, che le aziende con un roi in miglioramento non si siano limitate a for-
mare il personale su aspetti puramente tecnici e organizzativi, ma abbiano avviato anche corsi
nell’ambito dei processi di certificazione sulla responsabilità sociale d’impresa, che sta diventando
uno dei punti di forza delle imprese più competitive e dinamiche.
I programmi di formazione del personale hanno un effetto sulla redditività aziendale molto si-
gnificativo nelle imprese innovative, mentre nelle altre sembra addirittura ridurre la redditività.
Questo risultato conferma come la formazione professionale possa svolgere un ruolo propulsi-
vo sulla performance e sullo sviluppo delle singole imprese, anche nel breve periodo, solo se è in-
quadrata in un programma organico di innovazioni di prodotto e di processo.
26
rapporto isfol 2009
Tipologia di azienda Attività di formazione
Andamento del ROI
Aumentato Stabile Diminuito
Ha introdotto innovazioni
nessuna azione 26,1 26,6 47,3
almeno un’azione 31,8 35,6 32,6
Non ha introdotto innovazioni
nessuna azione 10,7 44,3 45,0
almeno un’azione 12,3 25,5 62,3
Imprese per introduzione di innovazioni e attività di formazione continua (composizione % per andamento del ROI)
Fonte: ISFOL (INDACO - Indagine sulla conoscenza delle imprese)
27
sintesi
Le figure a più basso inquadramento professionale risultano le meno recettive alla percezione
dell’utilità di fare formazione. Inoltre, l’andamento generale della partecipazione dei lavorato-
ri alle attività di formazione continua si caratterizza per la difficoltà dei segmenti deboli (don-
ne, lavoratori con bassi titoli di studio, lavoratori maturi) ad esprimere una sufficiente doman-
da formativa.
I lavoratori ritengono prevalentemente che la formazione serva a favorire processi di mobilità
verticale, mentre in misura nettamente minore è percepita come strumento per favorire la mo-
bilità orizzontale (cambiare tipo di lavoro all’interno dell’azienda) o processi di mobilità ester-
na. Risulta poi un crescente divario tra il riconoscimento dell’utilità della formazione rispetto
ai benefici effetti della formazione stessa: il 75% dei lavoratori, tra quelli che hanno dichiarato
di avere partecipato nel corso dell’ultimo anno o nelle quattro settimane precedenti ad attività
formative, dichiara di non avere migliorato la propria posizione professionale. Ciò può essere
originato da un’insufficiente capacità di realizzare una formazione realmente efficace e spendi-
bile sul posto di lavoro; oppure dall’incapacità dell’azienda a valorizzare percorsi di accrescimento
delle competenze dei propri lavoratori.
I giovani fino a 24 anni indicano di riconoscere un miglioramento della posizione professiona-
le quale esito della formazione effettuata molto meno dei loro colleghi più anziani.
3.2 I benefici della formazione continua in termini di mobilità
professionale
Circa il 60% dei lavoratori riconosce la necessità di dovere aggiornare o acquisire nuove com-
petenze per poter svolgere efficacemente il proprio lavoro. Valori più alti si riscontrano nel pub-
blico impiego (79,6%).
Fonte: ISFOL (INDACO - Lavoratori)
Dip. Privato Autonomo Dip. Pubblico Totale
Settore
Industria 54,8 41,0 - 52,5
Costruzioni 40,8 49,2 - 43,9
Commercio 48,6 50,3 - 49,4
Servizi 66,4 71,1 - 67,8
P.A. 71,1 79,7 79,2
Titolo di studio
Elementare 20,2 25,9 32,1 23,4
Media inf. 44,5 44,1 57,1 46,0
Professionale 67,5 56,4 81,4 68,1
Diploma 68,7 65,1 85,4 72,1
Università 80,3 88,2 93,3 88,2
Atteggiamenti dei lavoratori verso la formazione continua: lavoratori che ritengono utile la FC per aggiornare e/o acquisire le com-
petenze e le conoscenze (incidenza %)
28
rapporto isfol 2009
3.3 La mobilità professionale e di studio
Tramontata l’era in cui l’esperienza all’estero costituiva un’eccezione a vantaggio di pochi, oggi
si “ripensa” alla mobilità come ad una parte essenziale del percorso formativo degli individui,
anche se in Italia la mobilità di studio e/o lavoro continua a interessare soprattutto la popola-
zione più giovane. La tendenza a proseguire gli studi all’estero o a completare ed ampliare le pro-
prie capacità professionali attraverso l’acquisizione di nuovi saperi è più tipica di una fascia di
età compresa fra 26 e 35 anni.
Quanto alla mobilità da parte dei più giovani (fascia di età 15-20) è vista come integrativa del
proprio ciclo formativo piuttosto che come mezzo per l’acquisizione di competenze al di fuori
di quelle che il proprio percorso formativo offre.
La mobilità che ricade nel programma settoriale Leonardo Da Vinci costituisce la gran parte del-
le esperienze dei flussi in uscita. Segue il programma di mobilità di apprendimento superiore Era-
smus, che nel 2007 registrava ancora un flusso molto consistente di studenti italiani, ma nelle an-
nualità successive ha invece registrato un “calo di popolarità”, proporzionale al successo ripor-
tato da un’altra iniziativa di mobilità nell’apprendimento superiore, il programma settoriale Era-
smus Placement. Le ragioni di questa inversione di tendenza sono essenzialmente riconducibili
al problema del riconoscimento e valutazione dell’esperienza compiuta. Vi è il timore che l’e-
sperienza all’estero si trasformi al rientro in una trafila estenuante per vedersi riconosciuto l’ap-
prendimento maturato. Ne è emersa la preferenza a concludere gli studi nel proprio paese di ori-
gine e a rimandare la partenza.
Una questione che negli ultimi tempi ha spinto studenti e lavoratori a riconsiderare la mobilità,
è la difficoltà a riconoscere le conoscenze che derivano da processi di apprendimento informa-
li, che avvengono cioè nell’ambito di contesti sociali, sul luogo di lavoro e nella società civile.
A fronte di un incremento dei livelli di competizione sul mercato del lavoro, accresciuti anche
dal congiunturale momento di crisi, l’arricchimento dei cv dei cittadini ma ancor di più l’ac-
quisizione precoce di competenze necessarie a svolgere operativamente un lavoro diventa par-
ticolarmente importante. Dai dati relativi al placement a seguito di esperienze di tirocinio all’e-
stero si evince che il mercato del lavoro comincia a premiare l’esperienza più di quanto non fac-
ciano i sistemi preposti alla sua certificazione.
29
sintesi
3.4 Validazione, certificazione e riconoscimento dell’apprendimento non
formale e informale
I provvedimenti di riforma in tema di validazione dell’apprendimento si possono ricondurre a
due distinte categorie:
1. iniziative di promozione dell’apprendimento esperienziale che pianificano a monte l’alter-
nanza tra aula ed esperienza;
2. iniziative di valorizzazione dell’apprendimento esperienziale che puntano invece a ricostruire
a valle l’apprendimento maturato in esperienze di lavoro o di vita.
La Commissione europea si è spesa molto negli ultimi cinque anni nel richiamare i Paesi mem-
bri ad istituire e rendere fruibili ai cittadini sistemi di validazione dell’apprendimento da espe-
rienza. Da tempo sta lavorando intorno all’idea di creare Piattaforme comuni e Tessere profes-
sionali che declinino i requisiti e le competenze necessarie all’esercizio di professioni regolamentate
e non regolamentate, che sostengano procedure di riconoscimento dell’esperienza concreta.
In Italia possiamo contare su una condivisione delle parti istituzionali e sociali nonché su alcu-
ne iniziative avviate negli scorsi anni, come ad esempio l’Istruzione e Formazione tecnica superiore
(per il riconoscimento di crediti da esperienza) e il Libretto formativo del cittadino (quale stru-
mento istruttorio e documentale che può intendersi preventivo alla certificazione dell’appren-
dimento da esperienza).
31
sezione lavoro
capitolo 1
Contesto ed evoluzione delle politiche
1.1 Il quadro di contesto economico nazionale e comunitario
I mercati del lavoro dei diversi paesi europei sono fortemente eterogenei. Solo 8 dei 27 Stati mem-
bri sono allineati con l’obiettivo della Strategia di Lisbona che fissa un tasso di occupazione del
70% entro il 2010. E 16 sono quelli che ottemperano all’obiettivo del 60% di donne occupate
nella fascia di età 15-64 anni. Quasi tutti i paesi sono ancora caratterizzati da una marcata di-
sparità di genere. Nell’eu27 il differenziale nei tassi di occupazione ammonta al 13,7%. Tale gap
è inferiore ai cinque punti percentuali esclusivamente nelle economie fortemente inclusive, qua-
li Finlandia e Svezia, mentre raggiunge i valori più elevati nelle economie mediterranee, come
Grecia (26,3%), Italia (23,1%) e Spagna (18,6%).
In definitiva, in Europa convivono due tipologie di mercato:
mercati inclusivi, che caratterizzano i paesi dove anche a costo di una riduzione d’orario ge-
neralizzata la partecipazione al mercato è molto elevata;
mercati segmentati, dove il lavoro si esplica fondamentalmente nell’arco dell’intera giorna-
ta e la partecipazione delle persone è più limitata.
A questi due modelli contrapposti si legano spesso modelli di welfare altrettanto differenziati:
da una parte un welfare sociale di tipo partecipativo ma fortemente indirizzato agli individui,
dall’altra un welfare assistenziale di tipo familiare.
Occorre comunque considerare che nel confronto europeo, condotto tramite valori medi nazionali,
non emerge la polarizzazione Nord-Sud che caratterizza il nostro Paese. Il livello degli indica-
tori misurati nelle regioni settentrionali risulta, infatti, ben al di sopra delle corrispondenti me-
die riferite al contesto comunitario.
Quanto al capitale umano, c’è anche qui una forte eterogeneità della popolazione europea re-
lativamente ai percorsi formativi, fatte salve le possibili discrasie indotte da sistemi scolastici non
omogenei. La quota di laureati sul totale della popolazione attiva varia, ad esempio, da un mi-
nimo del 12-13% a valori che superano il 30%.
È evidente quanto sia importante la dotazione di capitale umano per lo sviluppo e la competi-
tività dell’intero sistema economico. Gli Stati europei con minore dotazione di capitale umano
(Italia, Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Portogallo, Slovacchia, Grecia) sono anche quelli dove
la produttività del lavoro è sensibilmente più bassa.
32
rapporto isfol 2009
Per quanto riguarda l’Italia occorre comunque evidenziare che i più recenti dati sulla produtti-
vità riportano il nostro Paese ai livelli dei principali partner europei. Inoltre, alla luce del mar-
cato dualismo territoriale, particolarmente considerevole è l’incremento delle regioni del Nord.
Per quanto attiene la congiuntura, dopo la profonda fase recessiva che ha colpito l’economia eu-
ropea, i dati più recenti mostrano l’insorgenza di segnali di inversione di tendenza. L’andamento
del pil migliora. Viceversa, la dinamica occupazionale è in via di peggioramento. Il dato italia-
no è in linea con questa tendenza, ma appare chiaro come la crisi abbia avuto da noi un impat-
to inferiore rispetto al resto d’Europa.
United Kingdom
Ireland
Germany
Belgium
Austria
France
Spain
Portugal
Greece
Italy
Poland
Hungary
Czech Republic
Slovak Republic
Denmark
Netherlands
Sweden
Finland
10,0
15,0
20,0
25,0
30,0
35,0
40,0
10 20 30 40 50 60 70
%
d
i l
au
re
at
i s
u
oc
cu
pa
ti
Produttività del lavoro
Livelli di produttività e di capitale umano in alcuni paesi europei
Fonte: Elaborazione ISFOL su dati EUROSTAT (2008) e OECD (2008)
33
sintesi
La recente contrazione occupazionale ha colpito maggiormente la manodopera maschile. D’al-
tro canto le conseguenze occupazionali più pesanti della crisi si sono registrate in settori a for-
te presenza di uomini, quali la manifattura e le costruzioni. In Europa i servizi (esclusi quelli fi-
nanziari e commerciali) mostrano segnali di una seppur lieve crescita occupazionale.
Gli effetti della crisi economica sul mercato del lavoro non si riflettono solamente sul numero
di occupati, ma anche e più in generale sull’intensità di lavoro. Gli ultimi dati sull’orario di la-
voro in Europa mostrano una contrazione dell’orario medio di circa un quarto d’ora nell’ulti-
Percentage change compared
to the previous quarter
Percentage change compared
to the same quarter of the previous year
2008 2009 2008 2009
Q3 Q4 Q1 Q2 Q3 Q4 Q1 Q2
EU27 -0,2 -0,3 -0,8 -0,6 0,7 0,2 -1,2 -1,9
BE Belgium 0,3 0,0 -0,5 -0,5 1,7 1,2 0,1 -0,7
BU Bulgaria - - - - 3,0 2,1 -0,3 -1,8
CZ Czech Republic 0,6 -0,1 -1,0 -0,8 1,3 0,9 0,3 -1,4
DK Denmark 0,1 -0,5 -1,3 - 0,9 -0,1 -1,8 -
DE Germany 0,2 0,1 -0,1 -0,3 1,4 1,1 0,4 -0,1
EE Estonia -0,2 -0,6 -7,2 -1,8 -0,3 -0,2 -7,2 -10,2
IE Ireland -1,5 -1,5 -3,8 - -1,8 -3,8 -7,5 -
GR Greece 0,1 0,6 -1,8 0,3 1,1 1,0 -0,6 -1,0
ES Spain -1,5 -2,0 -2,5 -1,3 -0,9 -3,1 -6,5 -7,1
FR France -0,1 -0,2 -0,5 -0,4 0,4 -0,1 -0,7 -1,1
IT Italy -0,4 -0,2 -0,2 0,0 -0,2 -0,2 -0,6 -0,9
CY Cyprus - - - - 3,5 1,9 1,4 -0,5
LV Latvia -2,3 -3,1 -3,3 -4,9 0,2 -5,4 -8,2 -13,1
LT Lithuania 0,2 -0,7 -4,5 -1,8 -1,0 -1,2 -5,1 -6,7
LU Luxembourg 0,8 0,5 -0,3 - 4,6 3,7 2,4 -
HU Hungary - - - - -0,7 -0,9 -3,0 -4,5
MT Malta - - - - 2,3 1,8 0,6 -0,8
NL Netherlands 0,0 0,3 -0,4 - 1,1 1,1 0,3 -
AT Austria -0,1 -0,2 -0,4 -0,4 1,5 1,4 -0,4 -1,1
PL Poland - - - - 3,7 3,0 -1,0 -0,7
PT Portugal -0,9 0,4 -1,3 -0,9 -0,2 -0,1 -1,6 -2,7
RO Romania - - - - - - - -
SI Slovenia 0,6 0,4 -1,2 -1,4 2,9 2,4 0,5 -1,6
SK Slovakia 1,7 -0,3 -1,9 -0,6 3,2 2,1 -0,4 -1,3
FI Finland -0,7 -0,2 -0,7 -1,2 1,0 0,8 -1,1 -3,0
SE Sweden - - - - 0,7 0,0 -1,2 -2,2
UK United Kingdom -0,3 -0,2 -0,5 -0,9 0,4 -0,2 -1,1 -2,0
Tabella 11. Occupati in Europa al secondo trimestre 2009
Fonte: Nota EUROSTAT 130/2009 - 14 settembre 2009
34
rapporto isfol 2009
mo anno. L’Italia è uno dei paesi dove la contrazione dell’orario di lavoro appare più marcata,
verosimilmente in ragione del robusto potenziamento degli ammortizzatori sociali: tra il primo
trimestre del 2008 ed il primo trimestre del 2009, infatti, il tempo medio di lavoro è calato di cir-
ca mezz’ora.
Venendo alle risposte di contrasto alla crisi, poiché i primi effetti si sono manifestati per il tra-
mite della stretta creditizia, nella fase iniziale in Europa così come nel resto delle economie mon-
diali ci si è adoperati per garantire la tenuta dei sistemi del credito e della finanza. A fronte del-
la flessione più grave dell’occupazione prevista nel 2010, l’Unione europea ha poi prodotto una
serie di iniziative rivolte a tamponare gli impatti sul mondo del lavoro. Oltre allo stanziamento
di risorse finanziarie, sono stati indicati alcuni approcci di policy e un’attenzione particolare è
stata posta al rafforzamento del capitale umano. Negli Stati membri l’integrazione tra fondi è
stato uno dei principali strumenti utilizzati, utilizzando in particolare il Fondo sociale europeo
(con la possibilità di spendere l’intero budget della programmazione 2007-2013 entro il 2011).
35
sintesi
1.2 L’evoluzione delle politiche nazionali e regionali per il lavoro
Tra i provvedimenti legislativi di maggiore interesse vi sono alcuni profili della disciplina del la-
voro a tempo determinato e del lavoro accessorio di tipo occasionale, il cui ambito di applica-
zione è stato ampliato in modo significativo. Su questi aspetti nel Libro Bianco è stata eviden-
ziata la necessità di estendere anche ai lavoratori assunti non a tempo indeterminato gli strumenti
di sostegno al reddito. Il tentativo è di favorire politiche di protezione attiva dell’occupazione,
spostando l’enfasi dal singolo posto di lavoro e dalla singola azienda (attraverso la Cassa inte-
grazione) agli investimenti nell’occupabilità di ciascun individuo (cui collegare un sussidio ge-
neralizzato). L’ottica è dunque quella della centralità della persona.
Anche il lavoro accessorio - che ha il fine di fare emergere attività sommerse o irregolari, garantendo
ai soggetti interessati copertura assicurativa e previdenziale - rientra in una logica di partecipa-
zione attiva del cittadino. Con la legge 102/2009 anche le pubbliche amministrazioni potranno
fare ricorso a questo tipo di contratto.
Altre novità riguardano il contratto di inserimento, con particolare rilevanza sulle dinamiche del-
l’occupazione femminile; nonché gli interventi di modifica del Testo Unico in materia di salute
e sicurezza sui luoghi di lavoro, che vede nella prevenzione uno dei suoi aspetti più qualificanti.
Sul fronte della contrattazione collettiva, la stipula dell’accordo-quadro del 22 gennaio 2009 (cui
è seguito l’accordo interconfederale di attuazione del 15 aprile 2009) ha confermato una strut-
tura incentrata sulla contrattazione collettiva nazionale ma con una forte attenzione all’obiet-
tivo di incentivare la contrattazione decentrata, per la promozione della produttività delle azien-
de e, con essa, dell’incremento delle retribuzioni. Tale obiettivo di incentivare la contrattazione
decentrata è stato evidenziato anche nel Libro Bianco.
Quanto alle misure di sostegno al reddito legate alla gestione dell’emergenza, la materia degli am-
mortizzatori sociali ha ricevuto preponderante attenzione durante tutto l’anno, con un ampliamento
della platea dei beneficiari. L’intervento legislativo nazionale si è focalizzato su misure dirette a
proteggere lavoratori ed imprese dagli effetti della crisi. Ci si riferisce in particolare al Decreto
anti-crisi, il cui fulcro è costituito dal potenziamento ed estensione degli strumenti di tutela del
reddito. Tra le misure adottate si segnalano i due canali dell’intervento integrativo affidato agli
Enti bilaterali e delle risorse messe a disposizione dalle Regioni, attraverso l’utilizzo del Fondo
sociale europeo e in base ad un approccio di politica attiva per il lavoro.
Al di là dell’emergenza, si profila quindi un nuovo modello di intervento, che vede le Regioni
come ulteriori finanziatori degli ammortizzatori in deroga.
Ed anche lo sforzo legislativo nazionale più recente, la cosiddetta manovra d’estate, si è soprat-
tutto concentrato nell’individuazione di innovative misure di politica attiva espressamente de-
dicate ai titolari di ammortizzatori sociali, al fine di reperire una sorta di controprestazione op-
pure una più veloce fuoriuscita dall’inattività.
37
sezione lavoro
capitolo 2
I fenomeni
2.1 L’andamento del mercato del lavoro
Il tessuto produttivo italiano e la domanda di lavoro
Nel sistema produttivo italiano si conferma la prevalenza delle piccole e piccolissime imprese:
le aziende con un numero di addetti inferiore a 10 rappresentano poco meno del 95% del tota-
le, anche se occupano solo il 46% degli addetti. Alla dimensione delle imprese sono generalmente
correlati la distribuzione della forza lavoro secondo la forma di contratto e numerosi altri aspet-
ti particolarmente rilevanti per misurare l’impatto della crisi economico-finanziaria.
L’incidenza del lavoro a termine (pari all’11% del totale dei dipendenti) ha un andamento de-
crescente all’aumentare della dimensione di impresa: dal 15% delle imprese con meno di 10 ad-
detti, all’8% delle imprese con oltre 250 addetti.
La quota maggiore dell’occupazione dipendente a termine (68%) è assorbita dai contratti a tem-
po determinato inquadrati in un contratto collettivo; seguono i contratti di apprendistato (24,5%)
e i contratti di inserimento (3,8%).
Le imprese che utilizzano il contratto a tempo determinato giustificano tale scelta principalmente
con l’esigenza di fronteggiare la stagionalità programmata (33% dei casi), subito seguite dalle
imprese che invece vi ricorrono come periodo di prova in vista di una assunzione a tempo in-
determinato (31%); numerose sono anche le imprese che utilizzano il tempo determinato per
fronteggiare commesse e progetti temporanei (20%).
38
rapporto isfol 2009
Considerando il lavoro non standard nel suo complesso (costituito da lavoratori dipendenti a
termine, collaboratori coordinati e continuativi, lavoratori a progetto e lavoratori somministrati)
si rileva una sua incidenza più elevata nel terziario (18,6%), dove più numerose sono le picco-
le imprese, e nel commercio-turismo (17,4%), rispetto alle costruzioni (13,9%) e all’industria
(11,6%).
La diffusione del lavoro atipico è sensibilmente più elevata nel Mezzogiorno.
Nel tracciare un profilo del tessuto produttivo italiano rispetto alla propensione ad investire in
formazione, emerge come le politiche di formazione on the job rappresentino un indice della qua-
lità dei posti di lavoro e costituiscono, in qualche modo, una forma implicita di assicurazione
contro il rischio di disoccupazione. Le imprese più propense ad investire in formazione saran-
no meno propense, in un momento di congiuntura sfavorevole, a separarsi dai lavoratori di cui
hanno finanziato l’accumulazione di capitale umano specifico.
La dimensione, a parità di specializzazione settoriale, è la variabile chiave per spiegare la quota dei
formati nelle imprese, così come lo è per quel che riguarda la distribuzione del lavoro atipico.
Lavoratori indipendenti, dipendenti a tempo indeterminato e atipici per dimensione, settore e area geografica (val. %)
* Intesi come la somma di dipendenti a termine, collaboratori coordinati e continuativi, lavoratori a progetto e lavoratori somministrati.
Fonte: ISFOL (RIL), 2007
Indipendenti
Dipendenti a tempo
indeterminato
Atipici* Totale
Dimensione
1-9 addetti 48,9 32,3 18,8 100,0
10-49 addetti 10,1 73,3 16,6 100,0
50-249 addetti 2,1 82,6 15,3 100,0
250-W 0,4 89,0 10,6 100,0
Settore
Industria in senso stretto 11,3 77,0 11,8 100,0
Costruzioni 25,5 60,6 13,9 100,0
Commercio e turismo 29,0 53,6 17,4 100,0
Altri servizi 19,3 62,0 18,6 100,0
Area geografica
Nord-Ovest 17,6 69,8 12,6 100,0
Nord-Est 20,6 64,2 15,3 100,0
Centro 20,3 63,5 16,1 100,0
Sud e Isole 21,6 56,5 21,9 100,0
Totale 19,7 64,7 15,7 100,0
39
sintesi
Nelle imprese di dimensioni più elevate con maggiore propensione ad investire in capitale uma-
no si ricorre meno frequentemente al lavoro atipico poiché l’instabilità del posto di lavoro po-
trebbe disincentivare lo sforzo produttivo dei lavoratori e quindi depotenziare i rendimenti at-
tesi della formazione.
Relativamente alla domanda di lavoro qualificato, rilevata tramite l’analisi dei posti di lavoro of-
ferti mediante inserzioni a modulo sui quotidiani italiani, si registra tra le figure professionali
maggiormente richieste dagli inserzionisti nel 2008 quella degli “addetti al recupero crediti”. Tale
figura occupa il quarto posto, mentre negli anni precedenti non era neppure presente nelle pri-
me trenta professioni. Tale incremento assume una rilevanza particolare poiché può essere con-
siderando come spia della congiuntura negativa, fortemente legata alla bassa disponibilità di li-
quidità per le imprese.
Per quanto riguarda la figura “operatore call center”, considerata comunemente dalla pubblica
opinione quale paradigma di occupazione “precaria”, essa ha avuto uno sviluppo significativo
dal 2000 (nel 2005 si sono raggiunte le 20mila offerte) ma appare invece in calo negli ultimi anni,
sino a raggiungere le 353 offerte del 2008.
L’offerta di lavoro: partecipazione, occupazione, disoccupazione
Gli effetti della crisi economica iniziano a ripercuotersi sul mercato del lavoro italiano, anche se
in misura più ridotta rispetto al resto d’Europa. Mentre nel 2008, nonostante alcuni primi se-
gnali di rallentamento, la crescita dei livelli occupazionali nel nostro Paese è proseguita, giun-
gendo al massimo storico di 23 milioni 405 mila lavoratori, nei primi sei mesi del 2009 si ridu-
cono sia gli occupati che il tasso di occupazione. Quest’ultimo indicatore si è innalzato tra il 2004
e il 2007 dal 57,4% al 58,7%, si è poi mantenuto costante tra il 2007 e il 2008, ed ha infine ce-
duto il passo nel 2009 attestandosi al 57,9%.
Quota di dipendenti formati e di dipendenti a tempo determinato
Fonte: ISFOL (RIL), 2007
Settore
Dimensione
1-9 dip. 10-49 dip. 50-249 dip.
Industria in senso stretto
formati 8,7 14,7 15,9
tempo det. 10,6 8,4 7,4
Costruzioni
formati 17,6 22,3 38,0
tempo det. 14,9 11,2 12,7
Commercio e turismo
formati 10,5 13,2 18,7
tempo det. 18,8 18,9 22,9
Altri servizi
formati 15,2 26,0 26,4
tempo det. 15,1 10,5 12,1
40
rapporto isfol 2009
L’inversione del ciclo espansivo dell’occupazione si riflette anche sulla disoccupazione. Nel secondo
trimestre 2009 si è registrata una crescita dell’8,1% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Un incremento che è comunque minore rispetto a quello di molti paesi comunitari.
Per quanto riguarda l’offerta di lavoro, la tendenza alla contrazione appare ormai evidente. Tra
il 2007 e il 2008, invece, il tasso di attività faceva ancora registrare una variazione positiva.
La disaggregazione per territorio degli indicatori mostra il perdurante dualismo del mercato del
lavoro italiano. Nel 2008 il tasso di occupazione delle persone di età compresa fra 15 e 64 anni
è risultato nel Mezzogiorno pari al 46,1%, a fronte di una media nazionale del 58,7%. In tutte
le altre aree geografiche i valori sono molto più elevati (66,2% Nord-Ovest, 67,9% Nord-Est e
62,8% Centro). Nel confronto con l’anno precedente si evidenzia, inoltre, un accentuarsi del di-
vario territoriale. E i dati relativi al 2009 confermano questi rapporti e li aggravano, con il tas-
so di occupazione delle Regioni meridionali che scende in modo più marcato rispetto al Cen-
tro-Nord.
54,8
55,9
56,7
57,4
57,5
58,4
58,7
58,7
57,5
1,9
1,4
0,7
0,7
1,9
1,0
0,8
1,5
52,0
54,0
56,0
58,0
60,0
2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008
0,0
1,0
2,0
tasso occ 15-64
variazione 15 e +
Tasso di occupazione 15-64 anni e variazione in punti percentuali degli occupati in età 15 anni ed oltre - anni
2000-2008
Fonte: Elaborazione ISFOL su dati ISTAT (RCFL e RTFL serie ricostruita)
41
sintesi
Tali andamenti hanno senza dubbio favorito l’affermarsi di un effetto di scoraggiamento: nel Sud
e nelle Isole la quota dei 15-64enni che si collocano nell’area dell’inattività nel 2008 è stata pari
al 47,6% (Nord-Ovest 30,8%, Nord-Est 29,7% e Centro 33,1%). Tuttavia, è lecito supporre che
parte dell’inattività meridionale celi forme di lavoro sommerso.
L’analisi dell’offerta di lavoro secondo il genere conferma il basso livello di partecipazione del-
la componente femminile della popolazione, nonostante la crescita occupazionale degli anni pre-
cedenti sia stata trainata in larga misura dalle donne. La distanza rispetto agli uomini non si è
ridotta significativamente: il tasso di occupazione femminile è nel 2008 il 47,2% a fronte del 70,3%
dei maschi; quello di attività il 51,6% contro il 74,4%; quello di disoccupazione l’8,5% contro
il 5,5%.
Tuttavia, anche in Italia la congiuntura economica negativa sembra riguardare più gli uomini
delle donne. Già dal confronto tra il 2008 e l’anno precedente si evidenzia, infatti, una maggio-
re tenuta dell’occupazione femminile e un aumento della partecipazione: il tasso di occupazio-
ne maschile si contrae dello 0,4%, mentre quello femminile cresce dello 0,6% e il tasso di atti-
vità rimane invariato per gli uomini mentre aumenta dello 0,9% per le donne. Tale maggiore te-
nuta del lavoro femminile è confermata anche dai dati relativi al secondo trimestre del 2009. Per
gli uomini il tasso di occupazione scende dell’1,2% e quello di disoccupazione cresce dello 0,9%.
Tassi di occupazione per ripartizione territoriale, I trimestre 2007 - II trimestre 2009
Fonte: ISFOL (INDACO - Lavoratori)
2007 2008 2009
I trim. II trim. III trim. IV trim. I trim. II trim. III trim. IV trim. I trim. II trim.
Nord-Ovest 65,6 66,1 66,1 66,0 65,9 66,6 66,4 66,0 65,0 65,5
Nord-Est 66,9 67,6 68,0 68,0 67,6 67,9 68,2 67,9 66,7 67,0
Centro 61,1 63,2 62,9 62,0 62,9 62,9 62,7 62,7 61,7 62,5
Sud e Isole 45,7 46,7 47,0 46,7 45,3 47,0 46,4 45,6 44,4 45,0
Totale 57,9 58,9 59,1 58,7 58,3 59,2 59,0 58,5 57,4 57,9
Tassi di disoccupazione per ripartizione territoriale, I trimestre 2007 - II trimestre 2009
Fonte: ISFOL (INDACO - Lavoratori)
2007 2008 2009
I trim. II trim. III trim. IV trim. I trim. II trim. III trim. IV trim. I trim. II trim.
Nord-Ovest 4,0 3,4 3,6 4,2 4,2 4,1 3,8 4,9 5,6 5,4
Nord-Est 3,5 2,9 2,8 3,2 3,8 3,5 2,9 3,5 4,4 4,5
Centro 5,5 4,8 4,7 6,1 6,1 6,4 5,7 6,3 7,6 6,7
Sud e Isole 11,4 10,6 10,3 11,8 13,0 11,8 11,1 12,3 13,2 12,0
Totale 6,4 5,7 5,6 6,6 7,1 6,7 6,1 7,1 7,9 7,4
Anche il tasso di disoccupazione mostra una situazione di particolare svantaggio per il meridione,
dove si è attestato al 12% nel 2008, valore quasi doppio rispetto a quello medio nazionale (4,2%
Nord-Ovest, 3,4% Nord-Est e 6,1% Centro).
Per le donne si assiste a variazioni più contenute: il tasso di occupazione cala soltanto dello 0,6%,
mentre quello di disoccupazione aumenta di appena lo 0,1%.
I giovani rappresentano, invece, un segmento della popolazione particolarmente esposto al ci-
clo negativo. Il tasso di occupazione dei 15-24enni si è mantenuto pressoché costante tra il pri-
mo trimestre 2007 e il primo trimestre 2008 (24%), ma è poi crollato al 21,7% nel secondo tri-
mestre del 2009. Anche il tasso di disoccupazione giovanile è salito, fino al 24% del secondo tri-
mestre 2009, contro il 20,4% dell’analogo periodo dell’anno precedente.
L’analisi condotta sulla distribuzione dell’offerta di lavoro per titolo di studio fa emergere ulte-
riormente le difficoltà dei segmenti più giovani. I laureati fanno registrare le diminuzioni più
significative nei tassi di occupazione e di attività dei 15-64enni.
Alcuni risultati rilevanti provengono dall’analisi delle transizioni. Si profila una maggiore di-
sponibilità al lavoro da parte di soggetti in precedenza inattivi o disoccupati, che sono verosi-
milmente spinti alla ricerca di un’occupazione per compensare possibili riduzioni del reddito
familiare. In particolare, nel confronto tra il biennio 2006-2007 e il biennio 2007-2008 si assi-
ste come conseguenza diretta del rallentamento del ciclo a: un aumento del tasso di permanen-
za nella disoccupazione; un calo del tasso di permanenza nell’occupazione; un aumento del tas-
so di transizione dall’occupazione verso la disoccupazione. Contestualmente, si evidenzia una
riduzione del tasso di permanenza nell’inattività e un incremento delle transizioni dall’inatti-
vità verso la ricerca di lavoro e l’occupazione.
rapporto isfol 2009
42
Transizioni da e verso l’occupazione (popolazione 15-64 anni) - anni 2006-2008 (composizione %)
Fonte: Panel ISFOL su ISTAT (RCFL)
Occupati
Persone in cerca
di occupazione
Inattivi Totale
2007
2006
Occupati 93,3 1,6 5,1 100,0
Persone in cerca di occupazione 30,7 30,5 38,8 100,0
Inattivi 7,8 4,3 87,9 100,0
2008
2007
Occupati 92,8 2,0 5,2 100,0
Persone in cerca di occupazione 31,7 32,0 36,3 100,0
Inattivi 8,4 5,0 86,6 100,0
Le richieste di concessione di Cassa integrazione guadagni (cig) hanno fatto registrare nel cor-
so del 2009 un incremento sensibile. Su base tendenziale il numero di ore di trattamenti di in-
tegrazione salariale autorizzate nei primi otto mesi del 2009 supera di oltre 4 volte le autoriz-
zazioni concesse nello stesso periodo dell’anno precedente. La crescita più consistente nelle ri-
chieste di autorizzazione ha riguardato la Cassa integrazione ordinaria (cigo), il cui numero di
ore autorizzate è passato in un anno da circa 55 milioni del periodo gennaio-agosto 2008 alle
oltre 351 milioni dello stesso periodo del 2009. Il dato consolidato della Cassa integrazione straor-
dinaria (cigs) e dei trattamenti in deroga è invece cresciuto di poco meno del 140%, passando
da 69 a 166 milioni di ore.
Tuttavia, tra le ore autorizzate e l’effettivo impiego dei trattamenti integrativi emergono forti di-
scrasie. Nei primi sette mesi del 2009 esclusivamente il 61% delle ore autorizzate è stato effetti-
vamente utilizzato, una percentuale che nello stesso periodo dell’anno precedente arrivava al 77%.
L’incremento complessivo nell’uso della cig nei primi sette mesi del 2009 si aggira, quindi, in-
torno ai 200 milioni di ore rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. L’esistenza di un
divario così marcato tra il numero di ore autorizzate e quello delle ore effettivamente utilizza-
te è un indice della grande incertezza che ha travolto il sistema produttivo italiano.
Le forme di lavoro: occupazione per tipo di contratto, transizioni e lavori non standard
In Italia si riscontra una tenuta dei livelli dell’occupazione permanente, imputabile in primo luo-
go ad un maggiore ricorso da parte delle imprese al lavoro a tempo parziale. La gestione del tem-
po di lavoro, da contrarre in fase recessiva e da aumentare in fase espansiva del ciclo, assume i
tratti di una nuova politica imprenditoriale di flessibilità, che da un lato permette alle imprese
di evitare la riduzione del proprio personale dipendente e dall’altro impedisce di immettere nuo-
vo personale con professionalità specifiche per fronteggiare la crisi. La tenuta del lavoro permanente,
in secondo luogo, è motivata dall’ampio ricorso agli ammortizzatori sociali (sia ordinari che in
deroga).
Più nel dettaglio, già tra il 2004 e il 2008 il lavoro indipendente, che ha lungamente caratteriz-
zato il mercato del lavoro italiano rispetto a quello di numerosi altri paesi europei, si è contrat-
to del 5,1% e anche il lavoro a collaborazione ha subito un decremento del 6,5%. Nello stesso
periodo gli occupati dipendenti sono aumentati dell’8,2%, di cui quelli a tempo indetermina-
to del 6,4%. Il maggior contributo alla crescita occupazionale che si è registrata in Italia è im-
putabile proprio al lavoro alle dipendenze su base permanente. Sempre nel 2004-2008 il lavoro
a termine si è incrementato del 21,7% ma soltanto nel 2006 ha dato un contributo leggermen-
te superiore a quello del lavoro a tempo indeterminato. Pressoché nullo, invece, il contributo dato
dalle collaborazioni in tutti gli anni considerati.
sintesi
43
Occupati per tipo di contratto - anni 2004-2008 (composizione %, variazione % rispetto all’anno precedente)
Fonte: Elaborazione ISFOL su dati ISTAT (RCFL)
Anno
Dipendenti Indipendenti
Totale
occupatiA termine Permanenti Totale dipendenti
Indipen-
denti
Colla-
boratori
% sugli
occupati
% sui
dipendenti
% sugli
occupati
% sui
dipendenti
% sugli
occupati
% sui
dipendenti
% sugli occupati
2004 8,5 11,8 63,4 88,2 71,9 100,0 25,8 2,2 100,0
2005 9,0 12,3 64,3 87,7 73,3 100,0 24,7 2,0 100,0
2006 9,7 13,1 63,9 86,9 73,6 100,0 24,3 2,2 100,0
2007 9,8 13,2 64,2 86,8 73,9 100,0 24 2,1 100,0
2008 9,9 13,3 64,6 86,7 74,5 100,0 23,5 2,0 100,0
Variazione %
2005 6,2 2,1 2,6 -3,8 -8,0 0,7
2006 9,7 1,3 2,3 0,1 8,6 1,9
2007 2,1 1,4 1,5 -0,2 -1,3 1,0
2008 2,4 1,5 1,6 -1,3 -5,1 0,8
I dati relativi al secondo trimestre 2009 mostrano un ulteriore calo del lavoro indipendente e una
crescita del lavoro dipendente a carattere permanente a tempo parziale (+2,1%). Variazione pres-
soché nulla per l’occupazione full-time a tempo indeterminato (+0,1%), mentre si ha una for-
te riduzione dell’occupazione a tempo determinato sia full-time (-8,8%) che part-time (-11,2%).
Approfondendo l’analisi della distribuzione degli occupati per forma contrattuale, la stima del-
le collaborazioni nelle loro varie forme (co.co.co., lavoro a progetto e collaborazioni occasiona-
li) indica un valore pari al 5,7% del totale dell’occupazione. Facendo riferimento a tali contrat-
ti sono state identificate le motivazioni sottese al loro ricorso. Raggruppando le motivazioni ascri-
vibili alle “vere istanze di flessibilità” della produzione, ben il 58,7% delle collaborazioni viene
attivato per tali esigenze. Nel caso dei contratti a termine “altri” tale quota è del 54,2%; mentre
in quello dei contratti di subordinazione a tempo determinato scende al 31,3%.
rapporto isfol 2009
44
Tipologie contrattuali
2008
v.a. %
Lavoro a tempo indeterminato 14.693.754 64
Lavoro a tempo determinato 1.241.182 5,4
Apprendistato 372.777 1,6
Contratto d’inserimento 132.425 0,6
Lavoro interinale - lav. a somministrazione 188.586 0,8
Lavoro intermittente o a chiamata 208.258 0,9
Collaborazioni coordinate e continuative 582.110 2,5
Ritenuta d’acconto - Collaborazione occasionale 129.614 0,6
Lavoro a progetto 594.035 2,6
Titolare d’attività - Imprenditore 2.144.229 9,3
Attività in proprio (Partita IVA) 1.529.584 6,7
Socio di cooperativa o di società 199.994 0,9
Coadiuvante familiare 127.473 0,6
Stage, pratica prof., tirocinio 139.390 0,6
Altre tipologie contrattuali 68.429 0,3
Tipologia contrattuale non specificata 618.062 2,7
Totale 22.969.902 100,0
Tipologie contrattuali - anno 2008 (v.a. e val.%)
Fonte: Indagine ISFOL (PLUS)
Nel 2008 i giovani hanno visto assottigliarsi complessivamente la propria presenza tra gli occu-
pati: i 15-24enni che lavorano come indipendenti si riducono dell’11,2%, i collaboratori del 13,1%
e i dipendenti permanenti dello 0,8%. Quanto ai 25-34enni, i lavoratori indipendenti si ridu-
cono del 6,1%, i collaboratori del 13,4% e i dipendenti permanenti dell’1,6%. Per quanto riguarda
gli occupati nelle classi d’età centrali (35-44 e 45-54 anni) si osserva invece un leggero miglio-
ramento della loro situazione tra il 2007 e il 2008. I lavoratori più anziani, infine, risultano il col-
lettivo che ha fatto registrare incrementi in tutte le forme contrattuali.
Per quanto riguarda il livello di istruzione, i titoli universitari garantiscono l’accesso a occupa-
zioni a termine (11%) e a collaborazione (4,2%) più di chi ha invece una qualifica di 2-3 anni
e dei diplomati.
45
sintesi
Merita segnalare che tra il 2004 e il 2008 la crescita del lavoro part-time ha riguardato più gli uo-
mini che le donne (+31,2% contro +27,7%). Ciò è probabilmente dovuto da un lato all’affer-
marsi anche tra gli uomini dell’esigenza di conciliare il lavoro con gli altri aspetti della vita, sin-
tomo dell’indebolimento del modello tradizionale di divisione dei ruoli tra uomini e donne nel-
l’ambito della famiglia, e dall’altro ad una tendenza della domanda di lavoro. Nell’ultimo bien-
nio, infatti, la crescita del part-time tra gli uomini è imputabile maggiormente alla più elevata
presenza maschile nei settori di attività economica più colpiti dalla congiuntura negativa e, dun-
que, interessati alle scelte imprenditoriali di flessibilità.
Venendo all’analisi delle transizioni verso la disoccupazione, tali flussi interessano nel 2008 in
particolar modo coloro che nell’anno precedente lavoravano su base temporanea. Il 6,5% dei di-
pendenti a termine del 2007 sono divenuti disoccupati nell’anno successivo, mentre tale quota
era del 5,4% nel passaggio dal 2006 al 2007. Gli occupati a collaborazione sono entrati nell’area
della ricerca di lavoro nel 5,5% dei casi, con un aumento rispetto al 2006-2007 dell’1,9%. En-
trambi i gruppi, inoltre, mostrano i valori più elevati nelle transizioni verso l’inattività.
In riferimento ai soli collaboratori i dati sembrano confermare la loro maggior debolezza e vul-
nerabilità all’attuale fase del ciclo economico: essi, infatti, presentano anche bassi valori nelle tran-
sizioni verso situazioni lavorative connotate da maggior stabilità, che si sono peraltro ulterior-
mente ridotte rispetto al periodo immediatamente precedente.
Transizioni dall’occupazione per condizione e posizione professionale - anni 2006-2007 e 2007-2008 (composizione %)
Fonte: Panel ISFOL su ISTAT (RCFL)
Anno 2007
Anno 2008
Dipendenti
Indipendenti Collaboratori Disoccupati Inattivi Totale
Permanenti A termine
Dipendenti
Permanenti 90,7 2,3 1,3 0,2 1,5 4,0 100,0
A termine 27,7 50,6 1,9 1,6 6,5 11,7 100,0
Indipendenti 3,5 1,3 87,0 0,4 1,3 6,6 100,0
Collaboratori 13,7 10,6 6,8 51,3 5,5 12,1 100,0
Totale 62,0 6,9 22,3 1,2 2,0 5,5 100,0
Anno 2006
Anno 2007
Dipendenti
Indipendenti Collaboratori Disoccupati Inattivi Totale
Permanente A termine
Dipendenti
Permanente 91,3 2,2 1,4 0,2 1,1 3,8 100,0
A termine 24,6 54,9 1,9 1,7 5,4 11,5 100,0
Indipendenti 3,0 1,0 87,7 0,3 1,1 6,9 100,0
Collaboratori 14,2 11,2 5,8 53,2 3,6 12,0 100,0
Totale 61,7 7,2 22,8 1,3 1,6 5,5 100,0
Si registra, in conclusione, un impatto della crisi occupazionale sensibilmente variegato rispet-
to alla forma contrattuale, nel quadro di un assetto del mercato del lavoro tuttora caratterizza-
to da un significativo dualismo tra lavoratori.
46
rapporto isfol 2009
2.2 I sistemi di intermediazione
I sistemi regionali e locali per l’impiego: gli avanzamenti istituzionali, la funzionalità
delle strutture e i servizi agli utenti
La definizione delle politiche per rispondere alla crisi coinvolge a pieno titolo il sistema dei Ser-
vizi competenti, che secondo la legge 2/2009 assumono un ruolo ben definito nel determinare
il passaggio ad un welfare caratterizzato dal ruolo centrale assunto dalle politiche attive per il la-
voro. Tali Servizi sono oggi chiamati a far fronte alle necessità stringenti di una nuova utenza
sempre più composita, appunto in qualità di soggetti erogatori di politiche attive.
Il personale dei Centri per l’impiego (cpi) nel 2008 consta di quasi 10 mila unità; di cui circa il 21,4%
è rappresentato da collaboratori o consulenti. Sul versante dell’utenza, a fronte di una popolazione
italiana in cerca di lavoro pari a più di tre milioni di individui, nel 2008 il 56,3% ha visitato un cpi
almeno una volta. Tale quota va da un massimo del 64,9% del Nord-Ovest al 52,9% del Sud e Isole.
Gli utenti dei Centri per l’impiego (v.a. in migliaia e val.% in migliaia e %)
Fonte: ISFOL (PLUS), 2008
Area geografica
Persone in cerca di lavoro che
hanno visitato un Centro pubblico
per l’impiego almeno una volta
(di cui) persone che lo hanno
visitato negli ultimi due anni
(di cui) persone che lo hanno
visitato nell’ultimo anno
v.a. % v.a. % v.a. %
Nord Ovest 291 64,9 213 73,3 188 64,6
Nord Est 168 61,5 134 79,8 115 68,4
Centro 280 58,5 215 77,0 186 66,5
Sud e Isole 997 52,9 714 71,6 635 63,7
Italia 1.736 56,3 1.276 73,5 1.124 64,7
Non tutti coloro che visitano un cpi si iscrivono formalmente e d’altro canto, non tutti gli iscrit-
ti hanno sottoscritto la Dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro (did), atto col qua-
le viene certificato lo stato di disoccupazione, obbligatorio per avere accesso ai servizi di politi-
ca attiva, ai sensi del D.Lgs. 181/2000.
È possibile delineare due sfere di servizi. La più generica è composta dalla predisposizione di un per-
corso di inserimento e dalla ricezione di informazioni sulle modalità di ricerca di lavoro. La secon-
da è invece più specifica e comprende la realizzazione di attività formative e di avvio al lavoro.
Il 12,1% delle persone in cerca di lavoro che hanno visitato un cpi nell’ultimo biennio ha svol-
to un corso di formazione professionale per merito del cpi stesso. La stessa quota di individui
ha svolto un tirocinio o uno stage e il 12,7% ha ottenuto una concreta opportunità di inserimento
professionale. È interessante notare come tale quota, che di fatto misura il raggiungimento del-
l’obiettivo più elevato per i Servizi pubblici per l’impiego, si distribuisca in forma decrescente
dal Nord-Ovest (19,1%) al Sud (8,5%).
La necessità di doversi confrontare con un’ampia platea di utenti, impone ai cpi l’utilizzo del Pat-
to di Servizio, che determina la presa in carico dell’utente secondo modalità e tempistiche con-
cordate. Il ricorso a tale risponde implica un legame più vincolante tra utente e cpi per la co-
struzione di un percorso individuale in cui assume un ruolo fondamentale la centralità della per-
sona. Ciò nonostante, solo il 52% dei cpi utilizza il Patto di Servizio.
47
sintesi
Un altro aspetto chiave riguarda la revoca dello status di disoccupazione. L’84% dei Centri per
l’impiego procede alla revoca dello status, principalmente per il rifiuto dell’offerta di lavoro “con-
grua”, o la mancata presentazione del beneficiario all’aggiornamento della did (rispettivamen-
te per il 52% e il 58% dei cpi che effettuano la revoca). Minore incidenza ha invece l’inottem-
peranza al Patto di servizio (solo per il 38% dei cpi è causa di revoca).
La revoca dello status di disoccupazione diventa determinante, infine, se corrisponde ad una ef-
fettiva perdita dei benefici assistenziali ad esso collegati, vale a dire se tale revoca viene comu-
nicata agli archivi inps. Il 69% dei sistemi provinciali per il lavoro comunica questo dato, seb-
bene con diversi mezzi: infatti, le notevoli difficoltà legate allo sviluppo di un sistema informa-
tico integrato, che consenta ai diversi soggetti che la certificano di aggiornare la situazione del
disoccupato, rendono estremamente fragili e scarsamente efficaci le azioni volte a intensificare
il legame tra politiche passive e attive.
La somministrazione di lavoro: dalla crisi un nuovo ruolo per gli operatori
Una forte contrazione della domanda di lavoro in somministrazione sembra confermare l’im-
pressione che la crisi generalizzata della domanda di lavoro abbia avuto effetti più repentini sul
lavoro periferico, cioè su quello esterno al core business aziendale.
Con il Decreto anti-crisi si è voluto garantire anche ai lavoratori inviati in somministrazione una
forma di copertura di protezione del reddito in caso di interruzione o fine anticipata della missione.
È infatti previsto che spetti ai lavoratori, al ricorrere di particolari requisiti assicurativi e di anzia-
nità aziendale, un sostegno al reddito che sarà gestita dagli Enti bilaterali. Per accedere alle misu-
re di sostegno sono state presentate da parte dei lavoratori temporanei oltre 10 mila domande.
La contrazione della domanda di lavoro in somministrazione si è riverberata anche sul persona-
le di struttura delle agenzie di somministrazione, vale a dire sullo staff interno, con conseguenti
esigenze di riorganizzazione e ridimensionamento, a favore di un modello più flessibile e snello.
La crisi congiunturale andrebbe comunque vista come un’occasione per rilanciare il ruolo del-
le agenzie di somministrazione, che potrebbero contribuire a diminuire le asimmetrie informative
e massimizzare i potenziali incroci tra domanda ed offerta di lavoro.
48
rapporto isfol 2009
2.3 Segmenti specifici del mercato del lavoro
Lavoratori stranieri
La crescita della componente immigrata della popolazione è uno degli elementi di maggiore novità
che ha interessato il sistema socio-economico italiano negli ultimi anni. La quota di stranieri resi-
denti sfiora il 6% della popolazione, avvicinando l’Italia alla media europea. Si tratta in gran parte
di persone che si trovano in Italia per motivi lavorativi. Non stupisce, quindi, che quasi il 90% dei
permessi di soggiorno validi siano concentrati nell’area del Centro-Nord: nel 2008 il Nord-Est ha
raccolto il 35,8% dei permessi, il Nord-Ovest il 29%, il Centro il 23,1% e il Mezzogiorno il 12,1%.
I cittadini immigrati si caratterizzano per una propensione alla mobilità geografica interna ben
più elevata di quanto non si rilevi per gli italiani. Conseguenza di ciò è una stretta relazione tra
l’incidenza della popolazione straniera residente e i tassi di disoccupazione delle diverse aree del
Paese. Inoltre, scarsamente compatibile risulta la condizione di immigrato con quella di perso-
na inattiva sul mercato del lavoro e questo comporta una maggior incidenza della componen-
te straniera sulla forza lavoro.
Differenze considerevoli si riscontrano sui tassi di disoccupazione, che per gli immigrati sono
maggiori di circa 2 punti percentuali. Dati questi in parte compensati dai tassi di occupazione,
che riportano gli immigrati a segnare differenze di oltre 20 punti sugli italiani.
Inoltre, i cittadini stranieri risultano essere maggiormente soggetti a mobilità lavorativa di quan-
to accada per i colleghi italiani. È il frutto di una instabilità che sembra motivare i tassi di di-
soccupazione più elevati.
Principali indicatori del mercato del lavoro. Confronto cittadini italiani e stranieri - annualità 2008
Fonte: Elaborazione su dati ISTAT (RCFL), media 2008 e panel ISFOL su dati ISTAT (RCFL) 2007-2008
Tasso di attività Tasso di occupazione Tasso di disoccupazione Turnover
Italiani
Uomini 59,2 56,0 5,5 12,2
Donne 37,6 34,5 8,3 18,7
Totale 48,0 44,8 6,6 14,8
Stranieri
Uomini 85,9 80,7 6,0 10,2
Donne 58,6 51,7 11,9 20,7
Totale 72,0 65,9 8,5 14,3
Il quadro che emerge sembra confermare l’ipotesi che vede i cittadini stranieri destinati a muo-
versi su un mercato almeno in parte “parallelo” a quello degli italiani. Un mercato che si carat-
terizza per un’alta concentrazione settoriale, che offre lavori poco o per nulla qualificati, spes-
so sotto-inquadrati rispetto ai profili professionali posseduti, e generalmente meno pagati dei
lavoratori italiani. Il fatto che nelle regioni dell’Italia meridionale ed insulare i cittadini immi-
grati registrino performance migliori degli italiani rafforza l’ipotesi che i primi siano coinvolti
in un “sottomercato” del lavoro che persiste anche in aree economicamente meno vivaci e bril-
lanti, e che potrebbe rappresentare un elemento protettivo efficace in un periodo di marcata con-
trazione occupazionale.
In tal senso, i primi dati del 2009 danno informazioni contrastanti. Nel secondo trimestre 2009, in-
fatti, alla contrazione tendenziale di occupati per gli italiani (poco meno di 380 mila unità), gli stra-
nieri contrappongono un aumento di oltre 180 mila unità; d’altro canto, i tassi di disoccupazione
degli stranieri sono cresciuti in modo più consistente rispetto al complesso delle forze lavoro.
49
sintesi
I giovani
A livello europeo i giovani sono uno dei target penalizzati sul mercato del lavoro. In Europa nel
primo trimestre 2009 sono circa 5 milioni i 15-24enni senza occupazione. Dopo tre anni di fles-
sione, il tasso di disoccupazione giovanile ha ripreso a crescere raggiungendo il 18,3%, con una
crescita del 3,7% rispetto all’anno precedente. È un incremento molto più marcato di quello re-
gistrato relativamente alla disoccupazione totale.
In Italia il tasso di disoccupazione giovanile - dopo i progressi degli ultimi anni - raggiunge il
26,3% nel primo trimestre 2009, contro il 21,3% dell’anno precedente. Nello stesso periodo l’oc-
cupazione tra i giovani italiani si è ridotta del 3,5%, ossia quasi del triplo rispetto alla popola-
zione in età attiva.
Per far fronte a tali criticità nel settembre 2009 il Ministero del Lavoro e il Ministero dell’Istru-
zione hanno presentato il piano d’azione ITALIA 2020, per facilitare l’occupazione dei giovani
attraverso l’integrazione tra apprendimento e lavoro. Il piano è declinato in alcune linee fon-
damentali: facilitare la transizione scuola-lavoro; rilanciare l’istruzione tecnico-professionale ed
il contratto di apprendistato; ripensare il ruolo della formazione universitaria; aprire i dottora-
ti di ricerca al sistema produttivo e al mercato del lavoro. Prevede, inoltre, che la riduzione dei
tempi di transizione sia sostenuta, tra l’altro, da un anticipato contatto dei giovani con le azien-
de nel corso della loro percorso formativo. Particolare importanza viene posta al potenziamen-
to della rete degli operatori che si occupano di incontro domanda-offerta di lavoro e al miglio-
ramento dell’efficienza dei percorsi di orientamento.
L’accesso dei giovani al mercato del lavoro avviene principalmente attraverso forme contrattuali
flessibili. Nel 2008 tra i giovani al di sotto dei 25 anni che hanno dichiarato di aver trovato una
occupazione negli ultimi 12 mesi più di uno su due è inquadrato contrattualmente con una for-
ma non standard (dipendente a tempo determinato o collaborazione).
Tabella 38. Forme contrattuali non standard tra gli individui che hanno dichiarato di aver trovato una occupazione negli ultimi 12
mesi per classi di età (riferimento 2007-2008)
Fonte: ISFOL (PLUS 2008)
Classi di età
18-24 25-29 30-39 40-49 50-64 Totale
Percentuali 51,9 43,6 39,1 20,6 32,0 40,8
Il 42,9% degli occupati tra i 18-24 anni ha dichiarato di aver visitato un Centro per l’impiego
(o analogo) negli ultimi 12 mesi. Le persone non occupate di questa fascia d’età che hanno vi-
sitato un Centro per l’impiego sono state il 55,5%.
Le caratteristiche dell’offerta di lavoro “matura” in Italia e l’evoluzione degli interventi
per l’invecchiamento attivo
L’offerta di lavoro matura rappresenta un ampio segmento del mercato sul quale nell’ultimo quin-
dicennio sono andate concentrandosi una pluralità di misure che puntano ad accrescere l’oc-
cupabilità e l’attivazione dei più anziani. Anche le Regioni hanno dedicato grande importanza
alle politiche per l’invecchiamento attivo: nei por fse 2007-2013 sono state stanziate risorse per
298 milioni di euro.
Nel periodo 2004-2009, il tasso di attività della classe 55-64 è cresciuto di 6 punti percentuali,
sino ad arrivare al 36,3%. L’analogo andamento dei tassi di occupazione testimonia di un’effet-
50
rapporto isfol 2009
tiva crescita di partecipazione. Rispetto al primo trimestre 2004, fra gennaio e marzo 2009 la quo-
ta di occupati over 55 si è accresciuta del 5,8%, con un contributo maggioritario della compo-
nente femminile più alto (+6,5%) rispetto a quella maschile (+4,9%), giungendo nelle aree set-
tentrionali a pesare quasi il doppio. Gli incrementi più bassi ed equilibrati fra i due generi, in-
fatti, si registrano al Sud: rispettivamente +4,9% per gli uomini e +4% per le donne. Viceversa,
al Centro abbiamo l’8,3% per le donne e il 7,6% per gli uomini; nel Nord-Est rispettivamente
8,4% e 4,6%; nel Nord-Ovest 7,2% e 3,2%. Ciononostante, si registra ancora un distacco di 13
punti rispetto al tasso di occupazione femminile dell’eu15 relativo al 2008.
Quanto al ruolo esercitato dalle politiche attive per attivare il segmento maturo, solo il 13% de-
gli over 50 dichiara di aver visitato un cpi, a fronte di una quota del 34,5% espressa dalla popolazione
al di sotto dei 50 anni.
Negli ultimi anni l’età media di ritiro dal lavoro ha oscillato fra un minimo di 59,7 e un massi-
mo, raggiunto nel 2007, di 60,4 anni, con un differenziale rispetto ai nostri principali partner
europei (eu15) che risulta essersi ampliato da 0,5 a 1,1. Dal punto di vista di genere, mentre fino
al 2003 il divario era minore per la componente femminile, a partire dal 2005 l’aumento del dif-
ferenziale si presenta a maggior carico per le donne di 0,3 anni.
Nel 2008 ancora il 17% dei pensionati dichiarava di avere utilizzato pre-pensionamenti, scivo-
li o incentivi per andare prima in pensione.
0,0
2,0
4,0
6,0
8,0
10,0
12,0
14,0
16,0
<50 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 60+
2005
2008
Età dichiarata di pensionamento dei pensionati fra i 50 e i 64 anni - anni 2005 e 2008 (val. %)
Fonte: ISFOL (PLUS 2005 e 2008)
51
sintesi
Disabilità e lavoro in Italia
Nel nostro Paese le innovazioni legislative in tema di inserimento lavorativo delle persone con
disabilità, nell’ottica delle pari opportunità e della non discriminazione, trovano conferma a li-
vello internazionale nelle politiche della Comunità e dei suoi Stati membri.
Pur con una marcata differenziazione territoriale che contraddistingue nel panorama naziona-
le le strutture preposte al collocamento mirato, il quadro complessivo fornisce una ripartizio-
ne dei compiti sufficientemente delineata tra Regioni, Province e Centri per l’impiego.
La quantificazione del fenomeno disabilità in Italia, laddove associato alle dinamiche del lavo-
ro, continua ad avere contorni poco definiti. Dalle indagini svolte dall’isfol risulta che nel 2008
vi era una presenza stimata di circa 700 mila individui che dichiaravano una riduzione di au-
tonomia continuativa. Di questi il 12% si dichiarava in cerca di occupazione.
Le più recenti informazioni a livello nazionale sul collocamento lavorativo delle persone disa-
bili si riferiscono al 2007 e indicano in 712.424 le persone disabili iscritte agli elenchi unici pro-
vinciali del collocamento obbligatorio, per il 61% residenti nelle regioni del Sud.
La tipologia contrattuale prevalente nelle assunzioni risulta il tempo indeterminato, con un’in-
cidenza che parte dal 48,5% nel 2006 per arrivare al 50,8% nell’ultimo anno di riferimento. Il
peso del part-time sui contratti indeterminati appare diminuito: era il 27% nel 2006 e si contrae
di 1 punto percentuale nell’anno successivo.
2007
4.549
3.398
3.182
4.406
15.535
3.882
5.664
2.084
1.209
12.839
1.261
380
282
266
2.189
0 5.000 10.000 15.000 20.000
Nord-Ovest
Nord-Est
Centro
Sud e Isole
Italia
Altre tipologie contrattuali a termine
Tempo determinato
Tempo indeterminato
Assunzioni persone disabili durante l’anno 2007, per tipologia contrattuale di inserimento. Per area geogra-
fica (v.a.)
Fonte: Elaborazione ISFOL su dati Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, 2008
52
rapporto isfol 2009
Donne
La partecipazione femminile al mercato del lavoro è migliorato negli ultimi anni ma continua
a rappresentare un aspetto particolarmente critico, a causa di fattori sia congiunturali che strut-
turali. Il mercato del lavoro italiano presenta un gap di genere nei tassi di occupazione del 23,1%
(risultante dalla differenza tra il 70,3% degli uomini e il 47,2% delle donne), che sale al 30% nel
Mezzogiorno.
Sappiamo da tempo che tale criticità è strettamente correlata alla condizione familiare. Alla pre-
senza di figli la propensione degli uomini all’occupazione aumenta, mentre quella delle donne
diminuisce drasticamente. Contemporaneamente, per le donne scendono anche i tassi di di-
soccupazione senza determinare un analogo incremento dei tassi di occupazione; vi è quindi un
chiaro scivolamento nell’inattività.
La maternità determina una netta caduta di partecipazione: se prima della nascita del figlio la-
vorano 59 donne su 100, dopo tale evento ne continuano a lavorare solo 43. L’esigenza di cura
è la motivazione principale dell’abbandono del lavoro (90% dei casi).
Tassi di attività, di disoccupazione e di occupazione della popolazione italiana in età compresa tra 20 e 45 anni secondo la pre-
senza di figli minori di 1 anno - per genere
Fonte: Elaborazione ISFOL su dati ISTAT (Rilevazione sulle forze di lavoro), 2008
Presenza di figli in età
inferiore ad 1 anno
Tasso di attività Tasso di disoccupazione Tasso di occupazione
Uomini 20-45 anni
No 85,6 6,5 80,0
Sì 96,6 3,0 93,7
Totale 86,1 6,4 80,6
Donne 20-45 anni
No 64,2 10,3 57,6
Sì 54,2 4,1 52,0
Totale 63,7 10,0 57,3
Totale U+D 20-45 anni
No 75,0 8,1 68,9
Sì 74,7 3,4 72,2
Totale 75,0 7,9 69,0
L’attuale configurazione del sistema di welfare lascia vuoti che le donne si vedono costrette a col-
mare, sostituendosi all’offerta di servizi soprattutto per la cura dei figli, degli anziani o dei di-
sabili. Si pensi, infatti, che solo per quanto riguarda i servizi di supporto alla prima infanzia (0-
3 anni) l’Italia offre una copertura in media del 10% contro il 33% richiesto dall’Unione euro-
pea e offre servizi parimenti insufficienti di assistenza e cura agli anziani o disabili.
Il tradizionale concetto del “doppio ruolo” femminile è ormai rappresentato dall’espressione “sandwi-
ch generation”, volta a evidenziare come una intera generazione di donne sia in una condizione di
schiacciamento tra esigenze di cura multiple e simultanee ed esigenze di carattere personale e pro-
fessionale. Ciò porta alla necessità di definire strategie di conciliazione tra vita e lavoro, ormai ri-
conosciute come una determinante strutturale dei livelli di partecipazione al mercato del lavoro.
Ma in questo quadro, al ruolo dell’offerta di servizi di supporto alle esigenze di cura familiare si
dovrebbero affiancare anche interventi che incidano sui fattori di natura culturale.
53
sezione lavoro
capitolo 3
Approfondimenti
3.1 Livello ed evoluzione delle retribuzioni in Italia
L’isfol ha condotto una serie di analisi empiriche sull’evoluzione dei redditi da lavoro in Italia.
Relativamente al periodo 1993-2006 si registra una sostanziale stagnazione del salario netto me-
dio percepito dai lavoratori dipendenti; al tempo stesso vi è stata una marcata tendenza verso
la riduzione delle disuguaglianze salariali nel settore privato.
Il salario mensile medio di un lavoratore dipendente, al netto delle imposte e dei contributi so-
ciali, è passato dai 1.418 euro del 1993 a circa 1.446 euro del 2006. Solo nel biennio 2004-2006
i redditi da lavoro dipendente tornano a salire a ritmi sostenuti. In particolare, nel comparto pub-
blico le retribuzioni medie si sono sensibilmente contratte nel corso degli anni Novanta e sola-
mente nel 2006 sono tornate sopra i livelli di inizio periodo. Nel settore privato la contrazione
salariale è stata meno evidente.
90
92
94
96
98
100
102
104
106
1993 1995 1998 2000 2002 2004 2006
Settore Privato Settore Pubblico
Evoluzione delle retribuzioni mensili nette in Italia nel settore pubblico ed in quello privato - anni 1993-2006
(numeri indice base 1993=100)
Fonte: Elaborazione ISFOL su dati Banca d’Italia
54
rapporto isfol 2009
Quanto alle disuguaglianze salariali, rispetto al 1993 - quando si è avviata la fase della modera-
zione salariale in seguito al Protocollo di Luglio - vi sono oggi più disparità nella distribuzione
dei salari dei dipendenti pubblici che del settore privato. È utile rilevare come l’attesa diversifi-
cazione delle retribuzioni indotta dalla decentralizzazione della contrattazione collettiva non sem-
bri avere avuto luogo.
Tra i fattori che possono spiegare la compressione della disuguaglianza dei salari nel settore pri-
vato va anche segnalata la generale riduzione dei rendimenti associati agli investimenti in istru-
zione. Il differenziale tra il salario medio di un laureato e quello di un lavoratore con licenza ele-
mentare si è ridotto del 37% tra il 1993 ed il 2006, mentre quello tra il salario di un laureato e
quello di un diplomato si è ridotto del 46%.
Salario netto medio mensile dei dipendenti nel settore privato in Italia in base al titolo di studio - anni 1993-2006
Fonte: Elaborazione ISFOL su dati Banca d’Italia
Anno Elementari Medie Superiori Università
1993 1.140,8 1.169,4 1.511,3 2.351,8
1995 1.106,5 1.122,8 1.395,8 2.062,5
1998 1.190,0 1.168,6 1.368,9 2.030,7
2000 1.132,7 1.197,6 1.392,9 1.942,7
2002 1.163,8 1.183,7 1.347,5 1.979,3
2004 1.166,7 1.179,5 1.371,4 1.792,3
2006 1.124,7 1.227,7 1.435,8 1.884,4
Var % 1993-2006 -1,41 4,98 -4,99 -19,87
La riduzione dei rendimenti dell’istruzione può essere collegata alla limitata diffusione delle nuo-
ve tecnologie nel sistema produttivo e alla conseguente crescita limitata della domanda di lavo-
ro qualificato. La validità di tale ipotesi è stata verificata empiricamente: diminuisce infatti la quo-
ta dei laureati occupati in posti di lavoro che richiedono elevate professionalità, mentre è aumentata
la loro presenza in posti di lavoro che richiedono basse o medie qualifiche. Ciò ha favorito una
diminuzione dei rendimenti dell’istruzione e quindi una tendenza verso la compressione della
disuguaglianza.
In generale la progressiva caduta del prezzo relativo del lavoro rispetto al fattore capitale ha frena-
to il necessario processo di innovazione produttiva ed organizzativa delle imprese. Un equilibrato
livello dei salari, infatti, rappresenta il necessario stimolo alla trasformazione e all’innovazione.
Uno degli elementi che ha frenato la crescita equilibrata del sistema in termini distributivi at-
tiene alla scarsa diffusione della contrattazione di secondo livello.
Se si guarda al salario lordo annuo dei lavoratori si conferma una certa stabilità nella distribu-
zione dei redditi, non dovuta però ad un uniforme incremento dei salari nella parte bassa ed in
quella più alta della curva dei redditi, quanto ad un aumento del segmento di lavoratrici e la-
voratori con redditi annui bassi.
L’obiettivo di creare un saldo legame tra remunerazione del lavoro e produttività a livello decentrato,
previsto dagli accordi del luglio 1993, non sembra essere stato raggiunto.
55
sintesi
Salario lordo annuo dei lavoratori dipendenti in Italia in base alla classe di età - anni 1993-2003*
* Lavoratori dipendenti del settore privato extra-agricolo.
Fonte: Elaborazione ISFOL su panel lavoratori dipendenti ISFOL-INPS
Età 1993 1995 1997 1999 2001 2003 var. % 93-03
Meno di 24 anni 10.000 9.145 9.143 8.895 8.736 8.662 -13,4
25-34 anni 15.570 14.949 15.016 15.032 14.774 14.486 -7,0
35-44 anni 20.871 20.064 20.187 19.685 19.140 18.762 -10,1
45 anni e più 23.443 23.068 24.069 23.707 23.191 22.631 -3,5
Totale lavoratori 17.801 17.228 17.641 17.313 17.114 16.970 -4,7
56
rapporto isfol 2009
3.2 Consistenza e dinamica dell’impresa sociale
Il 2009 rappresenta il primo anno effettivo di operatività del nuovo istituto dell’impresa sociale.
Una stima dell’ammontare di tali imprese non è agevole; non tutti gli enti camerali hanno già
predisposto delle sezioni apposite del registro delle imprese (i primi registri camerali, attivati a
partire dal gennaio 2009, lo scorso giugno registravano la presenza di 501 imprese sociali). Si ri-
leva comunque una crescente espansione di pratiche di imprenditorialità sociale.
Imprese sociali
Fonte: UNIONCAMERE, 2008
2003 2005 var % 2003-2005
Totale 8.490 10.190 20,2
La crescita delle imprese sociali a vocazione imprenditoriale del comparto non-profit viene con-
fermata e rafforzata anche sotto il profilo occupazionale. Almeno fino al 2008 permane infatti
la tendenza generale al costante aumento dell’occupazione, soprattutto nelle organizzazioni le-
gate alla produzione ed erogazione di servizi alla persona.
Confronto tassi di ingresso occupazionale imprese profit/non-profit
* Servizi per il miglioramento della qualità della vita (culturali, sportivi, turismo e tempo libero, ecc.).
Fonte: UNIONCAMERE, 2008
Tassi di entrate
imprese sociali
Tassi di entrate imprese
economia profit
Industria e costruzioni 11,9 7,4
Commercio, pubblici esercizi e ristorazione 12,6 15,2
Trasporti e attività postali 12,1 6,9
Informatica, TLC e servizi avanzati alle imprese 14,6 7,2
Servizi operativi alle imprese e alle persone 12,6 11,0
Istruzione e servizi formativi privati 8,0 10,2
Sanità, servizi sanitari privati e assistenza sociale 14,5 11,0
Altri servizi alle persone* 29,9 14,4
Totale 14,3 9,5
57
sintesi
3.3 La povertà in Italia: questioni di misura e interventi di contrasto
Nel corso degli ultimi anni sono state sviluppate in sede comunitaria nuove strategie di lotta alla
povertà, accompagnate da importanti iniziative istituzionali. In particolare, si registra l’impe-
gno nel contestualizzare il quadro socio-economico sul quale necessariamente impattano il fe-
nomeno della povertà, quello dell’esclusione e l’intero assetto delle disuguaglianze sociali.
Tra le novità introdotte va ricordato l’approccio volto ad osservare il fenomeno della povertà in
chiave dinamica, attraverso analisi sulle transizioni nel mercato del lavoro, sui cambiamenti nel-
la struttura familiare e sui vari passaggi relativi allo stato di povertà. La definizione di un panel
di indicatori è dovuta al progressivo spostamento dell’interesse da studi basati su concetti ed in-
dicatori di povertà unidimensionali a teorie che analizzano indicatori multidimensionali. La quan-
tificazione di un indicatore specifico multidimensionale per l’Italia è certamente un metodo in
grado di cogliere la elevata eterogeneità del nostro Paese. In tale ottica, a fronte dello spiccato
dualismo territoriale che caratterizza l’Italia, si rileva negli ultimi anni un aumento sensibile del
divario tra i tassi di povertà nel Nord e quelli del Mezzogiorno.
Incidenza della povertà e dati EU-SILC
Fonte: Elaborazione ISFOL su dati ISTAT (Indagine sui consumi) e EU-SILC
Regioni
Indagine sui consumi-ISTAT EU-SILC 2006
Incidenza
2006
Incidenza
2007
Incidenza
2008
Headcount
Arretrati
mutui e affitti
Danni
all’abitazione
Inquinamento,
sporcizia, proble-
mi ambientali
Criminalità,
violenza o
vandalismo
P. aut. Trento 6,2 5,2 5,7 6,2 4,0 35,5 14,8 5,5
Valle d’Aosta 8,5 6,5 7,6 6,8 0 9,1 7,5 1,4
Lombardia 4,7 4,8 4,4 7,7 8,3 17,6 19,4 12,7
Toscana 6,8 4,0 5,3 8,6 4,6 14,9 11,5 12,7
Emilia Romagna 3,9 6,2 3,9 9,7 1,7 25,0 22,4 11,6
Abruzzo 12,2 13,3 15,4 9,8 11,9 17,9 21,0 6,7
Liguria 6,1 9,5 6,4 9,8 15,5 10,4 20,2 12,4
Marche 5,9 6,3 5,4 9,9 13,2 24,2 12,6 8,0
Piemonte 6,4 6,6 6,1 10,3 5,3 20,2 23,6 15,1
Veneto 5,0 3,3 4,5 13,1 3,9 26,4 17,9 9,5
Lazio 7,0 7,9 8,0 13,3 23,2 17,8 25,9 24,7
Friuli V.G. 8,2 6,6 6,4 14,1 2,5 22,1 18,5 3,4
P. aut. Bolzano 5,3 5,9 5,7 16,9 0 24,4 14,0 2,5
Sardegna 16,9 22,9 19,4 17,7 6,9 26,0 19,3 9,7
Umbria 7,3 7,3 6,2 20,9 8,3 22,1 20,6 14,2
Molise 18,6 13,6 24,4 27,0 11,5 13,9 8,2 0,5
Campania 21,2 21,3 25,3 35,5 15,7 24,0 23,2 29,6
Basilicata 23,0 26,3 28,8 37,7 14,1 25,7 11,3 5,2
Puglia 19,8 20,2 18,5 39,0 5,8 27,6 21,4 13,4
Calabria 27,8 22,9 25,0 39,7 17,6 33,7 18,6 5,5
Sicilia 28,9 27,6 28,8 45,2 11,7 33,6 14,8 13,6
58
rapporto isfol 2009
Il sistema di governance dei rapporti tra l’autorità centrale e le forme decentrate di governo in ma-
teria sociale è ancora in fase di assestamento. Da una lettura sistematica delle leggi regionali si in-
dividuano tre tipologie distinte di interventi di contrasto alla povertà promossi dalle Regioni:
forme varie di sostegno al reddito per cittadini in particolari condizioni di difficoltà econo-
mica temporanea o di lungo periodo;
finanziamenti alle organizzazioni del privato sociale, che erogano servizi per i cittadini po-
veri, con riguardo in particolare all’area della grave marginalità;
misure preventive che cercano di contrastare il disagio economico, provocato da alcune con-
dizioni di vulnerabilità sociale (carichi di cura, spese sanitarie, costi per l’abitazione) legate
al rischio di povertà ed esclusione sociale.
59
sezione focus
capitolo 1
Flexicurity e crisi economica:
dal modello di sistema
al governo della congiuntura
La Commissione europea ha proposto di mettere in atto riforme strutturali in grado non solo
di contrastare la recessione, ma di trasformare la crisi in un’opportunità di cambiamento. A tal
fine, ha sottolineato la necessità di un aperto dialogo tra le Parti sociali e i vari attori del mer-
cato del lavoro, avviando inoltre relazioni organiche tra le politiche monetarie, quelle di bilan-
cio e fiscali, le politiche per l’occupazione e le misure di protezione sociale.
Gli Stati membri sono chiamati a dare attuazione alle politiche integrate di flexicurity, in confor-
mità alle previsioni della strategia di Lisbona. In riferimento al capitale umano, tali politiche do-
vranno essere incentrate su misure di attivazione, riqualificazione e aggiornamento delle com-
petenze, per assicurare un rapido reinserimento nel mondo del lavoro ed evitare i fenomeni di
disoccupazione di lunga durata. L’obiettivo di realizzare un maggiore equilibrio tra flessibilità
e sicurezza può essere ottenuto grazie all’interazione di quattro pilastri: modalità contrattuali suf-
ficientemente flessibili, efficaci politiche attive del lavoro, sistemi credibili di formazione conti-
nua e moderni sistemi di protezione sociale.
Il sistema italiano appare per molti versi sensibilmente distante da quello di paesi che vengono
generalmente assunti come paradigmatici per lo sviluppo di modelli di flexicurity, primo fra tut-
ti quello danese. Basti citare da una parte la differenza tra i tassi di disoccupazione, pari in epo-
ca precedente alla crisi in Italia a oltre il 6% e in Danimarca al 3,8%, e dall’altra la quota di pre-
lievo fiscale sul prodotto interno lordo, di poco superiore al 42% nel nostro Paese e pari al 50%
in Danimarca. I due indicatori, forniscono una misura della sostenibilità del modello e segna-
lano che in Italia, a fronte di una platea di beneficiari di politiche attive e passive quasi doppia,
le risorse pubbliche disponibili sono minori di una porzione del pil pari a circa l’8%. Al vinco-
lo del gettito si somma, inoltre, quello sulla quota di spesa pubblica destinata a prestazioni so-
ciali, che è assorbita in Italia per oltre la metà da spesa pensionistica, mentre in Danimarca è pari
a poco più di un terzo.
Un altro elemento che favorisce l’applicabilità di un buon modello di flexicurity è l’assenza di
una forte segmentazione nel mercato del lavoro, mentre in Italia l’utilizzo della flessibilità al mar-
gine, da un lato, e una legislazione particolarmente vincolante in termini di protezione dell’oc-
cupazione dall’altro, generano di fatto un mercato del lavoro duale.
In Italia l’azione di governo nel predisporre misure urgenti anticicliche si è mossa nel solco di
un complesso quadro di governance del sistema di welfare, caratterizzato da una molteplicità di
attori istituzionali da cui deriva una gravosa necessità di coordinamento. I tre principali prov-
60
rapporto isfol 2009
vedimenti attuati con decretazione d’urgenza dal Governo in risposta alla crisi hanno com-
plessivamente impiegato risorse per 25 miliardi nel triennio 2009-2011. Gli interventi per la sal-
vaguardia dell’occupazione, in particolare, hanno introdotto nuove misure di sostegno al red-
dito, anche grazie al supporto finanziario integrativo degli Enti bilaterali e del fse.
Si è assistito tra novembre 2008 e marzo 2009 ad uno stretto coordinamento istituzionale su ini-
ziativa del Ministero del Lavoro, che ha visto coinvolti l’isfol, l’inps e l’agenzia Italia Lavoro nel
quadro delle attività di supporto alla programmazione e negoziazione con le Regioni, le Province
autonome e la Commissione europea. A tal fine è stata istituita presso il ministero l’Unità per
la tutela dell’occupazione, la cosiddetta Unità di crisi, che ha avuto lo scopo di dare attuazione
nel più breve termine alle misure previste nel Decreto anti-crisi e di raggiungere un accordo tra
lo Stato centrale e le altre amministrazioni.
I tempi non sono ancora maturi per una valutazione complessiva delle misure adottate ma l’ac-
cordo del 12 febbraio 2009, siglato nell’ambito della Conferenza Stato-Regioni con il sostegno
dell’Unità di crisi, rappresenta un inedito precedente di coordinamento tra gli attori istituzio-
nali responsabili nei rispettivi livelli delle politiche passive e attive del lavoro.
61
sezione focus
capitolo 2
Ambiente e sviluppo:
dal bilancio energetico ai green jobs
La direttiva comunitaria del dicembre 2008, nota come Pacchetto clima-energia 20, 20, 20 al 2020
fissa obiettivi vincolanti al 2020 in tema di riduzione delle emissioni di co2, di fonti rinnovabi-
li e di efficienza energetica.
La lotta ai cambiamenti climatici sta diventando un fattore propulsivo di economia reale, facendo
dell’attuale crisi un’opportunità di cambiamento in direzione di un new deal verde. I dati con-
fermano una tendenza in atto incontrovertibile: la crescita di occupazione nei settori di nuova
economia. Si registrano, nel 2008, 11 milioni di posti di lavoro verde in tutto il mondo. A livel-
lo europeo l’occupazione verde raggiunge i 3,4 milioni di posti di lavoro. Oltre 5 milioni riguardano,
inoltre, l’occupazione indiretta correlata con questi settori. Si configura, quindi, un’occupazio-
ne non di nicchia o di tipo congiunturale. L’Italia si attesta complessivamente intorno alle 19.700
unità tra occupazione diretta e indiretta.
Stati
Eolico Solare Fotovoltaico Solare Termico Biomasse Totale Stati
v.a. v.a. v.a. v.a. v.a.
Germania 85.100 42.000 17.400 95.800 240.300
Spagna 40.000 26.800 9.142* 10.349* 86.291
Danimarca 23.500* 23.500
Italia 15.000** 1.700 3.000 19.700
Occupazione diretta e indiretta in alcuni Stati europei nel settore delle energie rinnovabili nel 2008
* Solo occupazione diretta.
** Il dato è relativo all’anno 2007.
Fonte: WWF (Low carbon jobs for Europe), 2009
I dati isfol sulle tendenze del mercato del lavoro ambientale evidenziano una crescita dell’oc-
cupazione negli ultimi anni. Lo sviluppo delle energie rinnovabili e la transizione verso una eco-
nomia più sostenibile, orientata dal pacchetto clima-energia, sembra quindi poter compensare
gli effetti negativi della perdita di occupazione in settori legati alla produzione di energia da fon-
ti tradizionali.
62
rapporto isfol 2009
Emerge, inoltre, come nel lavoro ambientale cresca in particolar modo la componente femmi-
nile, passando da un peso del 12,7% nel 1993 al 25,5% nel 2008. Il mercato del lavoro ambien-
tale registra per le donne anche un loro posizionarsi a livelli più elevati rispetto agli uomini: l’87%
delle donne impegnate in attività ambientali ha livelli di scolarità medio-alti, contro appena il
54,6% degli uomini.
In generale, la connotazione medio-alta delle professioni verdi appare evidente dall’analisi dei
dati che evidenzia uno spostamento verso l’alto dei titoli di studio e un incremento degli occu-
pati in possesso di un diploma e di una laurea. Tra il 2003 e il 2008 il mercato del lavoro ambientale
si caratterizza complessivamente per una perdita di consistenza di lavori scarsamente qualificati.
Relativamente alla formazione, ogni anno si hanno circa 2000 corsi, realizzati da più di 500 enti
pubblici e privati. Risultano essere in formazione, sulle tematiche dell’ambiente, tra le 50.000 e
le 55.000 persone.
Il segmento formativo dei master ambientali in Italia, ha assunto negli anni un ruolo sempre più
consistente nell’ambito della formazione specialistica. Dal 1999 questo segmento formativo è qua-
si quintuplicato: da 60 master ambientali offerti nel 1999-2000 ai quasi 300 nel 2007-2008. Gli
atenei si confermano, negli anni, i maggiori soggetti promotori di master ambientali.
2003-2004 2004-2005 2005-2006 2006-2007 2007-2008
% % % % %
Nord-Ovest 16,8 26,9 18,1 16,9 19,3
Nord-Est 27,3 23,2 24,6 21,1 32,7
Centro 35,3 31,4 32,5 33,9 21,7
Mezzogiorno 20,6 18,5 24,8 28,1 26,3
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0
Corsi di formazione professionale ambientali realizzati in Italia nell’ultimo quinquennio
*Ad alcuni corsi sono state attribuite più macro-aree.
Fonte: ISFOL (IFOLAMB), 2009
Venendo all’utenza, l’80% di chi ha trovato lavoro dopo il master non ha atteso oltre i sei mesi
dalla conclusione del corso. Un ulteriore dato positivo è che l’occupazione, oltre ad essere deci-
samente alta, è in buona misura coerente con il percorso formativo realizzato: ben il 58% circa
degli occupati ha raggiunto l’obiettivo di far convivere in una traiettoria unica il percorso di stu-
dio, le aspirazioni professionali e il lavoro svolto.
63
sezione focus
capitolo 3
Gli Enti bilaterali
ed il fenomeno della bilateralità
Negli ultimi anni la bilateralità ha visto ampliarsi il ruolo ad essa riconosciuto nella partecipa-
zione alle politiche pubbliche di welfare. La bilateralità costituisce una prassi d’interazione tra
le Parti sociali su materie specifiche in cui si stabiliscono le regole di confronto per perseguire
obiettivi comuni. L’isfol ha svolto un’indagine su alcuni settori prioritari: edilizia, artigianato
e un segmento ampio del terziario, in cui rientrano diverse attività commerciali.
L’Ente bilaterale nazionale del terziario (ebinter) è il soggetto di riferimento degli organismi ter-
ritoriali ed ha iniziato ad operare nel 2000. Ma già precedentemente la bilateralità aveva comincia-
to a svilupparsi a supporto dell’attivazione dell’apprendistato. Generalmente tutti gli ebt offrono
sul territorio servizi relativi alla formazione professionale per i soci, spesso in ambiti per i quali la
formazione è obbligatoria (sicurezza). Si occupano anche di contratti a tempo determinato, di som-
ministrazione, di tirocini, di conciliazione e arbitrato. Alcuni propongono servizi identificati gene-
ricamente come interventi di “sostegno al reddito”, che consistono in sussidi e contributi concessi
alle imprese e ai lavoratori per varie finalità, compresi sostegni di welfare alle famiglie e le azioni per
il mercato del lavoro (atipici, disabili, donne disoccupate di lunga durata, ecc.).
All’ampia varietà dei servizi offerti a livello territoriale si accompagna una loro ineguale distri-
buzione geografica che riproduce il divario Nord-Sud. Del resto, la capacità di offrire servizi è
strettamente collegata alla capitalizzazione di tali Enti e quindi al tasso di sindacalizzazione del-
le imprese presenti sul territorio; è noto che tale tasso si riduce fortemente nel passaggio dal Nord
al Sud del Paese.
Quanto all’artigianato, si tratta di uno dei comparti in cui, insieme alla grafica e all’edilizia, la
storia della bilateralità è più antica e radicata. I primi Enti bilaterali ad essere costituiti dopo gli
Accordi interconfederali degli anni ’80 sono stati quelli del Veneto (1989), della Lombardia (1991)
e dell’Emilia Romagna (1991). Complessivamente gli Enti bilaterali di queste tre Regioni rap-
presentano poco meno del 71% dei lavoratori delle aziende artigiane aderenti al sistema bilate-
rale dell’artigianato a livello nazionale. Nel 1997, con uno specifico Accordo interconfederale, le
Parti sociali hanno deciso di costituire l’Ente bilaterale nazionale dell’artigianato (ebna).
Tra gli Enti bilaterali regionali che offrono una maggiore gamma di servizi, l’Ente della Regio-
ne Veneto (ebav) è particolarmente interessante, poiché adotta un sistema peculiare che accan-
to a prestazioni di tipo intercategoriale, offerte a tutte le aziende aderenti indipendentemente dal
contratto applicato, prevede servizi specifici e differenziati per categoria.
64
rapporto isfol 2009
Con la nascita e l’avvio del Fondo per la formazione continua nell’artigianato, alcuni Enti bila-
terali regionali hanno assunto anche il ruolo di articolazioni territoriali del Fondo. È questo il
caso dell’Ente bilaterale regionale Emilia Romagna (eber), che oltre a svolgere attività di pro-
mozione e di informazione sugli interventi di Fondartigianato, realizza anche azioni di sistema,
con l’obiettivo di promuovere l’elaborazione di piani formativi in cui le Parti sociali abbiano un
ruolo centrale di definizione di strategie e di obiettivi d’intervento.
Venendo al settore edile, esso ha tradizioni assolutamente peculiari di bilateralità, risalenti ad-
dirittura all’inizio del secolo scorso e sviluppatesi pienamente a partire dagli anni sessanta in virtù
di una continua elaborazione delle Parti sociali in sede di contrattazione collettiva. Gli aspetti
tipici del lavoro in questo settore, caratterizzati da elevati tassi di discontinuità e mobilità, han-
no rafforzato la cultura della partecipazione, così da offrire ai lavoratori importanti tutele, red-
dituali e non.
Occorre evidenziare che dal 1° gennaio 2009 in esecuzione di una misura di carattere sperimentale
e di durata biennale i neoassunti privi di precedenti esperienze lavorative nel settore dovranno
essere obbligatoriamente coinvolti in moduli formativi di almeno 16 ore. Sarà l’Ente bilaterale
formedil a dover gestire, coordinare e monitorare questa misura, attraverso l’attività delle scuo-
le edili presenti su tutto il territorio nazionale. Tali scuole, peraltro, sempre coordinate dal for-
medil, hanno competenze anche in materia di apprendistato professionalizzante.
In generale, la bilateralità svolge un ruolo anche come soggetto delle politiche passive di soste-
gno al reddito. Ruolo che si è voluto amplificare negli interventi di risposta alla crisi economi-
ca. L’isfol ha analizzato le azioni progettate o già promosse nei tre settori sopra considerati.
Per quanto riguarda l’edilizia, non sono state avviate esperienze in tema di cofinanziamento ad
opera degli Enti bilaterali dell’indennità di disoccupazione. Sono state però adotta importanti
misure in favore degli apprendisti.
Di contro, nel comparto artigiano la bilateralità svolge attività di sostegno al reddito già dagli
anni Novanta e molti Enti bilaterali regionali hanno proseguito l’intervento a favore dei lavo-
ratori delle aziende in crisi, sulla base delle regole preesistenti alla legge 2/2009.
Per quanto riguarda il terziario, tra le misure denominate genericamente di “Sostegno al reddito”
alcuni Enti bilaterali territoriali già da qualche anno hanno attivato azioni per i lavoratori di azien-
de del settore interessate da crisi strutturali. A maggior ragione nell’attuale situazione di crisi eco-
nomica le parti hanno dapprima inserito un riferimento nel ccnl siglato nel luglio 2008 per av-
viare una riflessione per l’introduzione fra i compiti statutari della bilateralità di tali forme di so-
stegno al reddito; quindi, nel marzo 2009 hanno approvato un Avviso comune, affidando alle sin-
gole realtà territoriali la possibilità di inserire il sostegno al reddito tra gli scopi degli Enti bilate-
rali. Da questa previsione sono nati i primi accordi che si ispirano alle linee tracciate dal D.L. 185/2008,
incluse quelle relative agli apprendisti e ai lavoratori con contratto non standard.
Isfol 2009/01_Relazione_Presidente.pdf
RAPPORTO
2 0 0 9
Rubbettino
Sergio Trevisanato
Relazione
del Presidente
© 2009 - ISFOL - Via G. Morgagni, 33 - 00161 Roma
Tel. 06.445901 - http://www.isfol.it
Testo chiuso a novembre 2009
3
Buongiorno. E ben ritrovati a tutti coloro che ormai abitualmente seguono questo nostro ap-
puntamento annuale.
Ci siamo lasciati l’anno scorso in un quadro di forte incertezza. Nel settembre del 2008, solo due
mesi prima della presentazione del Rapporto Isfol, era avvenuto il crollo delle borse. A livello mon-
diale si diffondevano ombre inquietanti e ci chiedevamo, con grande apprensione, cosa sareb-
be successo nei mesi a seguire.
Proviamo a fare il punto della situazione.
4
rapporto isfol 2009
1. I fenomeni: il mercato del lavoro italiano e la crisi
1.1 La crisi e le politiche di fronteggiamento
In Europa la caduta del pil toccherà il fondo nel 2009. Vuol dire che siamo ai margini della fase
peggiore. Per quanto riguarda il mercato del lavoro, invece, gli effetti più pesanti sono attesi per
l’anno venturo, con un ritardo di oltre 18 mesi rispetto al cedimento dei mercati finanziari. Ti-
rate le somme, su scala europea l’impatto appare molto pesante, con una perdita complessiva
di non meno di 8,5 milioni di posti di lavoro dall’inizio della crisi e un tasso di disoccupazione
che nel 2010 potrebbe superare il 10%.
In Italia, ad oggi, la crisi ha inciso meno di quanto non si sia verificato nella maggior parte dei
paesi europei. Alcune caratteristiche del nostro sistema bancario, generalmente considerate ele-
menti di debolezza strutturale, come ad esempio la ridotta propensione al rischio sul mercato
del credito, sembra abbiano avuto in questo caso un ruolo nel contrastare gli effetti della crisi.
D’altro canto, questi stessi elementi rischiano di essere un freno nella fase di ripresa dell’economia,
rallentando il necessario flusso di liquidità per le imprese. Sono aspetti da tenere ben presenti
nella definizione delle politiche economico-finanziarie per il prossimo anno.
Ma vorrei soffermarmi in particolar modo sugli ambiti che più direttamente interessano l’isfol.
Partiamo dal lavoro. I dati parlano chiaro: il mercato del lavoro italiano sta reggendo ai colpi del-
la crisi meglio degli altri paesi europei. Secondo le rilevazioni dell’istat e i dati dell’eurostat,
il calo occupazionale del primo semestre 2009, infatti, è molto inferiore alla media europea. Del
resto, se confrontiamo, su base tendenziale, il dato del secondo trimestre 2009 con quello del-
l’analogo periodo dell’anno precedente, gli occupati in Italia risultano in calo dello 0,9% con-
tro una riduzione media europea dell’1,9%. Valori peggiori dei nostri si registrano in Inghilterra,
Francia, Austria, nei Paesi scandinavi. Il Portogallo ha una contrazione del 2,7%. La Spagna ad-
dirittura del 7,1%.
Analogamente, la crescita del numero di disoccupati a livello nazionale appare anch’essa limi-
tata, rispetto all’incremento registrato in molti paesi comunitari.
In Italia, dunque, i livelli occupazionali sembrano calare meno degli altri paesi europei mentre,
non a caso, si osserva una contrazione dell’orario medio di lavoro più sostenuta che altrove: nel-
l’ultimo anno, la riduzione è stata mediamente in Europa pari a circa un quarto d’ora, da noi il
tempo medio di lavoro è invece diminuito di circa mezz’ora. Si tratta di un segnale dell’esisten-
za di strategie aziendali volte a mantenere i propri dipendenti in azienda il più possibile.
Un’ulteriore conferma di questi comportamenti viene dall’incremento del ricorso al part-time:
nel secondo trimestre 2009 il lavoro dipendente a tempo indeterminato di tipo part-time è cre-
sciuto del 2,1%, mentre l’occupazione full-time è rimasta sostanzialmente ferma. La crescita dei
contratti part-time ha riguardato più la componente maschile che quella femminile, proseguendo
una dinamica avviata già da un paio d’anni e che è più accentuata nei settori di attività più col-
piti dalla crisi. Lo strumento del part-time è dunque oggi utilizzato dalle imprese quale strumento
funzionale ad arginare i processi di espulsione del personale dipendente. Si tratta di comporta-
menti spontanei che si muovono lungo le stesse linee auspicate dalle istituzioni comunitarie, ma
anche dal Libro Bianco del Ministro del Lavoro.
Il secondo fattore che motiva l’accentuata riduzione dell’orario medio di lavoro in Italia è imputabile
alle scelte del Governo di fronteggiare la crisi attraverso un robusto potenziamento delle risorse
degli ammortizzatori sociali e un consistente ampliamento della platea dei beneficiari, sino a coin-
volgere anche lavoratori per i quali non era precedentemente prevista alcuna tutela.
Sappiamo che le richieste di Cassa integrazione guadagni hanno fatto registrare nel corso del 2009
un incremento notevole. Su base tendenziale, il numero di ore autorizzate nei primi sette mesi
del 2009 supera di oltre il 400% le autorizzazioni concesse nello stesso periodo dell’anno pre-
5
relazione del presidente
cedente. Va detto, comunque, che le imprese solitamente usufruiscono solo di una parte delle ore
autorizzate. Lo scarto tra le ore autorizzate e il loro impiego appare particolarmente marcato nel
2009, con una percentuale inferiore al 60% di ore utilizzate sul totale autorizzate. L’anno pre-
cedente questa percentuale era stata pari al 77%. Evidenzio tale aspetto perché ritengo vada let-
to come indice dell’incertezza che ha colpito il sistema produttivo italiano nell’ultimo anno, ma
anche perché nella programmazione dei fabbisogni finanziari va tenuto conto di questo scarto.
Nei primi sette mesi del 2009, su quasi 325 milioni di ore di cigo autorizzate ne risultavano uti-
lizzate 195 milioni. E delle 138 milioni di ore di cigs e di trattamenti in deroga autorizzate ne
sono state impiegate 88 milioni. Considerando l’utilizzo effettivo delle ore dell’intera Cassa in-
tegrazione guadagni, l’incremento complessivo rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente
si aggira intorno ai 200 milioni di ore, un valore che equivale a circa 164 mila unità di lavoro al
mese.
1.2 Le dinamiche strutturali e congiunturali del mercato del lavoro
In definitiva, dunque, le informazioni statistiche a disposizione indicano come il sistema Italia
abbia salvaguardato nei limiti del possibile il capitale di forza lavoro accumulato negli anni del-
la crescita. A partire dalla seconda metà degli anni Novanta, anche grazie alle riforme del pac-
chetto Treu e della legge Biagi, si è realizzato nel nostro Paese un consistente e generalizzato in-
cremento dell’occupazione. Questa dinamica sostenuta della domanda di lavoro da parte delle
imprese ha determinato tre importanti novità nella struttura del nostro mercato del lavoro: l’in-
nalzamento dei tassi di attività, la maggiore partecipazione femminile e giovanile, la stabilizza-
zione di un’importante componente immigrata. Ne è seguita una significativa riduzione del tas-
so di disoccupazione e, in particolare, della durata della disoccupazione giovanile.
Vale la pena ricordare che negli anni Novanta in Europa solo la Spagna aveva un tasso di disoc-
cupazione superiore al nostro. In dieci anni abbiamo dimezzato il tasso di disoccupazione, che ha
preso a risalire solo tra il 2007 e il 2008, quando risultava comunque inferiore alla media europea
e migliore di paesi quali la Germania e la Francia. Nonostante alcuni primi segnali di rallentamento,
il tasso di occupazione mostrava invece andamenti positivi ancora fino al 2008, anno in cui sia-
mo arrivati al nostro massimo storico di occupati, pari a 23 milioni e 400 mila lavoratori.
Nell’opinione pubblica si è andata diffondendo l’idea che la causa principale di questa crescita
dell’occupazione negli ultimi anni sia dovuta all’esplodere del fenomeno del lavoro atipico, a sua
volta inserito in un unico grande contenitore contrassegnato da precarietà e cattiva occupazio-
ne. Non è così. Tra il 2004 e il 2008 il lavoro a collaborazione ha subito un calo del 6,5%. Il con-
tributo dato dalle collaborazioni all’aumento dell’occupazione in questo periodo è stato prati-
camente nullo. E si è contratto - nella misura del 5,1% - anche il lavoro autonomo, elemento spe-
cifico del mercato del lavoro italiano rispetto a numerosi altri paesi europei.
Viceversa, i lavoratori dipendenti sono aumentati dell’8,2%, pari a oltre 1 milione e 300 mila unità.
Questo è il segmento che spinge la crescita occupazionale che si è avuta in Italia, e appare diffi-
cile non instaurare una relazione diretta con le modifiche delle normative che regolano il no-
stro mercato del lavoro. Certo, l’incremento percentuale maggiore è quello relativo al segmen-
to del lavoro dipendente a tempo determinato, ma vi sono due constatazioni da fare. In primo
luogo, il contributo più significativo alla creazione di nuovi posti di lavoro tra il 2004 e il 2008
è comunque dato dall’occupazione standard, con contratti di lavoro a tempo indeterminato. Sol-
tanto nel 2006 il lavoro a termine ha contribuito alla crescita occupazionale in misura legger-
mente superiore a quello permanente. In secondo luogo, va ricordato l’alto tasso di conversio-
ne dei rapporti di lavoro a tempo determinato in rapporti di lavoro a tempo indeterminato. An-
cora tra il 2007 e il 2008, cioè quando già si manifestavano i primi segnali della crisi, la percen-
tuale di lavoratori a termine stabilizzati è cresciuta del 2,9% rispetto al 2006-2007.
6
rapporto isfol 2009
1.3 Gli squilibri nel mercato del lavoro
La crisi interviene dunque in un tessuto occupazionale rafforzato da oltre un decennio di cre-
scita. Gli esiti andranno monitorati negli anni a venire. Quel che è certo è il suo impatto sui tra-
dizionali squilibri occupazionali del nostro Paese, a volte accentuandoli, a volte modificandoli.
Si pensi, ad esempio, al divario di genere. La recente contrazione occupazionale ha riguardato
maggiormente la manodopera maschile, mentre di solito le prime ad essere colpite erano le don-
ne. Tra l’inizio del 2008 e quello del 2009 il tasso di occupazione femminile nell’Europa a 27 è
sceso di quattro decimali di punto, contro l’1,6% degli uomini. E in Italia si è avuta una dina-
mica analoga. Questo perché la crisi ha pesato soprattutto nei settori a forte presenza maschi-
le, quali la manifattura e le costruzioni. In Europa il settore dei servizi - esclusi quelli finanzia-
ri e commerciali - mostra ancora tra il primo e il secondo trimestre del 2009 segnali di una lie-
ve crescita occupazionale.
Fatta eccezione per la componente femminile, tuttavia, la difficile congiuntura economica ten-
de a colpire specialmente le parti più deboli del sistema. Analizzando le transizioni vediamo che
i valori più elevati di passaggio nella disoccupazione e nell’inattività riguardano i lavoratori ati-
pici. Tra il 2007 e il 2008 il 12,1% dei collaboratori e l’11,7% dei dipendenti a termine sono pas-
sati nell’inattività, contro il 4% dei dipendenti permanenti. Le maggiori fragilità si riscontrano,
evidentemente, nel lavoro a collaborazione. Sempre tra il 2007 e il 2008 il passaggio al lavoro a
tempo indeterminato ha riguardato il 13,7% dei collaboratori, contro il 27,7% dei lavoratori a
tempo determinato.
Non è quindi un caso che i giovani rappresentino un segmento della popolazione particolarmente
esposto ai colpi della crisi. L’accesso dei giovani al mercato del lavoro avviene, infatti, principalmente
attraverso forme contrattuali flessibili, e la recessione tende inoltre ad accentuare questa tendenza
all’utilizzo di forme contrattuali non standard. Nel 2008 tra i giovani al di sotto dei 25 anni che
hanno dichiarato di avere trovato un’occupazione negli ultimi 12 mesi più del 50% risulta in-
quadrato con una forma di contratto non standard. Inoltre, la componente dei giovani in ingresso
nel mercato del lavoro è la prima a risentire del sostanziale blocco della domanda di lavoro che
caratterizza questo periodo. L’andamento del tasso di occupazione dei 15-24enni si è mantenuto
sostanzialmente costante tra il primo trimestre 2007 e il primo trimestre 2008, ma è poi bruscamente
caduto nel 2009, con un’accelerazione ben più marcata rispetto all’intera popolazione in età at-
tiva. Il dato relativo al secondo trimestre dell’anno mostra un calo del 3,5% rispetto all’analo-
go periodo del 2008, mentre per i 15-64enni c’è stata una riduzione dell’1,3%.
È un fenomeno che riguarda anche gli altri paesi europei. In tutta Europa i giovani tra i 15 e i
24 anni senza un’occupazione sono ormai circa 5 milioni. Nel primo trimestre del 2009, dopo
tre anni di flessione, il tasso di disoccupazione giovanile ha ripreso a crescere raggiungendo in
Europa il 18,3% e in Italia il 24,9%.
Questo blocco delle assunzioni giovanili, per certi versi inevitabile in tempi di crisi acuta, appare
di difficile presidio in termini di politiche pubbliche nonostante la sua oggettiva gravità. Come
sappiamo, nel nostro Paese, a lenire in parte il disagio giovanile intervengono le reti familiari e
parentali. D’altro canto il problema di un prolungato ritardo nell’ingresso nel mondo del lavo-
ro rischia di accentuarsi nei prossimi anni. Va di conseguenza preso sul serio il rischio che un’in-
tera generazione di giovani si trovi a dover pagare un prezzo troppo pesante per circostanze del
tutto indipendenti dallo loro condizione. L’isfol si impegna fin d’ora a monitorare con atten-
zione questa specifica problematica così da fornire a tutti gli attori sociali e istituzionali le ne-
cessarie informazioni per valutare eventuali interventi correttivi.
Tra i giovani italiani sono i laureati a fare registrare le diminuzioni più significative nei tassi di
occupazione in seguito alla crisi. Questa debolezza dei giovani laureati è connessa a problema-
tiche complesse, che investono il sistema di istruzione e formazione e la fisionomia del nostro
7
relazione del presidente
mercato del lavoro. Ma vi è anche una questione strettamente legata al tessuto produttivo ita-
liano e alle dinamiche di domanda e offerta del lavoro qualificato.
Per certi versi, infatti, l’Italia appare in controtendenza rispetto ai fenomeni di sviluppo e valo-
rizzazione - anche economica - del capitale umano che caratterizzano le principali economie avan-
zate. Nel nostro Paese si è assistito ad una progressiva riduzione dei salari percepiti dai lavora-
tori più istruiti rispetto a quelli con un più basso livello di istruzione. Nel settore privato i van-
taggi salariali associati al conseguimento di un titolo di laurea e di un diploma di scuola media
superiore sono diminuiti tra il 1993 e il 2004 in misura considerevole. E la perdita in termini red-
dituali per i lavoratori qualificati non è stata compensata da un aumento relativo delle loro op-
portunità occupazionali. In sostanza, la domanda di lavoratori qualificati non si è incrementa-
ta in misura sufficiente ad assorbire l’offerta. E si sono verificati evidenti mismatch tra profili ri-
chiesti dalle imprese e quelli offerti dalla forza lavoro. Anche in questo caso la fragilità del seg-
mento occupazionale tende ad essere ulteriormente accentuata dalla crisi.
Ma la recessione interviene anche ad approfondire il principale tradizionale divario del merca-
to del lavoro italiano: quello territoriale. Colgo l’occasione per ricordare come tutti gli indica-
tori relativi al lavoro e alla formazione - così come i restanti indicatori economici - sintetizzino
nei loro valori medi nazionali realtà territoriali estremamente differenziate, che affondano la loro
ragion d’essere nel ben noto dualismo geografico che contraddistingue il nostro Paese. Occor-
re tenerlo presente soprattutto nei raffronti statistici effettuati su scala europea, con l’avverten-
za ulteriore che nessun paese europeo ha al suo interno divari territoriali cosi ampi come l’Ita-
lia. La conseguenza di tutto ciò è una sorta di strabismo nella lettura dei confronti statistici in-
ternazionali, perché i dati medi nazionali comportano una valutazione negativa dell’Italia. In qua-
si tutti i casi, tuttavia, le regioni settentrionali si trovano in una posizione molto più alta rispetto
alla media comunitaria, spesso con punte di vera e propria eccellenza; quelle meridionali, inve-
ce, appaiono sempre in forte ritardo, spesso agli ultimi posti delle classifiche europee.
Così nel 2008 il tasso di disoccupazione era nelle regioni del Nord uno dei più bassi in assolu-
to tra tutte le regioni europee, pari al 3,9%; mentre nelle regioni del Centro Italia il tasso di di-
soccupazione saliva del 6,1%, per poi esplodere al 12% nel Meridione. Si tenga presente che il
52,4% del totale dei disoccupati è concentrato nelle regioni meridionali, mentre la popolazio-
ne è pari al 34,9% del totale nazionale. Al Nord troviamo il 28,9% del totale dei disoccupati con
una popolazione pari al 45,5% del Paese. Si tenga inoltre a mente che questo strabismo, dovu-
to alle divisioni territoriali, riguarda tutti i parametri relativi agli obiettivi di Lisbona e pone un
delicato problema di politiche differenziali per le diverse aree del Paese. Appare infine evidente
la difficoltà di mantenere nel lungo periodo politiche redistributive a base territoriale se non de-
collano processi di sviluppo economico che riducano sensibilmente i divari regionali. Basta ri-
flettere sui dati dell’Indagine sui redditi delle famiglie della Banca d’Italia, che segnala come l’in-
cidenza delle persone a basso reddito sia a livello nazionale pari al 20,9%, ma questa percentuale
nel Centro-Nord scende all’8,7%, mentre nel Meridione sale addirittura al 42,7%.
La crisi sembra stia ulteriormente approfondendo questi divari: nel secondo trimestre del 2009 il
tasso di occupazione nel Mezzogiorno si è ridotto, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente,
dell’1,3%; contro l’1,1% del Nord-Ovest, lo 0,9% del Nord-Est e lo 0,4% del Centro. Anche il tas-
so di attività mostra una situazione di particolare svantaggio per le regioni meridionali, dove è di-
minuito del 2,2%, contro un decremento dello 0,2% in tutte le altre ripartizioni. Il Mezzogiorno
è sceso al 51,2%, rispetto il 67% del Centro, il 69,3% del Nord-Ovest e il 70,2% del Nord-Est.
Per sintetizzare, dunque, se il mercato del lavoro italiano sembra riuscire a contrastare relativamente
bene le ricadute occupazionali della crisi economica, la congiuntura negativa tende a rinforzare ul-
teriormente i tradizionali divari, in particolare quelli a base territoriale. Con l’importante eccezione
dell’occupazione femminile, che in questa circostanza tiene più di quella maschile.
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rapporto isfol 2009
2. I fenomeni: la formazione
2.1 La partecipazione alle attività formative
Anche sul versante della formazione il sistema paese, all’inizio della crisi, rivela luci ed ombre.
In generale, nel 2008 la partecipazione della popolazione adulta alle attività formative risulta in
crescita. I dati mostrano una tendenza positiva. L’indicatore utilizzato per il benchmark della stra-
tegia di Lisbona, relativo alla fascia d’età dei 25-64enni coinvolti in attività di apprendimento per-
manente, ha raggiunto il 6,3%. È un valore ancora basso rispetto all’obiettivo fissato a Lisbona
del 12,5% entro il 2010. Obiettivo comunque fallito anche a livello di media europea, che è fer-
ma al 9,6%. Considerando i 15-64enni si arriva a quota 15,5%.
Per quel che riguarda invece i soli occupati, anche qui si riscontra un incremento abbastanza si-
gnificativo del numero di coloro che frequentano corsi di studio e/o di formazione: si è infatti
avuta una crescita di 200 mila unità tra il 2006 e il 2008. In termini percentuali si tratta dell’0,2%
in più nel 2007 e dello 0,6% nel 2008. Incremento non imputabile esclusivamente all’aumento
delle forze di lavoro. Si registra, inoltre, un netto miglioramento della partecipazione femmini-
le: nel 2008 tra le donne occupate il 9% ha partecipato ad attività formative, contro il 6,3% de-
gli uomini.
Quanto ai giovani, rimane il problema della dispersione formativa, che interessa il 5,4% dei 14-
17enni; vale a dire 126 mila ragazzi e ragazze al di fuori di qualsiasi percorso di istruzione e for-
mazione. Ma anche questo dato sintetizza un valore massimo del 7,7% nelle regioni del Sud e
un valore minimo del 2,8% nel Nord-Est, dove tra l’altro quasi la metà dei dispersi riguarda ap-
prendisti che non svolgono attività di formazione.
Complessivamente, risulta comunque in crescita il tasso di passaggio dalla scuola media infe-
riore al secondo ciclo. Il tasso di scolarità dei giovani tra i 14 e i 18 anni è arrivato al 93%. Si re-
gistra tuttavia un calo del tasso di scolarità in relazione al crescere dell’età ed in particolare in
corrispondenza temporale con la conclusione del ciclo di istruzione obbligatoria. Altro aspetto
problematico è la regolarità degli studi: il relativo tasso è molto buono nei licei mentre negli isti-
tuti professionali solo 55 studenti su 100 risultano in regola con il percorso scolastico.
Il bilancio dei percorsi triennali di istruzione e formazione professionale è sostanzialmente po-
sitivo, a giudicare dalle richieste provenienti dal territorio e dall’apprezzamento delle imprese.
Emerge un progressivo radicamento delle sperimentazioni in quasi tutte le realtà regionali e il
numero degli allievi è aumentato di cinque volte in sei anni. In termini di esiti, risulta un’apprezzabile
percentuale del 78,4% di allievi che non abbandonano, nonostante l’estrema “fragilità” sociale
e scolastica del target di riferimento. Buoni segnali giungono anche dalla sperimentazione dei
quarti anni.
Venendo al sistema universitario, sia il tasso di passaggio all’università che quello di immatri-
colazione sono in aumento. Diminuisce però il numero di laureati in rapporto alla popolazio-
ne dei 23enni e 25enni; un fenomeno che appare legato alla scarsa regolarità degli studi.
Sul fronte della formazione continua, da un’indagine isfol-Ministero del Lavoro, tuttora in cor-
so, emerge che, anche in questo periodo di crisi e tra le stesse imprese che ne hanno avvertito
gli effetti, le iniziative formative non hanno subito una contrazione di rilievo. Ciò indica non solo
che l’investimento in formazione è ritenuto strategico per rilanciare su nuove basi l’attività pro-
duttiva, ma anche che le stesse imprese guardano con fiducia ad una ripresa della domanda. Inol-
tre, la maggioranza del campione intervistato - circa il 60% - prevede di investire in formazio-
ne nel prossimo futuro.
Dal lato dell’offerta va rilevata, in particolare, la crescita dei Fondi paritetici interprofessionali.
L’incremento medio dal 2008 al 2009 è pari all’8,1%. Il contributo all’aumento delle adesioni sem-
bra provenire soprattutto da imprese di piccola o piccolissima dimensione. E il peso percentuale
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relazione del presidente
del Sud, per la prima volta in cinque anni, aumenta a scapito del Nord e del Centro. L’insieme
dei Fondi paritetici - attualmente 18, con il recente ingresso del Fondo per i pubblici servizi -
può contare su un introito annuo che si avvicina ai 400 milioni di euro.
Dall’avvio nel 2004 all’aprile 2009 i Fondi paritetici hanno finanziato circa 10 mila Piani formativi,
che hanno coinvolto 57 mila imprese e circa un milione e 100 mila lavoratori. In termini finanziari,
per la formazione si è impegnata una cifra pari a circa 1 miliardo di euro. Rispetto agli anni pas-
sati, il 2008 ha fatto registrare un sensibile incremento delle attività. La tipologia di Piano for-
mativo prevalente resta quella aziendale. I Piani settoriali e territoriali, che necessitano di un mag-
giore impegno progettuale e organizzativo, hanno coinvolto circa un quarto dei lavoratori.
Permane però una scarsa integrazione tra i diversi canali di sostegno, quelli cioè gestiti dai Fon-
di paritetici interprofessionali e quelli a titolarità regionale, con le risorse della legge 236 e del
fse. Ciò rappresenta un limite all’efficacia degli interventi e appare dunque necessario rilanciare
con decisione l’attività dei luoghi di confronto tra Regioni e Parti sociali, come ad esempio l’Os-
servatorio nazionale per la formazione continua istituito presso il Ministero del Lavoro.
2.2 Formazione e competenze
A monte, sempre in tema di formazione continua, divengono più pressanti le istanze di rico-
noscimento della molta formazione non formale e informale che avviene nelle imprese, soprattutto
quelle di piccola dimensione. Dalle nostre analisi viene confermata ancora una volta la minore
propensione alle attività di formazione continua delle pmi, rispetto alle imprese di grande di-
mensione. Ma sappiamo perfettamente come tali statistiche riflettano soltanto i dati sulla for-
mazione formale, mentre sono silenti rispetto alla formazione implicita che si svolge quotidia-
namente sui luoghi di lavoro. Se andiamo oltre l’idea che la formazione sia solo quella svolta nei
tradizionali luoghi formativi, allora forse si può tentare di valorizzare e far emergere il contri-
buto di apprendimento che viene dato direttamente all’interno delle aziende, specie in quelle di
minori dimensioni.
Non si tratta solo di un problema italiano. La Commissione europea, infatti, si è spesa molto ne-
gli ultimi cinque anni per richiamare i Paesi membri ad istituire e rendere fruibili ai cittadini si-
stemi di validazione dell’apprendimento da esperienza. In rapporto al processo di certificazio-
ne delle esperienze, l’Italia risulta collocata tra i paesi definiti di “grado medio”, ossia che han-
no previsto iniziative di natura parziale, non sistemica oppure ancora in fase iniziale. Vi sono di-
versi approcci metodologici in materia. Ma in generale la tendenza è quella di definire reperto-
ri che mettano in relazione le figure professionali - e quindi le competenze necessarie alla svol-
gimento di un lavoro - con i risultati dell’apprendimento, certificando anche l’apprendimento
da esperienza e, in generale, gli apprendimenti ovunque e comunque acquisiti. In Italia abbia-
mo su questi temi una diffusa condivisione di vedute.
Per quel che riguarda l’isfol, tra i progetti più recenti vi è quello relativo al Programma ocse
denominato piaac e volto alla valutazione delle competenze della popolazione adulta. È l’evo-
luzione di altre indagini, come pisa. L’attuazione della partecipazione italiana è responsabilità
del Ministero del Lavoro in accordo con quello dell’Istruzione. L’isfol ha avuto l’incarico di rea-
lizzare l’indagine, che si focalizzerà sulle competenze sia cognitive che utilizzate nei luoghi di la-
voro. Il Programma vuole favorire una migliore comprensione dei collegamenti tra mercato del
lavoro ed istruzione, esaminando anche il mismatch tra competenze offerte dalla forza lavoro e
competenze richieste dalle imprese.
Sappiamo che l’accreditamento rappresenta un importante strumento di garanzia della qualità
del sistema in entrata ma che è altrettanto importante introdurre in modo più sistematico stru-
menti di garanzia di qualità anche degli esiti e validare i risultati dell’apprendimento. In tale am-
bito abbiamo già realizzato nel nostro Paese iniziative di rilievo, come il riconoscimento dei cre-
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rapporto isfol 2009
diti da esperienza nell’Istruzione e formazione tecnica superiore o il Libretto formativo del cit-
tadino. Ma è anche questo un terreno su cui occorre ancora insistere. E lo dico pensando in par-
ticolar modo alle specificità del tessuto produttivo italiano, caratterizzato da una forte presen-
za di piccole e medie imprese.
Uno degli strumenti più adatti a valorizzare le potenzialità dell’impresa quale luogo di appren-
dimento è indubbiamente l’apprendistato, strumento giustamente al centro dell’attenzione del
Governo e del Libro Bianco. Indubbiamente, la probabilità che hanno oggi gli apprendisti di es-
sere inclusi in attività formative è troppo bassa. I valori delle regioni meridionali sono ai mini-
mi termini: al Sud è di circa il 5%, nelle Isole non supera l’1%. Il dato delle regioni del Centro
Italia è pari al 10%. Mentre solo nel Nord-Ovest la formazione coinvolge un quarto degli apprendisti,
mentre nel Nord-Est si arriva a quota 35%. Su questo fronte la strategia messa in atto punta al
potenziamento del ruolo degli Enti bilaterali. Si è infatti avviata una nuova modalità di forma-
zione regolamentata dalle Parti sociali, dando alle imprese l’opportunità di optare per una for-
mazione esclusivamente aziendale. Da una situazione di concorrenzialità tra il sistema pubbli-
co e il sistema privato della bilateralità si attende ora una crescita della formazione erogata agli
apprendisti, sia sotto il profilo della quantità che della qualità. Sulla base delle nuove norme, i
contratti collettivi stipulati a qualunque livello possono oggi definire integralmente la discipli-
na della formazione svolta nell’ambito dell’apprendistato professionalizzante.
Infine, sul versante della formazione, voglio porre l’accento su quello che ritengo un impegno
prioritario nei confronti del versante produttivo, reso ancora più cogente dalla congiuntura. Oggi
più che mai occorre puntare alla costruzione di un sistema che risponda alle esigenze di formazione
tecnica superiore. Per fare questo, appare necessario rafforzare il sistema della formazione su-
periore non accademica.
Relativamente all’ifts in un decennio sono stati programmati 3.500 percorsi, pari a circa la metà
delle iniziative di raccordo formazione-lavoro e dei corsi di formazione professionale di II livello
organizzati dalle Regioni in un solo anno formativo. Se vediamo le informazioni previsionali di
assunzioni raccolte dall’indagine Excelsior 2009, emerge che la richiesta di specializzazione post
secondaria si avvicina a raccogliere le stesse preferenze accordate alla laurea triennale.
Sono anche questi ambiti che richiedono una forte cooperazione interistituzionale e un coin-
volgimento dei vari attori che intervengono nel sistema.
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relazione del presidente
3. Le politiche
A conclusione del mio intervento, mi preme sottolineare in particolare quelli che sono a mio av-
viso gli elementi che maggiormente hanno distinto l’approccio delle istituzioni nella congiun-
tura di crisi, dal lato delle politiche. Mi riferisco in particolare a due distinte misure: la norma-
tiva anticrisi e il Piano d’azione ITALIA 2020, rivolto alle giovani generazioni.
3.1 Il coordinamento delle politiche anticrisi
Rispetto al primo tema - la nuova normativa anticrisi - è ancora presto per fare un bilancio. Ci
tengo però a sottolineare un punto. Come è noto, l’azione di Governo nel predisporre misure
urgenti anticicliche si è mossa nel solco di un complesso quadro di governance, caratterizzato da
una molteplicità di attori istituzionali. Si è quindi svolto uno stretto coordinamento istituzio-
nale - su iniziativa del Ministero del Lavoro e con la partecipazione diretta anche dell’isfol - con
la costituzione della cosiddetta Unità di crisi, che ha avuto innanzitutto lo scopo di dare rapida
attuazione alle misure previste nel Decreto anti-crisi e di raggiungere un’intesa tra lo Stato cen-
trale e le Regioni. Si è quindi arrivati all’accordo del 12 febbraio 2009, siglato nell’ambito della
Conferenza Stato-Regioni, appunto con il sostegno dell’Unità di crisi. Questo processo di governance
rappresenta un significativo esempio di coordinamento tra gli attori istituzionali responsabili
nei rispettivi livelli delle politiche passive e attive del lavoro. Al di là del metodo, anche il meri-
to delle misure individuate deve essere messo in luce. Gli interventi di sostegno al reddito per
la gestione dell’emergenza - con il coinvolgimento degli Enti bilaterali e delle Regioni - sono sta-
ti infatti pensati in una logica di stretto raccordo con innovative azioni di politica attiva espres-
samente dedicate ai titolari di ammortizzatori. In sostanza, l’erogazione di un’indennità a favo-
re del lavoratore non è stata intesa come strumento a sé, ma come parte integrante di un pac-
chetto di misure attive calibrato sull’individuo, che preveda percorsi formativi e di orientamento
personalizzati. È un terreno in costruzione e in via di sperimentazione. Ma su cui si può e cre-
do si debba proseguire. Anche perché mi sembra costituisca un esempio appropriato di quella
presa in carico degli individui indispensabile per garantire politiche del lavoro che pongano al
centro la persona, nel binomio virtuoso delle opportunità e delle responsabilità.
Si tratta anche di un’esperienza che andrà monitorata e studiata attentamente perché, per la pri-
ma volta nel nostro Paese, stiamo attuando un pacchetto di politiche del lavoro che contengo-
no gradi di libertà piuttosto ampi a livello regionale, attraverso la sperimentazione di un fede-
ralismo cooperativo e coordinato a livello centrale. La novità c’è, non è da poco, e vale la pena
seguirla con molta attenzione.
3.2 L’ingresso nel mondo del lavoro
Nel Piano 2020 per i giovani la centralità della persona, il Lifelong Learning, l’integrazione lavo-
ro-formazione, la valorizzazione dell’apprendistato e dei tirocini, il potenziamento dei sistemi
di incontro domanda-offerta e dell’orientamento divengono i cardini delle politiche per favo-
rire la cosiddetta cittadinanza attiva. Sul target dei giovani il Governo italiano ha deciso di fare
convergere interventi trasversali volti innanzitutto a facilitare l’integrazione tra apprendimen-
to e lavoro, nella convinzione che tanto più distanti rimangono questi due mondi tanto più lon-
tane saranno le nuove generazioni da un futuro di gratificazione professionale.
Parlare di transizione tra scuola e lavoro - anche se in realtà il termine più adatto è “integrazio-
ne” - vuol dire parlare di tempi di passaggio da un sistema all’altro, che devono essere brevi, più
di quanto avvenga oggi. Ma significa anche parlare di modi della transizione. Nel Piano d’azio-
ne presentato dai ministri Sacconi e Gelmini si sottolinea su questo punto un aspetto caratteri-
stico del nostro mercato del lavoro: la ricerca di occupazione avviene in Italia prevalentemente
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rapporto isfol 2009
attraverso reti amicali e informali. È un altro tema su cui l’isfol punta l’indice da anni, segna-
landone gli effetti in termini di perpetuazione della disuguaglianza. Ne abbiamo dato molte vol-
te conto nei nostri Rapporti annuali. Di qui l’importanza di efficienti servizi per l’impiego. Ma
anche un nuovo ruolo di intermediazione che potrebbe essere svolto dalle scuole e dalle università.
E poi, appunto, l’impresa come luogo di incontro tra apprendimento e lavoro.
L’esigenza di avere moderni servizi di intermediazione ed orientamento secondo l’approccio del-
la centralità della persona è una priorità che la crisi ha reso ancora più evidente. Chi è in cerca
di lavoro deve poter trovare servizi competenti che lo aiutino a percorrere le varie fasi legate sia
all’ingresso nel mercato del lavoro che ai processi di mobilità orizzontale e verticale che carat-
terizzeranno la sua vita professionale. Su questo fronte, l’aspetto più preoccupante è dato dalla
perdurante disparità territoriale nel livello di recepimento degli standard di servizio. Basti pen-
sare che il Patto di servizio - ovvero lo strumento che determina la presa in carico dell’utente sta-
bilendo un legame reciprocamente vincolante per la costruzione di un percorso individuale - vie-
ne utilizzato solo da un centro per l’impiego su due.
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relazione del presidente
4. Conclusioni
Per concludere, vorrei fare alcune considerazioni in merito alla rinnovata importanza che la con-
certazione assume in questa nuova stagione di cambiamenti. Nel Rapporto Isfol di quest’anno
dedichiamo un approfondimento specifico proprio al fenomeno della bilateralità, sulla scorta
del sempre più ampio coinvolgimento degli Enti bilaterali nelle politiche pubbliche, basti pen-
sare al ruolo che gli è stato dato nella normativa anticrisi. È una realtà ancora poco analizzata,
nonostante la sua diffusione nel panorama italiano delle relazioni industriali. Vi sono esperienze
di un certo rilievo che meritano, invece, di essere messe in luce. Penso ad esempio al comparto
artigiano, dove la bilateralità svolge attività di sostegno al reddito già dagli anni Novanta. Pen-
so anche alle misure adottate in favore degli apprendisti nel contratto collettivo dell’edilizia. Nel
terziario le parti hanno approvato nel marzo scorso un Avviso comune sugli ammortizzatori so-
ciali che ha affidato alle singole realtà territoriali la possibilità di inserire il sostegno al reddito
tra gli scopi degli Enti bilaterali. Sono così nati i primi accordi su base provinciale che si ispira-
no alle linee tracciate dal Governo per contrastare la crisi, comprese quelle che si riferiscono agli
apprendisti e ai lavoratori con contratto non standard.
In definitiva, l’impressione è che la crisi abbia incontrato un sistema Italia reattivo, capace di fron-
te alle difficoltà di compattarsi e di valorizzare nuove sinergie. Mi auguro che l’anno prossimo
ci ritroveremo a valutare i dati congiunturali con un senso di maggiore fiducia verso il futuro.
I segnali che abbiamo intravisto già in questi mesi credo permettano di intendere tale augurio
non tanto come una semplice speranza ma come una previsione.
Finito di stampare nel mese di novembre 2009
da Rubbettino Industrie Grafiche ed Editoriali
per conto di Rubbettino Editore Srl
88049 Soveria Mannelli (Catanzaro)
Rapporto ISFOL 2009