Il termine mobbing deriva dall’inglese mob e significa letteralmente “assalire tumultuosamente”. è mutuato dagli studi etologici di Lorenz che descriveva, con tale termine, il comportamento di alcune specie animali, solite circondare minacciosamente un membro del gruppo finché non veniva costretto alla resa o alla fuga. Attualmente, è un termine molto diffuso ed utilizzato in ambito lavorativo per indicare fenomeni di prevaricazione, vessazione, persecuzione nei confronti di un collega (mobbing orizzontale) o di un subalterno (mobbing verticale). è un termine ormai acquisito dalla giurisprudenza sia in materia di rilevanza civile che penale. Una pronuncia del Tribunale di Torino, (16 novembre 1999, ud. 6/10/99, n. 5050) afferma che si verifica una situazione di mobbing aziendale «[…] allorché il dipendente è oggetto ripetuto di soprusi da parte dei superiori e, in particolare, vengono poste in essere nei suoi confronti azioni dirette ad isolarlo dall’ambiente di e, nei casi più gravi, ad espellerlo dalle pratiche il cui effetto è di intaccare gravemente l’equilibrio psichico del paziente menomandone la capacità lavorativa e la fiducia in se stesso e provocando catastrofe emotiva, depressione e talora persino suicidio». Possiamo definire mobbing una situazione di pressione-terrorismo psicologico sul luogo di lavoro, raramente sfociante in atti di violenza fisica, esercitata attraverso condotte sistematiche durature ed intense, da parte del datore di lavoro (mobbing verticale) o di colleghi (mobbing orizzontale) di accerchiamento attivo del lavoratore attraverso: a) aggressione e /o menomazione alla capacità comunicativa, di relazione sociale e all’immagine sociale; b) disconoscimento o compressione dei diritti elementari per inespresse “cause di servizio”; c) attribuzione di mansioni dequalificanti o degradanti. Si utilizza il termine bossing per descrivere il cosiddetto mobbing strategico, attuato in esecuzione di piani persecutori con finalità di riduzione (per contenimento dei costi) o di “svecchiamento” del personale, in situazioni di non praticabilità del licenziamento. Il maggior contributo in questo ambito lo si deve alle ricerche dello psicologo tedesco Heinz Leymann (1990) che per primo individuò e studiò il fenomeno negli anni ‘80. La manifestazione della sindrome di mobbing avviene in modo graduale e progressivo. Si possono individuare sei fasi sebbene non nettamente distinte le une dalle altre. La prima fase si caratterizza per una intenzionale attribuzione di responsabilità delle diverse disfunzionalità aziendali al dipendente preso di mira. Nella seconda fase, si “creano” situazioni ad hoc per isolare e colpevolizzare la “vittima”. Nella terza fase iniziano a manifestarsi, nel “mobbizzato”, i primi sintomi di natura psicosomatica, quali: alterazioni dello stato dell’umore e del ritmo sonno-veglia, stati d’ansia, decremento del repertorio comportamentale, modifiche nell’immagine dell’io e nell’autostima. La fase successiva viene caratterizzata dalle ripetute assenze dal lavoro, da consistenti e significativi cali di produttività e dalla compromissione dell’immagine del lavoratore in azienda. La quinta fase coincide con la individuazione del soggetto come di un “caso aziendale”, con conseguente processo di stigmatizzazione e con ripercussioni, spesso irreparabili, sul futuro professionale del mobbizzato, sulla salute psichica e sulle relazioni nella vita privata. L’ultima fase la si raggiunge con la fuoriuscita del lavoratore dall’azienda per prepensionamento per “malattia professionale”, per licenziamento, per dimissioni o, nei casi più gravi, per suicidio. Da un punto di vista diagnostico, la sindrome da mobbing rientrerebbe, secondo la classificazione psichiatrica DSM IV, nell’insieme definito “Reazioni ad eventi”. Esse includono: disturbo dell’adattamento (DA), disturbo acuto da stress (DAS), disturbo post-traumatico da stress (DPTS). Poiché i sintomi delle suddette tre categorie possono essere dovuti ad una molteplicità di variabili eziologiche, per poter definire una sindrome da mobbing è necessaria la inequivocabile presenza di una intenzionale attività persecutoria nei confronti della vittima. Il fenomeno sembra essere molto diffuso e, ancora, troppo sommerso a causa di comprensibili reticenze a far diventare pubbliche, in ambiente di lavoro, situazioni di grave psicosociale. Si calcola che nel nostro Paese circa un milione di lavoratori soffrano di sindrome da mobbing. Gli interventi più diffusi sono di tipo psicoterapeutico destinati alla vittima e orientati al reinserimento lavorativo. Sono carenti gli interventi di tipo preventivo a livello sistemico organizzativo che coinvolgano l’intera organizzazione aziendale, con particolare riferimento ai quadri dirigenti. Attualmente, i vari sindacati dei lavoratori stanno promovendo diverse iniziative per la sensibilizzazione dei loro iscritti al fenomeno del m. Iniziano a diffondersi forme di autoterapia tramite gruppi di auto-aiuto. Bibliografia Adams A., Bullying at work. How to confront and overcome it, Virago Press, 1992. American Psychiatric Association, DSM-VR. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Masson, 2023. Caiozzo P., Gli sfumati confini del mobbing. Economia & Management. 5, pp. 40-44, 2004. Ege h., Mobbing: conoscerlo per vincerlo, FrancoAngeli, 2002. Leymann H., Mobbing and psychological terror at workplaces, in “Violence and Victims”, 5. (2), 1990. Maier E., Il mobbing e lo stress organizzativo, Il Ponte vecchio, Pescara, 2002. Accordo Europeo sullo Stress sul Lavoro (2015); http://www.asl.fr.it/sites/default/files/ACCORDO%20EUROPEO%20STRESS%20%20INTERCONFEDERALE%208.10.2004.pdf (ultimo accesso dicembre 2024). Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro, La valutazione dei rischi, la chiave per garantire ambienti di lavoro sani e sicuri, Factsheets, pp. 80–81; https://osha.europa.eu/en/tools-and-publications/publications/factsheets/80 (ultimo accesso dicembre 2024).

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