La risonanza si riferisce al modo in cui la persona entra in un rapporto vivo con il mondo tramite esperienze significative. Avviene non come un’aggiunta a qualcosa di preesistente, quanto come accensione di una scintilla tra il senso che quest’ porta con sé ed i desideri connaturati ad ogni essere umano. Gli inglesi chiamano questo processo insight ovvero intuizione, nel senso di una “visione interna” che avviene nel momento in cui una conoscenza esterna risuona nel proprio mondo interiore come scoperta di sé stessi in sé stessi, come riconoscimento di una corrispondenza tra il mondo e le facoltà della propria mente, e che svela il potere di quest’ultima. La risonanza presenta tre strati di significato, che progrediscono per gradi crescenti di profondità: al livello superficiale essa indica l’esperienza emotiva di chi vive “momenti belli” e si tiene lontano da quelli “brutti”. L’insegnante si impegna nel trovare occasioni e stimoli da offrire alla classe per provocare una vibrazione speciale derivante da una storia, un incontro con una persona, una musica o un quadro… Il suo intento consiste nello scuotimento degli alunni da una postura normalmente distratta, che limita la capacità di vivere pienamente la situazione di classe attivando tutte le proprie facoltà, allo scopo di sollecitarli ad una presa più intensa sulla realtà. Fidando sul potere di questa nuova disposizione di accensione della curiosità e del desiderio di sapere; a livello formativo la risonanza è «[…] un processo umano naturale, che forse segretamente corrisponde ad un desiderio. All’improvviso le due parti cominciano ad interessarsi l’una all’altra. Questa è la base per ogni ulteriore sviluppo» che corrisponde all’idea di «[…] aprire un mondo tutti insieme: […] laddove le risonanze si avviano, ha luogo un processo reciproco di risposta e con ciò di trasformazione. Alla fine, gli studenti sono persone diverse da quelle che erano all’inizio e l’insegnante stesso non è meno cambiato». (Rosa 2016, p. 64); ad un livello ancora più profondo, la risonanza provoca meraviglia, un empito interiore innato che attende un avvenimento per essere risvegliato. Si può dire che solo la meraviglia suscita nel soggetto una chiara coscienza di esistere e dispone la persona a sporgersi in modo fiducioso verso il mondo reale come un tutto dotato di senso buono. Se la curiosità è sollecitata dagli stimoli esterni, ma richiede di essere continuamente tenuta attiva arricchendo l’ambiente circostante, la meraviglia è un’esperienza metafisica che riguarda l’anima ed il desiderio di esistere in pienezza. Essa è alla radice della motivazione, quell’apertura verso il tutto che è propria di ogni essere umano e che lo spinge all’azione, accettando sul suo percorso difficoltà e crisi, perché sostenuto dalla convinzione di trovarsi entro l’epica dell’“uomo vivo”, quella che fa dire a Chesterton «[…] l’uomo è circondato da meraviglia: vedere tutto come doni inaspettati e immotivati», sapendo che «[…] noi tutti abbiamo bisogno di essere trovati» (Chesterton 2010, 8, p. 209). Catherine L'Ecuyer afferma che ansia, affanno, paura ed un senso di protezione asfissiante da parte dei genitori hanno contribuito a smorzare il senso di meraviglia dei loro figli; in questo modo li hanno resi insicuri ed incapaci di vivere mantenendo accese tutte le proprie facoltà: essi pensano se stessi come vite uguali a tante altre e senza valore, mentre è la meraviglia ciò che rende la vita genuinamente personale. Spesso si indica nella bellezza la causa di questo svelamento, ma il fattore più potente è il sentirsi riconosciuti da qualcun altro dotato di buone intenzioni. Quando l’empito dell’anima si sintonizza con la bellezza del reale e con l’amore, la persona si affida entro una relazione trasformante, diviene capace di azione significativa e di una conoscenza viva. Al contrario, il porsi nelle cose per sforzo di volontà – mosso dal senso del dovere o dal desiderio di successo – provoca nell’individuo una postura rigida ed un senza fiamma né luce, ambedue condizioni che possono preludere ad una crisi esistenziale, derivante dalla dimenticanza dell’anima e delle sue esigenze. Un apprendimento meccanico e artificioso diventa infatti una routine mortificante e alienante; al contrario, possiamo chiamare solo ciò che riguarda l'essere umano nella sua pienezza e costituisce il fondamento di un’identità personale solida e donativa. La questione educativa del nostro tempo liminale non può essere fronteggiata con metodi sempre più complicati, ma richiede di saper scendere alla radice del travaglio dell’io che riscontriamo specialmente nei ragazzi, e che può essere rappresentato come una lotta esistenziale tra l’attrazione di un desiderio buono che corrisponde alla propria anima, e la tentazione di porsi come spettatore passivo di una realtà verso la quale non si prova un vero interesse personale, abbandonandosi ad uno stordimento mediatico dove perdersi, conservando però l’illusione della scelta. L’individuo è inadeguato, con le sue sole forze, nel combattere questa lotta; egli necessita di un ambiente che lo scuota dalla condizione di spettatore annoiato e lo stimoli ad essere presente a ciò che fa; un ambiente in cui non venga assunto come un individuo dedito in modo diligente a trasformare gli insegnamenti in apprendimenti, ma un che lo aiuti a trovare la strada, e lo stile, per familiarizzare con il mondo e illuminare l’enigma della propria vita. Più che una comunità di pratiche, serve una comunità in grado di intercettare il desiderio di compimento, quel punto segreto nel quale la persona è libera, ovvero non condizionata dalle contingenze sociali, economiche, psichiche. Come una boa che rimane stabile nell’eterno movimento del mare, che conferisce una sicurezza ed una confidenza tali da spingere a far cose grandi. E la più importante scoperta consiste nella intesa come “il proprio posto nel mondo”, una conquista che mette in moto energie segrete di sollecitudine verso gli altri nella forma del dono; infatti «[…] tutte le qualità di un uomo acquistano dignità quando egli è consapevole che la collettività cui appartiene ha bisogno di lui» (Bellow 2017, p. 87). È richiesta agli insegnanti la confidenza nel fatto che gli alunni possiedono in quanto persone ciò che costituisce la caratteristica propria della condizione umana: il desiderio di trarre un senso dall’esperienza del vivere, di desiderare di uscire dallo stallo esistenziale in cui spesso si trovano e di incontrare un luogo e degli adulti con i quali poter preparare nel miglior modo il prossimo passo nel cammino – a tratti misterioso – orientato al compimento della propria personalità. La bellezza, l’amicizia e la compagnia, il rapporto con la natura, la scoperta del territorio e delle sue ricchezze, il rapporto positivo con il proprio corpo, l’apertura alla realtà, la scoperta del proprio mondo interiore e della spiritualità, sono tutte “corde della risonanza” che stupiscono ancor più i ragazzi, in quanto contrastano con molte loro esperienze dominate dalla negatività e dal vuoto di significati e di scopi buoni, li rendono forti di fronte agli effetti della commedia umana della futilità e della disperazione, li dispongono ad un’alleanza con la scuola al fine di conquistare una personalità gioiosa, solida, combattiva, radicata ed aperta al futuro. Il perseguimento di questa esperienza, ed il suo mantenimento nel tempo come del cuore e dell’anima, impegna coralmente il team degli insegnanti in quanto “l’esempio è più convincente di ogni discorso”: essi mettono in gioco i loro talenti nell’animare i momenti speciali di risonanza, tra cui musica, canto, teatro, sport e gioco, visite e cammini, attività di volontariato nella comunità, convivenza, momenti di spiritualità e di preghiera. La risonanza è come la musica di fondo dell’esistenza, e così dev’essere nell’esperienza educativa: non può ridursi ad una sorta di iniziale piacevole, cui seguirà inesorabilmente la routine della quotidiana. È risonante quell’esperienza che accende negli studenti il desiderio di poterla vivere in continuità, da cui scaturisce una disposizione fiduciosa nei confronti degli insegnanti quando mostrano di essere lì per loro e la cui esistenza risuona del desiderio che diventino ciò che sono in potenza. La risonanza è il fondamento di un legame nel quale ciascuno degli alunni confida che nella considerazione degli insegnanti, piuttosto che qualcosa da valutare, essi siano assunti come qualcuno che esiste, una persona resa viva dalla premura che gli viene rivolta. Da qui si apre un cammino vissuto in comune con insegnanti e compagni, in cui hanno la possibilità di trovare risposta all’esigenza di aderire ad una vita più autentica, esercitando una libertà positiva, all’altezza della dignità umana. A loro volta, ciascuno degli insegnanti confida nella possibilità di risvegliare l’intelligenza nascosta dei propri alunni. I segnali di questo dinamismo – l’intesa con la classe, il desiderio di sapere, lo spirito di collaborazione e di dedizione, il gusto e la fierezza di quanto conquistato - non vanno concepiti solo come “apprendimento”, ma assumono le caratteristiche di un avvenimento, un segno speciale che risuona nell’anima degli insegnanti con la stessa intensità che essi stessi hanno provato nel momento in cui hanno sentito di essere chiamati all’insegnamento ed hanno acconsentito positivamente; lo stesso esito possiede anche il valore di premio e insieme di riconoscimento del buon lavoro realizzato. Allora si apre il cammino di un’avventura insieme, in cui i due mondi si intersecano rendendosi disponibili ad un cambiamento: i ragazzi nella loro crescita personale e gli insegnanti nell’imparar dai propri studenti come meglio svolgere il proprio compito e nel riconoscere di essere nel posto giusto, consonante con la decisione, assunta in un certo luogo ed in un preciso tempo, di dedicare le proprie capacità ed energie all’educazione. Ma quest’opera è risonante se favorisce la libertà dell’allievo: «Quando l’allievo non fa che ripetere non la stessa risonanza ma un miserabile ricalco del pensiero del maestro; quando l’allievo non è che un allievo, fosse pure il più grande degli allievi, non genererà mai nulla. Un allievo non comincia a creare che quando introduce egli stesso una risonanza nuova (cioè nella misura in cui non è un allievo). Non che non si debba avere un maestro, ma uno deve discendere dall’altro per le vie naturali della figliazione, non per le vie scolastiche della discepolanza». (Péguy 2003 VIII,-XI). Bibliografia Bellow s., Troppe cose a cui pensare, Edizioni SUR, Roma, 2017. Chesterton G.K., Uomovivo, Morganti Editori, Treviso, 2010. L'ecuyer C., Educare allo stupore, Edizioni Ultra, Roma, 2013. Guasti L., Curricolo e formazione in Bernard Lonergan, AIMC, Roma, 2013. Laloux F., Reinventare le organizzazioni. Come creare organizzazioni ispirate al prossimo stadio della consapevolezza, Guerini, Milano, 2016. Péguy C., Œuvres complètes, Bibliothèque de la Pléiade, tome I, Gallimard Paris, 2003. Rosa H., Pedagogia della risonanza, Scholè, Brescia, 2016. Spaemann R., Persone. Sulla differenza tra “Qualcosa” e “Qualcuno”, Laterza, Bari, 2016.
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