Nel passato, e in qualche modo ancora oggi, sul tema dell’accertamento della si sono sommate due logiche tra loro distinte: quella della certificazione e quella della classificazione (cfr. relativa voce nel glossario). L’oggetto di queste due differenti operazioni, diverse e complementari, non è sempre chiaro nei diversi pronunciamenti legislativi, dalla Legge n. 104/1992 ai giorni nostri si certifica la disabilità o la menomazione che ne sarebbe causa? Si classifica la disabilità (cioè il limite funzionale) o la menomazione (cioè l’anomalia anatomica)? La certificazione risponde ad una logica di certezza, e dunque può essere operata laddove esistono rigorosi criteri di o esclusione da una determinata categoria: con essa, infatti, si rende certo che una condizione sussiste o non sussiste. Nel nostro ambito, dunque, essa rappresenta un provvedimento di tipo diagnostico, che rende certa l’esistenza di una condizione di tipo categoriale, riconducibile all’ICD (International Classification of Disease): la persona appartiene o non appartiene ad una specifica etichetta diagnostica, come la Sindrome di Down, l’Autismo o la paralisi cerebrale infantile. La classificazione, invece, risponde ad una logica di arbitraria suddivisione di un insieme in classi, secondo criteri che vengono determinati in uno specifico accordo o convenzione. Nel nostro ambito, classificare significa dunque determinare l’ampiezza della limitazione funzionale (disabilità), in una gamma che secondo l’ICF va 0 (nessuna difficoltà) a 4 (difficoltà completa). L’affiancamento, e a volte l’ambiguità tra le due logiche si riscontra ampiamente laddove gli ultimi provvedimenti normativi riguardanti l’accertamento della disabilità, ivi compreso il Decreto Legislativo del novembre 2023 (“Definizione della condizione di disabilità, della valutazione di base, di accomodamento ragionevole, della valutazione multidimensionale per l’elaborazione e attuazione del progetto di vita individuale personalizzato e partecipato”), dichiarano che la valutazione di base (volta ad accertare la disabilità) è operata “sulla base dell’ICD e degli strumenti descrittivi ICD”. Questa ambiguità diventa ancora più palese nel momento in cui l’accertamento, nella Legge n. 170/2010, prende ad oggetto i cosiddetti “”. Essi rappresentano un gruppo eterogeneo di difficoltà che si manifestano con significative difficoltà nell’acquisizione e uso di abilità di comprensione del linguaggio orale, espressione linguistica, lettura, scrittura, ragionamento o calcolo. Secondo il DSM-V, essi sono da includere, al pari di Autismo e disabilità intellettiva, nell’insieme dei cosiddetti disturbi del neurosviluppo, disturbi che si manifestano nelle prime fasi dello sviluppo e sono caratterizzati da deficit del funzionamento personale, sociale, scolastico o lavorativo. Di fatto, i disturbi del neurosviluppo sono una forma di disabilità, riconducibile al paradigma bio-psico-sociale, e possono andare da limitazioni molto specifiche dell' fino alla compromissione globale delle abilità sociali e dell’intelligenza. Di conseguenza, non dovrebbero esserci differenze nella modalità del loro accertamento, che risponde alla logica dimensionale del classificatore ICF. Al contrario, la normativa italiana prevede per i DSA un percorso di certificazione diagnostica, sul modello dell’ICD (anche se non esplicitamente citato), percorso che le Regioni devono attivare in modo tale da garantire non l’attribuzione dell’insegnante di sostegno (per il quale si rimanda alla certificazione della disabilità ex Lege n. 104/1992), ma il diritto ad un Piano Personalizzato, costituito in larga parte dall’adozione di misure dispensative e compensative. Si prefigura così una sorta di doppia (o tripla) condizione, una specie di classifica dei bisogni: la disabilità ex Lege n. 104, portatrice di un diritto a tutto tondo, ovvero l’assegnazione di risorse aggiuntive, i disturbi di apprendimento, ex Lege n. 170/2010, e i . Da qui il rischio di una specie di corsa al certificato DSA, utile in questo caso per dispensare l’allievo (o l’insegnante?) dalla di percorsi individuali impegnativi, mirati al recupero, o perlomeno al potenziamento, della prestazione oggetto di disturbo.

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