La disciplina “organizzazione scolastica e formativa” nasce negli Stati Uniti nella prima metà del secolo XX in seguito all’applicazione ai sistemi educativi di istruzione e di . delle teorie elaborate in altri tipi di ambienti organizzativi (Bush, 2011; Sergiovanni, 2002; Northouse, 2019; Scurati e Falanga, 2008; Malizia e Tonini, 2015 e 2020). Il grande sviluppo che si è registrato soprattutto a partire dagli anni ‘80 va attribuito principalmente a due fattori: il riconoscimento dell’autonomia, cioè di poteri di gestione propri, alle scuole e l’assegnazione ai loro dirigenti di responsabilità sempre più rilevanti. In sintesi, si può dire che tale disciplina è una delle scienze dell’ e studia la gestione dei sistemi educativi a livello micro, sia delle attività interne sia dei rapporti con il contesto, per conoscerla più adeguatamente e per migliorarla. Essa è una disciplina educativa, anche se rientra tra le scienze organizzative per il metodo, analizza della singola scuola il coordinamento dell’operatività non solo interna, ma anche esterna in vista del conseguimento degli obiettivi con fini di studio e di innovazione. In tale ambito, non esiste una teoria generale dell’organizzazione della scuola e del CFP (Bush, 2011; Malizia e Tonini, 2015 e 2020; Northouse, 2019). Influiscono su questa affermazione, tra l’altro, la grande diversità che si riscontra fra le istituzioni formative, la notevole varietà dei problemi e la natura specifica delle teorie educative che offrono certezze morali o anche solo probabilità. Nonostante l’assenza di una teoria generale, tuttavia non manca una ricca molteplicità di approcci e di prospettive. Dal confronto con i vati modelli organizzativi emerge con chiarezza che nessuno di loro è in grado di offrirci una teoria generale dell’organizzazione della scuola e del CFP: tutti evidenziano carenze più o meno rilevanti che impediscono loro di assurgere a una spiegazione globale dell’ambito della realtà educativa in esame. Al tempo stesso è emerso che ognuno degli approcci si caratterizza per importanti punti di forza, i quali più che escludersi si possono integrare senza seri problemi. Inoltre, alcuni di loro dimostrano potenzialità migliori sul piano descrittivo-interpretativo – come i modelli soggettivi, politici e ambigui – mentre altri offrono indicazioni più significative sul piano propositivo – come i modelli formali, collegiali, culturali e della qualità totale. Nelle considerazioni che seguono si tenterà in forma sintetica una integrazione sulla base dei punti di forza, distinti tra momento analitico e prospettico (Bush, 2011; Malizia e Tonini, 2015 e 2020; Northouse, 2019). A livello descrittivo il modello soggettivo sottolinea che al centro della teoria dell’organizzazione scolastica e formativa si colloca l’individuo – o meglio, secondo noi, la persona in particolare dell’allievo, ma anche dell’insegnante, dei genitori e di tutte le altre parti interessate – e non l’istituzione educativa, la società, lo Stato, il sistema economico o la stessa Chiesa. Inoltre, i docenti vanno considerati come professionisti impegnati con le loro competenze a servizio degli allievi. In questo contesto, l’approccio soggettivo aiuta a interpretare il comportamento individuale e le relazioni tra le persone. A sua volta il modello politico mette in discussione una visione troppo idilliaca della organizzazione scolastica e formativa e ci ricorda che al suo interno sono presenti e operanti l’interesse e il potere. Del primo non bisogna dimenticare che può essere uno stimolo importante per l’azione: in ogni caso va tenuta in attenta considerazione la diversità di interessi in quanto può provocare tensioni e conflitti dentro le scuole e i centri. In aggiunta, il potere contribuisce a determinare i risultati in maniera significativa. Sulla stessa lunghezza d’onda, il modello ambiguo arricchisce la teoria dell’organizzazione scolastica e formativa con i concetti di: obiettivi ambigui, scelte operative poco chiare e partecipazione fluida. A livello propositivo, il modello formale richiama l’attenzione sull’importanza degli aspetti strutturali e istituzionali, del conseguimento degli obiettivi ufficiali e della razionalità dei processi. Ancora più rilevanti sono le sottolineature del modello collegiale. La prima riguarda la centralità della comunità educativa che con la centralità della persona costituisce un binomio essenziale e fondante. L’approccio mira ad assicurare la maggiore partecipazione di tutte le componenti e la collegialità delle decisioni. L’autorità non si basa sulla posizione giuridica e/o gerarchica, ma sulla e sull’ personale. Ai docenti e ai dirigenti va riconosciuta una giusta autonomia che li situa all’intersezione tra centro e periferia del sistema. L’approccio inoltre richiama l’attenzione sul fatto che l’innovazione scolastica e quella formativa devono fondarsi sulla collaborazione di tutti. Il modello culturale insiste sul e sul metodo della come motori dell’organizzazione scolastica e formativa e sull’ambito informale della cultura che è altrettanto rilevante come la struttura e i processi. Inoltre, l’interesse per i valori e i principi rivaluta l’aspetto umano del management e la considerazione riservata ai simboli apre una pista importante per l’educazione morale, spirituale e religiosa. Una indicazione operativa rilevante evidenzia che il successo di una innovazione dipende dalla creazione nella scuola o nel centro di una cultura recettiva del cambiamento. Da ultimo la qualità totale fornisce una linea d’azione chiara per garantire efficacia ed efficienza. Il suo principio fondamentale, la soddisfazione del cliente, rivaluta l’importanza della domanda formativa, rendendo determinante la risposta ai bisogni educativi degli allievi e delle loro famiglie, anche se non può essere assunta come unico criterio di validità perché va sempre inquadrata in un contesto valoriale più ampio. Passando all’organizzazione concreta della scuola una valutazione può essere tentata utilizzando i risultati di due indagini che il CENSIS ha condotto su due campioni di dirigenti scolastici (2017, pp. 100-105 e 2018, pp. 110-115) e da cui è possibile trarre indicazioni circa una valutazione della riforma dell’organizzazione scolastica realizzata con la Legge n. 107/2015, la cosiddetta “Buona Scuola” (→autonomia). Se da una parte il CENSIS considera tale riforma come «[…] l’intervento più organico e impegnativo degli ultimi anni» (2017, p. 97), che ha consentito a parecchie scuole di realizzare la loro creatività, progettualità e bisogno di sperimentare, dall’altra fa notare come la sua attuazione ha richiesto sforzi eccezionali a tutti i livelli. Passando al confronto e alla valutazione, il punto di partenza sul piano empirico ci è offerto dall’indagine del 2017 nella quale si evidenziano le difficoltà di molti dirigenti per i troppi adempimenti da compiere, per una certa inadeguatezza nei poteri loro riconosciuti e per le innovazioni spesso veramente radicali da realizzare. Dal punto di vista teorico, va qui richiamato quanto si è affermato sopra e cioè che nonostante i modelli di riferimento siano molteplici, tuttavia nessuno di loro è in grado di offrire un’interpretazione generale dell’ambito della realtà educativa in esame. L’evoluzione dell’organizzazione scolastica del nostro Paese evidenzia come l’impostazione dominante fino al Dpr. n. 275/1999 (regolamento con un ruolo centrale in materia di ) consista nell’approccio formale focalizzato sul centralismo, sulla rilevanza delle dimensioni strutturali e istituzionali, sulle finalità ufficiali, sulle riforme che vengono adottate senza aver preparato il personale, sulla mancanza di poteri a livello locale, a parte quello di eseguire quanto stabilito dal Ministero o dall’Ufficio Scolastico Regionale (USR), sulla carenza di risorse e sugli adempimenti burocratici, e questo marchio delle origini è ancora presente attualmente come le risposte dei dirigenti intervistati hanno messo in evidenza. Soprattutto con il Decreto appena citato si è realizzato il passaggio, almeno a livello normativo al modello collegiale. Ciò dovrebbe significare il primato della persona, la centralità della comunità educativa, la partecipazione di tutte le componenti al processo decisionale, una concezione dell’autorità fondata sulla professionalità e un’innovazione che richiede l’apporto di tutti. Certamente non si può negare che la transizione verso questa impostazione sia in atto, particolarmente a livello normativo. A loro volta, le risposte dei dirigenti tendono a evidenziare che l’unico traguardo raggiunto è quello di una leadership sempre più fondata su un team o staff di collaboratori, mentre rimane piuttosto in ombra il principio della partecipazione di tutti. Maggiore sembra il progresso che è stato compiuto verso il modello culturale. La scelta della centralità del progetto educativo non solo è stata sancita dalla normativa, ma le vicende relative al PTOF (Piano Triennale dell’Offerta Formativa) evidenziano che il passaggio alla progettazione ha compiuto passi avanti notevoli e sta diventando il motore dell’organizzazione scolastica. La centralizzazione dei programmi sta gradualmente cedendo il passo all’iniziativa dal basso che è sempre più attenta a rispondere alle esigenze degli studenti con le famiglie e del contesto locale. Inoltre, la leadership educativa ha assunto sempre di più un riferimento ai valori. Il modello della qualità totale ha esercitato un’incidenza importante a livello della valutazione dei risultati delle singole scuole. Precisiamo che l’impatto ha riguardato l’adozione del principio, mentre non è stata introdotta tutta la congerie di strumenti che l’impostazione prevedeva: tale semplificazione è certamente da approvare come una scelta felice. Anche se l’attenzione alla domanda educativa dei giovani, delle loro famiglie e dell’ambiente esterno è in crescita, tuttavia il riferimento al cliente è passato in secondo piano ed è stato sostituito dalla priorità della persona. I modelli politico, soggettivo e ambiguo sono presenti nel funzionamento dell’organizzazione delle scuole almeno per ricordarci che al loro interno non tutto è idilliaco, che al centro del funzionamento si trova l’individuo e non l’istituzione educativa, la società, lo Stato, il sistema economico o la Chiesa e che anche nelle istituzioni scolastiche non mancano ambiguità, incertezze e una partecipazione eccessivamente fluida. Non abbiamo, invece, dati per quantificare queste situazioni; in ogni caso, le ricerche del CENSIS appena richiamate tendono a sottolineare gli aspetti positivi. Per la valutazione del CFP rinvio alla voce “ Bibliografia Bush t., Theories of educational leadership and management, Los Angeles, Sage, 2011 4 ed. Malizia G. – M. Tonini, Organizzazione della scuola e del CFP. Un’introduzione, Roma, CNOS-FAP/Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, 2015. Censis, 51° Rapporto sulla situazione sociale del Paese 2017, Milano, FrancoAngeli, 2017. Censis, 52° Rapporto sulla situazione sociale del Paese 2018, Milano, FrancoAngeli, 2018. Northouse p.G., Leadership, Theory and Practice, Thousand Oaks, Sage, 8 ed., 2019. Malizia G.- M. Tonini, L’organizzazione della scuola e del CFP alla prova della pandemia del Coronavirus. Un’introduzione, Milano, FrancoAngeli, 2020.

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