L’esigenza di un’unificazione personale profonda dell’operare, dell’agire e dell’essere nella produzione, nella e nell’imprenditoria rimangono spesso inespressi, ma non per questo meno cogenti. Sviluppi umanistici e religiosi della e delle professioni possono risultare significativi per la stessa buona qualità della professionale e dei vissuti lavorativi e professionali. Oggi, per un verso, tale esigenza si può ricollegare al venir meno della forza motivazionale delle ideologie del lavoro, tipiche del recente passato (comunista-socialista, liberistico-laicista, cristiano-sociale) e dei valori che esse prospettavano: sia in termini di moralità soggettiva (onestà, laboriosità, solidarietà, ecc.) sia di impegno etico oggettivo (costruzione del bene comune, giustizia sociale, sviluppo democratico). Altrettanto è da dire per certe modalità delle concezioni religiose (cattolica, protestante o di altre confessioni) che concepivano il e le professioni come luogo di espiazione, di redenzione, di santificazione o di carità ed impegno sociale. Per altro verso, tale esigenza scaturisce, magari a livello intuitivo, dalla percezione dell’insufficienza della secolarizzazione, dalla ricerca di una buona qualità della vita o dall’insoddisfazione per le attese riposte nell’efficientismo e nell’innovazione tecnologica informatica e telematica. In questo contesto si comprende la rinnovata attenzione alla Dottrina Sociale della Chiesa () ed in particolare all’insegnamento del Papa Giovanni Paolo II, sia per il loro ribadire la centralità della persona umana e della sua dignità, sia per la loro chiara denuncia, tutela, difesa e promozione dei diritti umani, tra cui quelli dell’occupazione e di un lavoro umanamente degno. In continuità con questa linea di difesa dell’umano, si pongono: la richiesta di condizioni di vita civili e democratiche; l’esigenza di cultura e di formazione, di , di e di coscientizzazione socio-politica (cfr. in particolare l’enciclica Centesimus annus). Rispetto, poi, alle “res novae” di cui facciamo , si mette in luce l’esigenza di interrogarsi sul senso umano del lavorare e del produrre; sulla necessità di giustizia sociale per ciò che riguarda la fruizione dei beni produttivi sul mercato; sul sano equilibrio tra tempo del lavoro e tempo libero; sulla solidarietà a tutti i livelli dell’esistenza sociale (locale, nazionale, internazionale) (cfr. in particolare le encicliche Centesimus annus e Sollicitudo rei socialis). Più specificamente, da una rilettura del Vangelo, e in particolare del cap. 5 dell’enciclica Laborem exercens (e della parte finale dell’enciclica Sollicitudo rei socialis), si possono anche evidenziare i fondamenti religiosi dell’etica del lavoro, delle professioni e della produzione che permettono di delineare una vera e propria e dello sviluppo solidale (configurando una sorta di “Vangelo del lavoro”). Di esso sono da segnalare: 1) la partecipazione dell’uomo all’opera del creatore (per questo i primi capitoli de La Genesi sono qualificabili come “primo Vangelo del lavoro”); 2) l’essere immagine e somiglianza di Dio nella quotidianità, “lavorando e riposando”; 3) la concezione dell’uomo-libertà e dell’autonomia delle “realtà terrestri”, che Dio stesso rispetta (solo eccezionalmente intervenendo “miracolosamente” per il bene); 4) la responsabilità dell’uomo nei confronti del mondo e della storia, in quanto “vicario” di Dio in terra, che può “dar nome” ad animali e a cose (cfr. la rilevanza del “fattore uomo”), ma anche rovinare, distruggere, annientare rovinare (oggi con le biotecnologie, l’intervento sugli ecosistemi, lo sfruttamento delle risorse naturali, il mercato mondializzato, la ); 5) il lavoro visto come valore arduo, in quanto possibile via di emancipazione, di espressione personale, di qualificazione della vita, ma anche di alienazione, di abbrutimento, di funzionalizzazione economicistica, di dominazione sociale, ecc.; 6) la concezione della tecnica non necessariamente nemica, ma possibile alleata dell’uomo (Laborem exercens, n. 5); 7) il lavoro e l’imprenditorialità come modello dell’operare fattivo e gioioso per il Regno (cfr. molte parabole evangeliche); 8) la prospettiva del Regno e l’impegno per la giustizia di esso, come orizzonte ultimo (in termini tecnici, “escatologico”) dell’impegno umano storico, lavorativo e imprenditoriale; 9) la comunione eterna con Dio, come termine del “riposo” in cui la Lettera agli ebrei invita ad entrare, mentre si vive nel tempo tra difficoltà ed esperienze di complessità. L’etica del lavoro diviene viepiù importante alla luce dei mutamenti intervenuti con il nuovo secolo e, in particolare, con il trionfo del “paradigma tecnocratico”. A fronte di una crescente funzionalizzazione del contributo specificatamente umano alla produzione – proprio in tempi in cui i significati dei lavori sono divenuti, per contro, sempre più rilevanti – è necessario recuperare una riflessione sul lavoro (sui lavori) che travalichi l’analisi di tale dimensione in termini puramente legati ai fattori di produzione e alla loro efficienza, e si concentri invece sulla dimensione meta-funzionale. In questa prospettiva si pone il documento della Conferenza episcopale italiana, che a partire dalla situazione italiana focalizza alcune tendenze più generali. La prima di esse concerne chi oggi è escluso dal godimento del “bene lavoro”, che per l’Italia in particolare attiene alla componente femminile e a quella giovanile (nonché alle rispettive intersezioni). La seconda questione, ancora più nodale e pertinente rispetto alla dimensione etica, riguarda tuttavia l’assenza di una rielaborazione di lungo periodo sulle evoluzioni intervenute nei lavori oggi esperiti dalle persone. In tal senso, si nota come solo un approccio sistemico e non frammentato da parte degli attori delle politiche e del sistema d’impiego possa oggi riqualificare adeguatamente il bene lavoro, restituendo ad esso quella dimensione semantica necessaria a superare un riduzionismo strumentale e a recuperare una lettura complessa del lavoro (dei lavori) come esperienza biografica complessa delle persone. In tema di complessità e di approccio sistemico, altresì, non può mancare un riferimento strutturato al paradigma ecologico-integrale, che restituisce al lavoro quella dimensione generativa che oggi appare per un verso sempre più necessaria a fronte dei tanti aspetti associati all’esperienza lavorativa e, per altro verso, è progressivamente più minacciata da un antropocentrismo divenuto “dispotico”. Nell’enciclica Laudato si’, infatti, Papa Francesco esprime la “necessità di difendere il lavoro”. Qualsiasi forma di lavoro “presuppone un’idea sulla relazione che l’essere umano può o deve stabilire con l’altro da sé. La spiritualità cristiana, insieme con lo stupore contemplativo per le creature che troviamo in San Francesco d’Assisi, ha sviluppato anche una ricca e sana comprensione del lavoro […]”. Senza dimenticare la tradizione monastica, che del senso attribuito al lavoro è stata fautrice e generatrice. Da questa angolatura, il lavoro dovrebbe darsi come locus di uno sviluppo personale sostanziato da diverse dimensioni (creatività, proiezione nel futuro, sviluppo delle , esercizio dei valori, con gli altri, di adorazione). Rispetto a quest’ultimo obiettivo, per Papa Francesco le minacce vengono soprattutto da un orientamento economico che ha favorito la riduzione dei costi di produzione (con un “effetto sostituzione” dei posti di lavoro mediante macchine) e la conseguente erosione di , “indispensabile per ogni convivenza civile”. Per continuare a offrire occupazione di qualità è necessario puntare alla diversificazione produttiva e alla creatività imprenditoriale, favorendo anche – e in alcuni casi soprattutto – i piccoli produttori, in particolare in un settore agricolo che spesso li vede costretti ad abbandonare le loro terre nell’ottica delle economie di scala. I poteri regolativi, da questo punto di vista, detengono una grande responsabilità: quella di porre limiti a coloro che detengono le maggiori risorse, affinché queste ultime non conculchino i diritti di tutti di accedervi e di creare nuovo lavoro. In tal senso, “l’attività imprenditoriale […] può essere un modo molto fecondo per promuovere la regione in cui colloca le sue attività, soprattutto se comprende che la creazione di posti di lavoro è parte imprescindibile del suo servizio al bene comune”.
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