Incomincio con due definizioni tradizionali, ambedue ancora valide, soltanto che una indica il livello minimo da raggiungere e l’altra, invece, il massimo. Anzitutto, il successo scolastico e formativo viene inteso «[…] come la conclusione dell’iter di studi nei tempi previsti, con una preparazione adeguata e con una apprezzabile valutazione finale» (Bramanti e Odifreddi, 2006, p. 28; Bottani e Benadusi, 2006; Coggi, 2015). Nella seconda definizione, esso è identificato con il pieno inserimento a tutti i livelli della vita sociale al termine del più ampio percorso educativo. Si è anche cercato di identificare le attività principali da porre in essere per raggiungere il successo. In primo luogo, vanno ricordate quelle di natura trasversale che sono finalizzate a educare i giovani nella dimensione della , promuovendo le competenze relazionali, gli atteggiamenti di responsabilità, la capacità di adattarsi a situazioni sempre mutevoli, l’acquisizione dei valori democratici. Le attività culturali e professionali riguardano l’itinerario didattico e mirano ad offrire le conoscenze, le e le competenze necessarie per affrontare le scelte degli studi e del . Un terzo gruppo mira alla prevenzione e al recupero dalle situazioni di scolastico, formativo e sociale. Bisogna anche riconoscere che la riflessione si è svolta soprattutto sul lato dell’insuccesso. Da questo punto di vista sono stati elaborati degli indicatori molto più chiari. Li ricordiamo qui di seguito: gli abbandoni, le ripetenze e le bocciature, la frequenza irregolare, i ritardi, i rallentamenti, la qualità scadente degli esiti, i percorsi formativi accidentati, l’inoccupazione, la disoccupazione e la sotto-occupazione. Dei principali, e soprattutto dei fattori delle varie forme di insuccesso ci si occuperà nel seguito. Tra i punti deboli della situazione italiana in questo ambito, emerge quello della percentuale di abbandono scolastico e formativo della coorte 18-24 anni che nel 2010 si collocava al 18,8% rispetto al 14.1% dell’Unione Europea; è vero che nell’ultimo decennio risulta in continuo calo, anche se resta al di sopra della media UE, principalmente tra quanti non sono nati in Italia. Nel 2022 tale percentuale toccava l'11,5% ed era calata rispetto al 12,7% dell’anno precedente, ma era sempre superiore alla media UE, 9,6% (per i particolari – ). I risultati di analisi comparative a livello UE sui rapporti tra nelle sue differenti concezioni e l’efficacia intesa come qualità dei evidenziano che tra i Paesi europei l’Italia si situa a un livello medio-basso; al tempo stesso, va evidenziato che ha realizzato progressi nel tempo riguardo alla sua collocazione (Benadusi – Giancola, 2022). Se il riferimento è costituito dall’equità, allora il quadro si caratterizza per la presenza di molte più ombre che luci. In particolare, si registra una considerevole disparità tra carriere e apprendimenti in quanto le prime si distinguono per notevoli diseguaglianze (bassa eguaglianza delle opportunità e carenze nell’) più rilevanti di quelle dei secondi. Un sottosistema che si sottrare in gran parte a queste valutazioni negative è costituito dall’IEFP. I dati di INAPP evidenziano chiaramente una lenta e continua crescita degli allievi dei percorsi della IEFP offerti dalle istituzioni formative accreditate (IF) (INAPP, febbraio 2023). L’aumento costante degli iscritti caratterizza anche i percorsi del Duale organizzati dalle IF e in questo caso il ritmo della progressione è più rapido. Tali andamenti positivi attestano l’esistenza di un consenso generale di tutte le parti interessate (imprenditori, attori territoriali, decisori politici, Enti ti di formazione, famiglie e allievi) sull’utilità e la rilevanza dell’IEFP. Dal punto di vista della tematica di questo articolo è anche importante richiamare altri due dati che si riferiscono alla situazione della eguaglianza e della mobilità nel nostro Paese (Abravanel, 2008). Globalmente va osservato che l’Italia anche in questo caso si presenta in una grave condizione problematica perché mette insieme alta diseguaglianza e bassa mobilità. È bene comunque procedere con ordine. Il rapporto che le Nazioni Unite pubblicano sulle risorse umane evidenzia che tra i Paesi dell’Occidente l’Italia si distingue per un triste primato nel senso che subito dopo gli Stati Uniti e il Regno Unito viene lei nella classifica per livello di disparità sociale Abravanel, 2008). Nel nostro Paese il rapporto tra il reddito del 10% più ricco della popolazione e quello del 10% più povero si colloca all’11.6%: esso è inferiore a quello degli Stati Uniti e del Regno Unito che raggiungono rispettivamente il 15.9% e il 13.8%; tuttavia tale tasso è più elevato di quello della Francia (9.1%), della Germania (6.9%), della Svezia (5.2%) e del Giappone (4.5%). Anche l’applicazione di un altro indice, il Gini, porta alle medesime conclusioni in quanto nell’ordine si trovano gli Stati Uniti (40,8%) al primo posto, seguiti da Italia e Regno Unito alla pari (36%), mentre altri Stati dell’Europa mostrano delle cifre inferiori (per esempio Germania 28 e Danimarca 24). I risultati riguardo alla mobilità sociale non sono certamente migliori per cui l’Italia viene ad occupare una delle posizioni più basse nel panorama dei Paesi avanzati (Abravanel, 2008). Indubbiamente, negli anni ’60 nel periodo del “boom economico” si è realizzato in Italia un cambio epocale in quanto da società agricola si è trasformata in industriale, dando luogo a una forte mobilità strutturale. Questo andamento non ha prodotto gli effetti aspettati perché le posizioni relative sono rimaste sostanzialmente inalterate, per cui si può dire che in generale ciascuno è rimasto al proprio posto. E i dati lo confermano perché per esempio la probabilità per i figli di operai nell’industria di giungere ad una posizione di responsabilità è del 13.3% rispetto 14% della Francia, al 15.3% dell’Inghilterra, al 19.4% della Svezia e al 20.6% degli Stati Uniti. In altre parole, nel nostro Paese le famiglie delle classi sociali superiori si dimostrano particolarmente efficaci nel difendere i propri figli da sbocchi sociali poco vantaggiosi. Anche dal punto di vista della mobilità intragenerazionale (le variazioni del reddito durante il corso della vita), oltre che di quella intergenerazionale (il confronto tra il reddito dell’individuo e quello della sua famiglia), la situazione non è migliore: infatti, le probabilità di raggiungere posizioni di responsabilità partendo dalla condizione di operaio sono del 3.2%, ma salgono al 10.6% nell’Inghilterra, all’11% in Francia, al 12.8% negli Stati Uniti e al 14.3% nella Svezia. Passando ai fattori principali dell’insuccesso scolastico e formativo, si può affermare che lo status socioeconomico e culturale individuale può essere considerato il fattore singolo che incide maggiormente sulle diseguaglianze a livello educativo (European Commission – Directorate General For Education, Youth, Sport And Culture, 2022). Infatti, esso permea in profondità il processo di insegnamento-apprendimento sin dalle prime età di vita ed estende i suoi effetti fino a condizionare le aspirazioni dei quindicenni a iscriversi all’istruzione terziaria e a completarla. L’impatto dello status socio-economico è così pervasivo da portare a una concentrazione nella stessa scuola di allievi, tutti o quasi, con un livello basso di tale loro condizione. A ciò si aggiunge il dato della trasmissione intergenerazionale dello svantaggio operante in tutti i benchmark dell’UE. Fin dagli anni '60 la riflessione sociologica sull'insuccesso ha posto l’accento su determinate variabili sia dei condizionamenti di natura familiare sia del funzionamento interno della scuola (Besozzi, 2006; Fischer, 2007; Ballantine e Spade, 2008; Ballantine e Hammack, 2009; Arum, Beattie e Ford, 2011; Ribolzi, 2012; Malizia e Lo Grande, 2019). Cercherò di approfondire più nei particolari in quel complesso di fattori che va sotto il nome della condizione di classe dell'allievo. Fino al 1945 la povertà era considerata come la causa principale dell'insuccesso degli studenti di origine operaia o contadina. Dopo la Seconda guerra mondiale l'aumento del benessere materiale e la sua diffusione più equilibrata nei Paesi sviluppati hanno spinto i sociologi a ridimensionare l'importanza delle condizioni materiali. Maggiore interesse è stato dimostrato dagli studiosi per le variazioni nei sistemi di valori in base alla classe sociale. Numerose ricerche in proposito concludevano che i genitori delle classi inferiori presentavano livelli di aspirazione modesti circa il futuro dei loro figli; adesso si ritiene che anche le attese delle famiglie dei ceti bassi nei confronti dei loro figli siano elevate come tra i genitori di estrazione sociale alta; tuttavia, le prime non sarebbero egualmente capaci di trasmetterle con la stessa efficacia. Non solo esistono delle differenze nei valori tra famiglie della classe operaia e media, ma sembra che siano diversi i metodi usati nell' dei bambini. Il ricorso più frequente alle punizioni fisiche, l'insistenza sull'ordine e sulla disciplina, la tendenza a reagire alle conseguenze immediate dell'azione del bambino piuttosto che a esaminare le motivazioni, la preoccupazione per le caratteristiche che assicurano la rispettabilità, tutte componenti che definirebbero il metodo dei genitori degli ambienti operai, non pare che favoriscano il sorgere di una forte motivazione a riuscire o di un alto livello di apprezzamento del successo, né che preparino ad assumere responsabilità o a iniziare innovazioni, in breve ad affrontare i problemi tipici delle professioni intermedie e superiori. È stato, inoltre, osservato che lo sviluppo intellettuale dei bambini sarebbe ostacolato da tipi di controllo familiare che lascerebbero poco margine alla scelta personale, offrendo invece soluzioni già prestabilite. Un'attenzione sempre maggiore è stata prestata all’influsso sul successo scolastico dell'ambiente linguistico in cui vivono gli allievi di estrazione sociale bassa. Riguardo al secondo dei gruppi di fattori è stato osservato che quanto più le differenziazioni all’interno di un sistema educativo sono precoci, tanto maggiore è l'incidenza dell'origine sociale sulla riuscita o meno negli studi. Le forme di selezione scolastica che più influirebbero sulla distribuzione diseguale dell'insuccesso secondo il ceto di appartenenza sarebbero le seguenti: l'esame di ammissione all'insegnamento secondario di tipo umanistico-scientifico tra i 10 e i 12 anni; la previsione della possibilità di bocciare gli allievi al termine dell'anno, costringendoli di conseguenza alla ripetenza qualora intendano proseguire gli studi; la divisione del medesimo livello scolastico in vari istituti, o sezioni diverse di un medesimo istituto, ciascuno con un prestigio sociale differente, ovviamente quando interviene troppo presto nel percorso scolastico e formativo dell’allievo, mentre la diversificazione è la strategia principale, almeno a livello di secondaria superiore, perché consente di valorizzare tutti i talenti e quindi di ridurre il fenomeno dell’insuccesso; lo “streaming” o raggruppamento omogeneo degli studenti che consiste nel distribuire gli allievi di un dato anno in “streams” o classi di alunni dotati del medesimo livello di abilità o intelligenza. Altri studi hanno richiamato l’attenzione sul ruolo del corpo docente, in particolare sull'interazione tra l'approvazione dell'insegnante, l'immagine di sé dell'allievo e il successo scolastico. A parità di altre condizioni, l’ incoraggiante dell’insegnante sembra esercitare un’incidenza importante. Questi risultati acquistano un significato rilevante ai fini del tema in discussione, se si tiene conto che gli insegnanti in virtù della loro adesione ai valori della classe media tendono ad assumere un atteggiamento di inconscia discriminazione verso gli allievi degli strati sociali più bassi, benché si tratti di fenomeni che sembrano sempre meno diffusi. Altro fattore scolastico da tenere in considerazione sarebbe costituito dalla composizione sociale del corpo studentesco di un determinato istituto. Secondo alcune ricerche gli alunni di tutte le provenienze tenderebbero ad avere un esito migliore in scuole frequentate in prevalenza da studenti del ceto medio. Bisogna però precisare che tale risultato è stato contestato da altri studiosi. Si è anche affermato che la scuola offrirebbe un vantaggio supplementare agli studenti delle classi superiori perché il sistema dei valori, le tradizioni, la cultura e i programmi sono molto vicini a quelli dei ceti privilegiati. Essa presupporrebbe come innati atteggiamenti che l'élite apprende per osmosi naturale, mentre possono essere acquisiti dai giovani di estrazione sociale inferiore solo con difficoltà e attraverso un lungo . Mi sembra che attualmente due siano le direzioni principali della riflessione e della ricerca in questo campo. Una afferma l’esistenza di una relazione indiretta a determinate condizioni tra scuola/FP ed eguaglianza: il rapporto può passare attraverso un cambiamento in senso egualitario della struttura professionale (abolizione del lavoro manuale per effetto dello sviluppo della tecnologia propiziato dalla crescita dell’istruzione) o attraverso una domanda politica di democratizzazione della società mediante una coscientizzazione popolare ad opera della scuola/FP e dato che di solito il personale più istruito è anche quello più militante. Un’altra strada è quella di chiamare in causa direttamente: i fattori decisivi dell'insuccesso e cioè l’origine socio-culturale e le carenze della scuola; a sua volta, la demotivazione soggettiva viene considerata come un riflesso dei condizionamenti sociali e il risultato di processi psicologici. In questo caso, la ricerca empirica è diretta soprattutto a individuare i fattori micro e il loro funzionamento. Quanto alle strategie per realizzare si rimanda a tale voce. Bibliografia Bramanti A. – D. Odifreddi (a cura di), Capitale umano e successo formativo. Strumenti, strategie e politiche, Milano FrancoAngeli, 2006. Bottani N. – L. Benadusi (a cura di), Uguaglianza e equità nella scuola, Gardolo (TN), Erickson, 2006. Besozzi E., Società, cultura ed educazione, Roma, Carocci, 2006. Fischer L., Lineamenti di sociologia della scuola, Bologna, Il Mulino, 2007. Isfol, Rapporto 2008, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2008. Abravanel R., Meritocrazia. Quattro proposte concrete per valorizzare il talento e rendere il nostro paese più ricco e più giusto, Milano, Garzanti, 2008. Ballantine J.H. – J.Z. Spade (a cura di), Schools and society. A sociological approach to education, Thousand Oaks, Pine Forge Press, 2008. Ballantine J.H. – F.M. Hammack, The sociology of education, Upple Saddle River, Pearson Prentice Hall, 6 ed., 2009. Arum R. –Beattie L.R. –Ford E., The Structure of Schooling. Readings in the Sociology of Education, Thousand Oaks, Pine Forge Press, 2011. Ribolzi L., Società, persona e processi formativi. Manuale di sociologia dell’educazione, Milano, Mondadori, 2012. Coggi C. (a cura di), Favorire il successo a scuola, Lecce, Pensa, 2015. Malizia G. – G. Logrande, Sociologia dell’istruzione e della formazione. Un’introduzione, Milano, FrancoAngeli, 3019. European Commission. Directorate General For Education, Youth, Sport And Culture, Education and Training. Monitor 2022, Luxembourg, Publications Office of the European Union, 2022. Benadusi L. – O. Giancola, Equità e merito nella scuola, Milano, FrancoAngeli, 2022. Istituto Nazionale per l'Analisi delle Politiche Pubbliche-Inapp, XX Rapporto di monitoraggio del sistema di istruzione e di formazione professionale e dei percorsi in Duale nella IEFP. a.f. 2019-20, Roma, Unione Europea, Fondo Sociale Europeo, PONSPAO, ANPAL, MLPS, INAPP, febbraio 2023.

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