Il presidio pedagogico dell’organismo formativo consiste nella cura costante, e continuamente verificata nel corso del tempo, affinché si avveri quanto esso considera valore e scopo centrale della propria opera, iscritto nel compito istituzionale che gli è stato assegnato e che ne anima la vicenda storica: la possibilità offerta ad ogni alunno di avventurarsi entro un percorso che gli consenta di conoscere il mondo e se stesso e di dare una forma espressiva e realistica alla propria disposizione nel reale. Così inteso, l’aggettivo “pedagogico” non circoscrive una parte della vita che vi si svolge (le relazioni, i metodi didattici, la formazione del personale…), ma riguarda lo stile complessivo, ed i leganti che assicurano una tensione feconda ai fattori in gioco, entro il luogo in cui viene offerta ai giovani la possibilità di un percorso culturale autenticamente formativo. La necessità di un presidio pedagogico dell’organismo formativo discende dalla consapevolezza della fragilità del principio educativo con cui viene indicata solitamente l’anima dell’opera, quando nella sua vicenda concreta entra in tensione con altri principi costituitivi dell’organizzazione quali la formalizzazione, la standardizzazione, la tendenza ad un funzionamento sicuro e controllabile. Tutti questi fattori sono necessari quando vengono assunti nella loro giusta prospettiva, ma spesso tendono ad eccedere il loro proprio ambito, giustificati dalla direzione interessata ad una conduzione regolare della vita dell’organismo, e dal personale interessato ad un uso routinario del tempo e delle pratiche didattiche. Ma la cura a mantenere viva la tensione educativa di un’attività di non riguarda solo l’ e la preparazione degli insegnanti, ma anche la flessibilità nell’uso del tempo e dello spazio, oltre alla disponibilità a variare lungo il presidio pedagogico le pratiche didattiche previste dal “programma”, quando negli incontri di monitoraggio ne emerge la necessità; il tono educativo che pervade l’organismo possiede una consistenza delicata, in quanto nasce, diviene matura e declina disegnando cicli brevi legati a fattori contestuali (quella scuola, quel corpo decente, quel dirigente…) che richiedono nel momento discendente un efficace intervento di rilancio, ma pure cicli lunghi contrassegnati da un degrado più profondo, che avvengono in corrispondenza di epoche di crisi culturale e sociale come quella che stiamo attraversando, dove è richiesto un profondo rinnovamento da parte di tutta la comunità educativa. La crisi educativa si manifesta nell’aumento negli allievi delle problematiche dell’identità, della relazione, dell’, della proiezione nel futuro; nell’intensificazione del senso di inefficacia delle pratiche didattiche e quindi dello stato di malessere degli insegnanti, nella difficoltà di e di intesa con le famiglie, ma pure nei tentativi di cercare soluzioni “facili” riversando attese esagerate nelle tecnologie, nei metodi innovativi e nelle mode didattiche. È in questi periodi che occorre porre mano ad un cambio del paradigma pedagogico, che non riguarda prioritariamente i metodi e l’organizzazione, ma principalmente, e drammaticamente, il modo di concepire la vita del singolo insegnante e della comunità educativa, ciò a cui alludeva don Milani, la cui di educatore ha provocato una rottura rispetto ai metodi dominanti, quando affermava: «[…] spesso gli amici mi chiedono come faccio a fare scuola e come faccio ad averla piena. Insistono perché io scriva per loro un metodo, che io precisi i programmi, le materie, la tecnica didattica. Sbagliano la domanda, non dovrebbero preoccuparsi di come bisogna fare per fare scuola, ma solo di come bisogna essere per poter fare scuola.» (Milani 1957, p. 239). Il presidio pedagogico, sotto la guida del Dirigente, mira ad assicurare l’identità viva dell’organismo formativo, come luogo in cui le persone si sentano convocate entro un’esperienza che le riguarda, ed accolte come in una seconda casa. Un impegno che si svolge lungo tre direzioni: l’insegnante affidabile, la comunità educativa ed il metodo naturale. L’affidabilità è una condizione stabile, che riguarda più la persona dell’insegnante che il suo ruolo (non possiamo più «mostrare i gradi»). Valgono ancora le competenze, in quanto i ragazzi impiegano poco tempo per capire se i propri insegnanti sono davvero preparati, ma non basta, Ciò che smuove la loro fiducia-affidamento (e non solo il rispetto) è l’autenticità della persona dell’insegnante quando mostra di essere lì per loro, mostrando che il senso della sua esistenza risuona nel desiderio che i suoi alunni diventino ciò che sono in potenza. Essi sono sorpresi specialmente quando vedono che c’è stima e collaborazione tra colleghi, una qualità che purtroppo nella loro carriera degli studi riscontrano raramente negli adulti; essi amano sì l’esperienza, ed il lavoro concreto che questa richiede, ma solo se attratti dall’adulto che possiede qualità che vogliono far proprie. Questa generazione ama particolarmente i “cinque minuti di celebrità”, dove mostrare cosa hanno saputo fare con ciò che sanno. Infine, essi soffrono il giudizio, ma sono assetati di parole di riconoscimento (sincero, ancorato a fatti reali) di ciò che di buono possiedono e di fiducia nella possibilità di migliorare. Tutte le ricerche mostrano che l’efficacia della scuola è posta in relazione non tanto con il metodo o le risorse, ma con tre caratteri della comunità educante: a) la condivisione di un insieme di valori riguardanti i giovani, l’, il compito della scuola e connotati da speranza e fiducia nel futuro; b) l’adozione di uno stile di insegnamento di tipo formativo, che ponga lo studente al centro del suo cammino di crescita; c) il senso di appartenenza degli insegnanti al proprio istituto e la partecipazione alle attività collegiali allo scopo di costruire insieme ai colleghi la cultura della scuola, arricchita dalle pratiche e dalle riflessioni che si svolgono di anno in anno. Il metodo artificiale è troppo cognitivo creando una frattura tra apprendimento astratto e pratica concreta; richiede all’alunno uno sforzo di estraniazione, tanto che spesso a chi lo interroga su cosa ha fatto a scuola egli risponde «niente» o «ci siamo divertiti». Per questi motivi, le pratiche ispirate al metodo artificiale non generano sicurezza e creano una barriera tra la vita scolastica ed il tempo successivo, non aiutando in definitiva la decisione orientativa. Diversamente, il metodo naturale pone gli alunni nel vivo nelle tensioni del mondo circostante che lo coinvolgono direttamente e che suscitano dubbi, interrogativi e prese di posizione. È maggiormente in grado di sollecitare i dinamismi che rendono la persona capace di conoscenza del reale e consapevolezza di sé. Esso segue i passi dell’operazione culturale: vedere e ascoltare, approfondire, giudicare, agire, riflettere, comunicare ed argomentare insieme ai compagni ed agli insegnanti. Il metodo naturale porge il sapere (essenziale) in modo interessante in quanto risulta ancorato al mondo esteriore e risuonante in quello interiore. Esso sollecita l’alunno a proiettarsi in avanti guidato da passione e ragione, lo forma all’autoefficacia ed alla capacità di aiutandolo così ad assumere decisioni personali e fondate. Il presidio pedagogico consiste in un insieme di servizi tramite cui l’équipe centrale dell’organismo formativo accompagna l’attività allo scopo di assicurare il giusto tono educativo, mantenendo in tal modo viva l’anima del suo operare. Tre sono le mission di questa fondamentale struttura dell’organizzazione formativa: diffondere ed alimentare il senso di appartenenza e l’identità di sentimento della comunità educativa. Essa può dirsi effettivamente comunità, e non solo un aggregato di individui o un coordinamento di funzioni, quando i suoi componenti si sentono accomunati dall’opera cui dedicano le proprie capacità ed energie, dal senso di familiarità con cui si impegnano in essa, dai valori cui aderiscono riguardanti la persona, la cultura e l’educazione, dal linguaggio con cui narrano le esperienze formative, dalla stima e dall’amicizia professionale che li lega tra di loro; sostenere la collegialità e la cooperazione come pratiche ordinarie di lavoro sia entro le équipe (di classe, di percorso, di gruppi di livello, di tipologia di servizio) in cui si svolge in prevalenza l’attività sia nella comunità vista nel suo insieme. Queste due forme, in cui si esprime il lavoro comune degli insegnanti e delle altre figure educative, rappresentano i contesti privilegiati nei quali avviene il dialogo, il confronto, il giudizio e la decisione in rapporto alle diverse questioni emergenti dalle vicende quotidiane, come pure il monitoraggio costante, allo scopo del perfezionamento dell’approccio e della messa a punto di strumenti necessari per assistere, educare e formare al meglio gli allievi; nell’assicurare un supporto stabile ai formatori tramite la figura del senior che accoglie, forma ed accompagna il neoassunto ed inoltre lo assiste lungo il presidio pedagogico aiutandolo ad affrontare in chiave educativa sfide e problemi; nella supervisione continuativa dei team di formatori e degli incontri dell’intera comunità educativa; nello svolgimento di interventi nelle situazioni di crisi dei singoli, delle classi ed anche del CFP nella sua globalità. I servizi presidiati comprendono: l’ intesa come strategia complessiva della personalizzazione e non come mera «integrazione» finalizzata a standard impersonali; la supervisione continuativa dei team di formatori e degli incontri dell’intera comunità educativa; l’intervento nelle situazioni di crisi dei singoli, delle classi ed anche dell’organismo formativo nella sua globalità; il supporto nell’elaborazione dell’approccio formativo e valutativo centrato sulla e sulla mobilitazione dei dinamismi degli allievi, nel monitoraggio e nella ; la formazione del personale – con interventi formali e informali - sui temi della relazione, della comunità educativa, della cultura di team, della gestione degli errori e dei conflitti. Bibliografia Baldacci M.M. – F. frabboni (cur.), Manuale di metodologia della ricerca educativa, UTET, Torino, 2013. Bandura A., A. Self-efficacy: The exercise of control, New York, W.H. Freeman, 1997. Bertagna G., Dall’educazione alla pedagogia. Avvio al lessico pedagogico e alla teoria dell’educazione, La Scuola, Brescia, 2013. Chiosso G., Teorie dell’educazione e della formazione, Mondatori Università, Milano, 2004. Milani L., Esperienze pastorali, Libreria editrice fiorentina, Firenze, 1972. Unesco, Re-immaginare i nuovi futuri insieme. Un nuovo contratto per l’educazione, La Scuola – SEI, Brescia, 2019.

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