Nel periodo 1853-1862, don Bosco (1815-1888) [= DB] - fondatore della Società Salesiana (1859), dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice (1872) e dei Cooperatori Salesiani (1876) - organizzava a Valdocco, nella periferia della città di Torino, sei laboratori: calzolai, sarti, legatori, falegnami, tipografi, fabbri. Con l’aiuto dei collaboratori, le opere per giovani artigiani si trasformarono progressivamente in istituti di FP. I suoi rapporti con il "mondo del lavoro" erano cominciati molti anni prima.

1. Esperienze di lavoro manuale. Nato ai Becchi (Catelnuovo d’Asti) in una famiglia contadina, Giovanni Bosco riceve la prima formaz. in contesto socioeconomico rurale. Ancora ragazzo, alterna "lo studio e la zappa" e diviene garzone di campagna presso una famiglia agiata. Allorché frequenta grammatica, umanità e retorica nelle scuole di Chieri, dedica alcune ore del giorno al lavoro come apprendista sarto e come "caffettiere e liquorista". Mentre compie gli studi di filosofia e di teologia nel seminario, mette a disposizione dei compagni le sue abilità pratiche: fare berrette da prete, cucire o rappezzare abiti per chi ne ha bisogno. Ordinato sacerdote, ha i primi contatti con ragazzi immigrati dai campi o dalla montagna alla ricerca di un lavoro in città e con giovani carcerati. Nel 1841, DB si inserisce con originalità nel movimento degli oratori. Riferendosi alle origini dell’opera, scrive nelle sue Memorie dell’Oratorio: "In generale l’Oratorio era composto di scalpellini, muratori, stuccatori, selciatori, quadratori e di altri che venivano di lontani paesi".

2. I laboratori artigiani. Sensibile ai bisogni del tempo, DB fa la scelta dei giovani, "soprattutto i più poveri e abbandonati" e organizza a Torino un piccolo "ospizio" per quelli che non hanno "né vitto, né vestito, né alloggio". Desiderando poi di avviarli allo studio e al lavoro, invia i ricoverati in città; li visita nei cantieri e nelle botteghe; firma contratti di lavoro con i padroni. Costatando però i pericoli morali a cui i ragazzi vanno incontro, crea i propri laboratori. In questo settore, egli non segue i modelli scolastici statali: "Tra l’antico modo di stabilire rapporti di lavoro tra capo d’arte padrone di bottega con gli apprendisti e il nuovo modello della scuola tecnica prevista dalle legge organica sull’istruzione, preferì percorrere la sua terza via: quella cioè dei grandi laboratori di sua proprietà, il cui ciclo di produzione, di livello popolare e scolastico, era anche un utile tirocinio per i giovani apprendisti" (Stella, 1880, 248). L’iniziativa attuata a Valdocco per giovani disoccupati, alcuni usciti dal carcere, in gran parte analfabeti, si inseriva tra le opere "private" originate in un clima di nuova attenzione all’istruz. del popolo ed era finalizzata alla creazione di officine destinate ai giovani apprendisti. L’avviamento dei laboratori non riuscì un’impresa facile: difficoltà economiche; problemi disciplinari (facilitati dal crescente numero di ragazzi – 400 fin dagli anni settanta – in ambienti piuttosto ristretti in cui si trovano talvolta anche giovani portati "dall’autorità di pubblica sicurezza"); ricerca di un equilibrio tra il programma di cultura generale e la pratica dell’ apprendistato del mestiere.

3. Dall’apprendistato alle scuole professionali. Fin dagl’inizi dei laboratori, l’intento di DB fu quello di preparare i giovani apprendisti a "guadagnarsi onestamente il pane", senza trascurare tuttavia le "cognizioni utili ed opportune per esercitare la sua arte". Negli anni ottanta del sec. XIX, il tema si inseriva in una situazione sociale mutata. Nei documenti emanati dai responsabili della politica scolastica si cominciava a parlare di scuole di "arti e mestieri"; nuovi stimoli e richieste provenivano dal mondo del lavoro. Nel 1883, il Capitolo Generale (supremo organo legislativo) della Società salesiana studiò il tema: "Indirizzo da darsi alla parte operaia nelle case salesiane". Approfondita la questione negli incontri del 1886, presieduti da DB, è ribadito che le finalità delle case salesiane aperte ai giovani artigiani non si esauriscono nell’assicurare agli allievi "un mestiere onde guadagnarsi onoratamente il pane della vita", ma si propongono che essi "siano bene istruiti nella religione ed abbiano le cognizioni scientifiche opportune al loro stato". Di conseguenza, "triplice deve essere l’indirizzo da darsi alla loro educazione: religioso-morale, intellettuale e professionale" (Delib., 1887, 8). Per garantire lo sviluppo fu creata la carica di "consigliere professionale generale". Ancora in vita DB, oltre a quello di Valdocco, furono aperti altri istituti (laboratori, talleres, case di artigiani, escuelas de artes y oficios, écoles d’arts et métiers) in Italia (San Pier d’Arena) e all’estero (Francia, Argentina, Spagna). Nella successiva opera di riflessione, di sviluppo e di progressiva trasformazione è stato decisivo – accanto all’impulso iniziale di DB – il contributo dei suoi collaboratori, in particolare di G. Bertello (1848-1910). "I primitivi laboratori vennero trasformati in vere e proprie scuole professionali strutturate in modo da offrire ai giovani una formaz. completa che permettesse di farne buoni cristiani, dei cittadini coscienti e di lavoratori qualificati" (Di Pol, 1984, 81). Nelle ultime decadi, i centri di FP hanno trovato terreno fertile nei Paesi in via di sviluppo. Ma anche in essi si presentano nuove sfide causate dalla crescente introduzione della tecnologia avanzata nell’industria e nei servizi: l’efficacia educativa e formativa dei centri esistenti; la capacità di ogni centro di assumere le crescenti spese di manutenzione e di riqualificazione; la possibilità reale di inserire i giovani allievi nel mondo del lavoro; la presenza di personale competente, salesiano e laico. Recenti statistiche evidenziano il sostenuto incremento delle nuove fondazioni, nonostante le difficoltà accennate. Nel 1995, le scuole professionali salesiane erano 312; le scuola agricole, 44; i corsi di qualificazione per adulti, 84; con un totale di 120.011 allievi. Nel 2002: scuole professionali 367; scuole agricole, 46; corsi di qualificazione per adulti, 107; con un numero complessivo di 167.426 allievi (Dati statistici, 2002, 66). Il recente Congresso Europeo promosso dal Dicastero per la Pastorale Giovanile (Roma, 2001) ha riproposto (Doc. finale), nella prospettiva del nuovo millennio, i tratti/compiti essenziali della scuola/FP salesiana: vocazione educativo-evangelizzatrice; scelta dei ragazzi/ragazze più poveri e in difficoltà; comunità educativa (comunità educativo formativa) con "un marchio di qualità che la distingue: il sistema preventivo"; apertura e inserimento nel territorio; attenzione al mondo del lavoro; volto multiculturale e multireligioso.

Bibl.: Panfilo L., Dalla scuola di arti e mestieri di don Bosco all’attività di formazione professionale (1860-1915). Il ruolo dei salesiani, Milano, LES, 1976; Stella P., Don Bosco nella storia economica e sociale (1815-1870), Roma, LAS, 1980; Di Pol R.S., L’istruzione professionale popolare a Torino nella prima industrializzazione, in Scuola, professioni e studenti a Torino. Momenti di storia dell’istruzione, Torino, C.S. sul Giornalismo Piemontese, 1984; Rossi G., L’istruzione professionale in Roma capitale: le scuole professionali dei Salesiani al Castro Pretorio (1883-1930), Roma, LAS, 1996; Prellezo J.M., La "parte operaia" nelle case salesiane. Documenti e testimonianze sulla formazione professionale (1883-1886), in RSS 16 (1997) 353-391; Van Looy L. - G. Malizia (Edd.), Formazione professionale salesiana. Indagine sul campo, Roma, LAS, 1997, 19-51; La Società di San Francesco di Sales, Dati statistici CG25, Roma, Dir. Gen. Opere Don Bosco, 2002; González J.G. - S. Zimniak - G. Lo Parco (Edd.), L'educazione salesiana dal 1880 al 1922. Istanze e attuazioni in diversi contesti, Roma, LAS, 2007 (in corso di stampa).

J. M. Prellezo

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