La voce analizza l’organizzazione del CFP, luogo di svolgimento delle molteplici azioni formative per i giovani e gli adulti e quindi, sede della (ordinamentale e non) e sede dello svolgimento delle (Malizia e Tonini. 2020). Il CFP come comunità formatrice. L' è opera comune, presuppone un accordo di base sulle finalità, i contenuti, le metodologie da parte di tutte le componenti del CFP (Malizia e Tonini, 2015; Bertagna, 2008; Cssc-Centro Studi Per La Scuola Cattolica, 2008). Una formazione efficace esige la costruzione di una comunità che sia allo stesso tempo soggetto e ambiente di educazione, centro propulsore e responsabile dell’ formativa, in dialogo aperto con la comunità territoriale e con la domanda di sviluppo integrale della persona che proviene dai giovani. Inoltre, secondo gli orientamenti condivisi delle politiche di riforma dei sistemi educativi, una strategia fondamentale del cambiamento viene identificata proprio con la scuola/centro della comunità: ciascuna comunità educativa, dotata di adeguata autonomia e di un progetto, diviene lo strumento per eccellenza della gestione del sistema educativo e della costruzione del tessuto educativo locale. Ciò, infatti, permette la costituzione e il funzionamento di una sede intermedia di aggregazione sociale in cui le libertà dei singoli utenti si incontrano per gestire insieme corresponsabilmente la risposta ai bisogni educativi. A questo punto va precisato che diversamente da una organizzazione o da una società, la comunità viene perseguita per ragioni di natura interiore quali l'autorealizzazione o la validità e bontà di quanto si intende realizzare per cui i vincoli che legano i membri sono solidi, dato che si propongono obiettivi di natura morale. Inoltre, i rapporti sono cooperativi e collaborativi e l'accento viene posto sul bene comune, la cui realizzazione non contraddice i beni individuali ma permette di valorizzarli al meglio. Tra gli elementi essenziali della comunità formatrice, va sottolineato anzitutto il comune orientamento culturale che la identifica e che è accettato da tutti i suoi membri. Questa forza connettiva, aggregante e accomunante che unisce le persone in un gruppo comunitario non è puramente un attributo della loro identità, ma rappresenta un suo elemento costitutivo. Tuttavia, il comune orientamento e legame non trasformano la comunità formatrice in una specie di superorganismo che annulla l’individualità dei soggetti che la compongono. Accanto ad esso mantengono pari rilevanza le singole persone che vivono e crescono nella comunità e che la costituiscono. Pertanto, si può parlare di comunità formatrice solo quando ogni membro di quest’ultima viene messo nelle condizioni di essere pienamente se stesso. Le due caratteristiche essenziali della comunità formatrice appena messe in risalto si ritrovano riflesse ed operanti anche nella relazione tra bene comune e bene personale. A livello educativo non si può pensare a un bene comune che non sia al tempo stesso anche bene proprio di ciascuno dei membri della comunità. L’assunzione della concezione della comunità formatrice richiede l’adozione di un nuovo quadro istituzionale e organizzativo. In altre parole, si tratta di impegnarsi principalmente nel ricercare soluzioni ai problemi piuttosto che di evitarli, di considerare come caratteristica essenziale dei luoghi educativi l’elaborazione della cultura e di potenziare lo studio e la ricerca. Tutto ciò rinvia all’esigenza di poter contare su professionisti dell’educazione di qualità elevata, capaci di muoversi in autonomia all’interno di un contesto che questa autonomia ha assunto come criterio organizzativo fondamentale. Anche nella FP la centralità della comunità formatrice significa promozione integrale delle persone; in questo caso, tuttavia, tale finalità prioritaria viene raggiunta attraverso l’acquisizione di un ruolo professionale qualificato e di una specifica cultura professionale. In particolare, la preparazione del soggetto lavoratore richiede la formazione a una serie di valori di base. Il primo consiste evidentemente nella qualificazione professionale che dovrà consentire l'inserimento in maniera fattiva e dignitosa nel mondo del . Al tempo stesso la piena realizzazione umana del soggetto lavoratore richiede la formazione della identità e della coscienza personale, la maturazione della libertà responsabile e creativa, sostenuta da e motivazioni solide, lo sviluppo della di relazione, di solidarietà e di comunione con gli altri, come egualmente della capacità di compartecipazione responsabile, sociale e politica. L'altro volano della centralità della formazione è costituito dalla scelta di educare all'esercizio di una professionalità matura attraverso la proposta di una cultura che è professionale, umanistica ed integrale. In altre parole, tale cultura sarà focalizzata sulla condizione produttiva che, a sua volta, va inquadrata in una concezione globale dell'uomo e che ottiene la sua piena significatività nella dimensione etica e religiosa. Il CFP di ispirazione cristiana, adottando un modello aperto di razionalità, deve promuovere l'assimilazione critica e sistematica del sapere e nell'attuazione di questo compito si presenta come una comunità che punta al coinvolgimento di tutti nell'opera formativa, alla gestione sociale da parte della comunità cristiana e alla a produrre cultura educativa (Cssc-Centro Studi per la Scuola Cattolica, 2008). Inoltre, se la Chiesa è anzitutto comunione, il CFP di ispirazione cristiana non può che definirsi in primo luogo come comunità, la quale diviene centro propulsore e responsabile di tutta la sua vita. Prima ancora che scelta pedagogica, si può quindi affermare che l'identità comunitaria del Centro di ispirazione cristiana abbia un fondamento teologico nella natura della Chiesa e nella dimensione relazionale che sottostà alla stessa Trinità e alla natura di un Dio che si rivela come amore. In questo ambiente comunitario la natura propria delle relazioni va identificata nello spirito di libertà e di carità, la prima intesa come capacità di prendere decisioni responsabili e la seconda che consiste nel lasciarsi guidare dall’amore di Dio e nel farsi servi gli uni degli altri. Il CFP come organizzazione di servizi per la formazione professionale e per il lavoro. A cavallo dei due millenni nei CFP si erano verificati fenomeni di involuzione burocratica (Malizia e Tonini, 2015 e 2020). Infatti, non infrequentemente si notava una focalizzazione eccessiva sui bisogni degli operatori a scapito dei destinatari; inoltre, non mancavano casi in cui si privilegiava il controllo normativo sulle procedure rispetto alla verifica sostanziale sui risultati. In reazione a questi segnali degenerativi si è andata diffondendo l’esigenza di elaborare un modello alternativo al CFP tradizionale: più specificamente ne sono emersi tre e si tratta del CFP strategico, di quello agenziale e di quello polifunzionale che qui proponiamo. Secondo il modello strategico, il Centro è considerato come un sistema organizzativo connesso con il mondo esterno al quale offre servizi: pertanto il contesto di riferimento (mercato, attori, risorse e domande) assume una valenza superiore alla cultura interna dell’organizzazione (Nicoli, 1995; Malizia e Tonini, 2015 e 2020). A livello operativo la realizzazione di una precisa programmazione e di un decentramento controllato richiede una direzione strategica con attenzioni nuove: a tale fine sarebbe da preferire la struttura a matrice che è specifica del lavoro per progetti, con tutte le conseguenze di un’ampia delega, di un processo decisorio decentrato, comunicazioni a doppio senso ad ogni livello, coordinamento per comitati, organizzazione del lavoro ispirata all’autocontrollo e clima favorevole allo sviluppo e all’innovazione. Il modello strategico si dimostra valido nel disegnare le grandi dinamiche di relazione a livello di sistema organizzativo. Il suo punto debole si trova in una concezione piuttosto povera del processo formativo in quanto questo non si può ridurre all’adattamento, ma include anche un intenso interscambio simbolico, affettivo, culturale ed esperienziale tra le parti interessate. Questa carenza discende da un limite più grande che è dato dal mancato riconoscimento del primato della scelta formativa nella FP. Un secondo modello, quello agenziale, si caratterizza per i seguenti concetti chiave: analisi del territorio; e realizzazione di azioni formative; servizi di e assistenza a singoli, gruppi e organizzazioni; sostegno all’inserimento occupazionale; qualità; cooperazione; flessibilità; imprendibilità e innovazione (Malizia e Tonini, 2015 e 2020). In sintesi, l’agenzia di servizi formativi si ispirerebbe ai seguenti principi di riferimento: «[…] orientamento al mercato sociale in termini di interazione con singoli, gruppi e organizzazioni e pressione propositiva per sollecitare e soddisfarne i bisogni; enfatizzazione della relazione con il fruitore dei prodotti/servizi, in termini di presa in carico e responsabilità; valore della cooperazione come elemento tipico di una organizzazione che intraprende ed elabora strategie su obiettivi condivisi; innovazione metodologica e tecnologico-scientifica come rilevante fattore di successo; orientamento alla professionalità» (Il nuovo ruolo del CFP come agenzia di servizi, 1995, p. 58). Venendo a una , anzitutto va osservato che non esiste un unico modo di intendere la formula agenziale. Infatti, l’ENAIP e il CIOFS/FP: «[…] pur aderendo ad un orientato al ‘mercato’ e attento al servizio prodotto, [...] si staccano da una logica puramente aziendale di ‘efficacia’ e ‘qualità totale’, per evidenziare come il perno della loro azione nel sociale, non sia tanto, o solo, la formazione del ‘lavoratore’, quanto la formazione della ‘persona’» (Il nuovo ruolo del CFP come agenzia di servizi, 1995, p. 16). Rimane pur sempre vero che questa impostazione non sottolinea adeguatamente, come quella del CFP polifunzionale, la dimensione comunitaria. È chiaro che il modello agenziale presenta, oltre al precedente limite, anche quello più serio di non accordare la priorità alla formazione della persona. Il modello polifunzionale, che fa capo al CNOS-FAP e alle sue ricerche, si qualifica per essere al tempo stesso formativo, comunitario, al servizio della persona, progettuale, coordinato/integrato, aperto e flessibile (Malizia e Tonini, 2015 e 2020). Sopra ci siamo occupati delle caratteristiche formativa e comunitaria. Aggiungiamo soltanto che la centralità della formazione e la costruzione di una comunità sono esigenze che si impongono in ogni centro. Esse vanno realizzate in qualsiasi tipo di CFP, qualunque sia la sua dimensione o il contenuto della sua offerta. Né la complessità delle azioni intraprese dal Centro o la preponderanza di corsi mirati a un pubblico adulto possono indurci a pensare che il CFP si sia trasformato in un’azienda o in un’agenzia. Il CFP rimane una istituzione formativa e la sua organizzazione resta al servizio della scelta educativa e comunitaria la quale conserva il primato anche nella FP. Ed è questa logica di fondo che distingue principalmente il CFP polifunzionale da certe concezioni agenziali della FP. La promozione integrale della persona significa che l'educando occupa il centro del sistema formativo e che pertanto questo deve fare dell'oggetto dell'educazione il soggetto della sua propria educazione. A ogni persona va assicurato il diritto a educarsi scegliendo liberamente il proprio percorso tra una molteplicità di vie, strutture, contenuti, metodi e tempi; in sostanza, è il sistema formativo che deve adattarsi all'educando e non viceversa. Indubbiamente, tutti gli operatori, i formatori, l'intero CFP e la FP nel suo complesso sono primariamente impegnati a promuovere lo sviluppo integrale della personalità degli allievi. In particolare, il servizio diretto alla persona emerge nella funzione del formatore che si presenta come una professionalità aperta, orientata a sviluppare, mettere in azione e innovare le strategie educative in modo da renderle rispondenti alla domanda in rapido mutamento (operatori della FP). La progettazione degli interventi dovrebbe consentire alla comunità formatrice di identificare la domanda sociale di formazione, di fissare gli obiettivi dei propri interventi in relazione alle esigenze del contesto, di elaborare strategie educative valide in risposta al territorio, di valutare la propria attività in rapporto alle mete che ci si è posti. A loro volta, coordinamento e integrazione vogliono dire essenzialmente sincronizzazione e armonizzazione delle azioni di un gruppo di persone e delle attività di tutte le articolazioni di una organizzazione in vista del raggiungimento di mete condivise; si tratta di favorire la combinazione più efficace degli sforzi dei singoli individui che compongono un gruppo o di più sottogruppi di un’organizzazione più ampia. L’esigenza dell’apertura al contesto si basa sulla considerazione che i centri possono conservarsi solo sulla base di un flusso continuo di risorse da e per l’ambiente per cui lo scambio con il contesto costituisce il meccanismo fondamentale che consente il funzionamento dell’organizzazione. Nonostante il riferimento a un modello, l’organizzazione deve rimanere flessibile nel senso che la realizzazione del modello può essere la più varia mentre tutto dipende dalle particolari condizioni di ogni CFP, per cui si può andare da un’attuazione molto elementare alla più complessa; quello che va assicurato in ogni caso è la presenza in ciascun CFP delle funzioni e non delle figure e, nel contesto territoriale, delle necessarie unità specialistiche di supporto. Dal confronto con gli altri due modelli e dalle osservazioni avanzate in proposito, appare chiaramente la superiorità del modello polifunzionale. In breve, esso riesce ad assumere le caratteristiche della nuova cultura organizzativa senza rinunciare alle due dimensioni centrali della tradizione: quella formativa e quella comunitaria. Le crisi dell’ultimo decennio, in particolare quella del crollo dell’occupazione e della “desertificazione industriale del Sud”, ci hanno convinto di aggiungere altre due dimensioni al modello del CFP polifunzionale. Per effetto della prima problematica (Malizia e Gentile, 2015), il CFP va considerato anche come centro di formazione professionale per il lavoro (Salerno, 2015, pp. 158-159). Da qualche anno è in corso un allargamento delle funzioni dei Centri in relazione ai servizi attivi per l’occupazione, indirizzati agli allievi dei corsi e agli adulti coinvolti nelle diverse transizioni della vita relative al loro lavoro. Di conseguenza i CFP si caratterizzano sempre di più come presidi per lo sviluppo delle risorse umane sul territorio. Tra i quali si prospetta la costituzione di una rete nazionale. Nel modello polifunzionale va anche prevista la creazione del “CFP per il Mezzogiorno”, tenuto conto delle percentuali molto elevate di dispersione scolastica e di disoccupazione giovanile che si riscontrano al Sud e del rischio di sottosviluppo permanente che questa parte del Paese corre (Svimez, 2018). Anzitutto, si mirerà a contrastare la graduale sparizione della nel Meridione, rilanciandola in maniera efficace. Si propone anche un modello di centro, capace di rispondere ai bisogni dei territori, comprensivo di servizi educativi e occupazionali per le persone e le imprese e in grado di raccordare recupero sociale, laboratori formativi e formule di alternanza e di diventare vivaio di ricerca autonoma del lavoro e di startup di . Una leadership morale e condivisa per la formazione. Entro questo quadro, l’attenzione principale va focalizzata sulla dimensione valoriale del ruolo del dirigente la cui autorità e influsso devono fondarsi anzitutto su una concezione adeguata del giusto e del bene. Ciò che è centrale è: «[…] la capacità di agire in un modo che è congruente con un sistema morale e rimane tale nel tempo». Il leader morale si può definire come un dirigente che: «[…] è in grado di: testimoniare una coerenza piena tra principi e prassi; applicare i principi alle nuove situazioni; creare una mentalità e una terminologia condivise; spiegare e giustificare le decisioni in termini morali; reinterpretare e riaffermare i principi se necessario» (Bush, 2011, pp. 184-185). Nel contesto in cui viviamo è certamente di particolare importanza il compito, che potremmo definire di “management dei significati” per cui il leader è chiamato impegnarsi a favore del delinearsi di sistemi di significati educativi condivisi fra i differenti soggetti (Sergiovanni, 2002 e 2009). Ci sembra che in questo momento uno dei mali maggiori che travaglia la scuola e la FP sia l’incapacità di insegnanti/formatori e di studenti/allievi di dare e di trovare un senso profondo nelle cose che fanno a scuola/centro per cui mancano di passione, di entusiasmo e di motivazioni profonde nel loro mestiere di docenti/formatori e di studenti/allievi: pertanto, diventa necessario e urgente che il leader li aiuti a recuperare significato e ragioni dell’educare e dell’essere educati. Tutto ciò è ancora più vero per i CFP di ispirazione cristiana dove visione e missione hanno la loro giustificazione ultima nel messaggio del Vangelo. Dunque, il nuovo perno della professionalità del personale dirigente sembra essere costituito dalla capacità di dialogo e di mediazione fra differenti soggetti e il Centro viene così a configurarsi come “CFP dei significati”, in cui i vari soggetti sono portatori di senso per la vita attraverso la loro specifica professionalità e il leader diventa il gestore delle mediazioni culturali perché tutto assuma e mantenga natura formativa. Globalmente vengono indicate altre cinque funzioni specifiche che dovrebbero essere gestite in modo integrato per ottenere un servizio formativo di qualità (Cssc-Centro Studi per la Scuola Cattolica, 2004; Sergiovanni, 2002 e 2009; Malizia e Tonini, 2015): la funzione tecnica che consiste nell’uso di valide tecniche di gestione (pianificazione, gestione del tempo, coordinamento, programmazione, organizzazione ed altre). Una buona gestione tecnica del lavoro formativo resta indispensabile per il funzionamento dei centri, in quanto assicura un senso di affidabilità, continuità ed efficienza; la funzione di gestione delle relazioni umane che si esprime nella di rapportarsi con le persone, si esplica nel sostegno al miglioramento e ha come base la motivazione e lo sviluppo degli allievi e del personale, a partire da quello formativo, nella prospettiva della collegialità e dell’autonomia; la funzione educativa in senso stretto che deriva dalla conoscenza esperta dell’educazione e dai propri docenti fa percepire il dirigente come leader riconosciuto; la funzione simbolica che parte dalla funzione di “capo” con cui il leader viene percepito e dal suo ruolo di rappresentare l’unità del Centro. In particolare, questa forza simbolica si esprime nella capacità di finalizzazione, di visione o di far cogliere il senso delle cose, di indicare le priorità, di orientare e identificare le varie componenti del centro e interpretare i loro sentimenti e aspettative; la funzione culturale che è la forza chiave per creare un’identità condivisa attorno ai valori distintivi del Centro, per inserire i nuovi collaboratori e allievi, per costruire un pensiero comune e una comunità formatrice. Il compito della leadership come costruzione di cultura è quello di infondere valori, creando l’ordine morale che lega il leader alle persone attorno a lui. Praticare le funzioni simbolica e culturale rappresenta oggi la base per la costruzione di una comunità formativa di successo e attraversa dinamicamente tutte le altre dimensioni “ordinarie” del lavoro formativo (tecnica, umana e educativa). Qui non si intende parlare del dirigente solo come di un professionista bensì anche dell'educatore, del formatore di uomini e quindi è opportuno cercare di indicare i requisiti personali. Dal punto di vista umano, siamo di fronte alla necessità di persone che presentano una forte passione per la relazione di servizio e per l'educazione in genere, persone che concepiscono il fenomeno educativo come una compartecipazione di diversi soggetti e non come espansione di uno stile proprio che si impone (Cssc-Centro Studi per la Scuola Cattolica, 2004; Xodo, 2010; Malizia e Tonini, 2015). Inoltre, serve personale direttivo che abbia una spiccata sensibilità per le relazioni di “nuova comunità” che si svolgono sia nel cerchio interno sia in quello del partenariato territoriale. Occorre anche una buona dote di ottimismo e di spirito di intrapresa, congiunta alla capacità di contenere ansia e preoccupazioni evitando di investire di tutto questo ogni collaboratore. La passione educativa si esercita infatti soprattutto nei confronti di questi ultimi, che divengono in un certo qual modo i primi “allievi”, in una relazione di corresponsabilità circa la qualità del servizio. Dal punto di vista professionale, il personale direttivo deve possedere una notevole conoscenza del sistema educativo di istruzione e di formazione sul piano giuridico, istituzionale, metodologico e delle procedure operative. Esso necessita nel contempo di una capacità di individuazione del senso di tutti questi processi, pur non dovendo necessariamente diventare specialista in ognuno di essi, al fine di delineare uno stile gestionale organico ed orientato alla qualità. Ciò significa saper cogliere nell'insieme dei processi di cui si è responsabili le componenti di coerenza o non coerenza con il disegno adottato ed inoltre i segnali di conferma o smentita dello stesso, comprese le opportunità future. Le sue competenze professionali dirette si riferiscono all'ambito delle relazioni interne, con la gestione dei collaboratori e la guida dell'organizzazione, ed inoltre a quello dei rapporti esterni, dove è richiesta la cura delle relazioni di rete e la ricerca delle opportunità di intervento. Per il dirigente/educatore cattolico che opera nei Centri di ispirazione cristiana la consapevolezza della missione ecclesiale del Centro e del suo progetto formativo conferiscono alla sua professionalità caratteristiche specifiche: l'articolazione del rapporto fede-cultura-vita, il particolare significato pedagogico e teologico della comunità formatrice e il valore ecclesiale del suo servizio (Cssc-Centro Studi Per La Scuola Cattolica, 2004, pp. 365-370 e 2013; Perrone, 2004; Malizia e Tonini, 2020). Sgravato delle responsabilità gestionali ed amministrative, pertinenti al gestore in quanto soggetto giuridico, gli viene richiesto di concentrarsi sulle persone e sui processi, svolgendo un'azione che potremmo definire di “management dei significati”, operando a favore del delinearsi di sistemi di significati educativi condivisi fra i differenti soggetti. Dunque, il perno della sua professionalità è costituito dalla capacità di dialogo e di mediazione fra differenti soggetti, in stretta relazione con il gestore, cui spetta la definizione delle linee strategiche generali, al fine di saper tradurre il sistema di valori di cui sono portatori in concreti processi di istruzione educativa cristianamente ispirata. La scuola cattolica verrebbe così a configurarsi come “scuola dei significati”, in cui i vari soggetti sono portatori di senso per la vita attraverso la loro specifica professionalità: il gestore è portatore del “significato finale” che una educazione potrebbe assumere e quindi il dirigente diventa gestore delle mediazioni culturali perché tutto questo assuma e mantenga natura scolastica. Bibliografia Nicoli D., L'innovazione organizzativa del CFP. Verso un modello misto, comunitario e strategico. Seminario dei direttori dei CFP della Federazione CNOS/FAP, Roma, 24-26 ottobre 1995. Il nuovo ruolo del CFP come agenzia di servizi (1995), in “Formazione e Lavoro”, n. 138/9, pp. 1-213. Sergiovanni T.J., Dirigere la scuola comunità che apprende, Roma, LAS, 2002. Bertagna G., Autonomia, Brescia, La Scuola, 2008. Cssc-Centro Studi per la Scuola Cattolica, Costruire la Comunità Educante. Scuola Cattolica in Italia. Decimo Rapporto, Brescia, La Scuola, 2008. Sergiovanni T.J., The Principalship: a reflective practice perspective, Boston, Pearson, 6 ed., 2009. Xodo C., Il dirigente scolastico una professionalità pedagogica tra management e leadership, Milano, FrancoAngeli, 2010. Bush T., Theories of educational leadership and management, Los Angeles, Sage, 4 ed., 2011. Malizia G. – F. Gentile, Il successo formativo degli allievi del CNOS-FAP. Qualificati e diplomati nel 2012-13, in “Rassegna CNOS”, 31 (2015), n. 1, pp. 111-139. Malizia G. – M. Tonini, Organizzazione della scuola e del CFP. Un’introduzione, Roma, CNOS-FAP/Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, 2015. Nicoli d., Contributi per la “Buona Formazione Professionale” per i giovani: una scuola popolare per il lavoro dei giovani, in «Rassegna CNOS», 31 (2015), n. 2, pp. 143-157. Salerno G.M., Contributi per la “Buona Formazione Professionale” per i giovani: l’ordinamento, in «Rassegna CNOS», 31 (2015), n. 1, pp. 141-159. Svimez. Associazione per lo sviluppo dell’industria nel mezzogiorno, Rapporto Svimez 2018 sull’economia del Mezzogiorno, Roma, 2018. Malizia G. – M. Tonini, L’organizzazione della scuola e del CFP alla prova della pandemia del Coronavirus. Un’introduzione, Milano, FrancoAngeli, 2020.

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