Solitamente questo annuncio: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi”, viene inteso come rivolto a chi è stato chiamato alla vita sacerdotale o religiosa. Invece nella lettera ai giovani in vista del prossimo Sinodo “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”, Papa Francesco ci ricorda che questa “vocazione alla gioia dell’amore è l’appello fondamentale che Dio pone nel cuore di ogni giovane perché la sua esistenza possa portare frutto”.
Venire al mondo significa per ogni giovane “incontrare la promessa di una vita buona”. Così la fede “non è un rifugio per gente senza coraggio, ma la dilatazione della vita. Essa fa scoprire una grande chiamata, la vocazione all’amore, e assicura che quest’amore è affidabile, che vale la pena consegnarsi ad esso, perché il suo fondamento si trova nella fedeltà di Dio, più forte di ogni nostra fragilità” (Lumen fidei, 53).
Parole queste che dovrebbero accendere nei nostri giovani la luce, la speranza, la voglia di vivere un sano protagonismo e combattere così questa diffusa cultura dello scarto che tende a mettere ai margini milioni di persone.
Viviamo in un contesto di fluidità e di incertezza che rende spesso i giovani vulnerabili e insicuri nelle loro scelte di vita, lasciandosi risucchiare dalla “cultura del provvisorio” e quindi rinunciare a “desiderare, sognare e progettare” (vedi il diffondersi del fenomeno dei Neet). 
In questo contesto di “precarietà” come possiamo , come Chiesa, “ridestare la grandezza e il coraggio di scelte di ampio respiro, di slanci del cuore per affrontare sfide educative e affettive”? si domanda il Papa. Attraverso il percorso del prossimo Sinodo la Chiesa vuole ribadire il proprio desiderio di “incontrare, accompagnare, prendersi cura di ogni giovane, nessuno escluso”.
Se la fede è dono dall’alto, essa è anche atto di libertà, di risposta a una precisa vocazione. 
È vero che “sono scelto” (verbo al passivo), ma per “portare frutto”: e questo mi rende attivo.
La fede “non è rifugio per gente senza coraggio, ma dilatazione della vita. Essa fa scoprire una grande chiamata, la vocazione all’amore (Lumen fidei, 53). 
Suonano chiare le parole del Papa alla GMG di Cracovia: “Cari giovani, non siamo venuti al mondo per vegetare, per spassarcela comodamente, per fare della vita un divano che ci addormenti; al contrario, siamo venuti per un’altra cosa, per lasciare un’impronta”. 
È urgente da parte nostra promuovere le capacità personali di ogni giovane, mettendole al servizio di un solido progetto di crescita comune. Solo l’esercizio di un “protagonismo indirizzato a migliorare il contesto in cui viviamo”, darà l’opportunità ai nostri giovani di acquisire e raffinare sul campo competenze utili per la vita e il lavoro. In questo Don Bosco ci è stato da maestro. 
Andiamo alle cronache dell’inizio della Congregazione Salesiana: “La sera del 26 gennaio 1854 ci radunammo nella stanza del Sig. D. Bosco; Esso Don Bosco, Rocchietti, Artiglia, Cagliero e Rua; e ci venne proposto di fare coll’aiuto del Signore e di S. Francesco di Sales una prova di esercizio pratico della carità verso il prossimo, per venirne poi ad una promessa, e quindi se parrà possibile e conveniente di farne un voto al Signore. Da tal sera fu posto il nome di Salesiani a coloro che si proposero e si proporranno tale esercizio. (Don Giovanni Battista Lemoyne).
Don Bosco sapeva rendere i giovani protagonisti della vita attraverso “esercizi pratici” di servizio. 
Nel documento preparatorio del prossimo Sinodo, i Lineamenta, ci vengono suggeriti 3 verbi da mettere in pratica come educatori: uscire, vedere, chiamare. 
*Uscire dai nostri schemi per permettere ai giovani di essere protagonisti.
*Vedere: è compito da parte nostra, come educatori, dare la disponibilità a passare del tempo con loro, ascoltare le loro storie, le loro gioie e speranze per condividerle. È la capacità di vedere nella profondità del cuore senza risultare invadenti.
*Chiamare: vuol dire ridestare il desiderio, smuovere le persone da ciò che le tiene bloccate o dalle comodità in cui si adagiano. Chiamare vuol dire porre domande a cui non ci sono risposte preconfezionate. 
Siamo invitati ad offrire ai giovani esperienze di crescita e di discernimento davvero significative, apprezzando e valorizzando la loro creatività e i loro talenti. E con Madre Teresa di Calcutta potremo dire a ogni nostro giovane: “Trova la tua vocazione là dove ti senti felice”.
d. Gianni