Argomento: 
Data: 
13 Dicembre 2010
Descrizione breve: 
L’ISMU, l’Osservatorio regionale per l’integrazione e la multietnicità, in collaborazione con la Camera di Commercio di Milano, studia il tema centrale dell'immigrazione.
Contenuto nascosto: 
Ismu 2010/00_Comunicato_Stampa.pdf COMUNICATO STAMPA ISMU XVI RAPPORTO SULLE MIGRAZIONI 2010 Consegna targhe Ismu 13 dicembre 2010 – ore 9.00-12.30 Centro Congressi Fondazione Cariplo – Via Romagnosi 8 – Milano Nel 2010 Ismu registra un notevole rallentamento dei flussi netti di immigrati in arrivo in Italia: il saldo dei nuovi iscritti in anagrafe nel primo semestre del 2010 è di 100mila unità in meno (-40%) rispetto a quanto osservato nello stresso periodo del 2007 (epoca precrisi). La contrazione di nuovi ingressi, dovuta all'azione frenante innescata dalla difficile congiuntura economica, non toglie comunque vivacità al fenomeno: al 1° gennaio 2010 gli immigrati in Italia sono 5,3 milioni di unità (regolari e non), di cui 5,1 milioni provenienti dai così detti Paesi a forte pressione migratoria, circa 500mila in più rispetto al 2009. La nazionalità più numerosa è quella rumena con un milione e 112mila unità (il 22% del totale), seguita dall'albanese e dalla marocchina (586mila e 575mila). Parallelamente c'è un vero e proprio boom di minori residenti in Italia: in base alla stime Ismu al 31 dicembre 2010 sono quasi 1 milione 24 mila (triplicati da inizio 2003, anno in cui erano “solo” 353mila). Tra i minori residenti al primo gennaio 2010, più della metà risulta nata in Italia. Diminuiscono gli irregolari che sono 544mila, 16mila in meno rispetto a quanto stimato da Ismu al primo agosto 2009. Sul lavoro, nonostante la crisi economica, si registra un aumento dell’occupazione immigrata pari a 183mila unità (+10% rispetto al 2009). Ma al contempo cresce il tasso di disoccupazione che è passato dal 10,5% del primo trimestre 2009 al 13% del primo trimestre 2010. Diminuiscono i tassi di criminalità degli immigrati: elaborazioni Ismu dimostrano che il numero dei denunciati stranieri è diminuito del 13,9% passando dai 302.955 del 2008 ai 260.883 del 2009. Sono questi alcuni dei principali dati del XVI Rapporto nazionale sulle migrazioni 2010, elaborato dalla Fondazione Ismu (Iniziative e studi sulla multietnicità) e presentato il 13 dicembre. Al convegno moderato dalla giornalista Francesca Padula de Il Sole 24 ore, hanno partecipato Mariella Enoc e Vincenzo Cesareo, rispettivamente Presidente e Segretario Generale della Fondazione Ismu; Giuseppe Guzzetti, Presidente Fondazione Cariplo; Giulio Boscagli, Assessore alla Famiglia, conciliazione, integrazione e solidarietà sociale della Regione Lombardia; Gian Carlo Blangiardo, Università Bicocca di Milano; Stefano Manservisi, Direttore Generale, DG Home Affairs, Commissione Europea; Natale Forlani, Direttore Generale DG Immigrazione, Ministero del lavoro e delle politi che sociali; Angela Pria, Capo Dipartimento per le Libertà Civili e l'Immigrazione, Ministero dell'Interno. Nel corso del convegno sono state assegnate due targhe Ismu, una all’imprenditrice filippina Noemi Manalo che ha fondato il settimanale Kabayan Times International, l’altra all’associazione Rete G2 Seconde Generazioni per il suo impegno nella lotta per i diritti delle seconde generazioni. 1) IMMIGRATI IN ITALIA Flussi in diminuzione. Al primo gennaio del 2010 la popolazione straniera presente in Italia è stimata da Ismu in 5,3 milioni di unità (regolari e non), di cui 5,1 milioni provenienti dai così detti Paesi a forte pressione migratoria, circa 500mila in più rispetto al 2009. I regolarmente iscritti in anagrafe sono 4 milioni e 235mila1 (+344mila rispetto al 2009). Nonostante la persistente vivacità del fenomeno, si sono rilevati alcuni segnali di un suo rallentamento, verosimilmente causato dalla difficile congiuntura economica. Nei dati anagrafici si può infatti cogliere una riduzione dei flussi netti proprio a partire dalla primavera del 2008, riduzione che ha riscontro in un saldo migratorio con l’estero per l’anno 2009 che è inferiore del 12% rispetto a quello del 2008 e del 36% rispetto a quello del 2007. Ciò 1 Alcuni dati riportati nel comunicato stampa possono differire da quelli del volume XVI Rapporto sulle migrazioni 2010. I dati del comunicato sono infatti stati riaggiornati in base ai dati Istat diffusi a ottobre 2010 (mentre quelli del XVI Rapporto Ismu fanno riferimento al rapporto Istat Indicatori Sociali 2009, pubblicato nel febbraio 2010). 1 trova ulteriore conferma nel 2010, con un valore del saldo relativo al primo semestre, che è circa il 40% inferiore (oltre 100mila unità in meno) a quanto osservato nello stesso periodo del 2007 in epoca precrisi. Meno irregolari. Al 1 gennaio 2010 non hanno un valido titolo di soggiorno 544mila stranieri, 16mila in meno rispetto ai 560mila stimati da Ismu al primo agosto 2009. La contrazione può interpretarsi come un primo effetto dell’ultima sanatoria finalizzata all’emersione dell’irregolarità nell’ambito del lavoro domestico. Nel complesso si può comunque ritenere che in termini relativi il fenomeno dell’irregolarità abbia raggiunto in questi ultimi due anni uno dei livelli più bassi nella storia delle migrazioni verso il nostro paese. Più famiglie. La quota degli immigrati che vivono in famiglia (in coppia e/o con figli) è aumentata nel quadriennio dal 2005 al 2009 di 5 punti percentuali per i casi di presenza del coniuge/convivente (dal 39,1% del 2005 al 44,4% del 2009) e di 2,5 punti (dal 2,1% al 4,6%) per i nuclei monogenitoriali. In aumento anche i soggetti soli, che nello stesso arco di tempo passano dal 13,9% al 19,7%. Si è dimezzata invece la quota di coloro che vivono in coabitazione, con amici e conoscenti (dal 27,5% al 12,6%). I dati mostrano una progressiva trasformazione dell’immigrazione straniera da mera “forza lavoro” a “famiglie di lavoratori”. Minori triplicati dal 2003. In base alle stime Ismu i minori residenti in Italia al 31 dicembre 2010 saranno quasi 1 milione e 24 mila (quasi triplicati da inizio 2003, anno in cui erano 353mila). Tra i minori residenti al primo gennaio 2010, più della metà risulta nata in Italia (di cui 74mila nati solo nel 2009). Si tratta certamente di un contributo importante per dare vitalità alla demografia del nostro paese, anche se va sottolineato come esso non risolva, anche in prospettiva, il problema del calo della natalità in Italia. Infatti i dati dimostrano che le donne immigrate si adattano abbastanza rapidamente al modello riproduttivo della società ospite: nel 2006 il valore medio della fecondità delle straniere era stimato in 2,50 figli per donna ed è sceso progressivamente sino a 2,05 nel 2009. I valori si abbassano ancor di più nelle grandi città come Milano e Palermo (1,5), Roma (1,3), Napoli (1,2), dove il numero medio di figli per donna non raggiunge neppure tra le straniere il livello di ricambio generazionale. I rumeni sono più di milione e centomila. Al vertice della graduatoria dei presenti in Italia, provenienti dai Paesi a forte pressione migratoria, si conferma la Romania, con un milione e 112mila unità (il 22% del totale). Seguono l’Albania e il Marocco con, rispettivamente, 586mila e 575mila presenze (pari all’11,5% e al 11,3%). Nel 2030 possibile boom di immigrati dall’Africa. Guardando al futuro gli scenari possibili, alla luce delle dinamiche in atto, sembrano poter essere due. Il primo prevede un rallentamento dei flussi, se le aree di origine dell’immigrazione verso l’Italia rimarranno quelle di adesso (ovvero se più del 50 per cento degli immigrati stranieri proverrà dall’Est Europa): in tal caso nei prossimi 20 anni i residenti stranieri aumenterebbero a una media di 187mila unità annue (ben diversa delle 431mila mediamente registrate negli ultimi 7 anni). Il secondo scenario introduce l’eventualità che la caduta dei flussi est europei sia interamente compensata dalla componente proveniente dall’Africa Sub-sahariana. D’altra parte le premesse per un boom di immigrati da tale area non mancano, se si considera che gli scenari demografici più accreditati (United Nations, 2008) calcolano che l’Africa Sub-sahariana tra il 2010 e il 2030 avrà un surplus annuo di 15-20 milioni di potenziali lavoratori. Se, come è lecito presumere, essi non verranno pienamente assorbiti dai mercati locali potranno farsi tentare dalla scelta migratoria ed emigrare, almeno in parte, tanto in Italia quanto nel resto d’Europa. Si segnala in particolare il caso della Nigeria: il paese più popoloso dell’Africa, con 150 milioni di abitanti, e anche quello con uno dei tassi di crescita della popolazione più alti al mondo (circa il 4% l’anno). Banca centrale nigeriana, Iom e analisti concordano nel ritenere che nel giro di 25 anni la popolazione nigeriana sia destinata a raddoppiare. Se il mercato del lavoro, attualmente con una disoccupazione del 10%, non dovesse assorbire il surplus di forza lavoro, la disoccupazione aumenterebbe e con questa la spinta a emigrare. 2) LAVORO Più occupati nonostante la crisi. Anche nel 2010, come già segnalato nel 2009, l’occupazione degli stranieri ha conosciuto un andamento opposto a quello complessivo del nostro Paese. Mentre l'occupazione degli italiani ha fatto segnare un’ulteriore contrazione rispetto allo stesso periodo del 2009 (passando da 22 milioni e 966mila a 22 milioni e 758mila), gli occupati stranieri sono saliti da 1 milione e 741mila a 1 milione e 924mila, con un aumento di oltre il 10% (e addirittura del 14% per quanto riguarda la componente femminile). L’occupazione maschile infatti è passata da 1 milione e 29mila del I trimestre 2009 a 1 milione e 109mila del I trimestre 2010, quella femminile da 712mila a 815mila. Gli stranieri rappresentano ormai l’8% degli occupati totali, e quasi il 9% delle occupate. Circa il 79% degli occupati (e il 93% degli uomini stranieri) ha un impiego a tempo pieno, ma ben 4 donne immigrate su 10 hanno un impiego part-time. I lavoratori stranieri con uno status da dipendenti sono 1 milione e 662mila. Disoccupazione in aumento. Contestualmente, a fronte di una crescita dell’offerta, di un afflusso di nuova manodopera dall'estero sovradimensionata rispetto alle opportunità di assorbimento del mercato italiano e di una situazione economica complessivamente deteriorata, nei primi tre mesi del 2010 è cresciuto il tasso di disoccupazione degli stranieri. I disoccupati stranieri hanno raggiunto le 287mila unità, con un aumento addirittura del 40% rispetto a dodici mesi prima e con una leggera prevalenza della componente maschile (52,6% sul totale). Il tasso di disoccupazione è passato dal 10,5% del I trimestre 2009 al 13% del I trimestre 2010. Il peggioramento coinvolge 2 soprattutto gli uomini, per i quali tra il I trimestre 2009 e il I trimestre 2010 l’incidenza della disoccupazione è passata dal 9,1% al 12%, oltre ad essere praticamente raddoppiata rispetto al 2007 quando era a quota 6,2%. Anche le donne, nello stesso arco di tempo, hanno visto salire il tasso di disoccupazione dal 12,4 al 14,3%. Parallelamente, è continuato a crescere il divario tra i tassi riferiti agli immigrati e quelli complessivi, che sfiora i quattro punti percentuali sia per gli uomini sia per le donne. E’ il Nord a offrire più lavoro. Il Nord assorbe oltre il 60% dei lavoratori stranieri (ma con una flessione negativa di ben tre punti percentuali rispetto al I trimestre 2009), il Centro il 27% e il Mezzogiorno poco più del 12%. 3) GLI ALUNNI STRANIERI In crescita i nati in Italia e in diminuzione i neo arrivati. Dagli ultimi relativi all’anno scolastico 2009/10, emerge che sono 673.592 gli allievi stranieri nelle scuole italiane (il 7,5% della popolazione scolastica). Non vi sono novità significative riguardo alle provenienze (tra le prime nazionalità si confermano Romania, Albania, Marocco, Cina, Ecuador), alla distribuzione degli studenti nei diversi ordini di scuola (con una maggiore concentrazione alle primarie) e alle differenze territoriali (si conferma una presenza significativa al nord e al centro). Va però sottolineato che, al trend generale degli ultimi anni, caratterizzato dal rallentamento nell’incremento degli alunni con cittadinanza italiana, corrisponde una progressiva trasformazione nella composizione della popolazione scolastica straniera. Infatti, da un lato, cresce significativamente la presenza dei nati in Italia da genitori stranieri (233.033 unità nel 2008/09: il 5% degli iscritti alle scuole dell’infanzia), dall’altro, si riduce il numero di alunni neo arrivati (41.421), ovvero coloro che hanno iniziato il processo di scolarizzazione nel paese d’origine e che poi hanno dovuto interrompere il loro percorso per ricongiungersi ai genitori già in precedenza emigrati in Italia. La concentrazione degli allievi stranieri: un fenomeno rilevante in Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Piemonte. Per ciò che riguarda la concentrazione degli alunni stranieri, si rileva come la percentuale di istituti scolastici non interessata dalla presenza di stranieri sia del 26,1%. Sono, invece, 1.620 le scuole italiane (pari al 2,8% del totale) che hanno una presenza di alunni stranieri superiore al 30%. In un recente documento del Miur (2010), si sottolinea che nell’a.s. 2009/2010, tra le primarie che superano la soglia del 30% di allievi stranieri, un quarto di esse si trova in Lombardia e il 65,5% in Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Piemonte; rispetto alle secondarie di I grado, ben il 38% si colloca nel contesto lombardo e il 65,5% in sole tre regioni (Lombardia, Emilia Romagna, Veneto). Al sud e nelle isole, solo 21 scuole superano la soglia del 30%. Soglia del 30%: la maggior parte delle scuole si adegua. Gli approfondimenti statistici del Miur (e i dati sull’applicazione della circolare n 2/2010) mettono in luce che molte sono state le scuole che si sono adeguate alla soglia del 30% di presenza nelle singole classi di studenti stranieri con una limitata competenza linguistica in italiano, ma elevata è anche stata la concessione di deroghe. In Lombardia, ad esempio, l’84% delle scuole ha rispettato il provvedimento, alle restanti istituzioni scolastiche sono state concesse deroghe. Va sottolineato, infine, che una ricerca recente svolta da Ismu sugli indici di integrazione nel nostro paese ha verificato empiricamente il legame inverso tra grado di integrazione e densità della presenza immigrata, mostrando come al crescere della densità della popolazione immigrata decresca il livello di integrazione, mentre nei contesti in cui gli immigrati sono meno numerosi la loro integrazione appare facilitata. Tale risultato richiama la necessità di riflettere sulla sostenibilità dei flussi migratori nei contesti territoriali nonché negli ambiti scolastici e formativi. 4) CRIMINALITÀ E DEVIANZA DEGLI IMMIGRATI Meno stranieri denunciati. Nel 2009 (ultimi dati disponibili del Ministero degli Interni) il numero dei denunciati stranieri dalle forze di polizia è diminuito del 13,9% rispetto al 2008. Nel 2009 i denunciati stranieri sono 260.883 (su un totale di 823.406) e corrispondono a circa un terzo del totale dei denunciati (31,7%). Per tutti i reati considerati, a eccezione dei furti in esercizi commerciali, dal 2008 al 2009 si nota una diminuzione dei denunciati stranieri in numero assoluto: alta per i furti in abitazione (-31,9%) e le rapine in banca (-24,4%), media per le rapine in abitazione (-18,9%), i delitti contro la persone (-14,5%) e il totale delle rapine (-13,9%), più contenuta, ma sempre rilevante, per le altre categorie. Più di un terzo dei detenuti è straniero. Al 31 luglio 2010 gli stranieri nei penitenziari italiani sono il 36,2% dei presenti, 24.675 su 68.121. Le nazionalità più numerose sono: la marocchina (21,2% dei detenuti stranieri), la rumena (13,4%), e la tunisina (12,8%). Le categorie di reato più rappresentate in valore assoluto sono: i reati contro il patrimonio (31.893 detenuti stranieri, il 25,5% del totale dei detenuti per questo reato), la violazione della legge sugli stupefacenti (28.154, 45,1%), i reati contro la persona (22.610, 29,9%). Gli irregolari presentano tassi di delittuosità molto superiori a quelli dei regolari e degli italiani. Nel 2008 e nel 2009 gli stranieri regolari hanno registrato tassi di delittuosità totale superiori, ma prossimi, a quelli degli italiani. Gli irregolari invece hanno avuto tassi di delittuosità decine di volte superiori. Il problema della delinquenza straniera continua a riguardare principalmente l’immigrazione irregolare (nel 2009 il il 25,3% dei denunciati è irregolare, contro il 6,3% che è regolare). Mentre i tassi di delittuosità dei regolari sono superiori, anche se prossimi, a quelli degli italiani (il quoziente di sovraesposizione, cioè il rapporto tra il loro tasso e quello degli italiani, oscilla infatti tra 3 l’1,3 per il totale dei reati nel 2009 e un massimo di 2,7 per i furti), i tassi di delittuosità stimati degli irregolari sono superiori: nel 2008 per il furto per omicidio superano di 11,7 quelli degli italiani e nel 2009 per furto arrivano ad essere di 45,6 volte maggiori. L’affermazione che gli irregolari sono criminali è falsa. I dati su esposti non avallano l'affermazione, falsa, che gli irregolari siano criminali. I dati indicano che l'irregolarità in Italia aumenta la probabilità del verificarsi di un evento criminale. Il che non significa che tutti gli irregolari siano delinquenti o che tra essi non ci siano in maggioranza persone oneste e tanti sfruttati nel lavoro nero. Più immigrati non vuol dire più delinquenza. Non è vero che più immigrati vogliono dire tout court più delinquenza. Non c’è una relazione diretta tra aumento dei permessi di soggiorno e delinquenza degli stranieri. Nel 2005 le province italiane con tassi più alti di soggiornanti regolari non sono quelle che hanno tassi di stranieri denunciati più alti. All’aumentare del tasso di permessi, diminuisce quello di stranieri denunciati. Perché delinquono. Tra le cause principali di delinquenza totale degli stranieri nelle province italiane troviamo: condizioni economiche di disagio (bassi salari), presenza di criminalità organizzata straniera, e irregolarità lavorativa di basso livello. Non è quindi l'immigrazione di per sé che reca criminalità, ma sono le caratteristiche di certa immigrazione che, in determinati casi, possono farlo con riferimento ad alcune tipologie di criminalità. Rispetto alla criminalità in Italia gli stranieri hanno molti fattori di rischio e pochi di protezione. Sono le condizioni in cui spesso vivono gli stranieri che aumentano la probabilità che alcuni commettano atti criminali o altri diventino vittime di criminalità. 5) QUANTO PESA L'IMMIGRAZIONE SUL WELFARE Benefici fiscali. Un dato di sintesi si ottiene calcolando il beneficio fiscale netto, cioè la differenza fra i trasferimenti ricevuti dal settore pubblico e quanto pagato al settore pubblico stesso. L’analisi individuale evidenzia un beneficio fiscale netto per gli immigrati extra-EU inferiore di circa 3.000 euro annui a quello degli italiani, per lo più giustificabile per la minore incidenza dei costi sanitari e previdenziali dovuti all’invecchiamento. Il risultato viene confermato dall’analisi a livello familiare, che indica un beneficio fiscale netto superiore per le famiglie italiane rispetto a quelle extra-EU, per oltre 3.800 euro. Gli immigrati pagano meno imposte. Passando al prelievo fiscale, in media le imposte personali, i contributi sociali e Ici ammontano a 6.407 euro per gli italiani, 5.921 euro per gli immigrati Ue e 5.735 euro per gli immigrati extra-Ue. Il maggior importo di imposte personali pagate dagli italiani (più 950 euro rispetto agli immigrati extra-Ue) è spiegato dal reddito medio più elevato. Inoltre se si restringe il campione ai soli attivi, l’importo medio dei contributi sociali versato dagli italiani risulta superiore (di 1.699 euro) a quello degli immigrati extra-Ue. Per informazioni: Ufficio stampa Ismu Via Copernico, 1 – 20125 Milano 02.6787791 – 335.5395695 ufficio.stampa@ismu.org www.ismu.org 4 Ismu 2010/01_Presentazione.pdf Quadro generale sull'immigrazione La popolazione straniera presente in Italia al primo gennaio del 2010 è stimata da ISMU in 5,3 milioni di unità, di cui 5,1 milioni provenienti dai così detti Paesi a forte pressione migratoria, con una crescita di circa 500mila unità rispetto al 2009. I regolarmente iscritti in anagrafe sono 4 milioni e 279mila (+ 388mila rispetto al 2009). Con riferimento a questo anno, sottolineo qui di seguito alcuni aspetti particolarmente significativi. 1) Nonostante la persistente vivacità del fenomeno, si sono rilevati alcuni segnali di un suo rallentamento, verosimilmente causato dalla difficile congiuntura economica. I dati anagrafici evidenziano una riduzione dei flussi netti proprio a partire dalla primavera del 2008, riduzione che ha riscontro in un saldo migratorio con l’estero per l’anno 2009 che è inferiore del 12% rispetto a quello del 2008 e del 36% rispetto a quello del 2007. Ciò trova ulteriore conferma nel 2010, con un valore del saldo relativo al primo semestre che è circa il 40% inferiore a quanto osservato nello stesso periodo del 2007 in epoca precrisi. 2) Irregolarità Nel rapporto di quest’anno si è ritenuto dedicare largo spazio all’irregolarità colta in chiave comparativa internazionale. L’irregolarità è infatti un fenomeno rilevante in molti paesi e in ciascuno di essi è vissuta in maniera differente: l’irregolarità per le Americhe si misura soprattutto con la paura del terrorismo, per l’Asia riguarda prioritariamente lo sfruttamento organizzato della manodopera, per l’Africa cancella ogni rispetto della persona che diventa vittima del ricatto e della paura. Le stime sulla presenza immigrata in Europa, per l’anno 2009, mettono in evidenza che i primi cinque paesi per numero complessivo di immigrati sprovvisti del titolo di soggiorno sono Regno Unito, Italia, Germania, Francia e Spagna. Aggregando queste stime nazionali a livello di UE-27, si ottiene una stima della popolazione irregolare complessiva compresa tra 1,9 e 3,8 milioni di 1 Presentazione XVI Rapporto ISMU 13 dicembre 2010 Vincenzo Cesareo, Segretario Generale Fondazione Ismu persone. Questi valori corrispondono a circa lo 0,4–0,8% della popolazione totale e al 7–13% della popolazione immigrata regolare (dal sito www.neodemos.it) Le stesse stime del 2008 avevano individuato una presenza irregolare tra i 2 e 4 milioni circa, con una netta concentrazione nell’area dei 15 membri iniziali, così come avviene per le presenze regolari (dal capitolo di Livia Ortensi per il Rapporto) 3) Minori A partire dai valori rilevati dall’ISTAT negli ultimi anni, ISMU ha calcolato al 31 dicembre 2010 la presenza di oltre 1 milione di minori stranieri, triplicati nel corso di 7 anni. Di questi circa il 60% risulta essere nato in Italia. Si tratta certamente di un contributo importante per dare vitalità alla demografia del nostro paese, sebbene vada nuovamente ribadito come esso non risolva, anche in prospettiva, il problema del calo della natalità in Italia che richiede di essere affrontato con maggiore sostegno alle famiglie. 4) Lavoro: Come già segnalato nel 2009, nel 2010, l’occupazione degli stranieri ha conosciuto un andamento opposto a quello complessivo del Paese. Mentre l’occupazione degli italiani ha registrato un’ulteriore contrazione rispetto al 2009, gli occupati stranieri sono aumentati di oltre il 10% e addirittura del 14% per quanto riguarda la componente femminile. Gli stranieri rappresentano ormai oltre l’8% degli occupati totali e quasi il 9% delle occupate. Questi andamenti sembrerebbero corroborare l’ipotesi dell’esistenza di mercati del lavoro separati e, in particolare, confermare i caratteri del tutto specifici dell’offerta immigrata femminile, che s’indirizza a sbocchi non solo “di genere”, ma altrettanto etnicizzati. Alla luce di ciò, si può affermare che il contestuale aumento del tasso di disoccupazione degli stranieri sia da attribuire alla crescita dell’offerta di lavoro e a un afflusso di nuova manodopera dall’estero sovradimensionato rispetto alle opportunità di assorbimento che pure non sono mancate. In altre parole in Italia l’immigrazione non è certo passata indenne attraverso la crisi, ma ne ha subito le conseguenze in misura non così drammatica com’è avvenuto in altri paesi. Quali sono stati gli elementi che hanno consentito ciò? a) In primo luogo, l’elevata femminilizzazione e la sostenuta partecipazione delle donne immigrate al mercato del lavoro. b) In secondo luogo, paradossalmente, la forte concentrazione degli stranieri nei cosiddetto “lavori da immigrati”, la cui etnicizzazione ha eretto barriere simboliche all’ingresso degli italiani, solo virtualmente intaccate in tempi di crisi. c) In terzo luogo, la rilevante consistenza dell’economia sommersa. 5) Salute: 2 Emerge una mappa dell’Italia che offre standard di accoglienza e di assistenza estremamente diversificati in termini di efficacia. Tra gli aspetti che maggiormente diversificano l’offerta a livello territoriale si rileva: la formazione specifica degli operatori, la presenza di enti o istituzioni, che monitorino costantemente le dinamiche del fenomeno migratorio, l’utilizzo dei mediatori linguistico culturali. 6) Scuola Dagli ultimi dati relativi all’a.s. 2009/10, emerge che sono 673.592 gli allievi stranieri nelle scuole italiane (il 7,5% della popolazione scolastica). Non vi sono novità significative riguardo alle provenienze (tra le prime nazionalità si confermano Romania, Albania, Marocco, Cina, Ecuador). Si evidenzia inoltre che, a parità di status e di capacità, nella scelta della scuola superiore pesa l’essere straniero: è aumentato infatti il numero di stranieri negli istituti professionali. 7) Devianza Nel 2009 gli stranieri denunciati dalle forze di polizia sono il 31,7% dei denunciati totali, ma la loro incidenza è in diminuzione dagli anni precedenti. Infatti nel 2009, secondo gli ultimi dati disponibili del Ministero degli Interni, il numero dei denunciati stranieri dalle forze di polizia è diminuito del 13,9% rispetto al 2008. Nel 2009 i denunciati stranieri sono 260.883 (su un totale di 823.406). Dal 2008 al 2009 gli stranieri denunciati si sono ridotti anche in numero assoluto. Sempre negli stessi anni (2008-2009) gli stranieri regolari hanno registrato tassi di delittuosità totale superiori, ma prossimi, a quelli degli italiani. Gli irregolari invece presentano tassi di delittuosità decisamente superiori. Va però respinta l’equazione irregolarità=criminalità, sebbene dagli inizi degli anni Novanta le denunce contro stranieri irregolari abbiano subito un forte aumento percentuale, superiore a quello dei permessi di soggiorno. 8) Welfare I dati ottenuti calcolando il beneficio fiscale netto, cioè la differenza fra i trasferimenti ricevuti dal settore pubblico e quanto pagato al settore pubblico stesso, hanno messo in evidenza un beneficio fiscale netto per gli immigrati extra-EU inferiore di circa 3.000 euro annui a quello degli italiani, per lo più giustificabile per la minore incidenza dei costi sanitari e previdenziali dovuti alla struttura per età più giovane. Il risultato viene confermato dall’analisi a livello familiare, che indica un beneficio fiscale netto superiore per le famiglie italiane rispetto a quelle extra-EU, per 3.800 euro. Con riferimento al prelievo fiscale, in media pro-capite le imposte personali, i contributi sociali e l’Ici ammontano a 6.407 euro per gli italiani, 5.921 euro per gli immigrati Ue e 5.735 euro per gli immigrati extra-Ue. Il maggior importo di imposte personali pagate dagli italiani (più 950 euro rispetto agli immigrati extra-Ue) è spiegato dal reddito medio più elevato. 9) Rimesse 3 Nonostante la crisi, le rimesse hanno registrato un lieve incremento annuo dal 2008 al 2009 di circa il 6%. Si constata un’indubbia supremazia della Cina, quale paese di destinazione, con quasi 2 miliardi di euro di rimesse (+28%) seguita dalla Romania (+ 26%) e, al terzo posto, dalle Filippine. 10) Atteggiamenti Secondo un’indagine del giugno 2010, per il 18% degli italiani l’immigrazione costituisce un pericolo per il Paese, subito dopo la disoccupazione e la corruzione. Il sondaggio ha permesso anche di tracciare un identikit dell’italiano maggiormente preoccupato per la presenza degli immigrati: è anziano, single e vive soprattutto nel Nord Est, in un comune con meno di 30mila abitanti. Se allarghiamo lo sguardo all’Europa, possiamo rilevare che la preoccupazione per gli effetti dell’immigrazione è particolarmente elevata nel nostro Paese in quanto si colloca al secondo posto subito dopo la Gran Bretagna, che presenta la più alta percentuale di “cittadini preoccupati” tra gli europei. Per quanto riguarda il legame tra immigrazione e criminalità, il 77% degli italiani teme che i clandestini la incrementino, contro il 31% dei francesi e una media europea del 61%. Il capillare radicamento della criminalità organizzata in alcune aree del Paese sembrerebbe costituire la causa che rende più acuta che altrove la preoccupazione che gli immigrati irregolari possano essere reclutati dai malavitosi. Da una recente indagine, promossa dalla Conferenza delle Assemblee delle Regioni e delle Province Autonome, nell’ambito delle iniziative del neo Osservatorio della Camera dei Deputati sui fenomeni di xenofobia a razzismo e svolta dall’Istituto SWG di Trieste in collaborazione con IARD RPS di Milano, su un campione rappresentativo di 2.085 giovani tra i 18 e i 29 anni, emerge in maniera preoccupante la presenza, fra quasi la metà dei giovani italiani intervistati, di forme di intolleranza e di ostilità fino alla xenofobia esplicita. Europa Sempre nel 2010 vanno evidenziati i cambiamenti concernenti le migrazioni, introdotti in Europa a seguito dell’adozione del trattato di Lisbona. Il Trattato di Lisbona, entrato in vigore dal dicembre del 2009, sancisce l’avvio di una nuova fase dell’impegno delle istituzioni europee rispetto alle questioni migratorie. Come esplicitato negli articoli 79 e 80 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione, quest’ultima è chiamata a sviluppare una politica comune dell’immigrazione finalizzata ad assicurare un efficiente governo dei flussi migratori e un giusto trattamento dei cittadini dei paesi terzi residenti legalmente negli Stati membri, nonché la prevenzione e il rafforzamento delle misure atte a combattere la migrazione illegale e il traffico di esseri umani. In base a quanto stabilito dalle ordinarie procedure legislative, il Parlamento e il Consiglio europei sono sollecitati all’adozione di misure riguardanti le condizioni di ingresso e di residenza, la 4 definizione dei diritti dei migranti, il contrasto delle migrazioni illegali e del traffico degli esseri umani, con particolare attenzione alle donne e ai bambini. A tal riguardo sono previsti, da un lato, la stipula di accordi tra Unione e paesi terzi per la riammissione di quei cittadini che non soddisfano le condizioni di ingresso o di permanenza; dall’altro, la promozione di incentivi e supporti per azioni finalizzate all’integrazione dei cittadini provenienti da paesi terzi legalmente presenti. Fatta salva la piena autorità nazionale in materia migratoria, il Trattato esclude esplicitamente ogni volontà di armonizzazione di leggi e norme nazionali relative alla definizione del volume di ingressi. L’attuazione della politica comune sull’immigrazione in carico all’Unione è regolata dal principio di solidarietà e dalla condivisione della responsabilità. Pertanto - se ad esempio si considerano gli strumenti finanziari messi in campo dalla Commissione attraverso i quattro fondi del programma generale Solidarietà e gestione dei flussi migratori (fondo per le frontiere esterne, quello per i rifugiati, quello per l’integrazione dei cittadini provenienti dai paesi terzi e quello per i rimpatri) - un paese come l’Italia, interessato da consistenti flussi migratori, potrà usufruire di quote di finanziamento annuali più elevate di quelle di altri Stati. Oltre a ciò, un chiaro segno dell’impegno delle istituzioni europee verso una politica comune per l’immigrazione è dato dal fatto che, nella riorganizzazione della Commissione avvenuta a seguito dell’adozione definitiva del Trattato, si è deciso di dedicare una Direzione Generale alle questioni migratorie. La precedente DG Giustizia libertà e sicurezza si è infatti scissa in due nuove direzioni generali, quella per la Giustizia e quella degli Affari interni, alla quale è in carico la gestione del fenomeno migratorio a livello europeo. Accordo di integrazione Tornando all’Italia, tra le novità del 2010 va segnalato il regolamento concernente la disciplina dell’accordo di integrazione varato, nel mese di maggio, dal governo e contemplato all’interno del c.d. “pacchetto sicurezza”. L’accordo di integrazione prevede che il migrante, dall’età dei sedici anni, firmi presso lo Sportello unico o la Questura un vero e proprio contratto, della durata di due anni, contestualmente alla presentazione della domanda di permesso di soggiorno. L’accordo di integrazione assume anche una significativa valenza simbolica in quanto esso consiste in un patto tra immigrato e Stato fondato sui diritti e doveri che, se rispettati, dovrebbero agevolare i processi di integrazione. Cittadinanza Nel nostro paese la riforma della legge in materia di acquisizione della cittadinanza è da tempo oggetto di attenzione e di proposte presentate anche nel corso di questo anno, che sono attualmente 5 all’esame del Parlamento. Senza dubbio un intervento normativo che adegui la legislazione alla nuova realtà venutasi a creare anche a seguito del forte fenomeno migratorio che ha riguardato l’Italia è sempre più necessario. Per gli immigrati, l’ottenimento della cittadinanza rappresenta un traguardo importante nel proprio progetto migratorio sebbene non costituisca necessariamente la principale priorità. Un traguardo che offre determinati diritti e che richiede l’assunzione di doveri, ma che, specialmente in alcuni paesi di consolidata esperienza migratoria, è subordinato al raggiungimento di un discreto livello di preparazione: si pensi -solo per fare qualche esempio – ai test di lingua o di conoscenza della cultura e delle norme del paese nel quale si presenta la domanda, previsti in Germania e negli Stati Uniti. I minori e il loro status di “non cittadini”, in particolare se nati in Italia, rappresentano il principale elemento di dibattito. La stessa Fondazione Ismu ha infatti più volte rilevato, sulla base di riscontri empirici, la problematicità del vivere da straniero nel paese in cui si è nati: nella maggior parte dei casi i giovani nati o anche solo cresciuti in Italia si sentono, più dei loro genitori, già “italiani”. Volti positivi dell'immigrazione: imprenditorialità e associazionismo Oltre a queste questioni che rimangono aperte vanno evidenziati anche alcuni aspetti che confermano il radicamento attivo degli immigrati nel nostro paese. Mi limito a richiamarne due: l’imprenditoria e l’associazionismo. L'imprenditoria etnica è una realtà degna di particolare attenzione, che costituisce un indicatore significativo del grado di radicamento degli stranieri nel sistema economico produttivo e nella società. Essa è riconducibile, come dimostrano i dati, in buona parte all'avvio e alla gestione di imprese individuali: ogni anno vengono avviate circa 37mila attività con a capo un lavoratore non comunitario, un segno di vivacità imprenditoriale che contribuisce in modo significativo ad assicurare un trend positivo rispetto all'andamento demografico delle attività registrate presso le camere di commercio del paese. Al 31/12/2009 più di sette imprese individuali su 100 risultano condotte da immigrati. Il passaggio al lavoro autonomo è poi il segno tangibile del percorso di emancipazione intrapreso: gli immigrati, dall’essere lavoratori salariati e spesso subalterni, cercano di percorrere sentieri di mobilità e di crescita professionale, migliorando le loro condizioni solamente dopo un discreto numero di anni nella società di destinazione e dunque dopo aver consolidato la propria situazione giuridica oltre che quella occupazionale. Anche l’associazionismo, promosso dai cittadini stranieri, è un fenomeno che testimonia la vitalità della presenza immigrata in Italia; un fenomeno che può costituire – e in parte già costituisce – un importante strumento per l’integrazione e la partecipazione degli stranieri alla vita sociale del paese. 6 Purtroppo mancano ancora stime accurate circa la presenza del fenomeno a livello nazionale. Una presenza che sappiamo però essere particolarmente significativa in termini numerici – nella sola regione Lombardia, per esempio, stimiamo l’esistenza di oltre 500 associazioni di stranieri – e in crescita. Così come in crescita è l’attenzione che le istituzioni locali dedicano a queste realtà, in quanto canali privilegiati di contatto e di comunicazione tra le istituzioni stesse e le comunità immigrate. Conclusioni La consistente e crescente presenza di immigrati nel nostro paese pone necessariamente come prioritaria la questione dell’integrazione, a cui i nostri Rapporti annuali hanno dato sempre particolare rilievo. Al fine di promuovere e sostenere l’integrazione va riconosciuto che sono numerose le iniziative realizzate dalle istituzioni pubbliche e private, dal privato sociale e dalle chiese, che evidenziano una variegata tipologia di interventi. Ad essi va aggiunto anche quanto fanno in questa direzione le già citate associazioni di immigrati. Il quadro complessivo che emerge è alquanto eterogeneo sotto il profilo territoriale e induce a segnalare l’esigenza che gli interventi abbiano una maggiore durata per dimostrarsi più efficaci e che venga attuato un maggior coordinamento territoriale tra le azioni svolte, nel rispetto dell’autonomia di ciascun ente che opera e alla luce del principio della sussidiarietà verticale e orizzontale. Appare anche necessario disporre di più puntuali riscontri sull’esito degli interventi, anche allo scopo di individuare, promuovere e diffondere “buone pratiche” per sostenere i processi di integrazione. Queste considerazioni trovano peraltro autorevole sostegno nei Common Basic Principles, i principi fondamentali comuni adottati dal Consiglio Giustizia e Affari Interni già nel 2004, alcuni dei quali richiamo qui di seguito. - l’integrazione è un processo dinamico e bilaterale di adeguamento reciproco da parte di tutti gli immigrati e di tutti i residenti degli Stati membri; - l’integrazione implica il rispetto dei valori fondamentali dell’Unione europea; - l’occupazione è una componente fondamentale del processo d’integrazione ed è essenziale per la partecipazione degli immigrati, per il loro contributo alla società ospite e per la visibilità di tale contributo; - ai fini dell’integrazione sono indispensabili conoscenze di base della lingua, della storia e delle istituzioni della società ospite; mettere gli immigrati in condizione di acquisirle è essenziale per un’effettiva integrazione; - occorre sviluppare obiettivi, indicatori e meccanismi di valutazione chiari per adattare la politica, valutare i progressi verso l’integrazione e rendere più efficace lo scambio di informazioni. 7 Va comunque sottolineato che l’integrazione non è qualcosa che devono affrontare solamente gli immigrati, ma è una esigenza ineludibile e basilare di ogni società per cui riguarda tutti coloro che vivono in essa. Il processo di integrazione  in quanto requisito essenziale perché una società possa esistere  chiama in causa, seppur con modalità e contenuti diversi, non solo gli immigrati, ma anche gli stessi autoctoni. È pertanto un cammino comune di cui occorre essere consapevoli. Perché questo percorso abbia esito positivo è necessario che esso assuma, quali principi guida, il rispetto reciproco, nella condivisione del valore della dignità di ogni persona, e il rispetto delle regole che costituisce un requisito distintivo della convivenza democratica. 8 Ismu 2010/02_Premiati.pdf RICONOSCIMENTI ISMU 2010 Profilo dei vincitori Noemi Manalo, ha 52 anni, viene dalle Filippine e vive in Italia da oltre 20 anni. Dopo aver fatto mille lavori, tra cui la badante e la domestica, nel 2007 a Milano ha fondato ANIF Associazione Nazionale Italo-Filippina No Profit che si occupa di dare assistenza legale e burocratica ai suoi circa 2.500 iscritti e simpatizzanti. Sempre nel 2007 Noemi Manalo si è lanciata nel mondo editoriale dando vita al settimanale free press Kabayan Times International di cui è la responsabile. Il giornale, scritto in inglese, tagalog e italiano e distribuito su tutto il territorio nazionale in 50mila copie, è diventato in soli tre anni un ponte tra la comunità filippina e altre comunità, e viene. Grazie alle inchieste giornalistiche, portate avanti dai collaboratori volontari che lavorano alla testata, sono state scoperte e denunciate truffe e soprusi ai danni di centinaia di filippini residenti in Italia. Noemi Manalo è l’imprenditrice straniera a cui va il Riconoscimento Ismu 2010 in occasione della presentazione del XVI Rapporto sulle migrazioni. Noemi Manalo è stata selezionata perché “il suo impegno nella società non si è limitato alla ideazione di un’associazione no profit, ma l’ha spinta a lanciarsi in una impresa molto più complessa e di grande valore civile e sociale quale è la creazione di un nuovo giornale”. Info Direttore Kabayan Times International: Claudio Gatti 02.4985835/3495885052 www.kabayantimes.org Rete G2 - Seconde Generazioni è un’organizzazione nazionale apartitica fondata nel 2005 a Roma da figli di immigrati e rifugiati nati e/o cresciuti in Italia. In 5 anni di attività, Rete G2 si è diffusa anche in altre città italiane: oggi è presente a Milano, Prato, Genova, Mantova, Arezzo, Padova, Imola, Bologna, Bergamo e Ferrara. G2 è nata con l’obiettivo di affermare i diritti negati ai figli degli immigrati che, pur essendo nati e/o cresciuti in Italia, non hanno la cittadinanza italiana. L’associazione è diventata nel corso degli anni un punto di riferimento per migliaia di ragazzi dai 18 ai 35 anni originari di diversi paesi tra cui: Filippine, Etiopia, Eritrea, Perù, Cina, Cile, Marocco, Libia, Argentina, Bangladesh, Capoverde, Iran, Sri Lanka, Senegal, Albania, Egitto, Brasile, India, Somalia, Ecuador. Inoltre G2 è diventata “portavoce” in sede istituzionale delle istanze delle seconde generazioni: tant’è che dal 2007 fa parte della Consulta nazionale del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, ed è stata ricevuta in audizione pubblica commissione Affari costituzionali della Camera per esprimere un proprio parere sia sulla riforma della legge sulla cittadinanza (legge n. 91 del 1992) che sulla riforma del Testo Unico. L’associazione viene premiata con il Riconoscimento Ismu 2010 in occasione della presentazione del XVI Rapporto sulle migrazioni “perché, attraverso il suo impegno a favore del riconoscimento del diritto cittadinanza alle seconde generazioni, mediante un costante dialogo e collaborazione con le istituzioni, governative e non, contribuisce alla modernizzazione del nostro Paese e alla costruzione di una società più equa e quindi più democratica”. Ritirano il premio Lucia Ghebreghiorges, Nura Tafeche e Anna Juana Chiabrando. Info www.secondegenerazioni.it Ismu 2010/03_Slides.pdf Una nuova fotografia dell’immigrazione  straniera in Italia Milano 13 dicembre 2010 Gian Carlo Blangiardo Fondazione ISMU-Università Bicocca Quanti e quanti in più?  Gian Carlo Blangiardo, Fondazione ISMU‐ Università Bicocca Oltre il confine dei 5  milioni di presenti La popolazione straniera  presente in Italia è stimata  in  5,3 milioni di unità al 1°  gennaio 2010, di cui circa  550mila in condizione di  irregolarità e poco meno di  500mila non (o non  ancora)  iscritta in  anagrafe. La crescita dei presenti è  stata mediamente di   431mila unità annue, ad  una tasso medio del   12,7% (equivalente  ad un  tempo di raddoppio   di 6  anni). Gian Carlo Blangiardo, , Fondazione ISMU‐Università Bicocca Gli stranieri residenti  in Italia  al 1° gennaio 2010 sono  4  milioni 235 mila, con un  accrescimento  complessivo di  344 mila unità. La variazione deriva da un  saldo naturale  positivo di 72  mila unità, 77 mila nati contro  5 mila decessi,  che si somma  ad un saldo migratorio con  l’estero  altrettanto positivo  per 331 mila unità(*). Il tutto  è attenuato da 59 mila  passaggi alla cittadinanza  italiana.  (*) Il dato deriva da un saldo migratorio con l’estero  positivo per 375 mila unità e un saldo per altro motivi   (iscrizioni e cancellazioni  per movimento interno e d’ufficio)  negativo per 44 mila unità  Gian Carlo Blangiardo, Fondazione ISMU‐Università Bicocca Il bilancio degli italiani Per il terzo anno consecutivo la  popolazione di cittadinanza  italiana è in diminuzione  (nonostante il flusso positivo di  nuovi cittadini).   Gli italiani residenti al 1° gennaio  2010 sono 56 milioni 105 mila,  con una riduzione di 49 mila unità  nel corso dell’anno 2009. La variazione deriva da un saldo  naturale  negativo di 95 mila unità  che si somma ad un saldo  migratorio con l’estero negativo  per 13 mila unità. Il tutto è  attenuato da 59 mila nuove  acquisizioni di cittadinanza Gian Carlo Blangiardo, Fondazione ISMU‐Università Bicocca La crescita rallenta  (100mila in meno nel 2010 ?) Negli ultimi tempi sono emersi  segnali di rallentamento della  crescita che vanno  verosimilmente attribuiti  all’azione frenante innescata dalla  difficile congiuntura economica.  Se infatti si analizzano le  risultanze relative al saldo mensile  delle iscrizioni e delle  cancellazioni anagrafiche a livello  nazionale si può cogliere una  riduzione dei flussi netti proprio a  partire dalla primavera del 2008.  Riduzione che ha riscontro in un  saldo complessivo per l’anno 2009  inferiore del 12% rispetto a quello  del 2008 e del 36% rispetto a  quello del 2007. Ciò trova  ulteriore conferma nel 2010, con  un valore del saldo relativo al  primo semestre che è circa il 60%  di quello osservato nello stesso  periodo del 2007 in epoca“pre‐ crisi” Gian Carlo Blangiardo, Fondazione ISMU‐ Università Bicocca Gian Carlo Blangiardo, Fondazione ISMU‐ Università Bicocca Segnali di maturazione  Gian Carlo Blangiardo, Fondazione ISMU‐ Università Bicocca La progressiva trasformazione  dell’immigrazione straniera da  “lavoratori” a “famiglie di  lavoratori” sembra ormai una  realtà in atto da alcuni anni. Il  confronto tra i dati delle indagini  nazionali ISMU del 2005 e del  2009 mostra  come la quota di  immigrati che vivono in una  famiglia di tipo nucleare (in  coppia e/o con figli) sia  aumentata in un quadriennio di  circa 5 punti percentuali per i casi  di presenza del coniuge e di 2,5  punti per quelli di nucleo  monogenitore. E se è vero che  nello stesso arco di tempo sono  aumentati anche i soggetti soli ,  va sottolineato come si sia più  fortemente ridotta, praticamente  dimezzandosi la quota di coloro  che vivono, da ospiti o in  coabitazione, con amici e  conoscenti. Gian Carlo Blangiardo, Fondazione ISMU‐ Università Bicocca La presenza di minori e  di seconde generazioni La popolazione minorenne si è  accresciuta triplicandosi in poco  meno di un decennio: da 295mila  unità nel 2001 a 941mila al 31  dicembre 2009. Di esse più della metà riguarda  soggetti nati in Italia: 581 mila  alla fine del 2009. D’altra parte nel corso del tempo  è andata progressivamente  aumentando anche   la frequenza  annua di nati stranieri.  Erano  circa 30mila nell’anno 2001 e  sono saliti a 74mila nel bilancio  del 2009. Si tratta di un contributo  importante per la vitalità del  nostro paese, ma (come si vedrà  tra breve) non risolutivo al fine di  invertire la tendenza al calo della  natalità in Italia. Gian Carlo Blangiardo, Fondazione ISMU‐ Università Bicocca Numero medio di figli per donna nella popolazione straniera. Italia 2006-2009 Fonte: Istat Gian Carlo Blangiardo, Fondazione ISMU‐ Università Bicocca Riflessioni  sul terreno delle prospettive  Gian Carlo Blangiardo, Fondazione ISMU‐ Università Bicocca Quali scenari per il  prossimo ventennio ? Alla luce delle dinamiche in atto, le  previsioni  di fonte ufficiale Istat  (opportunamente aggiornate per  ricondurne la base al 1 gennaio  2010)  segnalano il passaggio dai  60,3 milioni di residenti del 2010 ai  62,3 nel 2030, ma  ciò avviene  unicamente per effetto del  contributo della componente  straniera. L’incognita legata  tali  scenari deriva dall’accettazione (o  meno) dell’assunto, che sta alla  base delle previsioni  Istat,   secondo cui  il saldo medio  delle  migrazioni straniere dall’estero  sarebbe di 195mila unità annue nel  decennio 2010‐2019 e di 174mila  nel decennio 2020‐2029  (una  media annua di 185mila per il  complesso del ventennio). Gian Carlo Blangiardo, Fondazione ISMU‐ Università Bicocca La questione del contributo  straniero  per compensare il calo  dell’offerta di lavoro autoctona La dinamica demografica  che va delineandosi   mette in risalto  il consistente calo dell’offerta  di lavoro da parte di cittadini italiani (circa 5  milioni di 18‐64enni in meno tra oggi e il 2030)  e la relativa  parziale compensazione da parte  dell’offerta straniera che, dai 3,2 milioni di  soggetti in età lavorativa del 2010 , potrebbe  passare (stando alle previsioni Istat) a 5,8   milioni nel 2030. Tuttavia anche con quest’ultimo apporto i  38milioni di residenti 18‐64enni che oggi  caratterizzano il nostro paese sono destinati a  scendere a 36milioni nel 2030.  Servirebbe dunque un contributo  compensativo maggiore sul fronte dei flussi  migratori? I poco meno di 200mila immigrati netti annui  ipotizzati  negli scenari  Istat  (e  perseguibili  come realistico obiettivo  nelle programmazioni  future) non sono  dunque sufficienti?   Occorrono  flussi  più consistenti? Ma  siamo  certi che una tale soluzione sia così  necessaria  e opportuna ?   Gian Carlo Blangiardo, Fondazione ISMU‐ Università Bicocca Quale compensazione ? A ben vedere, sono  sostanzialmente gli italiani  nella fascia più giovane, i 18‐ 44enni, quelli che perdono 5  milioni di unità tra il 2010  e il  2030.  Ma la loro  compensazione attraverso  stranieri con  la stessa età si  limita a un milione di unità. La  crescita della componente di  offerta straniera  nella  popolazione in età attiva è  largamente concentrata nel  segmento più “maturo” (i 45‐ 64enni). Un segmento per il  quale l’offerta italiana non   segnala contrazioni  significative e  non sembra   affatto necessitare di apporti  compensativi.  Gian Carlo Blangiardo, Fondazione ISMU‐ Università Bicocca Aspetti territoriali della  compensazione  Prendiamo atto come, con gli scenari  (e i  numeri)  prospettati dall’Istat , nei  prossimi quindici anni  al calo  generalizzato della forza lavoro giovane di  cittadinanza italiana  si contrapponga  ovunque un accrescimento  di quella  straniera e della stessa forza lavoro   italiana in età più matura. Se dunque l’equilibrio è tutto sommato  garantito con una media di poco meno di  200mila migrazioni nette all’anno  sia al  Nord che al Centro Italia, per quale  motivo converrebbe accrescerne la  consistenza numerica ? Certo non per attenuare il salasso di  offerta giovanile che si prospetta nel  Mezzogiorno .  Se infatti  la dinamica  demografica sembra poter allentare il   dramma della disoccupazione dei giovani   meridionali, per quale motivo spingere su  una maggiore immigrazione?   (che per  altro finirebbe spesso  per spostarsi al  Centro‐Nord)  Gian Carlo Blangiardo, Fondazione ISMU‐ Università Bicocca Anche la popolazione  straniera è destinata a  subire il processo di  invecchiamento L’immigrazione , quand’anche  dovesse mantenersi a livelli  sostenuti  può solo rallentare  l’invecchiamento  demografico.  Nel medio periodo, quando la  permanenza diventa  definitiva, anche per gli  immigrati si presenta il  confine della terza età.    Gian Carlo Blangiardo, Fondazione ISMU‐ Università Bicocca Osservazione finale (tra calcoli e provocazioni) Dal 1 gennaio 2010  al 1 gennaio 2030 Ingressi  nella popolazione  residente ultra65enne 16,5 milioni Uscite dalla popolazione residente  ultra65enne 11,9 milioni Surplus (entrate‐uscite) 4,6 milioni Corrispondente popolazione in  età 20‐64 necessaria  nel  ventennio per compensare il  surplus e mantenere il rapporto  Anziani x 100 attivi  a livello del   2001 pari a 33,3 13,8 milioni Media annua 692 mila Se è vero che, secondo lo scenario  Istat dove si prevedono flussi medi di  185mila unità,   tra il 2010 e il 2030  si  registreranno  16,5 milioni di ingressi   nella popolazione ultra65enne   residente in Italia e  11,9 milioni di  uscite, la dimensione complessiva del  collettivo si accrescerà di 4,6 milioni di  unità. Assumendo  l’obiettivo di mantenere   l’indice di dipendenza degli anziani al  valore di 33,3 registrato nel 2010  occorrerebbe, per compensare la  crescita di cui sopra, un analogo  aumento di  13,8 milioni di soggetti in  età attiva. Se fossero solo  gli immigrati a fornirlo  ciò equivarrebbe ad un saldo netto  medio  annuo di 692mila unità che,  aggiunte alle 185mila standard,  arriverebbero a 877mila  nuovi  immigrati stranieri ogni anno!! Gian Carlo Blangiardo, Fondazione ISMU‐ Università Bicocca Grazie per l’attenzione Gian Carlo Blangiardo, Fondazione ISMU‐ Università Bicocca Ismu 2010/04_Zanfrini.pdf XVI RAPPORTO SULLE MIGRAZIONI 2010 Laura Zanfrini (Fondazione ISMU) presenta Immigrati e lavoro I numerosi report predisposti dalle principali agenzie internazionali sono unanimi nell’affermare che la recessione che ha investito l’economia mondiale abbia prodotto pesanti conseguenze sulla mobilità umana, sui percorsi lavorativi degli immigrati e sulla loro capacità di risparmio, sollecitando al contempo un riorientamento delle politiche migratorie e per gli immigrati. Il drastico peggioramento delle opportunità occupazionali per i migranti ha spinto molti paesi a rimettere mano alle proprie politiche in materia d’immigrazione e ad avviare una riflessione sull’impatto di lungo termine di questa drammatica recessione, fino ad indurre a pronosticare l’avvento di una “nuova era per le migrazioni economiche”. In tale scenario, il mercato del lavoro italiano parrebbe avere dimostrato un’inattesa capacità di “tenuta”, conformandosi solo in parte ai trend internazionali. È proprio sulle ragioni di questa capacità di tenuta che si sofferma l’approfondimento dedicato al lavoro contenuto nel XVI Rapporto, proponendo una chiave di lettura controcorrente rispetto ai toni drammatici che caratterizzano altre analisi (peraltro difficilmente conciliabili con la contestuale richiesta di assecondare, anche attraverso nuove operazioni di regolarizzazione di massa, il presunto fabbisogno di lavoro immigrato). Peraltro, coerentemente con l’approccio critico e obiettivo ad un tempo che da sempre caratterizza questo approfondimento, il capitolo non manca di 1 sottolineare come proprio questa capacità di tenuta sia rivelatrice degli elementi di debolezza della vicenda italiana, e meriti pertanto un’attenta riflessione sia da parte degli attori economici sia da parte dei policy makers. Ancora una volta, come già lo scorso anno, l’occupazione degli stranieri ha dunque conosciuto un andamento opposto a quella complessiva. Mentre quest’ultima registra un’ulteriore contrazione rispetto allo stesso periodo del 2009, gli occupati stranieri registrano un aumento di oltre il 10%, e addirittura del 14% per la componente femminile. Gli stranieri rappresentano ormai oltre l’8% degli occupati totali, e quasi il 9% delle occupate. Questi andamenti sembrerebbero corroborare l’ipotesi dell’esistenza di mercati del lavoro separati e, in particolare, confermare i caratteri del tutto specifici dell’offerta immigrata femminile, che s’indirizza a sbocchi non solo “genderizzati”, ma altrettanto etnicizzati, com’è del resto ampiamente noto. Alla luce di queste considerazioni, sembrerebbe di potere affermare che il contestuale aumento del tasso di disoccupazione degli stranieri sia da attribuire alla crescita dell’offerta e a un afflusso di nuova manodopera dall’estero sovradimensionato rispetto alle opportunità di assorbimento che pure non sono mancate. Detto in altri termini, l’incremento del numero di occupati stranieri durante la recessione non significa che quest’ultima li abbia lasciati indenni; al contrario, essi si sono trovati a fronteggiare contemporaneamente il rischio di perdere il proprio lavoro (specie per gli occupati nell’industria) e l’accresciuta concorrenza determinata dalla dinamica dei nuovi flussi. Il tasso di occupazione degli stranieri si è infatti ridotto in maniera più drastica rispetto a quello complessivo, un andamento che è peraltro imputabile alle cattive performance della componente maschile, quella che ha maggiormente risentito della crisi, laddove il tasso di occupazione femminile è addirittura cresciuto, nonostante l’aumento dell’offerta di lavoro. Quali sono dunque gli elementi che hanno consentito all’immigrazione in Italia di passare non certo indenne attraverso la crisi, ma di subirne le conseguenze in misura non così drammatica com’è avvenuto in diversi altri paesi? a) In primo luogo, l’elevata femminilizzazione e la sostenuta partecipazione delle donne immigrate al mercato del lavoro. Tratto peculiare del modello italiano d’integrazione fin dagli albori della transizione migratoria del paese, questo aspetto si è consolidato nel tempo, via via che cresceva la propensione delle famiglie italiane a ricorrere a 2 quel “welfare parallelo” fatto dal lavoro di cura svolto dalle immigrate. Orbene, fra tutti i comparti a elevata concentrazione di immigrati, quello del lavoro domestico e di cura è, per ovvie ragioni, il meno sensibile agli andamenti congiunturali dell’economia, aspetto primario per la tenuta dell’occupazione degli stranieri in Italia e, nel suo contesto, delle performance comparativamente migliori registrate dalla componente femminile. b) In secondo luogo, paradossalmente, la forte concentrazione degli stranieri nei “lavori da immigrati”, la cui etnicizzazione ha eretto barriere simboliche all’ingresso degli italiani, solo virtualmente intaccate in tempi di crisi. La consistenza della domanda di personale non qualificato espressa dalle imprese – decisamente superiore a quella registrabile negli altri maggiori paesi europei –, palesemente incoerente con le aspettative di un’offerta di lavoro autoctona sempre più scolarizzata, configura un eccezionale serbatoio d’opportunità per la manodopera d’immigrazione. Così, se la bassa qualità costituisce la cifra distintiva del lavoro immigrato in Italia, una conseguenza per certi aspetti virtuosa sembra essere costituita dalla relativa maggiore protezione dal rischio di disoccupazione; c) In terzo luogo, la consistenza dell’economia sommersa. È ben noto il ruolo che questo segmento dell’economia ha svolto nel percorso d’integrazione degli immigrati in Italia, rappresentando per molti di essi il primo sbocco accessibile all’indomani del loro approdo nel paese, e una sorta di passaggio obbligato anche per quanti sono poi transitati nel mercato del lavoro regolare, una volta ottenuto un valido documento di soggiorno. Orbene, i flussi irregolari hanno per molti aspetti la capacità di adattarsi agli andamenti congiunturali in modo più rapido di quanto non avvenga per i flussi regolari, soggetti ai tempi lunghi della programmazione e delle procedure di legge: v’è dunque ragione di ritenere che le informazioni riguardo alla saturazione degli sbocchi occupazionali più consueti siano rapidamente transitate attraverso le catene migratorie, calmierando i nuovi ingressi in modo più efficace di quanto non sappiano fare i provvedimenti ufficiali. Al contempo, è facile pensare che il sommerso abbia costituito, nelle fasi più buie della crisi, una valvola di sfogo al problema della disoccupazione immigrata, dirottando verso tale segmento quanti avevano difficoltà a 3 trovare un lavoro regolare, così come quanti sono rimasti esclusi dal sistema delle quote (peraltro ridotte rispetto agli anni precedenti). Lo dimostra l’entità delle richieste di regolarizzazione presentate in occasione del provvedimento riservato ai lavoratori del settore domestico. Queste caratteristiche rendono per un verso quello italiano un caso atipico nel quadro continentale, configurando anche un’ipoteca sulla possibilità d’adottare una politica comune europea per l’immigrazione economica. Al tempo stesso, però, fanno dell’Italia un caso esemplare relativamente ad alcuni nodi irrisolti della vicenda europea; tre in particolare: 1) mentre l’Europa sembra decisamente convergere con la tendenza dei grandi paesi d’immigrazione extraeuropei a privilegiare l’afflusso di lavoratori ad alta qualificazione e ad alto potenziale, i caratteri della domanda di lavoro immigrato in Italia rendono palese la mancanza di un canale adeguato per l’ingresso di immigrati disponibili a svolgere lavori a bassa o nulla qualificazione. Si tratta di un problema che da circa un decennio segnaliamo nel nostro Rapporto, e che ora sembra avere finalmente intercettato l’attenzione delle istituzioni comunitarie; 2) un secondo è quello che Zanfrini definisce “il paradosso irrisolto della vicenda europea”, il paradosso di una popolazione di “lavoratori ospiti” promossi a denizen, senza che siano significativamente mutate le aspettative degli europei nei riguardi dell’immigrazione, sintetizzate dall’espressione “possono entrare coloro che hanno un lavoro; più precisamente un lavoro che noi non vogliamo fare”. Prova ne sia che, perfino durante le fasi più acute della crisi, l’Italia ha mantenuto aperto un consistente canale d’immigrazione legale e ha lanciato un provvedimento di emersione del lavoro nero destinato prioritariamente a regolarizzare gli immigrati privi di documenti; 3) un’ulteriore peculiarità dell’approccio europeo (e italiano), consiste nel vincolare il diritto all’ingresso e al soggiorno alla condizione lavorativa. Un’illusione ampiamente però sconfessata dalla storia degli ultimi quarant’anni, che ha registrato una notevole autonomia dell’immigrazione in rapporto agli andamenti occupazionali. Di nuovo l’Italia costituisce un caso esemplare, se si pensa che il periodo di sei mesi di soggiorno regolare concesso a coloro che hanno perso il lavoro, per quanto uno dei più lunghi a livello europeo (secondo le informazioni in nostro possesso), è da molti 4 giudicato insufficiente per trovare un nuovo impiego e per condurre con successo un programma di reinserimento occupazionale. Ridiscutere la normativa è certo legittimo, ma altrettanto opportuno sarebbe sganciare progressivamente il diritto alla mobilità da quello all’immigrazione. Se mai, come in una fase di crisi, l’ingresso di nuovi lavoratori deve essere contingentato e raccordato agli effettivi bisogni del mercato del lavoro, va però riconosciuto come, in un mondo sempre più globalizzato, vincolare la possibilità d’attraversare regolarmente i confini tra gli Stati alle necessità dell’economia è una scelta che si rivela spesso controproducente, oltre che moralmente discutibile. Ma un simile passaggio implica, è quasi superfluo ricordarlo, un’effettiva capacità di contrasto dell’economia sommersa, in mancanza della quale ogni riforma legislativa avrà l’inevitabile effetto di risultare inefficace nel garantire il governo dell’immigrazione e nel tutelare le frange più deboli della popolazione autoctona. 5 ISMU: XVI Rapporto sulle migrazioni 2010