Argomento: 
Data: 
14 Novembre 2009
Descrizione breve: 
Giunto al compimento del suo primo decennio di attività e nell’intento di dare sistematicità alla propria proposta, il CSSC ha dedicato l’ XI Rapporto annuale al soggetto fondamentale dell’azione educativa della scuola cattolica: la persona.
Contenuto nascosto: 
Centro Studi per la Scuola Cattolica (CSSC) Via Aurelia 468 - 00165 Roma Tel. 0666398450 – Fax 0666398451 e-mail: csscuola@chiesacattolica.it t sito web www.scuolacattolica.it Presentazione a cura di G. Malizia del volume CSSC-CENTRO STUDI PER LA SCUOLA CATTOLICA LA SCUOLA DELLA PERSONA Scuola cattolica in Italia Undicesimo Rapporto Editrice La Scuola – Brescia – 2009 Compiuto il suo primo decennio di attività e mosso dall’intento di dare sistematicità alla propria proposta, il CSSC ha inteso dedicare il suo XI Rapporto annuale al protagonista dell’azione educativa della scuola cattolica: la persona. Dopo avere indagato i soggetti – genitori, insegnanti, dirigenti, studenti – e dopo aver riflettuto sulle caratteristiche della comunità educante in cui queste componenti si incontrano, si è avvertita la necessità di passare dai contenuti ai processi, dai soggetti alle relazioni, avviando una riflessione sulla strategia pedagogica fondamentale sottesa al progetto educativo di ogni scuola cattolica. Le ricerche degli ultimi anni hanno unanimemente documentato come la centralità della persona sia il principio ricorrente in tutti i progetti educativi di scuola cattolica e sia al tempo stesso anche il valore più riconosciuto, praticato e perseguito nell’azione educativa quotidiana da parte di tutti coloro che vivono nella scuola. Si è quindi ritenuto di soffermare l’attenzione sulla pedagogia della persona quale teoria educativa propria delle scuole cattoliche. Focalizzerò questa presentazione sulla terza parte del rapporto, quella più propositiva che si incentra sulle ipotesi di intervento più importanti che il volume ha suggerito. A ciò farò precedere una sintesi quasi telegrafica dei risultati della ricerca empirica condotta su istituzioni formative par- ticolarmente significative 1. I RISULTATI DELLA RICERCA QUALITATIVA: UNA SINTESI A sostegno della riflessione teorica è stata condotta una ricerca qualitativa, nella forma di osservazione partecipata in alcune scuole che in qualche modo potevano risultare esemplificative dell’attenzione educativa alla persona. Sono state individuate cinque istituzioni corrispondenti ai di- versi ordini e gradi di scuola con l’aggiunta della formazione professionale. Anche se non c’era al- cuna esigenza di rappresentatività, le scuole sono state variamente distribuite sul territorio naziona- le. Le scuole osservate non vengono proposte come esemplari di una pedagogia della persona ma semplicemente come esemplificative di ciò che è possibile fare nelle diverse condizioni strutturali e operative. Pur nella varietà delle situazioni, emergono con una certa chiarezza alcune costanti che sem- brano essere espressione di una specifica attenzione alla centralità dell’alunno. In primo luogo si avverte ovunque un’intenzionalità educativa rivolta alla totalità della persona, nell’insieme delle sue dimensioni cognitive, affettive, spirituali e sociali, superando una finalizzazione limitatamente sco- lasticistica. In secondo luogo emerge ovunque la consapevole ricerca di relazioni efficaci e signifi- cative tra l’alunno e i docenti o la scuola in genere, nella consapevolezza che anche il rendimento scolastico è facilitato da un clima positivo, realizzabile solo attraverso la capacità di parlare al cuore 2 di ognuno. In terzo luogo è fondamentale la costituzione di un contesto comunitario in cui le perso- ne siano riconosciute e valorizzate in quanto tali e non per il ruolo che hanno all’interno della strut- tura (alunni, insegnanti, genitori, operatori scolastici, ecc.). È inoltre determinante il ruolo della fa- miglia, da coinvolgere e corresponsabilizzare al massimo, reagendo al naturale affievolimento della sua presenza in coincidenza con la crescita del figlio-alunno. In questa logica di relazionalità comu- nitaria diviene centrale anche la persona del docente, con la sua umanità non meno che con la sua professionalità, capace di evolversi grazie ad un costante processo di formazione. In sintesi, si tratta di indicazioni che ci confortano circa la presenza di una pedagogia della persona nelle scuole catto- liche. 2. PROPOSTE DI LINEE DI AZIONE L’ottica principalmente descrittiva e interpretativa che ha caratterizzato le prime due parti del rapporto ha permesso sia di richiamare sul piano storico e teorico la visione tradizionale e attua- le della persona e i principi fondamentali della pedagogia che ad essa si ispira, sia di presentare sin- teticamente alcuni dei contesti in cui tale pedagogia si realizza concretamente. In questa maniera si sono messe a punto le condizioni per avanzare proposte di intervento che possano aiutare le scuole cattoliche ad essere sempre di più scuole della persona. 2.1. Principi di una pedagogia della persona Utilizzando la classica formula di Boezio, ripresa in forma sintetica e sistematica da G. Ber- tagna, si può dire che realizzare una pedagogia della persona significa educare la persona secondo tre dimensioni e cioè come “sostanza”, “individuale”, “di natura razionale”. Riguardo al primo a- spetto, possiamo prendere le mosse dall’affermazione che la persona è un essere in sé non riducibile ad oggetto da nessuno, almeno in modo assoluto e definitivo, in quanto soggetto capace radicalmen- te di interiorità, autonomia, libertà, responsabilità e autotrascendenza. In questo senso, la persona è sostanza, un in sé che si trova sempre oltre il punto in cui siamo per noi e per gli altri, e che comun- que rappresenta la base essenziale che assicura la nostra unità. Sappiamo che la cultura prevalente nella nostra società ha degradato l’essere di noi stessi (del sé) e delle cose a pura immanenza, a ciò che si sente e si tocca, mentre l’oltre si identifica unicamente con l’esperienza successiva e mai con la esistenza di un Altro che trascende l’esperienza. In questo contesto, educare la persona come sostanza vuol dire abilitare i giovani a percor- rere quell’iter che li porti a riconoscere una presenza irriducibile all’esperienza fisica e corporea, ad andare oltre il relativo per attingere l’assoluto e a trattare ciascuna persona mai come mezzo ma sempre come fine. Il secondo passo consiste nell’educare la persona come sostanza individuale. Questa dimen- sione sta ad indicare non solo la natura unificante della sostanza, ma anche il fondamento della li- bertà della persona, la sua unicità e irripetibilità e il dinamismo interno che la porta intera al com- pimento. Il fatto che la persona è un essere in sé implica come corollario la pari dignità di tutti gli uomini e donne. Questo però non significa una grigia uniformità di volti tra le persone perché cia- scuno di loro è capace di libertà e di responsabilità. Le conseguenze che discendono sul piano educativo dalla natura individuale della persona sono di estrema rilevanza. Anzitutto in negativo: non si educa creando dei cloni o comunque igno- rando le diversità e cercando di portare tutti a una media statistica che sarebbe uniforme in tutti. In positivo, l’eguaglianza delle opportunità formative non significa eguaglianza di trattamento, ma e- guale possibilità di essere trattati in maniera diversa per poter realizzare le proprie capacità. In questo ambito educare la persona vuol dire operare affinché nessuno debba rinunciare alla propria unicità per imposizione esterna, ma anzi venga assicurato che ogni uomo e ogni donna diventi sem- pre più se stesso, possa contare sulle risorse necessarie per farlo, e realizzi di conseguenza al mas- 3 simo le proprie potenzialità specifiche in quanto il raggiungimento di questa meta è garanzia di cre- scita della libertà, della novità e del cambiamento. La terza ed ultima dimensione è data dall’educare la persona come sostanza individuale di natura razionale. È il fatto di essere razionale che consente alla persona di essere ciò che è. Infatti, si può dire che l’uomo vive e agisce umanamente se esercita riflessivamente e intenzionalmente la sua razionalità; inoltre, è la ragione che consente alla persona di riportare a unità le relazioni in cui è inserita. Sul piano educativo va sottolineato che gli uomini e le donne crescono come persone «quan- to più e meglio teorizzano e praticano il loro essere in ogni senso, in ogni circostanza e ad ogni li- vello “relazionali” (razionali); inoltre, quanto più “dicono” le ragioni di questo attributo, argomen- tandole e scegliendole con la critica (il perché); e, infine, quanto più, dicendole in modo critico rie- scono a ricondurre a unità di senso l’intero della loro vita e della loro esperienza, non lasciando fuo- ri di essa schegge impazzite e ir-razionali»1. Pertanto non si può considerare colto chi avesse imma- gazzinato una quantità anche grande di concetti, ma non fosse capace di collegarli tra loro e con al- tri saperi. 2.3. Verso una educazione personalizzata Un primo passo in questa direzione può consistere nel facilitare alla persona il compito di situarsi in un orizzonte di senso in modo da poter soddisfare le domande che insorgono sul dono dell’esistenza e sulla natura dialogica e relazionale dell’essere umano. Risposte molto significative a questi interrogativi possono venire dalla tradizione filosofica che si ispira al cristianesimo e dalla stessa riflessione teologica riguardante la dottrina trinitaria per cui ogni Persona divina è pienezza di essere e al tempo stesso unità. Indubbiamente si tratta di concetti che richiedono grande attenzione nella trasposizione al livello umano con un ricorso corretto ai principi dell’analogia. In questa otti- ca, la conoscenza della persona non può essere compito solo della ragione, ma richiede l’apporto delle inclinazioni affettive, delle disposizioni della volontà e più specificamente del ricorso all’intuizione e della valorizzazione dell’ordine del cuore. Come ha ricordato anche Benedetto XVI nel suo discorso al Convegno ecclesiale di Verona (19 ottobre 2006), «la persona umana non è, d’altra parte, soltanto ragione e intelligenza, che pur ne sono elementi costitutivi. Porta dentro di sé, iscritto nel più profondo del suo essere, il bisogno di amore, di essere amata e di amare a sua volta». È per questo che nell’educazione della persona «occorre preoccuparsi della formazione della sua in- telligenza, senza trascurare quella della sua libertà e capacità di amare». Si diceva sopra che è necessario educare i giovani a saper distinguere tra il valore della per- sona in sé, che va considerata come fine, e quello delle cose, che invece vanno collocate tra le cate- gorie dei mezzi, anche se sempre più condizionanti nella nostra civiltà malata di economicismo e di tecnologismo: da questo punto di vista è soprattutto importante rispettare il primato del fine (la per- sona) sui mezzi (le cose). Ciò si può anche esprimere più semplicemente dicendo che va operato un deciso e netto ritorno al fondamento, cioè all’Essere, al Vero, al Buono e al Bello. È un orientamen- to che potrebbe essere interpretato anche come un ritorno a un passato ormai scomparso, se si pen- sasse di poter ignorare il fatto che sono proprio la mancanza di senso e la rinuncia a ricercare la ve- rità che costituiscono i fattori più importanti del disagio esistenziale dei giovani. Passando dal lato degli educatori, un primo richiamo riguarda il fondamento stesso di ogni intervento in questo ambito: la convinzione che il giovane possiede in partenza tutte le potenzialità per maturare nella persona che è chiamato ad essere. In altre parole il ruolo centrale dell’educatore consiste nello stimolare e attivare quelle risorse che sono già presenti nei giovani. Nello svolgere tale compito egli deve acquisire una coscienza adeguata dei tanti condizionamenti positivi e negati- vi, interni ed esterni non solo alla persona da educare, ma anche allo stesso soggetto che è impegna- to ad educarlo: questi non dovrebbe mai smettere di continuare a maturare e a formarsi. Proprio di 1 Cfr. Cap. 10. 4 fronte al ventaglio vastissimo di potenzialità degli educandi, l’educatore dovrà offrire a questi ultimi il massimo di strategie in modo da venire incontro alle differenti esigenze dei soggetti. Quanto agli ambiti di impegno, un primo da mettere in evidenza è quello della trasmissione delle conoscenze e delle competenze perché è centrale in riferimento alla istituzione educativa di cui ci occupiamo, cioè la scuola. La persona umana, in quanto “canna pensante”, è sollecitata dalla sua natura più profonda a porsi domande sul significato della vita e della morte: si tratta però di in- terrogativi che la cultura attuale, che si concentra sul qui ed ora, tende in qualche modo a rimuove- re. A questo punto entra in gioco il compito dell’educatore che dovrà risvegliare nei giovani l’interesse per tali questioni affinché ci sia posto nella loro educazione per tutti i percorsi conosciti- vi, evitando di escluderne alcuni. La funzione appena evocata non si deve fermare al momento dell’aggiornamento delle informazioni, ma deve estendersi all’apprendimento di competenze criti- che in modo da far acquisire la padronanza di settori chiave nella costruzione della cultura persona- le. Sempre sulla stessa linea, un altro ambito centrale per lo sviluppo della persona è costituito dalla comunicazione e dalla apertura relazionale. Qui l’ostacolo maggiore è rappresentato da forme di individualismo radicale che portano a un ripiegamento su se stessi e alla chiusura nella difesa del proprio “particolare”. Al contrario, l’apertura all’altro è principio costitutivo della persona e a que- sto fine l’educatore potrà e dovrà avvalersi dei numerosi strumenti comunicativi propri dell’era del- le nuove tecnologie dell’informazione per sviluppare tale dimensione essenziale della educazione dell’essere umano. Se la scuola cattolica è anzitutto scuola, queste indicazioni valgono per i processi educativi e didattici che hanno luogo al suo interno. Comunque, c’è una identità cattolica che non è una carat- teristica semplicemente accidentale, ma è dimensione essenziale che fornisce il senso ultimo al fun- zionamento e alla vita di tale istituzione. In questo contesto va affermata anzitutto la priorità della costruzione della persona “dal di dentro” che significa muoversi nel quadro di un progetto educati- vo mirato esplicitamente alla promozione della persona. La funzione della scuola di fornire una preparazione critica e sistematica, motivata e giusti- ficata della ragione attraverso l’apprendimento di conoscenze, abilità e competenze, va attuata nella scuola cattolica con una specificità particolare che comporta un vero salto di qualità: essa va messa in stretto collegamento con l’interazione dinamica tra ragione e fede. Pertanto, non basta la raziona- lità teoretica insita nelle materie scolastiche, ma questa, in quanto razionalità immanente, va corre- lata con la ragionevolezza trascendente della fede in modo da riuscire a dare una base razionale alla nostra esistenza umana nella duplice dimensione del tempo e dell’eternità. Da questo punto di vista la scuola cattolica si può trasformare nel laboratorio sperimentale di una cultura degna non solo umanamente, ma anche di fronte a Dio. In tale impegno di far interagire dinamicamente ragione e fede non ci si può limitare a occuparsi del polo generalmente trascurato, cioè la fede, ma bisogna trovare un giusto equilibrio tra i due, e a questo scopo può aiutare un atteggiamento che trova le scuole cattoliche in difficoltà, quello di collegarsi con l’elaborazione educativo-culturale che si rea- lizza nelle scuole statali e nelle non statali laiche. Come già si è messo in evidenza, non ci si può fermare al livello della ragione, ma bisogna coinvolgere anche l’ordine del cuore. L’identità cattolica dovrà essere capace di articolare pensiero e affetti, desiderio ed azione, sogni e realtà. Non è pensabile che tale identità possa essere rigida- mente definita, ma si dovrà educare la persona ad essere capace di autotrascendenza non solo per prendere distanza da sé, ma anche per incontrare l’Altro con la “a” maiuscola. Mentre questa aper- tura dovrebbe consentire al giovane di arrivare a un buon concetto di sé perché si scopre amato da Dio, essa sarà anche paradigmatica per stabilire un rapporto con gli esseri umani colti nella loro i- dentità di fini, cioè di persone alla pari, degne di essere amate come se stessi. Questa uscita dalle proprie chiusure interne richiede contemporaneamente di umanizzare il mondo degli impulsi incon- sci, delle aspirazioni e dei desideri insoliti, quello che è stato chiamato lo straniero che è in noi. L’educazione della persona nella scuola cattolica non può essere immaginata senza una con- siderazione prioritaria della dimensione etica e religiosa. Rinviamo in proposito ad alcune conclu- 5 sioni già elaborate in occasione del nostro IX Rapporto dedicato agli studenti di scuola cattolica. Richiamammo in quella sede la necessità di formare all’eccellenza nelle virtù umane e in quelle teo- logali, puntando, nel rispetto delle finalità scolastiche, da un lato a rafforzare il legame tra cultura e vita attraverso la qualità delle relazioni personali e la testimonianza vitale di ogni componente della comunità educante, e dall’altro a realizzare anche l’integrazione tra vita e fede, innescando una di- namica che vada «dal minimo etico (= evitare il male), all’umanamente concretamente possibile (= ciò che di buono e bello si può fare concretamente, per ora), all’umanamente degno (= ciò che è va- lido in sé e per sé, oltre l’utile e il conveniente) e stimolando persino al “mistico”, cioè alla dedizio- ne senza misura, oltre ogni moda o orizzonte culturale e sociale “troppo umani”»2. In questo contesto ci si può chiedere se possiamo valutare le persone. La valutazione si rife- risce sempre alla persona dello studente, però questa affermazione va capita bene. «Occorre sempre tenere presente che valutiamo in realtà solo ciò che vediamo attorno a noi: i comportamenti (non la condotta), i risultati in un compito in classe (non la comprensione di una materia), i miglioramenti nel rendimento (non l’impegno o la motivazione), le performance (non le competenze). È quindi au- spicabile riconoscere sempre il dato e l’indicatore, la valutazione diretta e quella prodotta per infe- renza, e soprattutto spostare le espressioni valutative da connotazioni personali (“sei bravo, non hai capito, non ti impegni”) ad apprezzamenti sulla produzione (“questo compito è migliorabile, ci sono tanti errori” etc.) nel pieno rispetto di un soggetto che esibisce delle produzioni materiali all’interno di un processo di apprendimento, di crescita culturale e psicologica mai terminato, sempre in progress. Nel rispetto della persona, appunto»3. Inoltre, la valutazione dovrà essere sempre formati- va cioè inserita in tutto il processo di insegnamento-apprendimento e mirata ad aiutare l’alunno a capire la sua situazione, i progressi compiuti, le carenze esistenti e ad elaborare le strategie di inter- vento per il futuro. Da ultimo, occorre che essa sia focalizzata sull’essenziale, si impegni a progetta- re il percorso successivo e punti a cambiare le pratiche delle procedure di valutazione e dei suoi at- tori, in particolare ad attivare gli studenti affinché assumano in prima persona la responsabilità del loro apprendimento. 2.4. Persona e comunità educante Una pedagogia della persona non può realizzarsi in maniera soddisfacente in una scuola che sia solo o prevalentemente organizzazione, ma richiede come condizione adeguata per la sua attua- zione che venga attivata in una comunità morale4. Le organizzazioni sono aggregazioni di persone che rispondono soprattutto a criteri di razionalità strumentale, preoccupata fondamentalmente di as- sicurare l’efficienza dei mezzi rispetto ai fini. Esse si collocano all’interno di un modello funziona- lista o utilitarista di natura neo-liberale, correlato strettamente con le logiche economiche e le esi- genze del sistema produttivo, che vedono nel capitale umano la risorsa più importante per vincere la competizione nel mondo globalizzato e che ritengono compito fondamentale della scuola e della formazione nell’attuale società della conoscenza la preparazione dell’uomo flessibile e del lavorato- re competente. Il passaggio da organizzazione a comunità comporta una serie di spostamenti importanti di accento: dalla finalizzazione esclusiva ad obiettivi misurabili all’allargamento dell’orizzonte sino a comprendere mete di natura etica; dal primato del principio dell’efficienza a quello di una proposta anche valorialmente significativa; dalla considerazione dei soggetti della scuola come partecipanti neutri al riconoscimento della loro qualità di cooperatori in un’opera comune. Diversa, infatti, è la logica della comunità morale in cui i membri condividono un insieme organico di valori da perse- guire per cui i rapporti tra i soggetti non costituiscono soltanto delle condizioni strumentali al rag- giungimento di specifici obiettivi, ma presentano anche una natura chiaramente morale. La proposta 2 CSSC-CENTRO STUDI PER LA SCUOLA CATTOLICA, In ascolto degli studenti. Scuola cattolica in Italia. Nono rapporto, La Scuola, Brescia 2007, p. 374. 3 Cfr. cap. 14. 4 Cfr. cap. 13. 6 educativa condivisa costituisce il quadro di riferimento degli interventi, il motore delle attività è la leadership autorevole del dirigente, la partecipazione effettiva di tutti alla pari assicura l’adesione fattiva di tutte le componenti. In altre parole, esistono le condizioni perché la pedagogia della per- sona possa trovare un’attuazione adeguata. Infatti, solo un contesto autenticamente comunitario consente di porre al primo posto le persone rispetto alle norme, ai processi, alle pratiche metodolo- giche e agli interessi di parte. Su un piano più teorico va poi ricordato che l’educazione è opera comune, presuppone un accordo di base sulle finalità, i contenuti, le metodologie da parte di tutte le componenti della scuo- la. Una formazione efficace esige la costruzione di una comunità che sia allo stesso tempo soggetto e ambiente di educazione. Le ragioni della scelta del modello comunitario poggiano anche sulle caratteristiche della si- tuazione in cui la scuola attualmente opera. Anzitutto, esso permette ad ogni scuola di edificarsi sul- le esigenze formative dei suoi membri: in sostanza è possibile predisporre una programmazione cor- rispondente alle varie situazioni e la responsabilità individuale e collettiva viene riconosciuta in tut- ta la sua potenzialità attraverso l’attribuzione di ambiti rilevanti di azione. Esso assicura la conver- genza sostanziale sugli orientamenti e le scelte educative, nonostante le differenziazioni che può in- generare il pluralismo culturale e formativo, in quanto attraverso l’instaurazione di rapporti ispirati alla collaborazione promuove la partecipazione effettiva di tutti alla costruzione della comunità stessa, alla definizione dei ruoli e al raggiungimento dei fini. Da ultimo, una comunità educante a- perta e sensibile nelle sue articolazioni può realizzare una buona interazione con il territorio, anche in vista dell’acquisizione di una consapevolezza dei cambiamenti strutturali, sociali e culturali in at- to nel contesto produttivo di riferimento. Nella scuola cattolica l’identità e l’azione educativa comunitaria trovano un ulteriore riferi- mento fondativo e prospettico nella concezione cristiana della vita. La base è costituita anzitutto dal mistero trinitario del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, dalla dimensione comunitaria e relazio- nale che li unisce, dalla natura di un Dio che si manifesta come amore, paternità amorosa, dedica- zione cristica e vivificazione dello Spirito, e dalla visione di una Chiesa, Corpo di Cristo e comu- nione che si estende in senso orizzontale e verticale. 2.5. La qualità delle relazioni nella pedagogia della persona Il compito educativo non è proprio solo dell’educatore, ma è funzione anche dei rapporti che si instaurano tra le diverse componenti della scuola e persino con l’ambiente esterno5. La scuola è impegnata a valorizzare gli apporti di diversi soggetti e ambienti e deve realizzare anche un’azione di mediazione tra i vari contributi perché tutti convergano nel perseguimento della meta fondamen- tale della maturazione dei propri allievi; nella scuola cattolica lo scenario si allarga fino a compren- dere diversi doni e ministeri. Va precisato che la relazionalità educativa non dipende solo dalla pre- senza di rapporti operativi efficienti, ma richiede soprattutto legami di reciprocità profonda, dispo- nibilità verso gli altri, fiducia e coinvolgimento affettivo. Tenuto conto del tema che stiamo trattando, il tipo di relazioni da evocare è principalmente quello che si instaura tra docenti e allievi. Esso deve anzitutto esprimere attenzione, rispetto e pre- mura da parte degli insegnanti nei confronti delle esigenze formative reali dei giovani, che essi sono chiamati a sostenere nella loro maturazione con interventi che tengano conto dei bisogni di ciascu- no, dei diversi gruppi e di tutta la classe. I docenti devono stimolare gli allievi a prendere parte atti- va alla propria crescita, a divenire coscienti delle proprie risorse e delle proprie carenze, a prendere decisioni consapevoli e libere, ad assumersi la responsabilità del proprio operato, a ricercare il senso della vita. Essi dovranno inoltre dimostrare quell’autorevolezza che proviene, oltre che dalla profes- sionalità, anche dalla coerenza con i propri ideali e dalla capacità di un amore autentico nei confron- 5 Cfr. CSSC-CENTRO STUDI PER LA SCUOLA CATTOLICA, La comunità educante di scuola cattolica. Scuola cattolica in Italia. Decimo Rapporto, La Scuola, Brescia 2008. 7 ti degli allievi. Questa relazione non è monodirezionale dai docenti agli studenti, ma bidirezionale nel senso che nell’esercizio del suo compito educativo l’insegnante viene anche lui educato dai pro- pri alunni che lo aiutano a maturare personalmente, culturalmente e professionalmente in interazio- ne con le domande degli studenti, le loro aspirazioni, la fiducia che ripongono in lui. Nella società attuale il relativismo etico, determinando la caduta di certezze assiologiche e valoriali, minaccia la qualità della relazione educativa. «È necessario dunque che si recuperi l’idea forte intorno alla necessità da parte di chi ha la responsabilità dell’educare, di formulare progetti educativi chiaramente orientati verso una precisa finalità, nella graduale presa di coscienza da parte di chi educa e di chi si educa che il fine non è il prodotto dell’azione formativa ma il “disvelarsi progressivo” della verità di ogni singola persona, motivata dall’intenzione di dirigersi verso uno scopo alla luce di una direttività che non si appaga delle mete parziali, a breve termine, ma le tra- scende in una prospettiva più ampia. Anche la libertà della persona è pienamente valorizzata solo dall’accettazione della verità, mentre in un mondo senza Verità la persona perde la sua consistenza e si espone alla violenza delle passioni e dei condizionamenti»6. A sua volta la relazione didattica, per poter essere di qualità, deve caratterizzarsi come co- municazione di un modo di essere e di vivere, capace di contagiare gli altri per far sprigionare in ognuno una forza vitale in grado di attivare processi cognitivi e scelte pratiche. Pertanto, la relazio- ne didattica non può essere affidata esclusivamente alle metodologie e alle tecnologie, anche le più sofisticate, ma deve sempre assumere le caratteristiche di un rapporto personalizzato e personaliz- zante nel rispetto della identità specifica di ognuno, di una intenzionalità pienamente educativa e di una comunicazione che fa appello alla più profonda spiritualità ed interiorità. 6 Cfr. cap. 15. CSSC: "La scuola della persona"