Incomincio con una precisazione: il concetto di merito, come quello di meritocrazia, è tutt’altro che chiaro (Benadusi e Giancola, 2022; Malizia, 2023). Tale vaghezza si spiega per il fatto che, se viene riferito, come nel nostro caso, al sistema educativo, esso dipende dalle idee che abbiamo di una buona scuola o di una buona FP. La medesima osservazione va ripetuta riguardo alla parola meritocrazia la cui concezione è condizionata dalle nostre opinioni su cosa costituisca una buona società. Pertanto, si capisce che la focalizzazione esclusiva sul conseguimento di risultati positivi, come si tende spesso a fare, può risultare discriminatoria per chi non possiede i mezzi per ottenerli a causa di motivi indipendenti dalla loro volontà o impegno. Certamente la definizione tradizionale di merito include talento e impegno. Già queste parole ci devono mettere all’erta perché premiare il merito vuol dire premiare il talento che è costituito da caratteristiche ereditarie, indipendenti dal nostro controllo su cui, però, secondo vari sociologi, incidono anche le condizioni socioeconomiche e culturali della famiglia. La medesima distinzione va posta tra demerito e fallimento. Queste precisazioni non vogliono significare che si sia favorevoli a una scuola in cui dominano il nepotismo, i privilegi ereditati e le rendite di posizione. Esse vorrebbero aiutare a capire le ragioni più profonde del merito e delle difficoltà che gli alunni provano a scuola in modo da poter adottare strategie adeguate ad assicurare a tutti le condizioni per uno sviluppo pieno delle loro potenzialità. L’ideale meritocratico a livello societario consiste nella proposta di un ordine in cui ogni persona è messa in grado di raggiungere la collocazione più elevata che corrisponde alle proprie doti. Significa anche il riconoscimento da parte di tutti per quello che si è indipendentemente dalle circostanze casuali della nascita e della vita. In breve, si tratta di una società in cui con il duro chiunque può farcela. Secondo gli “egualitaristi” la meritocrazia non sarebbe veramente fondata sul merito o non lo sarebbe abbastanza (Benadusi e Giancola, 2022; Malizia, 2023). Essi mettono in discussione la tesi che ne vedeva prossima e sicura la realizzazione perché l’avvento della economia post-industriale basata sulle nuove tecnologie dell’informazione avrebbe comportato il ricorso sempre più ampio a lavoratori formati, competenti e motivati, cioè scelti secondo il criterio del merito. Gli “egualitaristi” contestano questa ipotesi perché non confermata dai dati raccolti nei Paesi capitalisti che non evidenziavano una riduzione dell’importanza dell’origine familiare nel successo professionale e in quello scolastico. In ogni caso, il dato che maggiormente contrasta con la meritocrazia va identificato nel fatto che essa si accompagna a situazioni di enormi diseguaglianze sociali, economiche e culturali; inoltre, gli andamenti degli ultimi tre decenni attestano che anche nelle nazioni che sembrano incarnare di più i l’ideale meritocratico, come gli Stati Uniti, la mobilità sociale è diminuita e le disparità sono aumentate. Nonostante la retorica del fare da sé e della conquista della laurea, i Paesi sviluppati non sono riusciti a combattere con successo le diseguaglianze. Sono state evidenziate anche le conseguenze negative sulla scuola del culto del successo e della competizione ad oltranza in quanto la focalizzazione su tale funzione porta a trascurare, o peggio a ignorare, altre importanti come lo sviluppo personale e la cooperazione. Di fronte alle sfide della disparità, della stagnazione dei redditi e della disoccupazione non ci si può limitare di dire alla maggioranza delle persone, le quali non hanno la laurea e in misura più grande risentono delle problematiche appena citate che devono studiare di più e migliorarsi. L’ideale meritocratico, così come è stato realizzato finora, tende a colpevolizzare gli svantaggiati, i poveri, gli scarti, facendo passare il messaggio che la loro situazione sfavorevole dipenda dalla loro responsabilità. Questo trattamento umiliante ha fatto crescere la frustrazione e la rabbia delle classi sociali basse e medio basse c la diffusione dei movimenti populisti sarebbe da attribuire pure a tali situazioni. Certamente, nessuno pensa di sostituire l’ideale meritocratico con il familismo o il classismo. Non si è però tenuto conto che il merito personale non dipende unicamente dal proprio sforzo e dal proprio talento, ma su di esso incidono anche la fortuna ed altri condizionamenti. Pertanto, non si deve né delegittimare moralmente il successo individuale né condannare chi non ce l’ha fatta, disgregando il senso del bene comune e della solidarietà. E sono proprio questi due valori che vanno recuperati e integrati nell’ideale meritocratico se si vuole che questo si realizzi in modo soddisfacente. Pertanto, bisognerebbe correggere in senso solidaristico la concezione meritocratica adottando una politica del bene comune con al centro la dignità del lavoro. Questo significa che il lavoro deve essere sempre ricompensato con uno standard di vita adeguato a sé e per la propria famiglia. Solo se riconosciamo che il successo del singolo non è il fine di tutta la società, ma piuttosto lo è quello al tempo stesso comune e di ciascuno, è possibile realizzare la solidarietà che è necessaria, e si potrà sconfiggere le logiche del consumismo e del mercato selvaggio, aiutando le persone a dare un significato vero alla propria vita che non sia soltanto la ricerca di un merito individualistico a tutti i costi. Da ultimo, passo ad esaminare la questione del rapporto tra il merito e l’ Se certamente vi sono posizioni meritocratiche non condivisibili, tuttavia non si potrebbe immaginare un sistema di istruzione e di formazione e un sistema sociale da cui siano assenti merito e demerito. Naturalmente l’applicazione del merito andrà liberata dal peso delle ereditarietà sociale e da un’impostazione di natura giudiziaria. Il quadro generale va fondato, tuttavia, sula combinazione delle logiche dell’eguaglianza delle opportunità e di quelle dell’eguaglianza delle condizioni per l’. In particolare, si può ritenere al riguardo che quanto più nei livelli di base del sistema educativo si riesce a contenere le diseguaglianze basilari dei risultati, tanto più sarà probabile che negli ordini e gradi superiori si possano fare progressi sul piano dell’eguaglianza delle opportunità e, più in generale dell’equità educativa. Attualmente i sistemi educativi sono ancora in una fase di passaggio dalla scuola uniforme e eguale per tutti alla scuola per tutti e per ciascuno per cui, anche se in misura diversa non riescono a realizzare l’equità educativa che significa al tempo stesso riconoscimento del merito e attuazione di una piena inclusività. Bibliografia Abranavel R., Meritocrazia, Milano, Garzanti, 2008. Boarelli M., Contro l’ideologia del merito, Bari, Laterza. 2019. Malizia G. – G. Lo Grande, Sociologia dell’istruzione e della formazione, Milano, FrancoAngeli, 2019. Sandel M., La tirannia del merito, Milano, Feltrinelli, 2021. Benadusi L. – o. Giancola, Equità e merito nella scuola, Milano, FrancoAngeli, 2022. Malizia G., Merito, in “Rassegna CNOS”, 39 (2023), n. 1, pp. XII-XVI. Malizia G., I sistemi educativi tra eguaglianza e merito, in “Rassegna CNOS”, 39, n. 3, pp. 79-93, 2023.
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