Quanto pesano le diseguaglianze sociali nel nostro sistema scolastico? Perché la scuola non riesce ancora a colmare le differenze socioculturali e gli svantaggi sociali, e continua a fare parti uguali tra diseguali e non a dare di più a chi ne ha più bisogno? La parità e l’uguaglianza nel sistema nazionale di istruzione integrato è difatti sancita per legge, ma se le garanzie riguardano sostanzialmente gli accessi e le opportunità di percorso e non si estendono agli apprendimenti, ai saperi e alle competenze come strumenti della formazione personale e del cittadino nella società, si rischia di moltiplicare le diseguaglianze e di non valorizzare le differenze degli studenti. Possiamo far risalire al momento storico e istituzionale della promulgazione, in Italia, della legge che istituiva la scuola media unificata (Legge 31 dicembre 1962, n.1859) la forte democratizzazione del sistema scolastico, che permetteva di accogliere nelle scuole, nel rispetto dei dettami costituzionali, tutti gli studenti fino al compimento del quattordicesimo anno di età. La scuola diventava una risorsa per il cambiamento della società, in quanto voleva garantire un uguale accesso allo studio per tutti. La scuola, fino a quel momento proponeva un sistema a doppio canale (due vie), con percorsi diversificati con un precoce professionalizzante (avviamento al ), da un lato, e la scuola media per chi voleva proseguire gli studi. La scuola media unificata significava un segmento uguale per tutti, aperto a tutti. La scuola media unificata avrebbe dovuto funzionare come ascensore sociale, come i sociologi hanno sempre discusso e prospettato, permettendo a tutti di proseguire gli studi. Ma gli alti tassi di dispersione scolastica cominciarono a rappresentare presto il segno tangibile di un sistema iniquo. Per garantire la mobilità sociale, e permettere anche ai figli dei contadini, come sosteneva don Milani, di raggiungere i più alti gradi dell’istruzione e di riconoscimento nelle carriere professionali, non poteva essere solo nella garanzia dell’accesso. L’articolazione del tema dell’uguaglianza di opportunità porta necessariamente a considerare diversamente se in termini di accesso o di riuscita. Il passaggio da una scuola di élite a una scuola di massa fa quindi esplodere il problema dell’uguaglianza di opportunità intesa come riuscita, come raggiungimento di esiti e titoli di studio formali. Dagli anni ‘90 in poi, come riprenderanno Benadusi e Bottani, gli studi dell’uguaglianza delle opportunità allargano al concetto di equità per riposizionare il discorso in termini di più ampia e riconoscimento delle diversità degli studenti nella scuola e degli individui nella società. Il discorso della scuola aperta a tutti non è più sufficiente, occorre pre-occuparsi di intervenire sulle discriminazioni sociali, come nel caso dell’origine degli studenti, per un’inclusione interculturale (vedi autoctoni vs immigrati), ma anche un’inclusione di genere (vedi maschile vs femminile), e un’inclusione di classi sociali considerando la loro provenienza socioeconomica e differenze territoriali (Nord vs Sud). L’uguaglianza, dunque, si va declinando in termini non più di soggetti che possono accedere ai servizi e al bene “istruzione”, ma nel senso di quale fine viene raggiunto o può essere garantito di raggiungimento di bene “istruzione”. Come approfondito ampiamente da Benadusi e Giancola il concetto di eguaglianza “di chi” comporta una maggiore attenzione all’uguaglianza “di che”, abbracciando una serie di più ampie riflessioni, che intersecano contesti di filosofia politica, di economia e sociologia dell’, sui concetti di etica dell’eguaglianza, di giustizia distributiva in educazione ed equità. Una scuola inclusiva deve allora dimostrare e garantire principi di equità. Con questo termine si richiama un principio di democrazia e di giustizia scolastica, vale a dire una uguaglianza “giusta”. L’istruzione non è solo un bene pubblico ma un patrimonio di tutti, intesi come singoli e come collettività. In questa concezione i risultati da raggiungere non sono assoluti ma relativi, vale a dire che tutti possono (e devono) raggiungere una soglia minima di traguardi formativi nell’istruzione che possono essere espressi in termini di competenze. Esempi di tale orizzonte di politica scolastica sono forniti dalla legge “No child left behind” negli Stati Uniti o dalla declinazione di uno “zoccolo comune” in Francia. L’eguaglianza delle condizioni porta così all’eguaglianza delle competenze da raggiungere, tutti e tutte, tenendo conto proprio delle differenze specifiche dei singoli e dei contesti territoriali in cui garantire istruzione e educazione. Bibliografia Benvenuto G., La Scuola Diseguale. Dispersione ed equità nel sistema di istruzione e formazione, Roma, Anicia, 2011. Benvenuto G., La scuola inclusive come principio di equità, Studi sulla formazione, 2022. Benadusi L., Equity and Education, in Hutmacher H. - Cochrane D. - Bottani N., In pursuit of equity in education, Boston/London, Kluwer Accademic Press, 2001. Benadusi L., Dall’eguaglianza all’equità, in Bottani N. – L. Benadusi, 2006. Bottani N. – L. Benadusi (a cura di), Uguaglianza ed equità nella scuola, Milano, Erickson, 2006. Benadusi L. - Giancola O. - Viteritti A., Scuole in azione tra equità e qualità. Pratiche di ricerca in Sociologia dell’Educazione, Milano, Guerini e Associati, 2008. Benadusi L., - O Giancola., Equità e merito nella scuola. Teorie, indagini empiriche, politiche, Milano, FrancoAngeli, 2020.

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