In generale possiamo dire che la pedagogia che sorregge ogni proposta educativa salesiana, pur con le diversità dei tempi, dei luoghi e delle azioni formative, si rifà agli stili della tradizione educativa salesiana, globalmente compresi in quello che viene detto “Sistema preventivo”. È un termine che indica una formula che era già usata in altre nazioni (Francia, Belgio), che però con Don Bosco, specie dopo la pubblicazione de Il sistema preventivo nell’educazione della gioventù (1877) assunse un significato specifico, venendo ad evidenziare soprattutto un modo di educare in cui non si reprimono mancanze od errori, ma piuttosto si fa in modo che non accadano, promovendo tutto ciò che contribuisce ad un buono sviluppo umano degli educandi. (Braido, pp. 23-45). In ciò, per un verso, Don Bosco si collocava in quel movimento, tipico dopo il Congresso di Vienna (1815), per cui preservare, proteggere, ma anche preparare, premunire, illuminare, istruire, promuovere erano “imperativi” con cui molti volevano caratterizzare la politica, l’economia, la vita giuridica e sociale e l’; per un altro verso, Don Bosco continuava ed innovava l’inesausta tradizione caritativa cristiana dell’età moderna a favore della gioventù, specie quella delle classi popolari o in condizione di e vulnerabilità (“gioventù povera ed abbandonata”, “giovani poveri e pericolanti”), educandoli con stili improntati ai principi evangelici dell’amore e della misericordia. Don Bosco, ha saputo dare a queste prospettive un’anima ed una certa unità ideale che oggi riconosciamo come il patrimonio che segna la proposta salesiana dovunque. Partendo da questa breve sintesi che offre una visione generale, cerchiamo, prima di tutto, di fare una lettura delle radici del sistema preventivo, cioè su come Don Bosco è arrivato a maturare e codificare il sistema preventivo. Esiste un primo dato sul quale tutti gli studiosi di Don Bosco sono concordi e che risulta cruciale per capire l’evolversi del sistema preventivo. Senza dubbio gli scritti di Don Bosco sono uno strumento eccezionale per conoscere la sua opera, essendo essi il frutto di varie esperienze concrete della sua vita. Da soli, però, non ci danno quella comprensione nitida e completa del suo “essere” e del suo “operare” che insieme hanno fatto nascere la sua proposta educativa. Il vissuto personale di Don Bosco, l’influsso di tante persone sulla formazione del suo carattere, il come poi ha saputo intuire, interpretare e rispondere alle sfide educative durante la propria esperienza all’Oratorio di Valdocco, gettano una luce rivelatoria sul suo pensiero e comunicano, svelano quelle dimensioni essenziali della sua esperienza personale che segnano in maniera sostanziale il sistema preventivo. Da aggiungere a questa prospettiva la testimonianza dei suoi contemporanei che con lui hanno vissuto in maniera vicina questo processo educativo pastorale: «[…] per comprendere l’essere, il pensare e l’operare di Don Bosco, il primo sforzo da fare è quello di collocarlo all’interno delle classiche coordinate spazio-temporali, nel contesto storico, pedagogico e religioso (ma anche geografico, politico, culturale, economico, ecclesiale…) in cui è vissuto. In questo vasto quadro la sua figura assume il giusto rilievo, rivela i tratti caratterizzanti, lascia intravedere i molti risvolti, le luci e le ombre che lo apparentano o lo distinguono fra i personaggi del suo tempo.» (Fonti salesiane, XII). Questo modo originale tutto suo, Don Bosco lo portava avanti facendo sintesi tra atteggiamenti personali frutto della sua stessa formazione, insieme a scelte valoriali ispirate al vangelo. È un progetto che raccoglie in maniera armoniosa varie dimensioni: pastorale, spirituale e pedagogico. Emerge da questa esperienza di vita un “sistema” che oggi vediamo proposto e vissuto nei vari continenti, in contesti multi-culturali e pluri-religiosi. Per la sua stessa natura, continua a essere una proposta che ha bisogno di una rinnovata e permanente riflessione dovuto al fatto che educare, cioè ponendo al centro il bene integrale dei giovani, sia come destinatari e anche come protagonisti, necessariamente richiede un incontro e confronto permanente con la loro storia e le sfide che contiene. Pietro Braido commentando la struttura del sistema preventivo coglie questa dinamica che testimonia la sua “origine” ma anche la sua “originalità”: «[…] anzitutto, l’esposizione del suo aspetto propriamente “pedagogico” non ne esaurisce l’intero ambito: esso, infatti, comprende anche una chiara dimensione pastorale e “spirituale”, in rapporto sia agli educatori che agli educandi». (Braido, p. 132) Questo primo aspetto ci consegna una visione “integrale” della proposta già nel suo nascere e divenire. Per Don Bosco il suo essere pedagogo si fondava su una visione che coglie e integra le varie dimensioni della persona, dove l’umano e lo spirituale, la dimensione intellettuale e quella morale, erano solidamente integrate tra di loro. Ponendo il giovane al centro della sua preoccupazione educativa, Don Bosco vive l’esperienza di educatore superando una visione frammentata del processo educativo, favorendo un ambiente “familiare” dentro il quale il cammino educativo facilita con serenità e gradualità l’integrazione delle varie dimensioni. Continua Braido: «In secondo luogo, l’adeguata utilizzazione degli scritti di Don Bosco, espressione e dimensione della sua intera esperienza vitale, dovrà essere effettuata, quando occorre, mediante l’interpretazione dei contenuti esplicitamente pedagogici nel loro intreccio con gli altri elementi congruenti: teologici, giuridici, agiografici, “spirituali”», ascetici, organizzativi» (Braido, p. 132). Questa indicazione, se lasciata fuori, oppure non debitamente presa sul serio, rischia di condurre ad una comprensione non completa del sistema preventivo. Qui si tratta di non sottovalutare l’insieme di ispirazioni fondanti che si maturavano nel processo della personale crescita di Don Bosco – come ragazzo e giovane, la sua formazione spirituale e teologica fino al sacerdozio, insieme alla sua esperienza pastorale come giovane sacerdote – perché tale processo è come una fornace che lungo tutta la sua vita lo ha fortemente e continuamente plasmato. Giustamente che Braido dice che: «[…] il miglior esegeta di Don Bosco… è Don Bosco stesso»”. Questo processo, che si sorregge sulla sua stessa esperienza personale, Don Bosco insieme alla centralità della figura del giovane, si percepisce anche la grande attenzione alla figura dell’educatore. Nelle Memorie dell’Oratorio Don Bosco si sofferma in maniera dettagliata sull’influsso delle varie persone che lo hanno aiutato a crescere, cominciando da Mamma Margherita, Don Calosso, Don Giuseppe Cafasso e tanti altri. In maniera analoga, tali relazioni che lo hanno aiutato a crescere, Don Bosco le considera come indispensabili nella dinamica tra l’educatore e l’educando: l’educatore è colui che è chiamato a vivere in maniera sana e autentica ciò che vuole che i giovani assumano. Tutta la vita di Don Bosco educatore insieme ai suoi scritti fanno perno sul valore di questa permanente attenzione alla testimonianza dell’educatore. Il contributo di chi educa non è né tecnico né teorico. L’educatore marca e forma l’educando, non solo lo informa. La sua presenza risulta essenziale e per questo unica. Queste brevi note introduttive ci danno le prime chiavi essenziali per comprendere il perché dell’attualità del sistema preventivo oggi. Ciò che tuttora noi incontriamo in tutte le parti del mondo, dovunque esista una presenza salesiana, è: a) la scelta di una educazione integrale dei giovani; b) gli educatori sono chiamati ad essere adulti autentici vicini ai giovani; c) l’insieme di atteggiamenti e scelte educative prima di essere un sistema di pensiero teorico, devono rivelarsi un’esperienza viva che gradualmente plasma il carattere dei giovani. Da queste basi, che per noi rimangono un patrimonio sempre vivo, Don Bosco gradualmente configura la sua educativa, rendendola applicabile nelle sue case. Prima di passare a commentare gli elementi fondamentali del sistema preventivo, è importante richiamare due punti fermi. Il primo è la chiave iniziale. Ci fa vedere la causa del rapporto inscindibile tra ciò che Don Bosco ha vissuto e ciò che ha trasmesso e continua a plasmare il sistema preventivo. Chi assume la nobile arte educativa è chiamato ad avere la capacità di favorire la dimensione umanizzante, di voler bene ai giovani, mentre sta offrendo loro un cammino di crescita umana e spirituale in un contesto di affetto e di compassione. Per Don Bosco vivere questo processo educativo è un atto di carità, carità educativa, cioè essere per loro un buon pastore. Alla luce della visione integrale vissuta e comunicata da Don Bosco possiamo dire che tale carità pastorale si matura in carità pedagogica. Nella concretezza della vita, nell’incontro con i giovani bisognosi, chi vive il sistema preventivo cerca di promuovere un ambiente di famiglia e di costruire relazioni e rapporti educativi a misura dei giovani. L’educazione è un’esperienza di che si impegna ad aiutare il debole, esperienza di accompagnamento che offre coraggio a chi ne ha bisogno. Tale movimento, che con affetto incontra i giovani al punto della loro esistenza, ha come obiettivo quello di farli arrivare verso la meta che meritano e possono raggiungere. Questa dinamica chiede e fa partire un cammino di carità pedagogica. La storia ci insegna che tale dinamica non ha confini, non conosce restrizioni e condizionamenti culturali o etniche. È il cuore pastorale dell’educatore che vuole bene al cuore del giovane. Il secondo punto fermo è, coinvolgendo in maniera determinante la figura dell’educatore, il ruolo cruciale della comunità che educa e che si rivela essere un aspetto strategico per il sistema preventivo. Don Bosco a Valdocco non porta avanti il sistema preventivo in maniera solitaria, tanto meno verticale o piramidale. In ogni momento della sua vita c’è un’attenzione costante che consiste nel creare un ambiente di famiglia, dentro il quale la comunità intera è il soggetto che educa con il cuore del buon pastore. È una partecipazione della persona dell’educatore e di tutta la comunità, accanto, con e per i giovani. Don Bosco intuisce fin da subito tale principio e lo mette in pratica. Lo vive favorendo la collaborazione dei suoi primi Salesiani ma anche di tutti coloro che a Valdocco si sentivano parte della sua missione. In più, non si limitava a raggiungere i giovani come primi beneficiari del sistema preventivo, ma andava più in là, facendo maturare tra di essi coloro che poi sarebbero diventati un giorno i futuri educatori. Usando un’immagine molto cara a Don Bosco, si può affermare che Egli faceva sì che gli stessi agnelli diventassero pastori, attivi protagonisti nella missione educativa. Qui siamo lontani da un sistema rigido, fatto di idee e strutture, che semplicemente vanno applicate indipendentemente dalla vita dei giovani e della loro relazione con gli educatori. Al contrario, assistiamo a un’esperienza che nella sua dinamica interna cerca di restare saldamente connessa con la storia dei giovani, dialogando con il loro tempo e la loro cultura. Una dinamica che si alimenta dal contributo effettivo e affettivo di ogni educatore e di tutta la comunità. In questa direzione, la genialità del sistema preventivo che ci lascia Don Bosco sta nel fatto che alla chiarezza degli obiettivi umanistici, spirituali e morali, ha aggiunto il valore necessario ed inestimabile che intercorre nelle relazioni educative, l’importanza di conoscere la storia dei giovani per poter interpretare con perspicacia le loro necessità e passare poi a creare quelle condizioni concrete che favoriscono particolari forme e modalità d’azione e di accompagnamento. E qui sta per molti versi la grandezza della sua opera. (Pellerey, pp. 29-30). Commentiamo adesso quelli che sono i pilastri del sistema preventivo – ragione, religione, amorevolezza. Cosa significano le tre parole che Don Bosco considera le colonne del sistema preventivo? Cerchiamo di interpretare con il linguaggio odierno quello che Don Bosco maturava nel suo contesto e che oggi continua a essere attuale. Ragione – la questione antropologica. È la prima parola usata da Don Bosco. Colpisce come Egli parta da ciò che comunica umanità, fa nascere il sistema preventivo da una “scelta antropologica”. Nella sua riflessione su questo primo pilastro, Pellerey scrive che: «[…] in relazione alle virtù o competenze nel pensare, quelle che si evidenziano subito, rileggendo le azioni e le parole di Don Bosco, sembrano essere quelle che riconducono alla razionalità pratica. Accertando la presenza della intelligenza intuitiva: il saper cogliere con immediatezza e pertinenza i problemi educativi presenti nelle situazioni in cui è coinvolto, Don Bosco ha saputo impostare un sistema di relazioni con i collaboratori e con i giovani dove appare chiaramente la capacità di persuaderli a sviluppare convinzioni positive di fronte alle istanze delle loro condizioni di vita, attraverso opportune forme di discorso: dalla narrazione, all’esortazione, all’uso dell’analogia» (Pellerey, pp. 28-29). È una «[…] sana antropologia che fa mergere e favorisce la maturazione di un movimento dove tutti, adulti e giovani, si sentono protagonisti. Possiamo dire che partendo da questa scelta si intuisce come una razionalità di questo tipo è forse, allora, uno dei segreti per comprendere le sue intuizioni e spiegare, oggi, il rispetto, se non l’affetto che ancora molti portano per lui. Essi ne sentono la vicinanza e un possibile modello per un personale sviluppo di senso e di prospettiva esistenziale» (Pellerey, p. 28). A livello concreto oggi questa chiamata, cioè l’urgenza di far partire relazioni fondate sulla ragione, creando un rapporto trasparente e sano con i giovani, apre la strada per due grossi vantaggi oggi più che mai necessari. Il primo è che il giovane “vede” il bene e la meta che gli si propone. Non si trova davanti alla incertezza di cui molti di loro devono fare i conti a tutti i livelli della loro esistenza, giorno dopo giorno. La fiducia è costruita in maniera ragionevole e accettata con libertà. Secondo vantaggio: il giovane è cosciente che l’educatore che gli sta accanto ha la consapevolezza delle condizioni nelle quali egli come giovane sta vivendo, le sue difficoltà e sfide. Da qui si costruisce un cammino principalmente segnato dalla fiducia reciproca. A lunga gettata, quello che oggi noi chiamiamo la svolta antropologica, Don Bosco l’ha intuita e ha scommesso su di essa. Lui che aveva chiaro la meta e il fine ultimo della sua missione, poneva come punto di partenza l’urgenza di riconoscere la fatica che i giovani concretamente sentono e vivono. Avendo lui stesso come giovane fatto esperienza di queste vie tortuose e difficili, povere e senza speranza alcuna, Don Bosco vive e comunica una proposta che inizia per “incarnarsi” nella vita dei giovani, comprendendo le loro condizioni per poi essere testimoni e accompagnatori di proposte valoriali lungo il loro cammino, con gradualità e affetto. Religione – l’apertura al trascendente. Una vera crescita personale, conoscenza di se stessi, può maturarsi in manera sana e autentica nella misura che il giovane si apre come un dono nelle relazioni con gli altri, con il trascendente e con il creato. Il vero servizio educativo riconosce e accompagna il desiderio innato al senso della vita, l’anelito del cuore verso l’alto, verso il trascendente. La presenza di adulti significativi che con rispetto e con pazienza sanno offrire cammini di maturazione nel cuore dei giovani, che favoriscono convinzioni e atteggiamenti positivi verso se stessi, gli altri, il trascendente e il creato, è una dinamica che in un clima ragionevole predispone e anticipa la “proposta religiosa” secondo la situazione di ogni giovane, della sua storia, in ogni cultura e in dialogo con ogni tipo di appartenenza religiosa. In un contesto post-secolarizzato dove la ricerca del senso sta segnando fortemente la vita dei giovani, ogni proposta religiosa, ogni cammino che “educa” il cuore verso il trascendente, essendo il tutto vissuto ragionevolmente e in pieno rispetto alla storia di ogni giovane, diventa un dono alla propria crescita integrale. La proposta religiosa, lungi dall’essere imposizione diventa una opportunità attraverso la quale ai giovani è offerta la bellezza della sacralità, in un clima di fiducia, con adulti credibili che accompagnano. Il contributo della componente religiosa favorisce e chiede un dialogo con la ragione. Il connubio tra ragione e religione fa scoprire il senso alla vita, impegna i giovani verso tutto ciò che rende la stessa vita ancora più umana, fraterna e bella. In questa ottica, la religione nella dinamica del sistema preventivo, è una proposta religiosa e spirituale serena, rispettosa, non si esaurisce in un ritualismo sterile, non crea separazione e distinzione, cerca di mirare all’essenziale – amare Dio e il prossimo come se stessi – specialmente in contesti multireligiosi come anche in contesti post-cristiani. Amorevolezza – la carità accogliente e l’accompagnamento affettivo nel cammino educativo. Una caratteristica che immediatamente si coglie nella vita come anche negli scritti di Don Bosco, in maniera particolare verso la fine della sua vita – Lettera da Roma (1884) e le 3 Lettere ai Salesiani dell’America Latina (1885) – è quella dell’amorevolezza. Don Bosco è consapevole che la dinamica delle prime due colonne, ragione e religione, diventano davvero efficaci in maniera sana dentro un contesto segnato dall’affetto, dall’amorevolezza. Il cuore del giovane, prima di tutto, si conquista per mezzo di una vicinanza segnata dall’affetto. Ogni relazione educativa, essendo finalizzata alla crescita umana, spirituale e morale, ha bisogno di un ambiente che sostiene e che incoraggia nel cammino in modo ragionevole e attraverso il vissuto di valori trascendentali. Sentirsi amati in maniera sana da parte di un adulto, con rispetto e incondizionatamente, è fondamentale perché si maturino convinzioni e atteggiamenti positivi nel cuore del giovane, perché poi si assumano valori di fraternità e solidarietà. L’amore e l’affetto ricevuto da parte dei giovani diventa non solo dono positivamente colto, ma in più emerge anche come un paradigma da imitare. Qui entra in gioco la consistenza di un ambiente che accoglie e accompagna senza porre condizioni al dono offerto, di adulti sani che in maniera coerente vivono ciò che comunicano. È una grande intuizione di Don Bosco che fa dell’amore educativo, la carità educativa, una forza che da una parte attrae per poter liberare dalla paura, dal senso del fallimento perché alla fine proiettare i giovani verso un vissuto sano, generoso e gioioso. L’esperienza conferma come la presenza di adulti che sono veramente appassionati nella loro missione educativa, il meglio che sta nascosto nel cuore giovanile trova un ecosistema positivo e pro-positivo. L’affetto diventa forza pedagogica, è percepito come un valore spirituale che i giovani lo colgono come qualcosa che vale la pena prendere sul serio facendolo diventare parte della propria esistenza. Qui ha davvero senso la frase attribuita a Don Bosco che dice che “l’educazione è una cosa del cuore”. Ciò che è prioritario in ogne vera relazione, specialmente quella educativa, non è l’azione, ma l'attenzione alla persona come tale. La forza dell’incontro dell’educatore con l’educando segnato dalla gratuità imprime significato e valore a tutto ciò che viene dopo. Sfide e opportunità – il sistema preventivo in dialogo. La proposta educativa che Don Bosco ci ha trasmesso ha nel suo DNA una innata propensione a entrare in dialogo con il contesto dove la si offre, come anche con la vita dei giovani. Se da una parte il sistema preventivo contiene obiettivi chiari che costituiscono una meta ben definita, la crescita integrale dei giovani, allo stesso tempo ha bisogno di stabilire contatto con la storia, l’ambiente, la cultura, cioè con tutto ciò che ha a che fare e che marca la vita dei giovani. È opportuno offrire qui, anche se in maniera molto breve, una di queste esperienze per mezzo della quale si vede concretamente questa capacità innata del sistema preventivo di raggiungere i giovani, dovunque si trovino, con la loro diversità religiosa, culturale e altro. È un dono che arricchisce tutti coloro che entrano in contatto con esso, educatori e educandi, collaboratori e destinatari appartenenti ad altre religioni e credenze o a nessuna. Oggi siamo più che mai convinti che ci può essere condivisione con tutte le persone di buona volontà che desiderano vivere la missione salesiana e che vogliono comunicare l'amorevolezza paterna di Don Bosco. La ragionevolezza insita nel suo sistema educativo e la sua fiducia nelle risorse e aneliti dei giovani non ha bisogno di passare attraverso un filtro selezionatore. È una scelta che privilegia i più poveri, segnata dall’impegno per una cultura dell'accoglienza di ogni giovane. È un cammino aperto ai giovani di ogni razza, colore, nazione, cultura e religione. Un esempio dell'esperienza del sistema preventivo all'interno di contesti multireligiosi e multiculturali si può incontrare nella riflessione e nella risposta che i Salesiani di Don Bosco in Francia stanno costantemente condividendo, vivendo e maturando. La riflessione guidata dal Salesiano Jean Marie Petitclerc, unita alla partecipazione e al contributo di tanti collaboratori, persone provenienti da diverse confessioni o da nessuna mette in evidenza tre momenti chiave che emergono dalle colonne portanti del sistema preventivo: la pedagogia della fiducia/accoglienza, la pedagogia della speranza e la pedagogia dell'alleanza. La pedagogia della fiducia/accoglienza: consiste nei primi passi che gli educatori compiono per facilitare il contatto con ogni singolo giovane. È uno spazio che genera apertura alle proposte pedagogiche. Una volta che la credibilità dell'educatore è veramente percepita, seguirà la fiducia e la sensazione di essere accolti. Senza questi primi passi, nessun processo educativo può prendere il via. La pedagogia della speranza: le proposte offerte da educatori attenti e specialisti competenti vengono percepite come un'esperienza di accompagnamento, che aiuta il giovane a camminare verso una crescita integrale e una maturazione graduale. La fiducia e l'accoglienza portano i frutti dall’interno di un cammino segnato dalla speranza. Infine, la pedagogia dell'alleanza: promuove una serie di reti che propone e garantisce ai giovani opportunità affidabili che li aiutino a crescere come cittadini, imparando a esercitare i propri diritti e ad assumersi i propri doveri, partecipando allo sviluppo sano di una cultura della solidarietà, di una società attenta all’altro, al creato. Una cultura che integra il meglio delle tradizioni religiose e del movimento di ogni cuore che cerca, gode e condivide la bontà, l’amore, la solidarietà. Questi tre momenti chiave, alla luce del patrimonio del sistema preventivo, sono una conferma del dono che ci è stato affidato. È una chiamata a continuare a esplorare nuovi modi e mezzi che l’incontro con i giovani oggi ancora ci chiede. Siamo eredi di un sistema che ha mostrato e continua a mostrare il suo valore positivo in diversi continenti, in contesti multi-culturali e multi-religiosi. Però urge non dimenticare che è appunto un sistema che richiede fin dalla sua origine una continua riflessione e confronto con la storia dei giovani, mantenendo sempre ferma la loro centralità, come fece Don Bosco: i giovani come beneficiari e protagonisti della missione salesiana. Bibliografia Braido P. (Ed.), Don Bosco educatore. Scritti e testimonianze, Roma, LAS, 1992. Braido P., Prevenire non reprimere. Il sistema educativo di don Bosco, Roma, LAS, 1999, p. 132. Nanni C., Il sistema preventivo di don Bosco, Leumann (TO), ElleDiCi, 2003. Pellerey M., Il ruolo della ragione nei processi formativi. Un approfondimento della dimensione cognitiva nel quadro del triplice riferimento educativo ‘ragione, religione, amorevolezza’ di don Bosco, in Rassegna CNOS, n. 3, 2012, pp. 25-39. Pellerey M., Ragione, religione e amorevolezza e le sfide del laicismo contemporaneo, in https://www.salesian.online/wp-content/uploads/2020/12/2007-9-Michele-Pellerey-Sintesi-dellintervento-Ragione-religione-e-amorevolezza-e-le-sfide-del-laicismo-contemporaneo.pdf Petitclerc J.M., I valori più significativi del Sistema Preventivo, in AA. VV., Sistema preventivo e diritti umani, Roma 2009, https://www.notedipastoralegiovanile.it/index.php?option=com_content&view=article&id=8091&catid=351&Itemid=1111. Prellezo J.M., Sistema educativo ed esperienza oratoriana di don Bosco, Leumann (TO), ElleDiCi, 2000. Stella P., Don Bosco, Bologna, Il Mulino, 2001. Vecchi J. – J.M. Prellezo (Edd.), Prassi educativa pastorale e scienze dell’educazione, Roma, Editrice SDB, 1988. Viganò E., Nuova Educazione, in ACG n. 337, 1991: https://www.sdb.org/it/RM_Risorse/ACG_Lettere/Don_Vigano/NUOVA_EDUCAZIONE. Wirth M., Da don Bosco ai nostri giorni, Roma, LAS, 2000. Fonti Salesiane, Don Bosco e la sua opera. Raccolta antologica, Roma - LAS, Vol. 1, pp. XXVI – XXXVII, 2014. Dipartimento di Pastorale Giovanile Salesiana, Pastorale Giovanile Salesiana. Quadro di riferimento, Roma, Capitoli IV e V, 20143.

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