Nasce in una frazione di Castelnuovo d’Asti nel 1815, in una famiglia contadina. Dopo aver frequentato grammatica, umanità e retorica a Chieri, nel 1835, entra in seminario e, nel 1841, diventa presbitero. Nel 1846 avvia a Valdocco, periferia di Torino, un oratorio dove raccoglie e ospita giovani in situazione di e a rischio di devianza. Nel 1859 fonda la Società Salesiana, Congregazione composta da sacerdoti e laici che emettono i voti religiosi e, nel 1872, insieme a Suor Maria Domenica Mazzarello (1837-1881, canonizzata nel 1951), la Congregazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice e, infine, nel 1874, ottiene il riconoscimento pontificio per l’Unione dei Cooperatori salesiani, (laici o religiosi che condividono il carisma salesiano) e che erano stati il primo nucleo della famiglia salesiana, presente fin dall’inizio. Con i ragazzi Don Bosco adottò “il metodo preventivo”, teorizzato in un opuscolo del 1877, che “si appoggia sopra la ragione, la religione e sopra l’amorevolezza”, in contrapposizione al metodo repressivo, basato sul controllo e le punizioni (Bosco, 1877). Canonizzato da Pio XI nel 1934, la memoria liturgica si celebra il 31 gennaio, giorno della sua morte a Torino nel 1888. Esperienze di lavoro. Don Bosco prima di essere un promotore della formazione al è stato lui stesso un lavoratore. Cresciuto in un contesto socioeconomico rurale, ancora ragazzo, alterna lo studio e la zappa e diviene garzone di campagna presso una famiglia agiata. Quando frequenta gli studi di grammatica e retorica (1833-1835) dedica alcune ore del giorno al lavoro come apprendista sarto e come “caffettiere e liquorista”. Mentre compie gli studi di filosofia e di teologia nel seminario, si industria nel cucire o rappezzare abiti. L’impegno per la formazione professionale. L’impegno di Don Bosco nella formazione professionale dei giovani si sviluppa e si precisa nel tempo. Per una comprensione della capacità di lettura dei bisogni della società e del territorio e per l’originalità delle iniziative del Santo occorse tenere presente il contesto economico sociale e la situazione dell’istruzione professionale della città dove opera. Contesto economico sociale. In questo periodo Torino sta per perdere il primato politico e amministrativo, ma sta acquistando la fisionomia di una città nella fase protoindustriale, che adotta nuovi sistemi di organizzazione del lavoro e di produzione che costringono gli operai per 10-12 ore al giorno in ambienti insalubri e per salari di sopravvivenza. L’espansione convulsa e rapida di piccole e grandi officine e fabbriche nei sobborghi attira un crescente movimento immigratorio, dai campi e dalle montagne, che determina a sua volta un grande sviluppo edilizio urbano. Si comincia a costruire case su case e la città è invasa da ragazzi che si offrono come: scalpellini, muratori, stuccatori, selciatori, quadratori, ma anche come ambulanti, lustrascarpe, fiammiferai, spazzacamini, mozzi di stalla, garzoni.... Parallelamente a questi processi si registrano: vasti fenomeni di secolarizzazione che provocano l’abbandono della vita religiosa e un abbassamento dei comportamenti tradizionalmente cristiani e il crescere di manifestazioni di devianza giovanile. (Ghergo, 2020, 233) Situazione dell’Istruzione professionale. Prima che Don Bosco intervenisse con l’Oratorio di Valdocco, a Torino, operavano, sul versante pubblico, la Generala, carcere minorile con laboratori interni, e, sul versante dell’iniziativa privata, l’Opera della mendicità istruita, diretta dai Fratelli delle scuole cristiane, che provvedeva a collocare i giovani presso artigiani. Contemporanee alle attività formativo- professionale di Valdocco sono quelle del Collegio Artigianelli istituito nel 1849 e diretto fino al 1852 da don Giovanni Cocchi (1813-1895) e successivamente da S. Leonardo Murialdo (1828-1900) (Ghergo, 2020, pp. 191-192, 233-239, 241; Stella 1980, p. 110). Evoluzione e sviluppo delle attività formativo-professionali. Dagli inizi fino alla morte di Don Bosco la formazione professionale salesiana è sottoposta a cambiamenti organizzativi rilevanti che possono essere periodizzati in quattro fasi. Prima fase: . I primi ragazzi avvicinati da Don Bosco furono muratorini, scalpellini, selciatori e simili. All’oratorio festivo si informava se «[…] i suoi piccoli artigiani avessero lavoro, felice nel venire […] a conoscere che nessuno all’indomani sarebbe stato vinto dell’ozio» (Lemoyne, 1903, p. 131). Per quanti non avevano un’occupazione si mette alla ricerca di posti di lavoro per tutta la città, preoccupandosi, però, di trovare “padroni onesti e cristiani”. Da queste visite ed incontri ha origine un’attività con connotazioni “assistenziali-sindacali”: ricerca di occupazioni, collocamento, stipula di veri e propri contratti di apprendistato, allora chiamati di “locazione d’opera”, presenza frequente sui posti di lavoro per verificare il rispetto di quanto pattuito. In quel periodo, mancando una normativa sul lavoro minorile, contratti scritti tra datore e lavoratore e mansionari che prescrivessero il lavoro da eseguire, i ragazzi spesso venivano utilizzati anche come servi e sguatteri, con tempi di lavoro senza limiti prefissati, senza nessun riposo settimanale e nessuna tutela di sicurezza o della salute. Don Bosco si presentava ai datori di lavoro come garante dei ragazzi che accompagnava, ma pretendeva da loro regole e comportamenti formalmente precisate e pattuite in documenti scritti. Così, nella capitale sabauda preunitaria, il primo scritto per l'apprendistato porta proprio la sua firma: l'8 febbraio 1852 il giovane apprendista falegname Giuseppe Odasso firmava il primo contratto di apprendizzaggio in tutta Italia, su carta bollata da 40 centesimi, garante appunto Don Bosco (Panfilo, 1976, pp. 99-101). Seconda fase: i Laboratori. Dal 1952 la prassi dell’apprendistato in strutture produttive esterne all’oratorio viene interrotta. Per imparare un mestiere i giovani poterono utilizzare i laboratori che venivano installati all’interno dell’oratorio. Accanto alle aule per i ragazzi che frequentavano scuole umanistiche vengono allestiti i laboratori di: calzoleria e sartoria (1853), falegnameria e legatoria (1856), tipografia (1861), meccanica (1862). Si trattava di giovani in larga misura analfabeti e alcuni provenienti dal carcere. Questa seconda fase fa registrare sperimentazioni e cambi di impostazione. In un primo momento Don Bosco assume degli artigiani che, corrispondendo un piccolo salario ai giovani, avevano l’autorità di padroni di bottega. In un secondo momento Don Bosco e i padroni si accordano su gli strumenti di lavoro: gli artigiani erano obbligati a portare i loro, mentre Don Bosco li avrebbe procurati per gli allievi. Infine, Don Bosco si assume tutta la responsabilità morale e amministrativa, lasciando agli artigiani solo l’insegnamento. Terza fase: le scuole per artigiani. Don Bosco fa a meno degli apporti esterni degli artigiani, potendo anche contare sulla progressiva crescita del numero dei laici, presenti sia nella Società salesiana, sia tra i cooperatori. (Panfilo, 1976, p. 69). Inizia così una lenta transizione da laboratori a scuole professionali; transizione realizzata con un percorso che progressivamente riserva un peso più consistente alle ore di “lezioni” in aula rispetto all’ on the job in officina. Su questa materia Don Bosco propone un criterio molto chiaro: le sono funzionali alla prestazione lavorativa (criterio che costituisce una caratteristica fondamentale della della ): «Io non voglio che i miei falegnami, fabbri, calzolai siano avvocati, né che i tipografi, i legatori e i librai si mettano a farla da filosofi e da teologi. A me basta che ognuno sappia bene quello che lo riguarda; e quando un artigiano possiede le cognizioni utili ed opportune per esercitare la sua arte, ne sa quanto è necessario per rendersi benemerito della società» (Ceria, 1941, p. 658). Nei primi anni la distribuzione dell’ore giornaliere vedeva il netto prevalere di quelle trascorse nei laboratori (durante la giornata) su quelle che riguardavano le discipline teoriche (solo serali). Nel tempo si realizza un rapporto più equilibrato tra aula e officina, ma la denominazione scuole professionali comparirà negli atti ufficiali salesiani solo a partire dal 1910; prima l’espressione più ricorrente era scuola per artigiani o sezione artigiana o parte operaia e gli allievi venivano chiamati semplicemente artigiani (Prellezo, 1997, p. 19). In questo percorso progressivo dal alla scuola diventa sempre più consapevole e dichiarata la mission della formazione professionale salesiana come formazione integrale del giovane allievo. Come specifica un deliberato del Capitolo Generale (supremo organo decisionale) del 1877: non solo formare i giovani artigiani ad “un mestiere onde guadagnarsi onoratamente il pane della vita”, ma anche che “siano bene istruiti nella religione ed abbiano le cognizioni scientifiche opportune al loro stato”. Di conseguenza, “triplice deve essere l’indirizzo da darsi alla loro educazione: religioso-morale, intellettuale e professionale” (Prellezo, 2013, p. 20). A testimonianza dell’interesse crescente della Congregazione per questa area operativa va ricordata la creazione della carica di “Consigliere professionale generale” (1883), per ciò che riguardasse “l’insegnamento delle arti e mestieri”, compiti che prima erano del Consigliere che si occupava dei giovani in percorsi formativi umanistici. Prima espansione in Italia e all’estero. Ancora vivo Don Bosco si assiste ad una prima espansione fuori Torino della formazione professionale salesiana: vengono aperti “laboratori” a Sampierdarena (1879) a La Spezia (1877), a San Benigno Canavese (1879) (Prellezo, 2013, pp. 158-159). Tuttavia, la domanda di formazione professionale non era solo italiana. Infatti, negli ultimi anni della vita del Fondatore, i Salesiani aprirono “scuole per artigiani”, anche se con nomi diversi (talleres, case di artigiani, escuelas de artes y officios, ècoles d’arts et mètiers), in altri Paesi europei ed americani: Francia (Nice, Marseille), Spagna (Sarrià-Barcelona), Brasile (Niteroi, Rio de Janeiro, Sao Paulo), Argentina (Almagro, Buenos Aires), Uruguay (Montevideo). (Alberdi 1982, pp. 9-63). L’eredita’ di Don Bosco. Con lo sviluppo quantitativo delle strutture salesiane di Formazione Professionale aumenta la consapevolezza della necessità di inserire nella prassi formativa una maggiore consistenza di programmi di cultura generale. Consapevolezza che viene tradotta nel 1903 nella elaborazione da parte di Don G. Bertello, di un Programma scolastico per le scuole di artigiani della Pia Società Salesiana. Sul piano quantitativo le attività di formazione professionale salesiana nei decenni successivi fecero registrare momenti di sviluppo e momenti di stabilizzazione, raramente di diminuzione Nel 1888, anno della morte di Don Bosco, le scuole per artigiani sono 15. Nel 1910 “le scuole professionali” (è questa ormai la denominazione definitiva) sono 88; diventano 102, nel 1922, e poi 147, nel 1931; salgono a 263 nel 1953. Nel 1963 erano 277; nel 2001, 367, nel 2104, circa 400. (Zanni, 2014, p. 240). Dati più recenti, presentati al 28° Capitolo Generale, riferiscono di 752 Centri di Formazione Professionale (denominazione utilizzata dagli anni ’70), che impegnano 12.933 operatori (di cui 1.306 della Congregazione e 1.059 dell’Unione), al servizio di 169.313 allievi (di cui 49.833 femmine) (Soc. di S. Francesco di Sales, 2020, pp. 190-191). Importante anche la presenza delle Figlie di Maria Ausiliatrice nel settore: 251 centri in tutti i continenti (Figlie di Maria Ausiliatrice, 2023), mentre in Italia sono 66 i centri formativi e di , che servono un’utenza di 25.000 persone (di cui 11.000 giovani) e impegnano 1.100 operatori (di cui 45 suore) (CIOFS, 2023). Una quantità di attività formative rilevante, portata avanti con lo stile educativo di Don Bosco e a favore degli utenti da lui privilegiati. A titolo esemplificativo citiamo quanto dichiara lo Statuto della Federazione Nazionale delle scuole professionali salesiane, CNOS – FAP, “La Federazione persegue finalità istituzionali di , di formazione e di aggiornamento professionale, ispirandosi esplicitamente ai valori cristiani, al di Don Bosco e agli apporti della prassi educativa salesiana”. Continua poi precisando le strategie operative per realizzare le finalità “La Federazione persegue i suoi fini, in particolare: a) promuovendo le dimensioni spirituali, educative, culturali, sociali, politiche e di solidarietà del lavoro umano; b) corrispondendo prioritariamente alla domanda formativa emergente dalle fasce sociali più deboli, specie di quelle giovanili; c) attivando iniziative di orientamento scolastico e professionale in dimensione educativa e promozionale, favorendo specifici interventi rivolti a soggetti esposti al rischio di marginalità culturale, professionale e sociale; d) sviluppando le professionalità specifiche di tutti gli operatori delle Istituzioni confederate, qualificandone i ruoli educativi, psico-pedagogici, didattici e tecnici dei formatori...” Bibliografia e Sitografia Alberdi R., Impegno dei salesiani nel mondo lavoro e in particolare nella formazione professionale dei giovani, in “Salesiani nel mondo del lavoro”, Atti del Convegno europeo sul tema “Salesiani e pastorale per il mondo del lavoro”, Roma Editrice SDB, 1982. Bosco Giovanni, Il sistema preventivo in un “decalogo” per educatori (1877) in donboscosanto.eu/memorie_biografiche. Ceria E., Annali della Società Salesiana, vol. I, Torino, SEI, 1941. Ghergo F., Storia della formazione professionale in Italia, Gli anni 1860-1879, Vol. IV, Roma, Tipolitografia Istituto Salesiano Pio XI, 2020. Lemoyne G., Memorie biografiche di don Bosco, S. Benigno Canavese, Scuola tipografica e libreria salesiana, Edizione etra-commerciale, vol. III, 1903, vedi: donboscosanto.eu/memorie_biografiche. Panfilo L., Dalla scuola di arti e mestieri di don Bosco all’attività di formazione professionale (1860-1915). Il ruolo dei salesiani, Milano, LES, 1976. Prellezo J.M., Scuole professionali salesiane. Momenti della loro storia 1853-1953, Roma, 2013. Prellezo J.M., Dai laboratori di Valdocco alle scuole tecnico-professionali salesiane. Un impegno educativo verso la gioventù operaia, in Van Looy L.- G. Malizia (ed.), Formazione professionale salesiana memoria e attualità per un confronto. Indagine sul campo, Roma, LAS, 1997, 2013. Societa’ di S. Francesco di sales, Dati e Statistiche, Capitolo Generale 28,° Vol. II, Cap. 4, Formazione Professionale, Edizione extracommerciale. Figlie di Maria Ausiliatrice, Piattaforma digitale internazionale, 2023, CIOFS-FP sedi, in www.ciofs-FP.org; Cnos-Fap, Statuto della Federazione Nazionale CNOS-FAP, in www.cnos.fap.it. Stella P., Don Bosco nella storia economica e sociale (1815-1870), Roma, LAS, 1980. Zanni N., Orientamenti e attuazioni delle scuole professionali salesiane, in Sviluppo del carisma di Don Bosco fino alla metà del secolo XX, Atti del Congresso internazionale di Storia Salesiana, Roma, pp. 19-23, 2014.
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