Argomento: 
Data: 
30 Ottobre 2008
Descrizione breve: 
Questo Dossier statistico del 2008, pone nuovamente l'accento sul tema dell' IMMIGRAZIONE. Aree di origine, presenze, inserimento, lavoro, territorio sono le tematiche analizzate. Edizioni Idos.
Contenuto nascosto: 
CARITAS MIGRANTES/01_Saluto_Saviola.pdf 1 / 2 Presentazione “Dossier Statistico Immigrazione 2008” Caritas/Migrantes Roma, Teatro Orione, 30 ottobre 2008 Saluto di mons. Piergiorgio Saviola, Comitato di Presidenza Caritas-Migrantes A nome del Comitato di presidenza ringrazio le autorità qui presenti e tutti i partecipanti, italiani e immigrati, che fanno quest’oggi della presentazione del “Dossier Statistico Immigrazione” della Caritas e della Migrantes, in questa città e in tutte le Regioni d’Italia, un’occasione per dibattere con serenità, ma senza alcuna riserva, i nodi della situazione migratoria in Italia. Ringrazio i più di 100 redattori che, coordinati dal Centro studi Idos, hanno avuto la pazienza di analizzare e sistemare le nuove statistiche a livello internazionale, nazionale e regionale e hanno rafforzato la nota di grande affidabilità riconosciuta alla redazione del “Dossier”. Questo è un anno del tutto speciale perché il “Dossier Caritas/Migrantes” ha compiuto 18 anni di età ed è diventato maggiorenne. Mi piace ricordare che il nostro è il decano dei sussidi di questo tipo, il più diffuso, quello ideato come strumento non solo per gli approfondimenti statistici ma anche per una campagna nazionale di sensibilizzazione in collegamento con gli Enti Locali. In questo saluto iniziale voglio inserire una considerazione di fondo, partendo dalla dedica del “Dossier” al decimo anniversario della scomparsa del padre Gianfausto Rosoli, uno scalabriniano che fu apprezzato studioso dell’emigrazione italiana e dell’immigrazione straniera in Italia e anche grande sostenitore delle prime edizioni del “Dossier”. Chi si occupa dell’immigrazione oggi non può dimenticare l’emigrazione di ieri: lo dico anche come direttore generale della Fondazione Migrantes, che annualmente pubblica un rapporto sui connazionali all’estero, presentato appena un mese fa. Nella lunga storia del nostro esodo nel mondo abbiamo conosciuto chiusure, disprezzo e umiliazioni che non abbiamo ritenuto giuste e che sono state causa di tante sofferenze; così come abbiamo avuto modo di apprezzare, in altre occasioni, la predisposizione all’accoglienza di diversi paesi e tante persone. Con i nostri flussi di massa abbiamo posto non pochi problemi, ma ancora di più sono stati i problemi che abbiamo contribuito a risolvere, creando benessere e sviluppo. Cerchiamo, perciò, di non essere un paese immemore e di fare frutto delle indicazioni che ci vengono da un secolo e mezzo di esperienza come immigrati noi stessi. La questione non è di trascurare la legalità – richiesta mai da noi avanzata – ma di non abdicare all’accoglienza e al rispetto dello straniero. Senz’altro questa esigenza di fondo ritornerà nelle riflessioni dei nostri relatori. Il primo relatore parla per immagini. Si tratta della televisione pubblica, che attraverso la testata Rai News 24 e il regista Giuseppe Rogolino, ha preparato anche quest’anno una pregevole sintesi visiva del “Dossier Statistico Immigrazione”. Franco Pittau, coordinatore dei redattori Caritas/Migrantes, ha il compito di sintetizzare le 500 pagine del “Dossier”, facendo sì che i numeri non rimangano aridi bensì veicolino idee forza a sostegno del nostro impegno sociale. Filomeno Lopes, è un giornalista di Radio Vaticana che proviene dall’Africa, un continente molto importante nello scenario migratorio italiano: a lui spetta presentare l’altra faccia della medaglia, quello che pensano gli immigrati. Mons. Giuseppe Merisi è il nuovo vescovo presidente di Caritas Italiana, che, come è consuetudine nei nostri incontri, esporrà una presa di posizione autorevole della Chiesa italiana sulla politica dell’immigrazione e sugli sviluppi che se ne auspicano. Il Governo, tradizionalmente presente alla presentazione del “Dossier”, è qui rappresentato dal Ministro del lavoro, senatore Maurizio Sacconi, che sarà sollecitato a prendere posizione in 2 / 2 merito alle nostre riflessioni finalizzate a una più soddisfacente operatività specialmente in tema di integrazione. Auguro buon lavoro, precisando che i tempi degli interventi saranno contenuti (tra i 15 e i 20 minuti): perciò invito tutti a rimanere fino al termine, per fruire delle riflessioni sul “Dossier” in maniera articolata e collegare i diversi punti di vista. CARITAS MIGRANTES/02_Pittau.pdf 1 / 4 Presentazione “Dossier Statistico Immigrazione 2008” Caritas/Migrantes Roma, Teatro Orione, 30 ottobre 2008 Intervento di Franco Pittau, Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes Il Dossier Caritas/Migrantes 2008 giunge quest’anno alla 18ª edizione ed entra nell’età adulta: una ricorrenza che, con il supporto delle Fondazioni Monte Paschi Siena e Cariplo, è stato possibile enfatizzare, potenziando le presentazioni nelle diverse Regioni in contemporanea con quella romana. Il rapporto si struttura in una sessantina di capitoli curati da più di cento redattori, con una grande ricchezza di dati e anche di considerazioni innovative. Come redazione centrale, come sempre preoccupati che le statistiche non siano un semplice ammasso di numeri, abbiamo predisposto una sintesi delle linee che emergono dallo studio dei dati, che incentivino i successivi approfondimenti. Con semplicità e sinteticamente si possono trattare questi punti: il numero degli immigrati, la loro funzione, il rapporto immigrazione-criminalità, l’impegno svolto per la loro accoglienza. Il numero degli immigrati La consistenza degli immigrati regolari in Italia si aggira tra i 3,5 milioni di residenti accertati dall’Istat e i 4 milioni ipotizzati dal Dossier. Noi includiamo nel conteggio anche le presenze regolari che, a causa delle procedure molto lunghe, ancora non sono registrate in anagrafe: è come se anticipassimo di un anno l’inserimento dei nuovi venuti presso i rispettivi Comuni. Sia per l’Istat che per il Dossier la popolazione immigrata è aumentata di diverse centinaia di migliaia. È significativo che ciò sia avvenuto in un anno normale come il 2007, senza regolarizzazioni e quote aggiuntive e per giunta caratterizzato da un andamento economico negativo. Questo radicamento, così forte anche in una congiuntura poco favorevole, richiama l’attenzione sulle parole che noi solitamente utilizziamo (“straniero” e “extracomunitario”) e porta a concludere che le stesse iniziano ad apparire desuete e inadeguate perché si riferiscono a persone che non sono estranee alla nostra società. Gli immigrati esercitano un’incidenza notevole perché costituiscono 1 ogni 15 residenti in Italia e 1 ogni 15 studenti a scuola, quasi 1 ogni 10 lavoratori occupati; inoltre, in un decimo dei matrimoni celebrati in Italia è coinvolto un partner straniero, così come un decimo delle nuove nascite va attribuito a entrambi i genitori stranieri. Oltre al numero complessivo delle presenze, anche altri dati sono significativi: tra 1,5 e 2 milioni di lavoratori, quasi 800.000 minori, più di 600.000 studenti, più di 450.000 persone nate sul posto, più di 300.000 diventati cittadini italiani, più di 150.000 imprenditori ed il doppio se si tiene conto anche dei soci e delle altre cariche societarie. In Italia, l’immigrazione è un fenomeno a vasta diffusione. Seppure in misura differenziata, non vi è regione o paese estero di provenienza che non siano coinvolti. Dalla Lombardia e dalla collettività romena, che contano entrambe quasi un milione di persone, si va alle piccole regioni del Meridione e alle collettività con poche migliaia di presenze. Al vertice della graduatoria vi sono 18 collettività con più di 50.000 presenze, ma ve ne sono anche 34 con son un numero compreso tra i 1.000 e i 3.000. Lo stesso ragionamento vale per i settori lavorativi. L’elevata presenza presso le famiglie per l’assistenza, in edilizia, nelle fabbriche e in determinati servizi si compone con una diffusione crescente anche in altri settori: nei trasporti, nei bar, negli alberghi, negli uffici. 2 / 4 La consistenza dei numeri è rafforzata dal dinamismo della loro crescita. Le acquisizioni di cittadinanza sfiorano le 40.000 unità; le nuove nascite sono 64.000; gli studenti aumentano al ritmo di 70.000 l’anno; i minori tra nuovi nati e venuti dall’estero sono più di 100.000; le nuove assunzioni “ufficiali” sono più di 200.000 l’anno; l’aumento minimale della popolazione si aggira sulle 350.000 unità. Confrontando i dati attuali con quelli del 2000 ci accorgiamo che il raddoppio è pressoché generalizzato e sotto alcuni aspetti superato. Per avere un’idea più pregnante di quanto stia avvenendo dobbiamo ritornare all’immediato dopoguerra, quando eravamo noi a prendere le vie dell’esodo, 300.000 l’anno e qualche volta anche di più. L’interpretazione di questi dati è controversa: per molti si è di fronte a un innesto complesso fruttuoso, mentre per altri si tratta di un’invasione pericolosa anche se non ne possiamo fare a meno. A seconda dell’angolatura, le politiche prescelte sono diverse: di accoglienza nel primo caso e di difesa nel secondo. Il Dossier, come di consueto, entra nel merito di questo dilemma sulla base delle statistiche. La funzione degli immigrati L’immigrazione è iniziata in Italia come fenomeno lavorativo e questo continua a essere l’aspetto prevalente, senza sottovalutare le implicazioni familiari, culturali, religiose, giuridiche. Gli immigrati hanno un tasso di attività (73%) di 12 punti più elevato degli e italiani e tra di loro non vi sarebbero disoccupati se non perdurasse la pessima abitudine di costringerli a lavorare in nero. La quota di forza lavoro dall’estero di 170.000 unità l’anno, esclusi gli stagionali, è il minimo ritenuto indispensabile per il buon andamento del nostro sistema produttivo. Sappiamo, però, che le famiglie e le aziende praticano un numero di assunzioni ben al di là dei numeri ufficiali e anche questo comportamento merita attenzione. Occupazione significa, naturalmente, creazione di ricchezza. Secondo una stima di Unioncamere, gli immigrati concorrono per il 9% alla creazione del PIL, tre punti in più rispetto all’incidenza sulla popolazione, maggiorazione ben comprensibile alla luce del loro più lato tasso di attività. Gli immigrati hanno naturalmente un costo in termini di servizi e assistenza. I Comuni italiani spendono specificamente per gli immigrati il 2,4% della loro spesa sociale (nel 2005, ultimo dato disponibile, 137 milioni di euro). Tenendo conto che gli immigrati sono fruitori anche di servizi a carattere generale, si può stimare che attualmente per loro si possa arrivare a una spesa sociale di un miliardo di euro, ampiamente coperti dai 3,7 miliardi di euro che, secondo una stima del Dossier, essi assicurano come gettito fiscale. Anche le recenti stime demografiche dell’Istat evidenziano l’apporto positivo e indispensabile degli immigrati. Ipotizzando 250.000 nuovi ingressi l’anno, nel 2050 la popolazione attiva in Italia scenderà da 39 a 31 milioni, mentre gli ultrasessantacinquenni, attualmente 12 milioni, diventeranno 22 milioni. Sempre nel 2050 la presenza degli immigrati risulterà più che triplicata, con 12,4 milioni di persone e un’incidenza del 18%: senza di loro il nostro accentuato processo di invecchiamento pregiudicherebbe seriamente le capacità produttive del Paese. Oltre agli aspetti economico-occupazionali-demografici bisogna prendere in considerazione gli aspetti culturali. L’Italia, nel confronto con gli altri paesi industrializzati, risulta poco aperta agli apporti dall’estero: pochi universitari (neppure 50.000), pochi stranieri nei posti di alta qualificazione, pochi ricercatori, mentre la differenza culturale, se ben gestita, è uno stimolo per favorire la crescita. Troviamo in Italia qualche centinaio di lingue straniere e di altrettante culture, milioni di diplomati e laureati che hanno studiato all’estero e portano con sé molteplici esperienze: questo è un patrimonio da non disperdere. In una competizione economica a dimensione globale è svantaggiato chi non valorizza le reti: noi abbiamo sia quella degli emigrati italiani all’estero che 3 / 4 quella degli immigrati esteri in Italia: per una sorta di bizzarra par condicio rischiamo di non valorizzare nessuna delle due. Un chiarimento su immigrazione e criminalità Le statistiche criminali, utilizzate in maniera impropria, rischiano di trasformare un grande fatto sociale come l’immigrazione in un fenomeno delinquenziale. Il Dossier ha sempre ribadito che la devianza è qualcosa di estremamente grave e che vi è implicato un numero elevato di cittadini stranieri, senza però cadere in conclusioni infondate. L’analisi congiunta delle statistiche giudiziarie e penitenziarie relative agli anni Duemila ha portato il Dossier a queste conclusioni: • gli immigrati regolari, quelli della porta accanto per così dire, hanno all’incirca lo stesso tasso di devianza degli italiani; • prevalgono le collettività di immigrati che solo marginalmente sono toccate dalle statistiche criminali; • gli addebiti giudiziari sono più ricorrenti per gli immigrati che si trovano in situazione irregolare, senza peraltro che essi debbano essere trasformati per principio in delinquenti; • la maggiore preoccupazione va riferita alle “mele marce” delle diverse collettività immigrate e alla criminalità straniera organizzata straniera, che sta prendendo piede anche in collaborazione con le organizzazioni malavitose locali. È possibile pervenire a una situazione più soddisfacente con il potenziamento di una strategia preventiva, che insista sulla maggiore convenienza delle vie legali dell’immigrazione e sulla collaborazione delle associazioni degli immigrati, anche perché prevenire costa molto meno che reprimere e i fondi a disposizione sono limitati. Due recenti volumi, pubblicati nel 2008 con il concorso di Caritas Italiana e della Migrantes, sono state dedicate a due collettività additate ad alto impatto delinquenziale e hanno mostrato una certa fretta da parte nostra nel trovare “capri espiatori”. L’Albania è stata da noi bollata, nel corso degli anni ’90, come la patria per eccellenza degli immigrati criminali, creando un pregiudizio negativo nei loro confronti. Stiamo ora riscoprendo, confortati dalle statistiche (anche quelle giudiziarie), che questa collettività sta realizzando un’integrazione sempre più stabile e positiva. La Romania è stata recentemente inquadrata con toni fortemente negativi, pur trattandosi di neocomunitari: siamo riusciti a fare il miracolo di calcolare con esattezza il loro tasso di delinquenza prima ancora di aggiornarci sul loro numero! Un esempio in positivo ci è venuto dal Governo romeno che ha lanciato una campagna di sensibilizzazione imperniato sul motto “Piacere di conoscervi”! Siamo lieti di comunicare che il Governo romeno (il 28 ottobre) e il Governo albanese (il 2 dicembre) hanno organizzato nelle rispettive capitali la presentazione di questi volumi, avendone apprezzato la correttezza scientifica e la serenità di giudizio. Le impostazioni operative alla luce dei numeri Dai dati statistici si può ricavare qualche utile orientamento ai fini operativi. Ci possiamo limitare a tre esempi riguardanti il soggiorno, il lavoro e l’integrazione. Il numero degli immigrati e il ritmo della loro crescita impongono che le procedure burocratiche per il soggiorno siano più agibili. Attualmente i termini di legge costituiscono un “diritto di carta” e, non essendo rispettati, sono di grave pregiudizio nell’educazione alla legalità e nel perseguimento di una strategia concreta di accoglienza. L’acquisizione dei documenti necessari per il disbrigo delle pratiche è diventata una sorta di corsa a ostacoli, costosa in termini di tempo e di soldi. Pensiamo ai visti ai permessi di soggiorno, ai ricongiungimenti familiari, alle pratiche per la cittadinanza e a diversi altri impedimenti. 4 / 4 Le procedure per l’inserimento nel mondo del lavoro erano già problematiche al momento della loro introduzione nel 1986 e lo sono diventate ancor di più a partire dal 2002, quando sono state rese più rigorose, anche perché nel frattempo è aumentato notevolmente il numero degli immigrati di cui gestire il collocamento. È lo stesso decreto annuale sui flussi a registrare le sacche di irregolarità che si formano. Nel mese di dicembre 2007, a fronte di una quota di 170.000 lavoratori, sono state presentate 741.000 domande: più di mezzo milione di persone fuori quota. La proposta – finora inascoltata – di reintrodurre la venuta per la ricerca del posto di lavoro, secondo le forze sociali e gli studiosi, aiuterebbe a rispondere sia alle esigenze dei controlli di polizia che alla flessibilità dell’incontro tra domanda e offerta. Lascia perplessi sentir dire che in Italia si fa troppo per l’integrazione degli immigrati, non tenendo conto che questo impegno si può misurare. Rispetto ai 5 milioni di euro, con cui attualmente è finanziato il fondo per l’integrazione in Italia (in precedenza erano 100 milioni), riscontriamo che la Spagna di milioni ne spende annualmente 300 e la Germania 750: la Germania, tra l’altro, come evidenziato in un altro recente libro pubblicato da Caritas Italiana e dall’Ambasciata tedesca, ha sposato decisamente l’ottica dell’integrazione e offre a ogni nuovo immigrato 300 ore gratuite di insegnamento del tedesco. Anche gli indici di inserimento socio-occupazionale degli immigrati in Italia, elaborati secondo una metodologia che con il concorso dei redattori del Dossier viene di anno in anno perfezionata negli annuali Rapporti del CNEL (il prossimo verrà presentato a novembre), attestano che le stesse Regioni dal più alto potenziale di integrazione possono migliorare le loro strategie in specifici settori, riflettendo su quanto viene fatto in altre Regioni. Conclusioni: “Lungo le strade del futuro” In conclusione, si può dire che in immigrazione si tratta di dare e di avere ma anche di un cambiare la propria mentalità. La situazione attuale è una palestra che aiuta a prepararsi al futuro, in cui italiani e immigrati sono chiamati a convivere. Le statistiche evidenziano normative inefficaci o inopportune, comportamenti lesivi della legge, atti di discriminazione e di razzismo: sono tanti i miglioramenti da auspicare, evitando che l’immigrazione diventi una “realtà periferica”, come auspicato in una ricerca condotta da Caritas e Migrantes con la Commissione nazionale contro l’esclusione sociale, . Da parte di noi italiani, non bisogna continuare a immaginare un paese che non esiste: è più conveniente accettare l’immigrazione come dimensione intrinseca della società, cercando di risolvere i problemi che si presentano. È assolutamente riprovevole il diffuso clima di ostilità – e talvolta di razzismo – nei confronti degli “stranieri”: chi disprezza, o maltratta, o prende sotto tono l’immigrazione, rende un cattivo servizio al Paese. Da parte degli immigrati, e specialmente dei loro leader, bisogna adoperarsi per fare accettare a tutti un quadro chiaro di diritti e di doveri, favorendo una collaborazione sempre più fruttuosa per la quale, peraltro, sussiste la loro predisposizione, come riscontrato nelle diverse indagini condotte dal Dossier. È auspicabile che si intervenga, con concretezza e coerenza, per migliorare le cose che non vanno, nella convinzione che ci troveremo insieme, italiani e immigrati, “lungo le strade del futuro”. CARITAS MIGRANTES/03_Lopes.pdf 1 / 4 Presentazione “Dossier Statistico Immigrazione 2008” Caritas/Migrantes Roma, Teatro Orione, 30 ottobre 2008 Riflessioni filosofiche sull’immigrazione: un conflitto antropologico Intervento di Filomeno Lopes, giornalista di Radio Vaticana Il processo di identità culturale è un processo di acquisizione e come tale è posteriori e non a priori alla nascita dell’essere umano. Noi invece stiamo costruendo un mondo in cui le nostre carte di identità sono più importanti del fatto che chi le porta è anzitutto un essere umano che dovrebbe pertanto a priori essere trattato come tale in qualunque circostanza e situazione vitale. Se poi si continua a concepire la globalizzazione unicamente come “extra mercatum nulla salus”, ecco che al razzismo ontologico, di identità si aggiunge il razzismo socioeconomico: tu conti nella misura in cui investi in banca e secondo la sola logica del PIL. Così oggi siamo diventati anzitutto le nostre carte di identità e possibilmente di credito. Questo è terrificante oltre ad essere aberrante in una civiltà che si considera a misura d’uomo. Ora, dire a posteriori non significa considerare meno importante ciò che avviene dopo la nascita, ma significa riconoscere che le nostre carte d’identità e di credito, sono simboli inventati dagli esseri umani per mantenere e accrescere in abbondanza la loro vita in quanto esseri umani. E come tali, pur importanti, sono però limitati, non assoluti tali da meritare il “sacrificio umano” e pertanto non possono in nessuna forma essere assolutizzati. Nella bufera dell’etnicismo economico e politico nonché della politica del nazionalismo integralista dei nostri tempi conviene ricordare che nascere significa semplicemente venire al mondo, non in un paese, continente, cultura, razza, religione o quant’altro. Il mondo è l’unico habitat di cui noi entriamo a fare parte dal momento della nostra nascita e quindi l’unico luogo in cui si realizza la nostra storia e storicità; l’unico luogo in cui siamo chiamati a trascorrere il breve arco della nostra permanenza su questa faccia della terra, lasciando possibilmente una traccia del nostro passaggio che sia garanzia e speranza del trionfo della vita sulla morte. E’ per questo motivo che la prima natura di ogni essere umano è la sua realtà di immigrato su questa terra e allo stesso tempo è un suo diritto inalienabile ripercorrere l’intero universo alla ricerca di migliori condizioni per affermazione della propria vita in modo autentico e qualitativo, contribuendo così al trionfo della vita sulla morte. Insomma la condizione e situazione di immigrato è l’unica che riveste caratteristiche di naturalità, nel senso che è comprensivo della natura stessa dell’essere umano nell’atto della nascita. Essa appartiene all’evento stesso della nascita. Dio dona la vita e il mondo, l’uomo invece definisce, storicizza questa vita creando i paesi medianti l’invenzione dei vari simbolismi. La vita e la terra sono in questo caso i due elementi che appartengono all’ambito del diritto naturale e consuetudinario e perciò considerati sacri. In questo senso è triste e deprecabile il teatro orribile dell’espulsione sistematica e inumana di “stranieri africani” come si assiste oggi in Angola, Costa d’Avorio, Egitto, Libia, Marocco, Sudafrica e tanti altri. Dove è finito il senso dell’ospitalità africana, che significa accoglienza dell’altro che mi rassomiglia in quanto essere umano? Ma quello che colpisce di più, è la violenza sistematica a cui questi cosiddetti “stranieri in terre africane” sono sottoposti da parte dei governi dei Paesi ospitanti. Non si riesce nemmeno più a vedere nel volto di questi immigrati una traccia della loro naturale e sacrosanta natura di semplice essere umano. Ora, qualunque Stato che si dice democratico, ma soprattutto rispettoso dei diritti umani e della libertà, non può non considerare il fatto che il fenomeno dell’immigrazione è anzitutto ed essenzialmente una questione antropologica e, come tale, non troverà risposta ultima se non all’interno di un orizzonte antropologico e umano possibile. Insomma prima di essere una questione politica, giuridica, psicosociale, l’immigrazione è fondamentalmente una questione antropologica: non siamo davanti ad un fenomeno e dunque anche davanti ad un oggetto di dibattito ideologico bensì davanti ad un soggetto e, quindi a un volto storico ben concreto, davanti a uno sguardo 2 / 4 incrociato che mi interpella e mi parla e soprattutto attende da me una risposta e una responsabilità che sia anzitutto ed essenzialmente umana. Da qui la domanda fondamentale per le società e le istituzioni dei diversi paesi d’accoglienza degli immigrati in modo particolare in Europa e ancor più in Italia: chi sono questi volti che immigrano oggi verso l’Europa? Chi sono questi due terzi dei volti concreti che, per sfuggire dalla loro condizione e situazione di Lazzaro e Eliseo dell’umanità odierna, mettono in gioco la propria vita, sfidando oceani, cieli e terra per raggiungere i porti dei paesi europei? Essi cercano di raggiungere i porti dei paesi europei completamente sprovvisti di cannoni e di ogni progetto geopolitico e politico di pauperizzazione antropologica e strutturale, ma armati unicamente dei loro occhi imploranti giustizia, ma anche giudicanti. Chi sono questi soggetti? L’Europa nel suo insieme aveva per prima attraversato gli stessi oceani con navi suntuose, armate di cannoni e, soprattutto, di progetti geopolitici e politici egemonici di pauperizzazione antropologica e strutturale verso la terra dei “leones” che oggi chiamiamo immigrati in Europa. Per questa impresa si è inventata da sola lo “ius migrandi” per giustificare le sue azioni di conquiste di terre, beni e persone e, allo stesso tempo propagare la religione cristiana e la politica di civilizzazione dei primitivi. In fondo gli europei in Africa, America Latina, Asia, non sono mais stati immigrati, ma sempre e unicamente cittadini a pieno titolo. All’epoca paradossalmente solo loro potevano e avevano il diritto di attribuire cittadinanza a volti incontrati in questi paesi. Coloro che hanno osato mettere in discussione, lottare contro questo progetto geopolitico e politico hanno pagato con il prezzo della loro vita: prigioni arbitrarie, massacri di massa, ecc. Insomma i popoli del sud anche a casa propria erano già immigrati e in quanto tali oggetti di prigioni arbitrarie, come lo sono di nuovo oggi nelle principali metropoli degli stessi europei. Da questo punto di vista, nulla è cambiato sotto la luce del sole: nella terra dei “leones” ad andare in carcere erano gli stessi immigrati “leones”, oggi in Europa in maniera sistematica e spesso arbitraria, sono ancora gli stessi immigrati “leones” ed altri. Qualunque immigrato è facile preda per qualsiasi elemento delle Forze dell’Ordine in diversi Stati europei. Che cosa è cambiato in fin dei conti sotto la luce del sole? In Italia, la novità risiede forse nella creazione dei CPT, diventati purtroppo luoghi dove spesso si consuma la massima disumanità legalizzata da uno Stato che oltre ad essere ex potenza coloniale è soprattutto di cultura fondamentalmente immigrativi, nei confronti di esseri che si considera abbiano qualcosa di meno in fatto di umanità. Insomma chi sono questi Altri che rappresentano l’immondizia dell’umanità che chiamiamo fenomenologicamente oggi immigrati, “sans-papiers”, “vu-cumprà”, clandestini e via discorrendo, nell’immaginario collettivo di coloro che appartengono alle società civili e istituzionali dei paesi europei e quelle italiane in modo particolare? Sono considerati fondamentalmente volti umani e pertanto esseri umani, creati anche loro alla stessa immagine e somiglianza di Dio, oppure sono considerati ancora animali a sembianze umane, degradazione della razza ariana? Oltretutto, e questa è la domanda politica che dovrebbe seguire a quella antropologica – perché dopo che questi volti di immigrati, che hanno duramente combattuto la politica e la geopolitica della pauperizzazione antropologica e strutturale, liberando e rendendo più umani gli stessi oppressori di ieri, oggi sono essi stessi, a distanza di anni, ad attraversare gli stessi oceani per venire in Europa quasi volontariamente, e consegnarsi corpo, mente, spirito e cuore per farsi schiavizzare, umiliare sistematicamente e riprendere così la loro millenaria condizione e situazione di immigrati? Perché sono disposti a così tanto pur di sopravvivere? Da che cosa, da quali strutture di morte così terribili fuggono? Quando cesserà la loro condizione s situazione di immigrati? L’immigrazione non è un qualcosa che hanno inventato i dannati della terra: esiste come diritto sancito dalle ex potenze schiaviste e colonizzatrici almeno dai secoli XV-XVI. Ciò che è nuovo oggi è il motivo per cui si parte, il tragitto e gli strumenti del percorso. Dal Sud verso il Nord del mondo, dal mondo di quelli che si considerano “barbari” a quello di coloro che si ritengono “civilizzati” e con strumenti più miseri e pertanto più rischiosi. L’obbiettivo fondamentale della partenza è essenzialmente la ricerca delle migliori condizioni per affermare il trionfo della vita sulla morte. Non è più per progetti politici e geopolitici di dominazione e di usurpazione dello spazio e tempo dell’Altro considerato più debole, selvaggio e quant’altro ha costituito le priorità della 3 / 4 filosofia del periodo della Conquista. Sarebbe pertanto un grave errore non vedere nell’attuale fenomeno dell’immigrazione dal Sud verso il Nord, una riposta informale (per i mezzi rudimentali utilizzati) dei popoli del Sud allo stesso processo di globalizzazione mercantile (iniziato dai popoli del Nord nei secoli XV-XVI), in termini di mobilità e di accesso ai beni. Il fatto stesso che la partenza, ad esempio dall’Africa all’Europa, sulle navi cosiddette clandestine, costi all’immigrato ingenti somme di denaro, è un indicatore chiaro del fatto che la questione non può essere ridotta unicamente al fattore della fuga dalla povertà e dalla miseria. Gli indigenti, infatti, rimangono in Africa, non viaggiano, non dispongono di mezzi economici, culturali e comunicativi per farlo. D’altro canto non dimentichiamo che neanche coloro che partivano dall’Europa verso il Sud nei secoli XV-XVI, erano benestanti. Anzi la storia del popolamento della Guyana è significativa in questo senso, soprattutto per quanto riguarda il tentativo deliberato della criminalizzazione degli immigrati oggi in Europa. Riconoscere quindi nell’immigrazione odierna questo elemento importante che è all’inizio del fenomeno della globalizzazione – mobilità e accesso ai beni – impone all’Europa un dovere politico, geopolitico e morale di reciprocità, di uguaglianza ma soprattutto di dignità giuridica di fronte ad un fenomeno che si considera irreversibile. Non ha più senso nascondersi nelle dietrologie secondo le quali “quando uno del Sud viaggia in paesi del Nord è immigrazione e quando uno del Nord viaggia nei paesi del Sud è cooperazione allo sviluppo, mobilità, accesso ai beni ed altri slogan della “politique politicienne”. Entrambi, ciascuno a suo modo e secondo i propri mezzi, cercano di sfruttare al massimo i vantaggi che offre la globalizzazione. Lo “ius migrandi” ha trasformato l’Europa nel continente con maggior numero di immigrati presenti in tutti gli angoli del pianeta, obbligando soprattutto i paesi del sud a trovare e ad implementare nei rispettivi paesi, nella questione della cittadinanza, una cultura di convivenza sociale basata sul principio della fecondazione reciproca delle culture, con la consapevolezza che l’epoca della Conquista sanciva la fine della filosofia del “Noi-Voi/ Voi-Noi/ loro-noi/noi-loro”. Curiosamente la stessa Europa per diversi motivi non si è posta la questione della necessità della definizione della propria identità in questi termini, volendo persistere su stradari antistorici, come se si potesse pensare oggi il mondo e la propria posizione in esso, obnubilando la Conquista con la quale si è resi gli altri ciò che essi magari non avrebbero mai desiderato diventare in termini identitari. Ora, come si sono comportate le istituzioni dei paesi e popoli di questi immigrati del sud nei confronti degli europei quando le navi europee sono sbarcate per la prima volta nei loro porti senza che fossero formalmente invitate? Come si comportano oggi i rappresentanti delle istituzioni dei paesi europei e in modo particolare dell’Italia davanti a questi volti di immigrati del sud? Come è possibile che un paese, altri tempi bandiera dell’umanesimo universale, sia scivolato in campo politico istituzionale fino a fare della lotta anti-volti umani (quindi politica di anti-immigrazione con conseguente criminalizzazione della stessa), dell’insulto gratuito e dell’umiliazione dell’Altro considerato immigrato, il suo perno di consenso popolare? «La gente deve sapere che l’Italia non può accogliere tutte le immondizie di questo mondo» disse pubblicamente un candidato al Premier in piena campagna elettorale durante una trasmissione televisiva RAI. Come è possibile che dopo il genocidio degli indios, dopo la schiavitù e tratta atlantica, dopo la shoa, l’apartheid e il genocidio rwandese, ci si possa ancora rivolgere agli altri, attraverso il mezzo pubblico televisivo, chiamandoli immondizia senza che tutto questo susciti in minimo di riflessione seria nel Paese? Come è possibile che eminenti dirigenti del Parlamento e del Senato della Repubblica Italiana facciano della politica dell’insulto pubblico gratuito, di umiliazione e incitamento sistematico all’odio contro gli immigrati, il santuario della loro politica senza che tutto ciò abbia nessuna conseguenza, mentre anzi, la maleducazione viene confusa e considerata la forza della democrazia e della libertà, e mentre oltretutto dietro alle formule convenzionali di sincerità, di franchezza o verità nei confronti degli immigrati, si nasconde invece un’arroganza politicamente insostenibile in qualunque Stato civile? Che forza di democrazia e di libertà può esserci dietro a un insulto gratuito e all’umiliazione sistematica contro un volto già segnato dalla pauperizzazione antropologica e strutturale, proveniente oltretutto da rappresentanti istituzionali? Come può un movimento, un 4 / 4 Partito di un Paese che si ritiene democratico e civile, iscritto alla comunità delle nazioni e cosciente del grave problema di squilibrio mondiale odierno e del divario tra il Nord e il Sud del mondo, fare della caccia all’Altro lo sfondo della sua campagna elettorale, quale unico contributo politico effettivo da offrire alla soluzione dei giganteschi problemi di questa comunità delle nazioni? Ma più triste ancora, come può una società che si ritiene civile accettare che nel proprio Paese volti in cerca di pane e guarigione siano tranquillamente derisi, imprigionati, ammanettati, rinchiusi nei posti chiamati CPT e rispediti a casa come clandestini, dalle loro istituzioni, senza che tutto questo provochi un minimo di dibattito sociale serio? Che pericolo rappresenta la situazione di clandestinità tanto da meritare un trattamento riservato sistematicamente a un assassino misero? E poi a rigore dei termini, cosa significa essere clandestino? Clandestino nei confronti di chi e di che cosa? Come può essere clandestino un volto umano che ho davanti a me? Chi non è immigrato e clandestino su questa faccia della terra? Può una società civile, uno Stato di diritto, accettare che la situazione e condizione di clandestinità diventi un reato più grave e quindi più importante della stessa vita umana che chiede pane e giustizia? Oppure la mia condizione e situazione di clandestinità cancella la mia possibilità di essere un semplice volto umano che quindi può essere tranquillamente ucciso come gallina a colpi d’arma da fuoco, come è successo al Muro della morte spagnolo e marocchino come forma di controllo dei cosiddetti clandestini? Non è per caso un crimine politico il fatto che esseri umani, per diverse ragioni cui la politica dovrebbe rispondere, siano oggi costretti a vivere in situazione e condizioni di clandestinità? La clandestinità non è solamente un problema per i malviventi che offrono strumenti per la sua realizzazione marittima, aerea o terrestre, ma è anche una conseguenza della latitanza politica nei confronti dei bisogni umani della grande maggioranza dell’umanità. In questo senso, l’immigrazione anche nella sua veste di clandestinità, è anzitutto un conflitto antropologico. In fondo riflettere sull’immigrazione significa riflettere sul senso della vita umana e che significato può assumere in un contesto di globalizzazione e di mondializzazione nel quale il 20% delle “vite globalizzate” controllano quasi il 90% delle risorse che il pianeta Terra offre per il mantenimento della vita degli esseri umani. Ora per difendere la vita umana oggi è essenziale guardare a ciò che costituisce l’ultima realtà degli esseri umani e che ci interpella: ciò che Jon Sobrino chiama “ultimidad de lo humano”, e cioè la sofferenza delle vittime e la conseguente necessità di compassione con le vittime della storia mondiale odierna. Si tratta di “con-soffrire” con loro e vivere e “dis-vivere” per eliminare la loro sofferenza, sapendo che si tratta di una lotta per la salvaguardia della specie umana, dell’essere umano tout court. Insomma si tratta di vivere radicati nella consapevolezza che “extra pauperis nulla salus” per questa nostra umanità desiderosa di autenticità e di guarigione. Si tratta di ripristinare la dimensione della femminilità primordiale che è quella dimensione della cura, “dell’esprit de finesse” (Pascal) dell’attenzione, della compassione, della misericordia, dell’amore, senza i quali nessuna umanità è in grado di sopravvivere nel tempo. CARITAS MIGRANTES/04_Merisi.pdf Presentazione “Dossier Statistico Immigrazione 2008” Caritas/Migrantes Roma, Teatro Orione, 30 ottobre 2008 Intervento di S.E. Mons. S.E. Mons. Giuseppe Merisi, presidente di Caritas Italiana Abbiamo seguito la presentazione del Dossier sull’immigrazione e abbiamo sentito osservazioni pertinenti rispetto alla situazione degli immigrati nel nostro Paese. Prima di proporre qualche osservazione su questo Dossier a partire dalla vita quotidiana della Chiesa desidero soffermarmi su alcune premesse che mi sembrano significative. La prima premessa riguarda il Messaggio del Papa per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato del prossimo 18 gennaio 2009. Nel Messaggio il Papa, a partire dalla testimonianza di san Paolo, “migrante per vocazione”, si rivolge ai cristiani invitandoli a vivere un modello di Chiesa non esclusivo, ma aperto a tutti, formata da credenti senza distinzione di cultura e di razza. E si rivolge a tutte le persone di buona volontà invitando a celebrare questa Giornata come uno stimolo a vivere in pienezza l’amore fraterno senza distinzioni di sorta e senza discriminazioni, nella convinzione che è nostro prossimo chiunque ha bisogno di noi e che noi possiamo aiutare In questo quadro citerei anche le parole che il Papa ha pronunciato proprio qualche giorno fa accogliendo il nuovo ambasciatore delle Filippine presso la Santa Sede. Il Papa ha ricordato che agli immigrati vanno garantiti, sia a livello di Stati che di Comunità internazionale, ricongiungimenti famigliari, lavoro, dignità, integrazione nelle società che li ospitano. Mentre non va tralasciato l’impegno di promuovere il più possibile l’occupazione nei Paesi d’origine con l’aiuto necessario, come ha fatto, aggiungo, la Chiesa italiana con la Fondazione del Giubileo “Giustizia e Solidarietà” nei confronti di alcuni paesi africani. In particolare il Papa raccomanda di fronteggiare le sfide per assicurare l’integrazione degli immigrati nella società in modo che si riconosca la loro dignità umana e che si assicuri loro l’opportunità di guadagnarsi una vita decente rispettando il tempo del riposo e del culto. Il Papa ha anche raccomandato alla gente di fede e a tutti i cittadini di cooperare alla costruzione della solidarietà con prudenza e paziente determinazione. Vorrei citare anche un intervento del 7 ottobre scorso dell’Osservatore permanente della Santa Sede presso l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati a Ginevra. L’Osservatore, Mons. Tomasi, ha detto: “I disastri naturali e quelli causati dall’uomo (aveva citato poco prima la crisi dei Mercati finanziari) espongono milioni di persone e famiglie a condizioni di estrema povertà e a violazioni dei loro diritti umani fondamentali. Queste situazioni intollerabili rendono loro impossibile restare nei luoghi di residenza, anche se vorrebbero. Guardando al futuro, le condizioni delle persone sradicate appaiono più che mai ambigue e deprimenti. In vista dell’emergere e della sovrapposizione di queste nuove complessità, i nostri dibattiti sulla protezione potrebbero dover affrontare gravi ostacoli. Risposte politiche, un’assistenza immediata e conoscenze tecniche sono necessarie, ma bisogna acquisire anche una chiara dimensione 1 / 5 etica e porla al centro del dibattito mentre prendiamo decisioni su come offrire un’adeguata protezione”. Si parla di rifugiati, non tout court di immigrati, però l’osservazione mi sembra pertinente. Si parla di protezione: questa dizione riguarda i rifugiati ma l’osservazione sull’emergenza riguarda tutti e gli immigrati in particolare. Una seconda premessa riguarda la diversa responsabilità fra le realtà ecclesiali (per noi quelle della Chiesa Cattolica) e le realtà Istituzionali responsabili della promozione del Bene Comune per la gente e la società del nostro Paese. Alle realtà ecclesiali compete di testimoniare la fedeltà al Vangelo nella proposizione e nella promozione dei principi della Dottrina sociale della Chiesa. All’interno della vicenda ecclesiale, alla Caritas e alla Migrantes, come ad altre Istanze, si chiede di conoscere, di studiare le situazioni, in particolare degli ultimi, dei poveri, degli emarginati, oggi degli immigrati: studiare, conoscere, offrire proposte e testimonianze, collaborare per la promozione del Bene comune nel rispetto delle distinzioni tante volte richiamate, recentemente nell’enciclica “Deus caritas est”, e negli interventi pubblici come nel recente incontro tra il Presidente della Repubblica e il Papa, prima ancora negli accordi di revisione del Concordato nel 1984. Una distinzione di responsabilità che chiede alle realtà ecclesiali di rispettare, anche quando non si è d’accordo, il luogo politico della decisione, nella logica del pluralismo o della democrazia e alle Istituzioni pubbliche e alla Politica, chiede di rispettare anche quando non si è convinti, il parere e le convinzioni con la testimonianza e il ruolo dell’advocacy, di chi ritiene come Caritas e Migrantes, di conoscere da vicino le situazioni di povertà e di emarginazione. Questa distinzione e la conseguente reciproca attenzione, anche, ripeto, soprattutto forse dove non si è d’accordo, può aiutare il dipanarsi di un corretto confronto tra le Istituzioni e la Società civile, nell’accoglimento anche da noi del cosiddetto PIANO D della Commissione Europea (Dialogo, Dibattito, Democrazia) che rispetti i ruoli e che a tutti chieda serenità di giudizio e ascolto vicendevole. Una terza premessa riguarda la “introduzione” del Dossier con l’approccio positivo da parte della Caritas e della Migrantes in cui si ricorda che il Dossier è ispirato ad una logica di condivisione di alcuni principi di base. La metodologia di approfondire il fenomeno attraverso la raccolta di dati statistici intende essere già di per sé una salvaguardia dalle impostazioni tendenziose. E mi pare, aggiungo io, che nel Dossier si possa distinguere il dato oggettivo dalla sua lettura e dalle diverse interpretazioni possibili. Il fatto poi che Caritas e Migrantes siano organismi pastorali a servizio dei Vescovi italiani assicura ulteriormente sulla adozione di un’ottica né ideologica, né legata a logiche di interessi. Tutto questo dice l’Introduzione del Dossier nella consapevolezza che giustizia, legalità, solidarietà, apertura al futuro, sono ambiti congiunti su cui lavorare per creare convergenze ampie, nel rispetto delle distinzioni di cui sopra abbiamo detto. 2 / 5 Passando a quanto abbiamo ascoltato, al Dossier e ai suoi dati, formulerei queste brevi osservazioni: 1- Innanzitutto sul clima sociale e culturale, che mi pare si possa desumere da quanto abbiamo ascoltato e letto. Possiamo notare, su questo tutti possiamo concordare, due sentimenti concorrenti nella sensibilità della nostra gente nei confronti dell’immigrazione: - solidarietà e paura - accoglienza e timore per la sicurezza - consapevolezza dei vantaggi che l’immigrazione reca allo sviluppo economico e all’assistenza, e pericolo per la criminalità A parte la fondatezza dei timori in relazione ai dati, qualcuno – non tutti per la verità – nota nella cultura prevalente o nelle sottolineature mass mediali, una accentuazione della seconda parte delle sensibilità citate (paura, timore per la sicurezza, pericolo per la criminalità). È una sensazione, credo, di cui occorre prendere atto, anche se andrebbe ulteriormente indagato. Credo però anche che ci si debba impegnare perché la gente valuti con oggettività la situazione, non nascondendo i pericoli ma neppure ingigantendoli. Soprattutto aiutando a comporre correttamente accoglienza e legalità, che insieme generano sicurezza. Credo che i sentimenti di realismo e di speranza evocati nell’ultimo Consiglio Permanente della CEI possono favorire il nostro impegno che è di educazione e di promozione del Bene Comune. 2- Sulla situazione giuridica: dai dati mi sembra emerga la possibilità di fare di più, sia per l’accoglienza e l’integrazione, sia per la difesa della legalità, sia per l’aiuto ai Paesi da cui provengono gli immigrati, specie per quelli del Terzo mondo. La Chiesa italiana qualcosa ha fatto. Ci auguriamo che anche le Istituzioni possano fare di più, pur in tempi di tagli e di risparmi. Come si può fare questo di più? Rispettiamo la competenza e la responsabilità delle Istituzioni pubbliche, e auspichiamo che si avvalgano di luoghi e di ambiti di ascolto e di consultazione già attivati, in cui naturalmente oltre al consiglio si possa offrire anche collaborazione fattiva (il Papa ha parlato di cooperazione). Attivare e valorizzare dunque i Tavoli di coordinamento nazionali sull’ Asilo, la Commissione per la Carta dei valori, e gli altri Tavoli o Commissioni esistenti o da ripristinare o da inventare. Si tratta, ovviamente, di un suggerimento rispettoso. Luoghi di ascolto e anche, se possibile e opportuno, luoghi decisionali, secondo legge e competenze nazionali o regionali o locali, valorizzando il federalismo solidale. E luoghi che già ci sono per attivare e incrementare la cooperazione (Centri di accoglienza, Centri per i richiedenti Asilo, ex C.P.T., ecc...). Accoglienza, integrazione e contrasto della criminalità non sono atteggiamenti contraddittori ma obiettivi da perseguire contemporaneamente, con senso di umanità 3 / 5 e rispetto della dignità di ogni persona, con equità e equilibrio, come ha detto il Papa all’ambasciatore delle Filippine. 3- Le prospettive: Credo che ci sia da guardare in avanti con perspicacia, lungo le strade del futuro, come dice il titolo del Dossier, con questi nuovi cittadini, cittadini d’Italia, cittadini dell’Europa, cittadini del mondo. Realismo e speranza. Bene Comune e difesa della dignità di ogni persona, di chi viene e di chi accoglie, lontano da chiusure ideologiche. Senza falsi ottimismi e senza allarmismi inutili. Guardando al futuro con qualche impegno in più per studiare il trend dei Paesi che hanno affrontato i problemi e i drammi dell’immigrazione prima di noi, in America e in Europa, con l’esperienza ad esempio della santa Madre Cabrini, originaria della nostra Diocesi di Lodi, con gli immigrati italiani in America. Sapendo che la globalizzazione e l’apertura delle frontiere e la libertà progressiva dei popoli (e la persistente chiusura e persecuzione in altri popoli) costringe a immaginare e a fare salti di qualità, di natura culturale innanzitutto, in cui diritti e dovere, progetti di lungo e breve termine, vengano studiati e realizzati con tutte le forze valide presenti sul campo. So che l’emergenza preme e l’emergenza va affrontata con coraggio e senza paura dell’impopolarità. Ma so anche che non si può operare e non si possono affrontare eventi drammatici senza avere prospettive e idee chiare, alte, condivise, radicate nei grandi principi della tradizione umana e cristiana della nostra gente. Un’altra prospettiva importante riguarda il nostro cammino, anche sulle politiche della immigrazione, con l’Unione Europea, a partire dalle osservazioni del nostro fratello Filomeno Lopes. Sappiamo che non sempre, o non tutti si trovano d’accordo con le direttive comunitarie. Si può e si deve discutere nelle sedi competenti. E però sappiamo anche che non abbiamo alternative realistiche al camminare insieme. E sappiamo ancora che ci si sta attivando per affrontare più da vicino il problema dell’immigrazione (strategia di Barcellona, collegamento dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, e ultimamente il rapporto più stretto tra Italia, Grecia, Cipro, Malta). Alla COMECE si sta esaminando proprio in questi giorni, il Patto europeo per l’immigrazione e l’Asilo, che in parte mi pare sia stato modificato dopo le prime proposte, in particolare sul tema dei ricongiungimenti famigliari. Una parola infine sul tema delle diverse Religioni o Confessioni che con l’immigrazione da sud e da est vengono a contatto con la nostra gente, cattolica in grande maggioranza. Dal punto di vista della evangelizzazione, ma anche della promozione umana, noi chiediamo che i credenti guardino a queste presenze con spirito al contempo di - testimonianza coraggiosa della propria fede - dialogo rispettoso - a tutti chiedendo impegno di accoglienza e di rispetto della legge In Europa si celebra quest’anno l’Anno europeo del dialogo interculturale che comprende, come è naturale, il dialogo interreligioso. A Bruxelles si tengono periodicamente importanti incontri fra le Autorità comunitarie (Parlamento, Commissione, Governi) e i Rappresentanti delle Religioni e delle Comunità religiose di 4 / 5 5 / 5 ogni convinzione. C’è stato e c’è dialogo, c’è stato e c’è ascolto vicendevole. Si sono avuti dissensi e consensi con buone prospettive anche tra cristiani e mussulmani. Sul tema degli edifici di culto, credo si debba far riferimento, nel rispetto della libertà religiosa, alle leggi esistenti e soprattutto a quelle in divenire, dentro il contesto della Costituzione repubblicana. Noi speriamo che il Parlamento possa sollecitamente approvare una nuova legge sulla libertà religiosa in cui anche il tema dei luoghi di culto trovi orientamenti e normative precise. In molte regioni esistono già leggi urbanistiche adeguate a cui si può far riferimento, anche se non sempre è facile distinguere i luoghi di culto da altre strutture e soprattutto individuare i luoghi adeguati, scelti in modo da tenere conto di tutti i sentimenti in gioco. CARITAS MIGRANTES/05_scheda_sintesi.pdf 1 X V I I I R a p p o r t o s u l l ’ i m m i g r a z i o n e CARITAS/MIGRANTES Immigrazione Dossier Statistico 2008 Lungo le strade del futuro IDOS - Centro Studi e Ricerche Redazione Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes Via Aurelia 796 - 00165 Roma Tel. 06.66514345 – Fax 06.66540087 E-mail: idos@dossierimmigrazione.it Internet: www.dossierimmigrazione.it Il Dossier Caritas/Migrantes 2008, inquadrando in prospettiva i nuovi numeri sulla presenza degli immigrati con lo slogan “Lungo le strade del futu- ro”, vuole coglierne in primo luogo il significato sociale. Per prepararsi al nuovo scenario è indispensabile una mentalità più inclusiva e capace di guardare gli immigrati non come gli “altri”, i diversi, gli estranei (e, secondo alcuni, i devianti), bensì come nuovi cittadini, compagni di strada in grado di fornire un nuovo apporto al nostro sviluppo. Quanto sta avvenendo in Italia è stato in prece- denza sperimentato da molti altri paesi europei e d’oltreoceano, in diversi dei quali gli italiani stessi sono stati immigrati. Come più volte ha sottolinea- to la Chiesa, l’immigrazione può apportare notevoli potenzialità allo sviluppo locale, ma richiede atten- zione e accoglienza, in un quadro certo di diritti e di doveri. Il numero degli immigrati. Fornire il numero totale degli immigrati regolari presenti in Italia all’i- nizio di ogni anno è il primo compito di un rappor- to periodico come il Dossier Caritas/Migrantes. Secondo l’Istat i cittadini stranieri residenti, dopo un aumento annuale di circa mezzo milione di unità, all’inizio del 2008 sono quasi 3.433.000, inclusi i comunitari: il 62,5% nel Nord (più di 2 milioni), il 25,0% nel Centro (poco meno di 1 milione) e il 12,5% nel Mezzogiorno (quasi mezzo milione). Le regioni con un maggior numero di immigrati stranieri sono la Lombardia (815.000 residenti e circa 910.000 presenze regolari) e il Lazio (391.000, 423.000). Caritas e Migrantes accreditano un numero supe- riore di immigrati regolarmente presenti, che oscilla tra i 3.800.000 e i 4.000.000, su una popolazione complessiva di 59.619.290 persone, con un’inci- denza del 6,7% (leggermente al di sopra della media UE, che è stata del 6,0% nel 2006). Queste due fonti, seppure differenti, non sono in contrasto perché si riferiscono a distinte categorie di immigrati: il Dossier tiene conto anche di quanti, arrivati più di recente, non hanno ancora acquisito la residenza, per il cui ottenimento si richiede spes- so più di un anno. La prima collettività, raddoppiata in due anni, è quella romena (625.000 residenti e, secondo la stima del Dossier, quasi 1 milione di presenze rego- lari), seguita da quella albanese (402.000) e maroc- china (366.000); un poco al di sopra e un poco al di sotto delle 150 mila unità si collocano, rispettiva- mente, le collettività cinese e ucraina. A guadagna- re anche in termini percentuali sono stati gli euro- 2 pei (52,0%), mentre gli africani mantengono le posizioni raggiunte (23,2%) e gli asiatici (16,1%) e gli americani (8,6%) perdono almeno un punto percentuale. La dimensione strutturale e i flussi. Tutte le fonti statistiche attestano: • la ragguardevole presenza complessiva dei citta- dini stranieri; • il forte aumento annuale; • l’incidenza delle donne, diventata ormai parita- ria a quella maschile; • la maggiore forza d’attrazione delle regioni del Centro-Nord; • la crescente presenza anche nel Meridione; • il persistente fabbisogno di manodopera aggiun- tiva; • la crescente tendenza alla stabilizzazione; • il carattere sempre più familiare dell’insediamen- to; • il peso crescente dei minori e delle seconde generazioni; • la pluralità dei paesi di origine e delle tradizioni culturali e religiose. È un indicatore di stabilità anche il crescente inve- stimento per l’acquisto della casa. Tra gli italiani 8 su 10 sono proprietari di casa, mentre tra gli immi- grati lo è solo 1 su 10, ma il divario è in continua diminuzione: nel 2007 gli acquisti effettuati da parte di questi ultimi sono stati 120.000. Tutto lascia intendere che gli immigrati resteran- no stabilmente in Italia e saranno sempre più numerosi: per questi motivi si attribuisce all’immi- grazione una dimensione strutturale. Il nostro paese si colloca in Europa tra quelli al vertice per numero di immigrati e il termine “straniero” diventa sempre meno idoneo a qualificare una presenza così radica- ta e crescente. La dimensione globale delle grandi città italiane anticipa quello che sarà il futuro nel resto del paese. A Milano l’incidenza degli stra- nieri è del 14% e 1 ogni 4 è minore (quasi 50.000 su un totale di 200.000), mentre a Roma l’inci- denza si attesta sul 10% e l’intera popo- lazione immigrata raggiunge le 300.000 unità. I flussi nell’ultimo triennio. Nel periodo 2005-2007 sono state presentate circa 1 milione e 500.000 domande di assunzione di lavoratori stranieri da parte delle aziende e delle famiglie italiane: 251.000 nel 2005, 520.000 nel 2006 e 741.000 nel 2007, con una incidenza, rispetto alla popolazione straniera già residente, prima del 10%, poi del 20% e nel 2007 del 25% (ma addirittura del 33% rispetto ai lavora- tori stranieri già occupati). I flussi registrati nell’ulti- mo decennio sono tra i più alti nella storia d’Italia, paragonabili – se non superiori – al consistente esodo verso l’estero degli italiani nel secondo dopo- guerra. In fenomeni così vasti e dal ritmo così serrato si annidano anche gli abusi, ma questo non deve far dimenticare che l’immigrazione è sostanzialmente di segno positivo e concorre fortemente a porre rimedio alle lacune del nostro paese. La transizione demografica in atto sta trasformando l’Italia da paese dall’età media avanzata in un paese tra i più vecchi del mondo, mentre il mercato – per produr- re ricchezza – abbisogna continuamente di nuovi innesti lavorativi. Gli immigrati sono una popolazio- ne giovane: l’80% ha meno di 45 anni, mentre sono molto pochi quelli che hanno superato i 55 anni. Inoltre, il tasso di fecondità delle donne stra- niere è in grado di assicurare il ricambio della popo- lazione (2,51 figli per donna), a differenza di quan- to avviene tra le italiane (1,26 figli in media). Nel 2007, poiché non è stata integrata la quota iniziale di 170.000 nuovi ingressi, si può ipotizzare, tenuto conto delle domande presentate, la presen- za di almeno mezzo milione di persone già insedia- te in Italia e inserite nel mercato del lavoro nero (e a volte sprovviste di permesso di soggiorno) il che solleva la necessità di una più efficace gestione del mercato occupazionale. A regolamentare i flussi in entrata non potranno essere i Centri di identificazione e di espulsione e gli interventi repressivi, ma si richiede il supporto di interventi più organici. Residenti stranieri al 31.12.2006 2.938.922 Pratiche di residenza in arretrato risolte nel corso del 2007 300.000 Nuovi occupati nel 2007 251.190 Nuovi lavoratori autonomi venuti dall’estero nel 2007 (comunitari e non) 1.600 Nuovi nati da entrambi i genitori stranieri nel 2007 (stima) 63.000 Minori non comunitari ricongiunti nel corso del 2007 32.744 Altri familiari non comunitari ricongiunti nel 2007 60.810 Soggiornanti non comunitari venuti per altri motivi nel 2007 45.886 Comunitari venuti per ricongiungimento familiare o per altri motivi nel 2007 92.960 Comunitari venuti nel 2007, senza registrarsi, in previsione di un loro insediamento 200.000 Stima presenze regolari totali al 31.12.2007 3.987.112 ITALIA. Stima Caritas/Migrantes della presenza straniera regolare, comunitaria e non comunitaria (31.12.2007) FONTE: Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes. Stima su fonti varie Crescente simbiosi con gli italiani. Tra gli italiani e gli immigrati la connessione sta diventando sempre più stretta, gli uni non possono andare avanti senza gli altri, sebbene accanto a innegabili vantaggi si pongano anche problemi da superare. Conviene soffermarsi su tre aspetti, che attestano l’esistenza di legami sempre più forti e mostrano quanto non sia ragionevole ipotizzare una netta “separazione” tra popolazione italiana e popolazione immigrata. 1. Gli immigrati, in un numero sempre più elevato di casi, sono interessati ad acquisire il permesso di soggiorno per lungo-residenti (documento in prece- denza denominato “carta di soggiorno”), perché capiscono che la loro permanenza in Italia sarà tutt’altro che temporanea, si fanno raggiungere dai propri cari o si sposano e mettono su famiglia. In questo contesto sorprende non poco che molti inizi- no da regolari la loro storia migratoria e finiscano nella irregolarità, per la complessità e la contradditto- rietà di alcuni aspetti della normativa. 2. Gli immigrati non solo vivono vicino a noi, ma instaurano rapporti di vera e propria condivisione. Nel 2006, 1 matrimonio ogni 10 ha coinvolto un partner italiano e uno straniero (24.020 su un totale di 245.992 matrimoni), quota più che doppia rispet- to ai matrimoni con entrambi i coniugi stranieri (10.376). In nove regioni del Nord l’incidenza dei matrimoni misti arriva addirittura al 25% del totale. Le coppie miste che resistono nel tempo attestano una realtà molto promettente ai fini dello scambio culturale. 3. Sempre più l’acquisizione della cittadinanza ita- liana viene ritenuta funzionale al proprio disegno di permanenza e a un inserimento paritario, il che indi- ca anche un apprezzamento per il nostro paese. Nel 2007 sono stati 38.466 i casi di acquisizione di citta- dinanza, circa il doppio rispetto a tre anni fa. Il livello è però ancora molto basso se confrontato con i 700 mila casi di cittadinanza registrati in Europa, quasi 2.000 al giorno, dei quali solo un centinaio in Italia, che nell’Unione registra ancora uno tra i più bassi tassi di naturalizzazione. Un contribu- to lavorativo indispensabile. In Italia, special- mente tra gli immigrati, è enormemente diffuso il merca- to del lavoro nero, non solo presso le fami- glie ma anche nelle aziende, con un’ampiez- za sconosciuta negli altri paesi industrializzati. Pure le statistiche lavorative ufficiali attestano il contributo sostanziale di questi lavoratori, sia europei (i più numerosi) che di altri continenti. Nell’insieme si tratta di più 1 milione e 500.000 persone, con un’incidenza sul totale che supera il 10% degli occupati in diversi comparti. La massima concentrazione di lavoratori immigra- ti, pari ai due terzi del totale, si rileva nel Nord. A Brescia è nato all’estero 1 lavoratore ogni 5 occupa- ti; a Mantova, Lodi e Bergamo 1 su 6; a Milano 1 su 7; sempre a Brescia è nato all’estero 1 assunto ogni 3 e a Milano 1 ogni 4, mentre in tutta la Lombardia i nuovi assunti quasi per la metà (45,6%) sono nati all’estero. Nel Veneto, all’inizio del 2000 erano 20.000 le aziende che ricorrevano ai lavoratori stra- nieri, mentre ora sono 40.000. Nel Lazio vi è solo un decimo di questi lavoratori, ma sono tanti quan- ti nell’intero Mezzogiorno, dove in alcuni settori come l’agricoltura, l’edilizia e l’assistenza alle fami- glie il loro apporto è divenuto parimenti indispensa- bile. Si radica nella forte presenza nel mondo del lavo- ro anche l’elevato tasso di iscrizione ai sindacati (814.311 persone), che incide per il 5% sul totale degli iscritti e per ben il 12% sugli iscritti attivi, decurtati cioè dei pensionati. Un apporto lavorativo necessario anche nel futuro. Le piccole imprese sono protagoniste delle assunzioni nei tre quarti dei casi e ciò per la peculia- re conformazione del nostro sistema produttivo. La situazione è molto differente dal panorama migra- torio del dopoguerra, quando milioni di meridionali furono attratti dalle grandi fabbriche del Nord Ita- lia, della Germania, della Svizzera e di altri paesi europei. Si spiega così anche il carattere diffuso degli immigrati su tutto il territorio. Il loro tasso di attività è mediamente del 73,2% (dell’88% per i soli maschi), e quindi ben 12 punti in più rispetto agli italiani, mentre il loro tasso di disoccupazione è due punti più alto (8,3% in media 3 Tasso di attività Occupati nati in paesi esteri 2.704.450 stranieri 73,2% Nuovi assunti nati in paesi esteri 599.466 italiani 61,9% Saldi tra assunzioni e cessazioni 198.033 Tasso di occupazione Percentuale nuovi assunti su occupati 22,2% stranieri 67,1% italiani 58,1% Imprese costituite da persone nate all'estero 165.114 Tasso di disoccupazione Stranieri iscritti ai sindacati (Cgil, Cisl, Uil, Ugl) 814.311 stranieri 8,3% Infortuni di lavoratori nati in paesi esteri 140.579 italiani 5,9% Incidenza stranieri su totale infortuni 15,4% donne straniere 12,7% Rimesse inviate dall’Italia (in migliaia di euro) 6.044.060 Stranieri alle dipendenze 84,4% Stima del gettito fiscale degli immigrati (in euro) 3.749.371.530 ITALIA. Partecipazione degli immigrati all’economia e al mercato del lavoro (2007) FONTE: Dossier Statistico Immigrazione. Elaborazioni su dati di fonti varie e 12,7% per le donne), ma con valori tre volte più elevati per alcune collettività come quella maroc- china. Gli occupati in agricoltura (7,3%) e quelli nei ser- vizi (53,8%) nel periodo 2005-2007 sono aumenta- ti di due punti percentuali a scapito dell’industria (35,3%). Le tipologie di inserimento evidenziano le diverse caratteristiche del territorio: nel Nord prevalgono il lavoro in azienda e il lavoro autonomo, nel Centro il lavoro autonomo e il lavoro in famiglia e nel Sud il lavoro in famiglia e il lavoro agricolo. Anche in una congiuntura economica difficile, come quella attuale, è prevista la necessità di nuovi lavoratori stranieri per il buon andamento del merca- to, per cui si tratta di rendere più flessibile il ricorso alle quote anziché chiudere pregiudizialmente l’af- flusso. Ai lavoratori immigrati, del resto, è dovuta per i due terzi la crescita dell’occupazione in Italia, nel- l’ordine di 234.000 nuovi lavoratori nel 2007. Aumento degli imprenditori immigrati. Gli immigrati occupano i posti di lavoro loro offerti e in misura crescente ne creano per proprio conto, spe- cialmente dopo aver superato la difficile fase del primo inserimento. Il lavoro autonomo, soprattutto artigiano, coinvolge più di un decimo della popola- zione adulta straniera, con 165.114 titolari d’impre- sa, 52.715 soci e 85.990 altre figure societarie: è intervenuto un aumento di un sesto rispetto a mag- gio 2007, con una dinamicità ben più accentuata rispetto a quella riscontrabile tra le aziende a titola- rità italiana. L’85% delle aziende con titolari immigrati è stato costituito dal 2000 in poi, quando sotto diversi aspetti il radicamento dell’immigrazione è diventa- to più palese. Le collettività con più imprenditori (oltre 20.000) sono la marocchina, la romena (in forte crescita) e la cinese, mentre l’albanese segue con 17.000 titolari. Si riscontra attualmente una notevole concentrazione settoriale: su 10 imprese 4 lavorano in edilizia, settore dinamico e diffuso in tutta Italia, e quasi 4 nel settore commerciale. Se il tasso di imprenditorialità degli immigrati fosse pari a quello degli italiani, le imprese raddop- pierebbero e supererebbero le 300.000 unità, con conseguenti benefici in termini di produzione di ric- chezza e creazione di posti di lavoro, auspicabil- mente con una presenza anche nei settori a più alta tecnologia e contenuto innovativo, evitando così che l’apporto degli imprenditori immigrati sia limi- tato ai livelli più bassi. Il Dossier ha scelto come caso di studio il Consorzio Interpreti Traduttori (ITC), costituito a Roma nel 2006 ma operante in tutta Italia. Il consorzio mette a dispo- sizione delle Commissioni per il riconoscimento dello status di rifugiato e dei Centri di accoglienza e di iden- tificazione i suoi 823 soci di entrambi i sessi, per lo più laureati (anche se in 4 casi su 5 il loro titolo non è stato riconosciuto), provenienti dai diversi continenti, con una discreta anzianità di residenza (solo un terzo è presente in Italia da meno di 10 anni) e anche un’età matura (più della metà ha superato i 35 anni), in un quarto dei casi nati o cresciuti in Italia, ottimi conoscitori di varie lingue. Creatori di ricchezza e non assistiti. Il Dossier, in collaborazione con la Commissione d’indagine sull’e- sclusione sociale, le associazioni degli immigrati e la società cooperativa Codres, ha condotto nell’area romana un’indagine su un campione di oltre 900 immigrati dai risultati significativi. Risulta, in generale, che gli immigrati corrono maggiormente il rischio di cadere in povertà rispetto agli italiani perché fruiscono di minori tutele. Le maggiori difficoltà riscontrate nella fase iniziale ven- gono superate grazie alle reti parentali e amicali, solo raramente integrate da interventi delle strutture pub- bliche. Anche se il reddito medio netto da lavoro non è elevato (sui 900 euro), circa i due terzi degli intervistati si ritengono soddisfatti dell’inserimento occupazionale realizzato. Cercano di farsi bastare quanto hanno e i loro consumi sono in prevalenza destinati a soddisfare i bisogni di base. Il loro inqua- dramento come una massa di assistiti non trova riscontro nei risultati dell’indagine e neppure nelle statistiche ufficiali. Secondo i dati Istat (2005), per interventi diretti rivolti specificamente agli immigrati sono stati spesi dai comuni 136,7 milioni di euro, il 2,4% della loro spesa sociale, pari a 53,9 euro pro capite. Tenendo conto che gli immigrati sono anche beneficiari dei servizi rivolti alla generalità della popolazione, le somme utilizzate a loro beneficio potrebbero salire al massimo a 1 miliardo di euro e sarebbero abbon- dantemente coperte dalle entrate che essi garanti- scono. Una stima del Dossier ha evidenziato che il gettito fiscale assicurato dagli immigrati nel 2007 è stato di 3 miliardi e 749 milioni di euro, dei quali 3,1 miliar- di per i soli versamenti Irpef e le restanti somme per diverse altre voci (addizionale Irpef regionale, Ici, Imposte catastali e ipotecarie), tra le quali le più consistenti sono quelle per imposta di registro (137,5 milioni) e imposta sostitutiva del reddito d’impresa (254,5 milioni di euro). Questi numeri non destano sorpresa, tenuto anche conto che secondo Unioncamere gli immi- grati concorrono per il 9% al Prodotto Interno Lordo. Gli immigrati assicurano anche un contributo economico rilevante ai paesi di origine tramite le rimesse, che nel 2007 a livello mondiale sono ammontate a 337 miliardi di dollari, mentre in Italia hanno raggiunto i 6 miliardi di euro, un quinto in 4 5 più rispetto al 2006, dirette in prevalenza verso i paesi emergenti e in via di sviluppo, in particolare verso la Cina e le Filippine. Scuola e università. Nel 2007 sono nati 64.000 bambini da entrambi i genitori stranieri e, se si tiene anche conto dei minori che vengono per ricongiun- gimento, emerge che la popolazione minorile aumenta in Italia al ritmo di 100.000 unità l’anno. I minori stranieri residenti sono 767.060, dei quali ben 457.345 di seconda generazione, ovvero nati in Italia e quindi stranieri solo giuridicamente. Gli studenti figli di immigrati aumentano al ritmo di 70.000 unità l’anno e hanno sfiorato le 600.000 unità nell’anno scolastico 2007-2008 (574.133), con un’incidenza media del 6,4% (ma del 10% e più in Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Umbria) e una maggiore concentrazione nelle scuo- le elementari e medie. Sono poco meno di 100 mila gli studenti romeni (92.734), albanesi (85.195) e marocchini (76.217), quasi 30.000 i cinesi, 20.000 gli ecuadoregni, 15.000 i tunisini, i serbi e i montenegrini. Non sono pochi i problemi che si presentano in un sistema scolastico scarsamente dotato di mezzi per favorirne un inserimento adeguato, specialmen- te quando il trasferimento dall’estero avviene nel corso dell’anno scolastico. Secondo fonti ministeria- li, il 42,5% degli alunni stranieri non è in regola con gli studi, con ritardi scolastici particolarmente accentuati nella scuola secondaria superiore, dove il 19% degli iscritti stranieri ha più di 18 anni. Un altro serio problema è l’eccessiva canalizzazione di questi ragazzi verso il ramo tecnico-professionale. La globalizzazione riguarda anche le università italiane, dove sono iscritti 47.506 studenti stranieri, il doppio rispetto ad appena 10 anni fa ma pur sempre pochi: del resto il nostro sistema conosce una bassa considerazione a livello internazionale, risultando solo le università di Bologna e Roma (La Sapienza) nella graduatoria delle prime 200 più prestigiose (peraltro solo al 173° e 183° posto). Gli studenti stranieri sono solo il 2,6% dell’intera popolazione universitaria (1.809.186) e, quindi, un’esigua quota rispetto alla media dei paesi Ocse (7%). Gli universitari stranieri nuovi immatricolati sono annualmente 10.000 (per il 60% donne). Inol- tre, gli iscritti ai dottorati di ricerca sono 2.136 su 38.890 (5,9%), gli iscritti ai master di I e II livello 2.385 su 43.127 (5,5%) e i laureati 5.000 l’anno. Le lingue e le culture degli immigrati. Rilevante è anche la ricchezza culturale di cui gli immigrati sono portatori e della quale sono espressione le rispettive lingue (il Dossier ne censì 150 già nel 2001 in uno studio dell’Università per stranieri di Siena). Queste lingue, oltre a essere una ricchezza per i contenuti che veicolano, possono fungere anche da volano per i contatti commerciali con i paesi di origine: si pensi al cinese, all’arabo, al russo e allo spagnolo. Le lingue madri, che solitamente non sono di ostacolo all’apprendimento dell’italiano, sono indi- spensabili per sostenere l’identità culturale matura- ta nei paesi d’origine e la vita delle diverse colletti- vità. L’ong Cospe ha registrato 146 testate “in lin- gua” di immigrati attive ad aprile 2007, per i due terzi costituite negli ultimi 5 anni: 63 giornali (per lo più mensili), 59 trasmissioni radiofoniche, 24 programmi televisivi (in prevalenza settimanali) con intervento anche di grandi gruppi come “Metropo- li” del giornale “La Repubblica” e “Stranieri in Ita- lia”. Lavorano nel settore 800 operatori di cui 550 di origine straniera. Si avverte sempre più la neces- sità di riformare la legge professionale, perché attualmente una testata in lingua straniera deve essere diretta da giornalisti italiani, che il più delle volte non conoscono l’idioma della testata stessa. A livello deontologico è stata approvata la Carta di Roma, che però abbisogna di essere dotata di mezzi concreti di applicazione. Il problema della criminalità. Le denunce presen- tate contro cittadini stranieri da 89.390 nel 2001 sono diventate 130.458 nel 2005, su un totale di 550.990 (ultimo dato Istat disponibile). L’aumento complessivo delle denunce nel quinquennio è stato del 45,9% e nello stesso periodo l’incidenza della cri- minalità straniera (regolare e non) è passata dal 17,4% al 23,7%, mentre la presenza straniera rego- lare è raddoppiata (da 1.334.889 a 2.670.514 resi- denti stranieri). Solitamente si afferma che gli stranieri abbiano un più alto tasso di delinquenza degli italiani, senza tenere conto che la “popolazione straniera” coinvol- ta nelle denunce include anche gli immigrati irrego- lari e le persone di passaggio, dai turisti agli uomini d’affari, non quantificabili con esattezza. Un caso particolare è stato quello della collettività romena, che costituisce attualmente un quarto della Imposte Stima del gettito IRPEF 3.113.421.680 Add.le Reg.le IRPEF 146.324.372 Add.le Com.le IRPEF 43.016.010 I.C.I. 10.536.068 Imposte catastali 22.008.000 Imposte ipotecarie 22.008.000 Imposta di registro 137.550.000 Imposta sostitutiva 254.507.400 TOTALE 3.749.371 .530 ITALIA. Stima del gettito fiscale degli immigrati (2007) FONTE: Dossier Statistico Immigrazione. Elaborazioni su dati di fonti varie presenza straniera totale ed è stata coinvolta nel 2005 in un sesto delle denunce penali presentate contro cittadini stranieri, per cui è stata additata come una presenza ad “altissimo potenziale crimina- le”. Senza sminuire la delicatezza della questione, però, il Dossier argomenta sulla base dei dati che la maggior parte dei romeni sono persone oneste. Del resto, secondo lo stesso Rapporto sulla crimina- lità, curato nel 2007 dal Ministero dell’Interno, tenu- to conto che gli immigrati irregolari sono quelli prin- cipalmente coinvolti, i cittadini stranieri regolari inci- dono sulle denunce penali complessive all’incirca quanto incidono sul totale della popolazione resi- dente, tuttavia con un particolare coinvolgimento in reati quali lo sfruttamento della prostituzione, l’estor- sione, il contrabbando e la ricettazione. Un altro caso delicato è quello dei rom, nei cui confronti si è ricorso alla “giustizia fai da te” (il caso del campo Ponticelli a Napoli, complice la credenza non suffragata da dati giudiziari che i rom siano rapi- tori di bambini) e, per la prima volta, all’ipotesi di rilevare impronte digitali nei confronti dei minori della comunità, già così negativamente stigmatizza- ta. Anche secondo Caritas e Migrantes la criminalità pregiudica una corretta convivenza societaria e chi delinque va condannato e punito, ma in un’ottica di rieducazione e senza forme di discriminazione san- zionatoria (come invece è avvenuto nei confronti degli irregolari). La cultura della legalità non è la mera risultante di interventi repressivi ma abbisogna di politiche sociali più inclusive, perché prevenzione e integrazione devono andare di pari passo, mentre espressioni del tipo “tolleranza zero” sono più che abusate nel nostro paese. Un futuro insieme agli immigrati. La stima Istat (giugno 2008) della popolazione residente in Italia fino al 2050 ridimensiona il pericolo di “estinzione” della popolazione italiana e, nel contempo, evidenzia il crescente impatto degli stranieri, a fronte di un andamento demografico negativo, anche se le nasci- te non scenderanno al di sotto delle 500.000 unità. I tre scenari ipotizzati dall’Istat (basso, centrale e alto, a seconda dei parametri prescelti) contempla- no, infatti, l’aumento della popolazione anziana e la diminuzione della popolazione in età da lavoro. In tutti gli scenari l’età media, dai 42,8 anni del 2007, passerà a 49 anni a metà secolo. La popolazione attiva, da 39 milioni del 2007 scenderà nel 2051 a 30,8 milioni nello scenario basso, 33,4 milioni nello scenario medio e 35,8 nello scenario alto. Le persone con 65 anni e oltre, rispetto agli attuali 11,8 milioni, nel 2051 diventeranno 22,2 milioni nello scenario alto, 20,3 milioni nello scenario medio e 18,3 milioni nello scenario basso. I residenti, rispetto ai 59,1 milioni d’inizio 2007, aumenteranno nel 2031 sia nello scenario medio (60,3 milioni, di cui 53,9 italiani) che in quel- lo alto (64,6 milioni, di cui 55,5 italiani) e lo stesso avverrà nel 2051 con 61,6 milioni di abitanti nello scenario medio (di cui 50,9 italiani) e 67,3 milioni nello scenario alto (di cui 54,9 italiani); invece nello scenario basso si andrebbe sotto il livello attuale (55,6 milioni di cui 46,7 italiani, che diminuirebbero così di 3,5 milioni rispetto al 2007). Il futuro dell’Italia non è realisticamente immagina- bile senza gli immigrati. A metà secolo gli stranieri nel paese, al netto di quelli che diventeranno cittadi- ni italiani, saranno 8,9 milioni nello scenario basso, 10,7 milioni nello scenario medio e 12,4 milioni nello scenario alto, con un’incidenza tra il 16% e il 18% sui residenti. Il livello dei flussi annuali ipotizzati dall’Istat, al netto delle uscite, è di 150.000 nuovi immigrati nello scenario basso, 200.000 nello scenario medio e 240.000 nello scenario alto, ipotesi che sembra reali- stico ritoccare ulteriormente verso l’alto. Già attual- mente, infatti, è di 170.000 unità la quota annuale per l’ingresso di nuovi lavoratori, poco meno di 100.000 persone giungono per ricongiungimento familiare, i nuovi nati da entrambi i genitori stranieri sono 64.000 e qualche decina di migliaia di persone vengono a soggiornare in Italia per altri motivi quali quelli religiosi o di studio, determinando così un afflusso nettamente superiore a quello della stessa Germania. Priorità dell’integrazione per Caritas e Migran- tes. Caritas e Migrantes sono organismi ecclesiali impegnati in immigrazione con i propri operatori e con molteplici strutture di servizio fin dagli anni Set- tanta, quando il fenomeno iniziava a rendersi visibile. Questa consolidata esperienza induce ad auspicare il superamento del “complesso di Penelope”, che porta lo schieramento politico maggioritario a disfa- re quanto fatto in precedenza, senza che così possa nascere un minimo comune denominatore libero da logiche ideologiche o partitiche. Il nodo centrale è la mancata percezione dell’im- migrazione come fenomeno strutturale, destinato a incidere sempre più in profondità sulla società. 6 2001 Il tempo dell’integrazione 2002 Lavoratori e cittadini 2003 Italia, paese di immigrazione 2004 Società aperta, società dinamica e futura 2005 Immigrazione e globalizzazione 2006 Al di là dell’alternanza 2007 Anno europeo del dialogo interculturale 2008 Lungo le strade del futuro Gli slogan del Dossier Caritas/Migrantes negli anni Duemila Questo fenomeno non è regolabile unicamente sulla base delle esigenze congiunturali del mondo del lavoro, non è affronta- bile con un mero atteggia- mento di chiusura e non è inquadrabile unicamente nelle esigenze di ordine pubblico. È la logica dei numeri a esigere un cam- biamento di mentalità e l’adozione di politiche rea- listiche e più aperte, supe- rando l’avversione apriori- stica verso la diversità degli immigrati (di colore, di cultura, di religione). Pur nella convinzione che legalità e solidarietà vanno di pari passo, il cosiddetto “pacchetto sicurezza” non esaurisce i contenuti della politica migratoria e neppure ne è la parte più rilevante. Quest’impostazione non elimina gli ostacoli che rendono difficile la vita degli immigrati e non si adopera per sostenerne l’inserimento con risorse e interventi adeguati. Il biso- gno di strategie durature di integrazione è stato ricordato dall’Anno euro- peo del dialogo intercultu- rale, inaugurato con il motto “insieme nella diversità”. Numerose sono le esi- genze cui dare risposta: la necessità di favorire l’im- piego regolare di immi- grati, in particolare nel settore dell’assistenza familiare, di assecondare l’esigenza di coesione delle famiglie, di assicura- re il sostegno sociale all’in- serimento, all’occorrenza chiamando anche i datori di lavoro a fare la loro parte. Secondo Caritas e Migrantes sono le politi- che di integrazione il vero banco di prova degli inter- venti governativi in questo settore. 7 Residenti (Istat) Presenze regolari (stima Dossier)Paese v.a. % vert. v.a. % vert. Romania 625.278 18,2 856.700 21,5 Albania 401.949 11,7 436.300 10,9 Marocco 365.908 10,7 398.500 10,0 Cina 156.519 4,6 169.200 4,2 Ucraina 132.718 3,9 140.400 3,5 Filippine 105.675 3,1 116.400 2,9 TOTALE 3.432.651 100,0 3.987.100 100,0 ITALIA. Stranieri residenti per continenti e principali paesi d’origine FONTE: Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes e Istat Residenti (Istat) Presenze regolari (stima Dossier)Regione v.a. % vert. v.a. % vert. Lombardia 728.647 24,8 953.600 23,9 Veneto 350.215 11,9 473.800 11,9 Lazio 330.146 11,2 480.700 12,1 Emilia-Romagna 317.888 10,8 421.000 10,6 Piemonte 252.302 8,6 352.000 8,8 Toscana 234.398 8,0 319.400 8,0 ITALIA 2.938.922 100,0 3.987.100 100,0 ITALIA. Stranieri residenti per ripartizione e principali regioni di insediamento FONTE: Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes e Istat 8 CITTADINANZA v.a. % vert. % donne CITTADINANZA v.a. % vert. % donne Romania 625.278 18,2 52,9 Venezuela 5.219 0,2 67,9 Albania 401.949 11,7 44,7 Portogallo 4.842 0,1 58,0 Marocco 365.908 10,7 40,8 Capo Verde 4.482 0,1 72,0 Cina, Rep.Pop. 156.519 4,6 47,3 Bielorussia 4.265 0,1 80,7 Ucraina 132.718 3,9 80,4 Thailandia 4.055 0,1 90,2 Filippine 105.675 3,1 58,5 Corea, Rep. 3.932 0,1 51,1 Tunisia 93.601 2,7 35,1 Cile 3.556 0,1 57,6 Polonia 90.218 2,6 70,2 Siria 3.539 0,1 37,8 Macedonia 78.090 2,3 42,4 Messico 3.516 0,1 67,5 India 77.432 2,3 40,2 Libano 3.471 0,1 35,4 Ecuador 73.235 2,1 60,2 Svezia 3.451 0,1 67,7 Perù 70.755 2,1 60,7 Congo 3.370 0,1 49,0 Egitto 69.572 2,0 29,5 Togo 3.214 0,1 33,9 Moldova 68.591 2,0 66,4 Congo, Rep. 3.169 0,1 49,1 Serbia e Montenegro 68.542 2,0 44,7 Slovenia 3.096 0,1 46,7 Senegal 62.620 1,8 19,4 Lituania 3.006 0,1 80,8 Sri Lanka 61.064 1,8 44,2 Giordania 2.860 0,1 36,1 Bangladesh 55.242 1,6 32,4 Irlanda 2.735 0,1 54,2 Pakistan 49.344 1,4 30,0 Canada 2.413 0,1 57,0 Nigeria 40.641 1,2 57,0 Israele 2.332 0,1 38,0 Germania 40.163 1,2 61,4 Guinea 2.268 0,1 37,7 Ghana 38.400 1,1 43,7 Danimarca 2.186 0,1 62,9 Brasile 37.848 1,1 67,8 Benin 2.129 0,1 39,5 Bulgaria 33.477 1,0 59,1 Sudan 2.106 0,1 16,0 Francia 30.803 0,9 61,0 Australia 2.089 0,1 61,2 Bosnia-Erzegovina 27.356 0,8 43,9 Liberia 1.876 0,1 13,5 Regno Unito 26.448 0,8 55,7 Iraq 1.825 0,1 32,4 Algeria 22.672 0,7 30,5 Finlandia 1.723 0,1 79,1 Russia, Federazione 21.523 0,6 80,7 Uruguay 1.673 0,0 59,2 Croazia 21.308 0,6 47,9 Angola 1.631 0,0 46,5 Dominicana, Rep. 18.591 0,5 67,7 San Marino 1.575 0,0 41,8 Colombia 17.890 0,5 65,3 Lettonia 1.559 0,0 83,0 Spagna 17.354 0,5 72,7 Libia 1.517 0,0 39,6 Costa d'Avorio 17.132 0,5 45,1 Indonesia 1.453 0,0 77,6 Stati Uniti 15.036 0,4 54,0 Kenya 1.277 0,0 60,0 Cuba 14.581 0,4 78,0 Uzbekistan 1.178 0,0 80,8 Turchia 14.562 0,4 40,7 Sierra Leone 1.159 0,0 39,9 Argentina 12.492 0,4 56,0 Afghanistan 1.063 0,0 8,0 Eritrea 11.386 0,3 47,0 Georgia 1.012 0,0 71,6 Svizzera 9.798 0,3 56,3 Vietnam 988 0,0 58,9 Mauritius 9.246 0,3 53,8 Madagascar 984 0,0 72,7 Burkina Faso 8.960 0,3 34,2 Niger 952 0,0 54,3 Paesi Bassi 8.165 0,2 57,2 Norvegia 920 0,0 62,7 Slovacchia 7.463 0,2 65,5 Paraguay 917 0,0 71,5 Etiopia 7.331 0,2 60,4 Kazakhstan 900 0,0 79,7 Grecia 7.063 0,2 45,3 Mali 832 0,0 38,1 Giappone 7.060 0,2 65,1 Malta 803 0,0 70,5 Camerun 6.940 0,2 46,4 Tanzania 750 0,0 55,2 Iran 6.913 0,2 44,1 Gambia 748 0,0 28,3 Austria 6.609 0,2 68,0 Estonia 734 0,0 90,3 Somalia 6.237 0,2 55,1 Dominica 725 0,0 70,1 El Salvador 6.144 0,2 63,4 Apolidi 722 0,0 44,3 Bolivia 6.043 0,2 62,1 Seychelles 654 0,0 69,0 Belgio 5.813 0,2 59,1 Honduras 632 0,0 71,0 Ceca, Rep. 5.499 0,2 81,8 Sud Africa 569 0,0 56,1 Ungheria 5.467 0,2 74,4 Mauritania 567 0,0 33,9 ITALIA. Stranieri residenti per cittadinanza e sesso (31 dicembre 2007)* * Secondo la stima del Dossier Caritas/Migrantes la presenza regolare complessiva degli immigrati è pari a 3.987.000 persone, circa il 16% in più rispetto ai 3.432.651 residenti registrati dall’Istat. FONTE: Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes. Dati Istat