L’espressione livelli di padronanza viene utilizzata nell’indicare la stima del grado di preparazione di una persona in un determinato ambito, utilizzando una metodologia di che consente di giungere ad un giudizio fondato e motivato, procedendo tramite il rilievo, entro il campo di riferimento (personale, sociale, professionale), delle evidenze della padronanza, per poi – facendo uso di descrittori discreti, ovvero graduati secondo i criteri di autonomia e responsabilità – all’attribuzione al titolare della prestazione del giusto livello di padronanza delle competenze possedute. La parola padronanza si deve principalmente all’opera di Bloom, l’Autore noto per aver elaborato la tassonomia che porta il suo nome, e il cui impegno è stato rivolto a definire le condizioni che consentono di affermare in modo obiettivo e razionale il grado di preparazione degli individui, evitando gli errori della soggettività e della vaghezza metodologia della tecnica dei voti, da sempre la più diffusa nei contesti formativi. Egli ha elaborato la teoria del Mastery Learning (Apprendimento per Padronanza) che ad un primo passo classifica l’ in tre domini: affettivo, cognitivo e psicomotorio, per poi giungere a definire il processo di apprendimento, articolato in sei livelli progressivi: memorizzazione delle informazioni; ripetizione e riformulazione di quanto appreso; applicazione delle teorie apprese per il problem-solving; analisi – ovvero scissione delle informazioni nelle loro componenti principali; sintesi, cioè fusione delle informazioni nuove con quelle pregresse in maniera più o meno stringata; valutazione e giudizio critico: su se stessi e sugli altri. Questo approccio è risultato molto innovativo in quanto, a differenza della didattica convenzionale, concentrata sulla scelta dei contenuti e sui metodi di insegnamento, pone l’accento sul lavoro dello studente nel conquistare un sapere che non si limita all’acquisizione del titolo di studio ma consente di padroneggiare gli strumenti culturali più idonei per comprendere la realtà ed agire in essa in modo soddisfacente per sé e per gli altri. Dal 1956, anno della prima pubblicazione della tassonomia di Bloom, i sistemi formativi si sono fatti più complessi e così le classificazioni professionali. Di fronte a cambiamenti continui delle organizzazioni ed alla mutevolezza dei ruoli, è sorta l’esigenza di definire la professionalità in base alla padronanza delle competenze in possesso degli individui, oltre che ad un sistema di accountability delle stesse fondato su modelli univoci che permettessero una loro riconoscibilità e consentissero una progressività di evoluzione nel corso del tempo. Nascono da qui, ad opera soprattutto delle istituzioni internazionali specializzate nei sistemi educativi come l'Organizzazione Internazionale del (OIL) e l’OCSE, nuovi modelli di classificazione dei saperi e delle competenze a cui si ispireranno stati ed unioni di stati come nel caso del sistema EQF (European Qualification Framework) adottato entro l’Unione Europea. L’elemento chiave di tale sistema è costituito dalla intesa come capacità della persona nel saper mobilitare il proprio repertorio di ed allo scopo di portare a termine i compiti connessi alla figura del “cittadino responsabile” ed al ruolo del “lavoratore coinvolto”, entrambi visti non solo come esecutori di norme e prescrizioni, ma soggetti attivi in grado di cogliere, interpretare e risolvere – non isolatamente bensì in cooperazione con i colleghi - i problemi che via via si presentano, in modo giudicato positivamente dagli attori in gioco. Sono previsti otto livelli di padronanza, la maggior parte dei quali corrisponde ai titoli di studio rilasciati: qualifica - 3; diploma - 4; diploma superiore e laurea triennale - 5; laurea magistrale - 6. I livelli di padronanza di ciascuna sono stati definiti e descritti assumendo come riferimento i concepiti come azioni compiute (da cui l’utilizzo di verbi di azione, similmente alla tassonomia di Bloom, riveduta nel tempo). Ogni descrittore prevede un costrutto di competenza articolato in conoscenze ed ; due sono i criteri espliciti che spiegano la progressione verticale della tassonomia EQF: autonomia e responsabilità, ma va ricordata la rilevanza di un fattore sotteso a questi due, ovvero la complessità del compito. I gradi di padronanza previsti sono cinque: negativo, parziale, basilare, intermedio ed elevato. In coerenza con le competenze dell’Unione europea, il sistema EQF non entra nel merito dei contenuti, della didattica e delle configurazioni nazionali dei sistemi educativi, ma si occupa dei requisiti essenziali ed in modo più dettagliato del network di attestazione e certificazione delle competenze. Il tempo trascorso dal 2008, anno della prima versione del sistema EQF, ha consentito di apportare a tale dispositivo continui miglioramenti. Rimangono aperte tre questioni che mantengono acceso un intenso dibattito: la natura del legame – evocato dal verbo “mobilitare”, ma non spiegato in modo soddisfacente - che sussiste tra conoscenze, e competenze; l’eccesso di performativismo a discapito del valore epistemico, storico e formativo dei nuclei portanti del sapere, infine l’eccessiva complicazione del sistema in quanto comporta un rilevante carico di lavoro per progettisti, docenti, certificatori. Bibliografia Block H.J. (cur.), Mastery learning: Theory and practice, New York, Holt, Rinehart & Winston, 1971. Bloom B.S., Taxonomy of educational objectives, New York, McKay, 1956. Castoldi M., Valutare e certificare le competenze, Carocci, Roma, 2016. Greenstein L., La valutazione formativa, UTET, Torino, 2016. Le Boterf G., Costruire le competenze individuali e collettive, Guida, Napoli, 2008. Lichtner M., Valutare l’apprendimento: teorie e metodi, FrancoAngeli, Milano, 2004. Pastore S. – V. Beccia, Valutazione per l’apprendimento, De Agostini, Milano, 2017.
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