La libertà di consiste nella libertà di scelta della scuola o del CFP da frequentare secondo le proprie convinzioni. Non è un diritto né di una minoranza, né di una maggioranza, ma è una libertà fondamentale della persona umana. Le ragioni ideali e i valori sociali che motivano il riconoscimento della libertà effettiva di scelta educativa sono più numerosi di quanto i suoi oppositori possano immaginare (Malizia, 2017e 2019). Inizio con la dimensione antropologica. In tale prospettiva, la libertà di educazione si basa sul diritto di ogni persona a educarsi e ad essere educata secondo le proprie convinzioni e sul correlativo diritto dei genitori di decidere dell'educazione e del genere d'istruzione da dare ai loro figli minori. Inoltre, è connessa strettamente con due principi pedagogici oggi particolarmente sottolineati e cioè che l'educando occupa il centro del sistema educativo e che l'autoformazione è la strategia principale del suo . Dai due principi discende logicamente che a ogni persona va assicurato il diritto a educarsi scegliendo liberamente il proprio percorso tra una molteplicità di vie, strutture, contenuti, metodi e tempi, cioè che a ogni persona deve essere assicurata la libertà effettiva di educazione. In aggiunta, l'educazione di ogni persona, di tutta la persona, per tutta la vita - la finalità ultima dell' - è un compito talmente ampio e complesso che la società non lo può affidare ad una sola agenzia educativa - la scuola - o ad una solo istituzione - lo Stato. Accanto allo Stato, tutti i gruppi, le associazioni, i sindacati, le comunità locali e i corpi intermedi devono assumere e realizzare la responsabilità educativa queste strutture anche se private, in quanto condividono le stesse finalità di quelle pubbliche, hanno diritto di ricevere adeguate sovvenzioni statali. Nell'ultimo scorcio del XX secolo si è realizzato particolarmente nel nostro continente il passaggio dallo Stato-gestore allo Stato-garante promotore. Pertanto, la realizzazione dei servizi sociali non dovrà essere affidata tanto a pacchetti di beni o servizi erogati direttamente da parte dello Stato o delle sue strutture, quanto alla garanzia della possibilità di produrli attraverso forme di autorganizzazione e autogestione degli stessi cittadini con il sostegno dello Stato. L’affermarsi della solidarietà rinvia a una impostazione della dinamica sociale a tre dimensioni che abbandoni la dicotomia Stato/mercato, pubblico/privato e che riconosca e potenzi il o privato sociale. In questo ambito assume una particolare rilevanza il principio di sussidiarietà, secondo il quale tutte le attività di servizio alla persona (e quindi anche il servizio scolastico) sono prioritariamente da esercitarsi da parte di quelle formazioni sociali alle quali originariamente la persona appartiene con il supporto del denaro pubblico. A livello internazionale la libertà di educazione trova un riconoscimento implicito nell’art 26 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo e uno esplicito nella risoluzione del Parlamento Europeo del 14.3.84. I regimi giuridici della libertà di educazione. Le formule che sembrano garantire eguaglianza e libertà, ciascuna complessivamente, sono: 1) ordinamenti in cui pubblico e privato hanno identico riconoscimento e trattamento sia giuridico che economico (sistema formativo integrato); 2) ordinamenti in cui al sistema non statale è riconosciuto, a condizioni prefissate, un trattamento analogo a quello delle scuole pubbliche statali per quanto riguarda la spesa per il personale ed (eventualmente) il contributo totale o parziale per la gestione e/o per le spese relative a edifici e attrezzature (regime delle convenzioni); 3) il buono scuola, ossia la destinazione da parte dello Stato o degli Enti locali di una somma alle famiglie per il pagamento delle rette delle scuole paritarie; 4) l’introduzione della quota capitaria per tutte le scuole del sistema nazionale di istruzione attraverso la definizione di una determinata somma per ogni studente frequentante (Malizia, 2019). Di conseguenza vanno respinti quei tipi di regolamentazioni che non corrispondono a criteri di eguaglianza sostanziale come: qualsiasi forma di monopolio dello Stato sulla scuola; una concezione puramente suppletiva della funzione della scuola paritaria; la logica dei sussidi discrezionali e una certa visione totalizzante e assistenzialistica delle attività scolastiche. La libertà di educazione nella Chiesa. Le posizioni sono chiare e ben fondate, come risulta tra l’altro dalla dichiarazione conciliare sull'educazione cristiana, “Gravissimum Educationis”, la parità tra scuola cattolica e scuola statale è fondata sul diritto dei genitori a una reale libertà di scelta della scuola a cui corrisponde il dovere dei pubblici poteri di renderne l’esercizio effettivo mediante sovvenzioni. Tale obbligo è visto nel quadro dell’osservanza della giustizia distributiva e del rispetto del principio di sussidiarietà che esclude ogni forma di monopolio scolastico. Alla società civile vengono attribuite precise responsabilità educative: in germe è già presente l’idea della “cité éducative” del Rapporto Faure. A mio parere, in prospettiva, la proposta più originale in tema di parità è quella della Conferenza Episcopale Italiana-CEI di organizzare la scuola italiana come un «[…] sistema integrato di servizio scolastico in cui le strutture predisposte dai pubblici poteri e quelle istituite e/o gestite da soggetti diversi si integrano e si condizionano nell’unico fine comune di garantire alle nuove generazioni il necessario grado di istruzione e alle famiglie il supporto per la loro missione, educativa, in spirito di servizio e senza alcuna finalità di lucro» (n.78). La scuola cattolica ne è parte integrante in quanto è «scuola autenticamente pubblica» (n.81). Inoltre, sempre a mio parere, la prospettiva più feconda, ma finora poco sviluppata e diffusa, è quella della scuola della società civile: «Un tale rinnovamento [del nostro sistema formativo] può essere infatti sinteticamente rappresentato come il passaggio da una scuola sostanzialmente dello Stato a una scuola della società civile, certo con un perdurante ed irrinunciabile ruolo dello Stato, ma nella linea della sussidiarietà» (Ruini, 2000, p. 61; Malizia, 2019). La libertà di educazione in Italia. Nel primo cinquantennio dello Stato unitario ha dominato in campo educativo il principio del monopolio statale: all'autorità pubblica era conferita la funzione di provvedere alla istituzione, alla gestione e al controllo del sistema formativo (Pajno, 2010; Poggi, 2017; Malizia, 2017). La Costituzione Repubblicana ha inserito il sistema formativo in un quadro nuovo di principi, superando nella sostanza la vecchia impostazione statalista e centralista. Il punto problematico è rappresentato dalla famosa clausola costituzionale, contenuta nell'art.33, c. III, secondo la quale il diritto di istituire scuole è riconosciuto ad Enti e privati "senza oneri per lo Stato". Grosso modo le interpretazioni possono essere raccolte intorno a tre nuclei fondamentali. Per alcuni il significato della clausola è evidente e, pur riconoscendo che ormai è sancito chiaramente il diritto di istituire le scuole libere, tuttavia si sostiene che lo Stato non è tenuto a erogare loro finanziamenti; al massimo si potrebbe pensare a contratti o ad aiuti in casi di reale supplenza. Altri sono dell'opinione che la normativa in questione intende semplicemente escludere un diritto costituzionale dei privati ai contributi dello Stato; essa però non vieta qualsiasi sovvenzione dello Stato alle strutture libere. Altri infine ritengono che la tesi del divieto sia in contraddizione con il resto della nostra costituzione scolastica, cioè sia con la promozione sia della cultura e del pluralismo sociale, così fortemente sostenuta dalla Costituzione come un impegno della Repubblica. sia dello sviluppo della persona umana e delle formazioni sociali in cui è inserita; tutt’al più la proibizione riguarderebbe le istituzioni meramente private, vere imprese commerciali finalizzate a scopo di lucro, ma non le paritarie - contemplate, tra l'altro, in un comma diverso dell'art.33, il IV - che svolgerebbero un servizio pubblico (Pajno, 2910; Malizia, 2017). Dal dopoguerra in poi sono stati elaborati numerosi testi tra schemi di disegni di legge, disegni e proposte sulla parità scolastica, ma nessuno è stato mai discusso seriamente in Parlamento fino a tutti gli anni ‘90 dello scorso secolo, nonostante il chiaro dettato della nostra carta fondamentale e l'invito della Corte Costituzionale nel provvedere con sollecitudine. Bisognerà attendere il 10 marzo 2000 per avere una legge sulla parità, la n. 62. Di essa si richiameranno qui di seguito gli aspetti principali incominciando da quelli positivi. Anzitutto va menzionata la scelta di legittimare la parità sulla base della domanda formativa delle famiglie e degli studenti. Giustamente, sono i destinatari dell'attività formativa ad assumere un ruolo prioritario rispetto alle strutture e al sistema ed è per tutti loro che l'offerta educativa va generalizzata, come dice la normativa, dall'infanzia lungo tutto l'arco della vita. Un altro aspetto positivo è l'accettazione e la consacrazione in legge del principio di un sistema nazionale di istruzione che non si identifica con la scuola dello Stato e degli Enti locali, ma del quale sono parte integrante scuola statale e non statale. Rilevante è anche l'espresso riconoscimento del valore e del carattere di servizio pubblico a quelle iniziative di istruzione e che, promosse da Enti e privati, corrispondono alle norme generali sull'istruzione, sono coerenti con la domanda formativa delle famiglie e si caratterizzano per qualità ed efficacia. Significativa è pure l'attribuzione alle scuole paritarie della piena libertà culturale e pedagogica con il diritto di dichiarare nel la propria ispirazione ideologica o religiosa. Un altro aspetto valido è il conferimento al gestore della libertà di scegliere il personale dirigente e docente, senza interferenza di graduatorie. Importante è anche la possibile equiparazione per le scuole senza fini di lucro alle organizzazioni Onlus. Gli aspetti problematici della legge riguardano soprattutto il concreto della vita scolastica e in questo senso presentano un'incidenza particolarmente negativa. Se ne ricordano i principali. Incomincio con la realizzazione del tutto inadeguata della libertà di educazione della famiglia. Sono infatti stabiliti interventi a favore dei genitori, degli studenti e delle scuole, ma non una parità piena, quale delineata dal comma 4 dell'art. 33 della Costituzione; in particolare, non è garantita l'attuazione del diritto costituzionale di eguale trattamento degli studenti delle scuole paritarie. L'ambiguità presente già nel titolo che mescola parità e diritto allo studio e all'istruzione per cui si inseriscono in modo equivoco disposizioni finanziarie che riguardano il diritto allo studio con l'assegnazione di borse di studio del tutto inadeguate a coprire le spese di istruzione connesse con la scelta di una scuola paritaria. Sono affermati principi giuridici di per sé validi (come quello di un sistema nazionale di istruzione di cui fanno parte integrante scuole statali e non statali) ma di cui non viene valorizzata tutta la potenzialità concreta, non tirando da essi l'intera gamma delle possibili conseguenze soprattutto sul piano pratico (nel caso citato la piena parità anche sul piano economico,) per cui si ha l'impressione che la parità sia offerta più per gli oneri che per il riconoscimento dei diritti. Attualmente, la normativa impone alle scuole non statali che chiedono di entrare nel sistema paritario una serie di regole piuttosto stringenti e prescrittive e, allo stesso tempo, di anno in anno si decide se finanziarle e come. Sostanzialmente la situazione non è migliorata negli anni successivi, pur essendo state introdotte innovazioni importanti nel nostro sistema educativo. Inoltre, mentre la libertà effettiva di educazione costituisce la regola in Europa anche in un Paese campione di laicità, come la Francia, la condizione dell’Italia è, invece, caratterizzata dalla schizofrenia tra la legge Berlinguer che sancisce la funzione pubblica della scuola paritaria, in quanto componente del sistema nazionale di istruzione con la scuola statale e il contributo economico riconosciuto alle paritarie che è veramente appena una elemosina. Da ultimo, con la Legge n. 107/2015 si è persa l’occasione di fare qualche passo avanti significativo nella realizzazione della parità economica tra scuole statali e non statali. Al contrario: «Seguendo una vecchia e anacronistica concezione questa legge rimane impigliata dentro una visione statalistica riservando pertanto alla scuola paritaria una posizione residuale e marginale, di semplice “supplenza” alle inadempienze o incapacità dello Stato; contraddice la portata culturale, sociale, politica dell’autonomia che, prima di essere autonomia delle istituzioni e degli apparati, è autonomia dei cittadini in quanto persone libere: […]» (Macrì 2015, p. 1). Infatti, non solo la riforma non ha reso effettiva la libertà di scelta di educativa sul piano economico – misura attesa ormai da più di settanta anni – perché ha previsto una detrazione fiscale insignificante per i genitori che iscrivono i figli alle scuole paritarie, ma ha anche creato una serie di problemi per queste ultime, introducendo misure di grande portata, ma garantendo risorse solo per le scuole statali, come per esempio: la previsione del curricolo potenziato che pone serie difficoltà alle scuole paritarie che non possono contare sull’organico funzionale; la digitalizzazione rispetto alla quale le scuole paritarie potrebbero non essere in grado di competere. Bibliografia Gravissimum Educationis. Dichiarazione sulla Educazione Cristiana. Concilio Ecumenico Vaticano II, Roma, 1965. Conferenza episcopale italiana- Cei, La scuola cattolica oggi in Italia, Roma, FIDAE, 1983. Ruini C., Prolusione, in Cssc-Centro Studi per la Scuola Cattolica, Per un progetto di scuola alle soglie del XXI secolo. Scuola Cattolica in Italia. Secondo rapporto, Brescia, La Scuola, 2000, pp.55-68. Malizia G. et al., Un’ipotesi di scuola della società civile: il contributo dell’assemblea nazionale sulla scuola cattolica, in Versari S. (Ed.), La scuoia della società civile tra Stato e mercato, Soneria Mannelli (CZ), Ed. Rubbettino, 2002, pp. 9-30. Pajno A., Le scuole non statali. Il quadro giuridico dalla Costituzione alla legge 62/2000, in Cssc -Centro Studi per la Scuola Cattolica, A dieci anni dalla legge sulla parità. Scuola cattolica in Italia. Dodicesimo Rapporto, Brescia, La Scuola, 2010, pp. 15-43. Malizia G., Autonomia e parità nel quadro della libertà di educazione. I ritardi del nostro sistema nazionale di istruzione, in Cssc-Centro Studi per la Scuola Cattolica, Il valore della parità. Diciannovesimo Rapporto, Brescia, La Scuola, 2017, pp. 27-44. Poggi A.M., Linee di tendenza della legislazione recente in materia di parità scolastica, in Cssc-Centro Studi per la Scuola Cattolica, Il valore della parità. Diciannovesimo Rapporto, Brescia, La Scuola, 2017, pp. 196-207. Malizia G., Politiche educative di istruzione e di formazione. Tra descolarizzazione e riscolarizzazione. La dimensione internazionale, Milano, FrancoAngeli, 2019. Bissoli C. - Cicatelli S. – Malizia G. – Nanni C., L’educazione cattolica nel magistero della Chiesa universale, Roma, LAS, 2023.
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