Si fa un gran parlare in questi giorni delle dimissioni date da Benedetto XVI, con il rischio di far passare inosservato il suo Messaggio datoci per la Quaresima 2013. Un testo ricco e profondo, scritto con un linguaggio semplice e incisivo come lo sono stati tutti gli scritti di questo Papa nei suoi 7 anni di pontificato. In apertura del Messaggio si dice: “La celebrazione della Quaresima, nel contesto dell’Anno della fede, ci offre una preziosa occasione per meditare sul rapporto tra fede e carità: tra il credere in Dio, nel Dio di Gesù Cristo, e l’amore, che è frutto dell’azione dello Spirito Santo e ci guida in un cammino di dedizione verso Dio e verso gli altri”.

Un indissolubile rapporto tra fede carità che ci permette di rifuggire “sia dal fideismo che dall’attivismo moralista” ci avverte il Papa.

I Padri della Chiesa ci han sempre consigliato di vivere questo periodo forte di preparazione alla Pasqua coltivando la preghiera, il digiuno e l’elemosina. “Digiuniamo, preghiamo, doniamo”: erano le parole d’ordine che S. Ambrogio dava ai suoi fedeli per la Quaresima.

Vorrei qui soffermarmi a evidenziare un aspetto che può caratterizzare la “quaresima salesiana”: il lavoro e la temperanza.

Se Don Bosco è stato definito il “santo della gioia”, egli è pure il “santo del lavoro”. Gioia e lavoro è per lui un binomio inseparabile. Della vita ha una concezione molto seria: per lui la vita non è passatempo, divertimento, ma impegno serio, lavoro.

A proposito di questo, c’è una riflessione molto bella apparsa in una recente pubblicazione del nostro storico Francesco Motto (Nel mondo, ma non del mondo, Elledici 2012, 125-141). Scrive l’autore: “Se don Bosco è potuto divenire ‘santo del lavoro’ è perché la dura esperienza del lavoro l’ha provata sulla propria pelle, prima ancora di venire a contatto con quella degli altri … Non solo fece un lungo tirocinio di studente-lavoratore prima, ma anche fu un lavoratore indefesso per tutta la vita”.

Povero di nascita, Don Bosco si sentì solidale con le masse popolari da cui proveniva, in particolare con quelle giovanili. Ai giovani lavoratori don Bosco iniziò a dedicare le sue domeniche e ad assisterli, andando a visitarli lungo la settimana sul posto di lavoro. Lascerà scritto nelle Memorie dell’Oratorio: “In generale l’Oratorio era composto da scalpellini, muratori, selciatori, quadratori e da altri che venivano da paesi lontani”.

A questi suoi apprendisti diceva: “ Io non voglio che i miei figli siano enciclopedici; non voglio che i falegnami, fabbri, calzolai siano avvocati; né che i tipografi, il legatori e i librai si metano a farla da filosofi e da teologi… A me basta che ognuno sappia bene quello che lo riguarda”:

Nel Regolamento per le case del 1887, scriveva loro:“1.L’uomo è nato per lavorare. L’Apostolo S. Paolo dice: è indegno di mangiare chi non vuol mangiare. 2. Per lavoro s’intende l’adempimento dei doveri del proprio stato, sia di studio, sia di arte o mestiere. 3. Mediante il lavoro potete rendervi benemeriti della Società, della Religione, e far bene all’anima vostra”. E ricordava loro: “Chi non si abitua al lavoro in tempo di gioventù, per lo più sarà sempre un poltrone fino alla vecchiaia, con disonore della patria e dei parenti”. Come ci  fa male sentire oggi in bocca a tanti nostri ragazzi il facile slogan: “Divertiamoci finché siamo giovani!”.

Lavoro e temperanza sono la mistica e l’ascetica salesiana. Per questo don Bosco volle fondare una Congregazione di religiosi “con le maniche rimboccate” e che fossero modello di frugalità (MB IV 192)

La temperanza salesiana non è solo mortificazione; è un modo salesiano di essere e di vivere. Non si tratta di cercare la mortificazione in se stessa: un concetto che appare molto chiaro nelle tre biografie scritte da don Bosco per i suoi ragazzi morti all’oratorio. “Le sole mortificazioni siano nella diligenza ai tuoi doveri e nel sopportare le molestie altrui” scriveva don Bosco a un giovane.

Si potrebbe definire la pedagogia donboschiana come la “pedagogia del dovere” (P. Braido)

La vita è la nostra mortificazione E’un  accettare con gioia gli impegni e le rinunce richieste dalle proprie scelte di vita. E’il  rifiuto delle comodità e agiatezze per essere pronti a darci tutto a tutti.

Scriveva S. Francesco di Sales: “ Le estasi sacre sono di tre specie: una intellettiva, l’altra affettiva e la terza operativa: l’una è fatta di ammirazione, l’altra di devozione, l’altra di opere”. Per don Bosco vale decisamente l’estasi dell’azione

Sia un pensiero che ci accompagna in questa Quaresima e un invito per  tanti nostri ragazzi dei CFP impegnati  in questi giorni nello stage.