L’esperienza viene definita nel campo filosofico – cui principalmente appartiene – come la forma di conoscenza diretta, personalmente acquisita con l’osservazione, l’uso e la pratica, di una determinata sfera della realtà. In questo senso si definisce comunemente esperto colui che ha acquisito particolari competenze in campo pratico sulla base di precedenti e ripetute acquisizioni. Per approfondire questo concetto, ci rifacciamo a due differenti paradigmi: quello pragmatista e quello personalista. Secondo il paradigma pragmatista (come - ad esempio - quello di John Dewey), il concetto di esperienza è interpretato come rapporto dell’essere vivente all’ambiente naturale e sociale, che si presenta come mondo oggettivo che entra a far parte delle azioni e passioni umane subendo modificazioni a seguito delle loro risposte, secondo una prospettiva futura che si realizza non in contrapposizione al pensiero, ma come inferenza di esso. Quando un’attività è continuata in un sottostare alle conseguenze, quando il cambiamento fatto dall’azione è riflesso in un cambiamento fatto in noi, il mero flusso viene investito di significato e noi impariamo qualcosa. L’esperienza diviene così guida della scienza e della vita morale, attraverso il suo essere il soggettivo e oggettivo mondo dell’uomo e allo stesso tempo metodo che lo conduce. L’esperienza non è pertanto lasciata fine a sé stessa, ma orientata azione dell’uomo che nasce dal discernimento della relazione tra ciò che si fa e ciò che ne consegue, come sviluppo cumulativo atto al controllo della futura attività. I caratteri di questa categoria sono quindi quello proiettivo, cognitivo e cumulativo, che non disgiunge mai il fare dal pensare. Nella visione personalista, invece, (come ad esempio quella di Jacques Maritain) il significato dell’esperienza dev’essere necessariamente letta alla luce della gerarchia dei saperi: pur evidenziando l’importanza del piano temporale, questo deve sempre essere preceduto e procedere da quello spirituale. Tuttavia, come legame tra i due piani è individuato un terzo piano, quello dell’operato nelle cose politiche, il quale lega fortemente la dimensione dell’azione a quella trascendentale. Occorre pertanto che il soggetto sia abile nella conoscenza e nel discernimento dei mezzi per assicurare il bene della città terrena, reale anticamera di quella eterna, e che in essa operi secondo i principi della partecipazione al lavoro politico e sociale. Il laico opera quindi nel contingente, l’evento singolo che assume importanza solo se riferito a quello universale, così come già san Tommaso d’Aquino aveva messo in luce, riprendendo Aristotele: l’intelligenza può conoscere le ragioni universali e necessarie delle cose contingenti. Il contingente e l’esperienza che matura da esso è quindi importante alla luce di ciò che di più universale lo contiene. La del cristiano, tuttavia, non può che realizzarsi nel mondo, per cui la secolarità matura dall’esperienza dello stesso del mondo e dalla capacità di saper donare un significato universale all’esperienza della singola contingenza. L’uomo è chiamato per sua natura a operare nel mondo ed è quindi attraverso la sua azione terrena che può realizzare il suo progetto di santità, caro al personalismo maritainiano. L’esperienza che l’uomo fa del mondo deve quindi essere sempre orientata da un principio universale che gli dona senso e che gli permette di sviluppare, nel corso della storia, quella saggezza che può realmente donare un valore aggiunto alle successive deliberazioni. Le prospettive pragmatista e personalista, pur assumendo un differente orientamento, ci permettono di analizzare la prospettiva di chi opera l’esperienza con saggezza nel mondo contemporaneo. Questo, infatti, assume un critico nei confronti della realtà che lo circonda, della quale fa esperienza, ma pur sempre in maniera orientata: in questo modo esso gli permette di integrare il significato di ciò che accade attorno a lui e in relazione con lui, in una prospettiva realmente interattiva e comunicativa con l’ambiente che lo circonda. Non esperisce il mondo, ma trae dall’esperienza di esso gli strumenti per deliberare le sue scelte, che gli permetteranno d’intervenire sul mondo e nel mondo, sia esso inteso in senso naturale che in senso sociale. Questo suo scegliere, tuttavia, resta orientato dai principi relativi alla natura umana, alla quale riconosce la propria appartenenza. Questa prospettiva sarà determinante per analizzare l’operato politico del cittadino contemporaneo all’interno di una prospettiva democratica e globale. Nell’ambito della , possiamo parlare di esperienza unendo queste due prospettive: il fine ultimo del letto alla luce dell’operato contingente da esso richiesto. Lavorare sull’esperienza nella formazione professionale significa quindi rendere i formati protagonisti di un processo che fornisca le competenze pratiche e manuali per lo svolgimento del lavoro e dall’altro restituisca il senso di quanto svolto e realizzato. Bibliografia: Maritain J., Distinguere per unire, I gradi del sapere, Morcelliana, Brescia, 1974, pp. 49-51. Dewey J., Democrazia e educazione, La Nuova Italia, Scandicci, 1992.
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