Gli approcci al tema sono numerosi (Benadusi e Giancola, 2022; Sandel 2022; Malizia e Lo Grande, 2019; Giovanola, 2018). Qui, mi limiterò a presentare in sintesi i due che ritengo i principali. Incomincio con il più noto, l’approccio dell’eguaglianza delle opportunità. Il punto di partenza è la combinazione tra talento e impegno che tradizionalmente definisce il , e in cui il talento coincide con le capacità intellettuali della persona al momento della nascita quando il patrimonio genetico non sarebbe ancora condizionato dall’impatto del background familiare. L’approccio in esame non si ferma qui, ma si focalizza sulla condizione socio-economica e culturale (ceto, genere, nazionalità, luogo di nascita) del soggetto allo scopo di determinare con metodologie di analisi sociologica, sempre più sofisticate, la parte della sua riuscita scolastica e professionale che dipenderebbe dai fattori richiamati sopra e quella che, invece, sarebbe attribuibile a potenzialità del soggetto quali l’intelligenza, le capacità e lo sforzo compiuto. In questo contesto il principio dell’eguaglianza delle opportunità può essere enunciato nei termini seguenti: ai giovani che dimostrano eguale talento e desiderio di apprendere devono essere assicurate pari probabilità di riuscita nel sistema educativo e nella vita, a prescindere dal loro status sociale. Volendo approfondire il concetto, va affermato che per garantire una mobilità ascendente giusta, non basta un’eguaglianza formale delle opportunità che riconosce, è vero, il diritto ad accedere alle diverse carriere scolastiche e lavorative a chi possiede il talento necessario e vuole perseguirle, ma che non tiene in considerazione la situazione di partenza di chi prende parte alla gara. La realizzazione di una sostanziale eguaglianza delle opportunità richiede, invece, che siano identificate e rimosse le cause ingiuste delle disparità. Dei tre fattori principali che intervengono a livello personale, condizioni di partenza, talento e impegno, l’unico che si ritiene pienamente iniquo è costituito dalle condizioni di partenza, mentre il secondo, essendo implicitamente connesso alle capacità naturali, e il terzo, ossia l’intento di servirsi del proprio talento possono essere considerati equi, ma solo se non tributari delle condizioni di partenza. La versione più completa del principio dell’eguaglianza delle opportunità, ossia quella democratica, sostiene che le disparità che permangono per le carenze nel contrasto alle differenze sociali o quelle dovute alle diversità nelle doti naturali debbono essere risolte attribuendo di più a chi è svantaggiato. Un gruppo di studiosi ha criticato il principio dell’eguaglianza delle opportunità nell’istruzione non perché le sue mete sarebbero poco ambiziose, ma perché la loro attuazione piena lo sarebbe troppo, dato che dovrebbe ovviare a problematiche fattuali e di carattere sociopolitico che sarebbe impossibile risolvere. Qualora si intendesse realizzare in modo radicale la proposta della totale indipendenza del ceto dei figli rispetto alla classe sociale dei genitori, lo scontro sarebbe con l’istituto della famiglia alla cui libertà e al cui ruolo di centro di scambi affettivi e di comportamenti solidaristici non si vuole rinunciare. In aggiunta, l’attuazione piena della mobilità ascendente sarebbe forse realizzabile in un Paese che adottasse un regime di pianificazione rigida, ma non in uno che si ispira a un modello liberaldemocratico e pluralista e a un’impostazione economica di mercato. I punti deboli che non mancano nel modello dell’eguaglianza delle opportunità non devono, però, oscurare la rilevanza della finalità di diminuire gradualmente l’incidenza delle disparità di partenza. Non è invece pensabile che sia un principio di eguaglianza assoluto, completo ed autosufficiente, poiché esso richiede di essere completato con atri criteri. Il secondo approccio è quello dell’eguaglianza basilare dei risultati o dell’eguaglianza delle condizioni per l’ o dell’eguale rispetto (Benadusi – Giancola, 2022; Malizia e Lo Grande, 2019). Se l’eguaglianza assoluta dei risultati o delle condizioni viene considerata generalmente un ideale utopico, anche se ogni tanto è riproposto, ma sempre senza successo, un gruppo consistente di studiosi si schiera a favore di un’eguaglianza relativa. Essi hanno trovato nell’inclusione il criterio più valido su cui fondare il proprio modello. Tale termine è identificato con il complesso delle condizioni che consentono a qualsiasi persona di essere riconosciuta e rispettata come membro di una società alla pari con gli altri, di essere in grado di esercitare i propri diritti e di sapere e potere intervenire nella vita democratica di un Paese come qualsiasi altro cittadino. Disparità in questo ambito non mancano neppure nei Paesi più industrializzati e consistono nell’emarginazione di alcune minoranze e in diseguaglianze enormi di ricchezze e di potere nella popolazione. Passando ad approfondire l’approccio sotto esame è opportuno prendere le mosse dal concetto di rispetto. Questo si definisce in riferimento ai seguenti elementi: il senso del valore proprio e dei propri progetti di vita; la fiducia nella capacità di attuarli nella relazione tra l’auto-stima e la valutazione positiva da parte degli altri; il riconoscimento della legittimità delle differenze; l’attenzione alle istanze del multiculturalismo. Nel sistema di istruzione e di formazione, il principio del rispetto si arricchisce di altre componenti: il diritto degli allievi a non essere misconosciuti e umiliati; l’esigenza che la natura asimmetrica del rapporto educativo non assuma i caratteri di una diseguaglianza e di un potere assoluto dei dirigenti e degli insegnanti nei confronti degli studenti, non si trasformi in autoritarismo, non offenda la dignità degli allievi, non indebolisca la loro autostima, ma che, invece porti al loro riconoscimento come soggetti di diritti e alla realizzazione di una formazione adeguata alla democratica; l’attribuzione agli alunni di un ambito di autonomia e di partecipazione nella comunità educativa; per effetto del passaggio nella dalla priorità dell’insegnamento a quella dell’apprendimento, il riconoscimento delle differenze fra gli studenti degli interessi intellettuali, delle attese, dei ritmi di , delle identità culturali e linguistiche e degli stili di vita; l’istituzionalizzazione del pluralismo in forte crescita nelle nostre società come questione di giustizia per cui nessuna cultura che sia in accordo con i principi costituzionali può essere censurata né esclusa dal sistema educativo pubblico. Nel mondo dell’istruzione e della formazione l’eguaglianza delle condizioni è identificata nell’eguaglianza dei risultati. In qualche caso quest’ultima è stata intesa in senso assoluto, nel senso cioè di una scuola senza selezione, anticipazione di una società senza classi. Tuttavia, l’esito disastroso delle utopie nel XX secolo e l’affermarsi nelle società attuali delle tendenze alla individualizzazione e alla differenziazione hanno fatto prevalere sulle proposte radicali quelle dell’eguaglianza relativa delle opportunità e dei risultati. Quest’ultima intesa come eguaglianza basilare dei risultati comprende due aspetti. Il primo consiste in una soglia minima di , e competenze, una specie di zoccolo minimo di cultura che va garantito a tutti. Esso è costituito da un complesso di capacità e di motivazioni per partecipare attivamente e con coscienza critica ai processi sociali. Viene anche chiamato eguaglianza delle competenze fondamentali e diversamente dall’eguaglianza delle opportunità che è finalizzata alla mobilità ascendente, essa è mirata a realizzare il e all’ come anche l’esercizio dei diritti di cittadinanza in una democrazia. Siccome le diseguaglianze che colpiscono gli studenti tendono ad essere cumulative e il sistema educativo risulta sempre più orientato a coprire tutta la durata dell’esistenza, cresce il pericolo che si crei un divario troppo ampio tra la base e il vertice della ripartizione delle competenze e che la soglia minima non sia più in grado di assicurare il raggiungimento degli obiettivi per cui è stata proposta. Diventa perciò necessario affiancargli un altro aspetto, quello di limitare la variazione dei risultati. In questo caso non è pensabile di introdurre come in altri ambiti del sociale un tetto massimo perché porrebbe in opposizione eguaglianza ed eccellenza. Per ovviare a tale problematica si suggerisce l’adozione di due misure: una è l’ della seconda opportunità che consiste in una formazione compensativa messa a disposizione per tutta la durata dell’esistenza a chi è uscito dalla scuola con un patrimonio di conoscenze, di abilità e di competenze troppo limitato; l’altra è costituita da una doppia soglia minima, una assoluta (il livello auspicabile delle competenze fondamentali) e l’atra espressa in termini relativi (il divario massimo accettabile) che rappresenterebbe un mezzo di controllo statistico periodicamente aggiornato e tale da rilevare l’inadeguatezza della soglia minima e la necessità di aggiornarla. La disamina delle principali posizioni teoriche sul tema dell’equità educativa consente alcune osservazioni conclusive di carattere generale. Anzitutto, dall’analisi emerge la presenza di vari criteri che possono essere considerati ragionevoli e imparziali (Benadusi – Giancola, 2022). Al tempo stesso nessuno degli approcci sia quelli presi in considerazione sia quelli qui non menzionati, sembra essere in grado da solo di risolvere le problematiche che caratterizzano la questione generale in tutti i suoi risvolti. La strategia globale da adottare sembra quella della combinazione delle indicazioni di carattere teorico e di quelle di natura pratica in base alle varie situazioni che si devono affrontare. Il sistema educativo è un ambito in cui si impone particolarmente l’esigenza dell’integrazione dei criteri di eguaglianza e della contestualizzazione in riferimento alle molteplici articolazioni in cui tale sistema si scompone. Al fine di lottare contro le diseguaglianze con successo il nodo problematico da sciogliere consiste nel trasformare dall’interno il modello di economia di mercato quale si è andato affermando negli ultimi 40 anni (Zamagni, 2020; Piketty, 2022; Sen, 2010). Si deve riformarlo in modo che riesca non solo a creare ricchezza e a garantire uno , ma anche che possa contribuire allo sviluppo umano integrale che non comprende solo la dimensione materiale, ma anche quelle socio-relazionale e spirituale. Oggi il mercato contribuisce alla crescita del primo aspetto, ma non degli altri due. Di fatto, al fine di assicurare l’efficienza si è incorsi in costi sociali enormi perché si sono sacrificati valori come la democrazia sostanziale, la giustizia distributiva, libertà positiva (di conseguire). Il mercato attuale è certamente rispettoso della giustizia commutativa e riparativa, ma non di quella distributiva, dei diritti politici e civili, ma non di quelli sociali e politici. Venendo sul lato propositivo, se si vuole cambiare dall’interno il mercato, bisogna che diventi una istituzione tendenzialmente inclusiva, tra l’altro, proprio per contrapporsi a una deriva inquietante, quella della notevole crescita degli ambiti dell’esclusione. Se il capitalismo assume diverse forme a seconda dei luoghi e dei tempi, esso non ha nulla di irreversibile e può essere riformato riguardo, per esempio, ai modi in cui la ricchezza viene prodotta e ai criteri in base ai quali è ripartita tra le persone e questo in base a valutazioni che non possono essere solo tecniche. Così non è accettabile il darwinismo sociale della distruzione creatrice che riduce i rapporti economici tra le persone in relazioni tra cose e, soprattutto, tra merci. Sarà, inoltre, necessario che la solidarietà venga coniugata insieme alla fraternità. Infatti, la prima è un principio dell’organizzazione sociale che permette ai diseguali di divenire eguali, mentre l’altra consente agli eguali di essere diversi, cioè permette a persone di pari dignità e titolari di pari diritti fondamentali, di ispirare la propria esistenza a progetti di vita diversi. Passando alle politiche educative il conseguimento della meta dell’ e dell’ esige che si proceda a eliminare tutti gli ostacoli che si frappongono alla loro piena realizzazione: in particolare, bisognerà rimuovere ogni forma di esclusione, di marginalizzazione, di diseguaglianza nell’accesso, nella frequenza e nei risultati. Al riguardo non si può non rilevare l’impegno solenne, contenuto nella Dichiarazione di Incheon (UNESCO et al., 2015), che gli obiettivi richiamati sopra non si potrà considerarli conseguiti finché ci sarà anche una sola persona che non li avrà raggiunti. Scendendo più nei particolari, non si può cominciare se non menzionando le politiche compensative che sono tra quelle a cui si fa più ricorso e da più tempo (Malizia, 2019; Benadusi e Giancola, 2022). L’assunto che è alla base di tali strategie può essere sintetizzato nella formula “discriminazione positiva” che significa prevedere interventi più ampi e migliori a favore degli allievi svantaggiati che hanno ricevuto di meno nella socializzazione familiare e nelle scuole di base poco efficaci da essi frequentate. La formula più frequentemente utilizzata consiste nella redistribuzione delle risorse economiche e professionali a favore dei contesti più svantaggiati. Nei Paesi europei l’assegnazione è stata effettuata ad aree problematiche o a scuole in difficoltà o sono stati utilizzati contemporaneamente i due criteri. La letteratura scientifica che studia le tematiche in esame conviene nel considerare determinanti nelle politiche compensative le pratiche didattiche e i docenti. In proposito va evidenziato che riguardo agli insegnanti le scuole in cui si addensano le difficoltà connesse con lo svantaggio socio-economico e culturale si trovano spesso coinvolte in un circolo vizioso nel senso che riescono a reperire unicamente docenti giovani, senza e senza preparazione professionale specifica i quali, però, quando hanno acquisito competenze adeguate tendono a trasferirsi in istituti prestigiosi per cui le strutture in difficoltà si ritrovano alla situazione iniziale. Per cercare di mettere fine a questa situazione, bisognerebbe prevedere un fondo speciale a cui le scuole possono attingere per consentire agli insegnanti di comprare o di affittare una casa vicino alla scuola o per assegnare loro altri incentivi economici; inoltre, sarebbe necessario anche stabilire che la permanenza nelle scuole problematiche sia presa in adeguata considerazione ai fini della carriera. Sulla stessa linea si situano le politiche del diritto allo studio che cercano di sopperire in tutto o in parte ai costi diretti e indiretti che gravano sugli allievi con un background familiare basso. Le strategie sono varie: borse di studio, servizi di welfare gratuiti per gli allievi, esoneri parziali o totali dalle tesse, buoni scuola, prestiti di onore a tassi agevolati, facilitazioni per le famiglie. Questi provvedimenti dovrebbero essere strutturati in maniera realmente redistributiva, evitando di assegnarli a pioggia o unicamente con criteri meritocratici. Un’altra strategia importante di carattere generale è l' perché costituisce un processo educativo, continuo, finalizzato a far acquisire e a far utilizzare dalla persona le conoscenze, le abilità e gli atteggiamenti necessari per rispondere adeguatamente alle scelte che continuamente è chiamata ad operare, e questo indipendentemente dalla condizione socioeconomica e culturale. Segnalo inoltre due progressi nella sua concezione che sono stati effettuati negli ultimi anni a motivo della loro rilevanza per le tematiche di questa voce. Anzitutto. esso non va considerato come un processo limitato a un livello scolastico, la secondaria cioè, anche se questa è un momento forte dell’applicazione, ma che riguarda tutte le fasi del percorso educativo. Inoltre, si è passati d a una concezione dell'orientamento come un insieme di servizi, spesso esterni alle istituzioni formative o almeno autonomi da esse, volti a facilitare le scelte formative e professionali dell'individuo, a una in cui è inteso come processo nel quale il soggetto si costituisce come attivo protagonista delle sue decisioni e nel quale assume un ruolo centrale l’insegnamento delle materie e la relativa didattica. Un consenso generale si riscontra circa le strategie educative di cura della prima infanzia perché esse sono il presupposto essenziale di ogni politica educativa e costituiscono uno degli obiettivi prioritari per i sistemi formativi all’inizio del secolo XXI. In proposito le ragioni sono molteplici, ma io mi limiterò a citare quelle che sono attinenti al tema di questo articolo. L'infanzia è decisiva per lo sviluppo integrale della persona in quanto è la fase della vita in cui la persona è più plasmabile e le differenze tra gli individui sono minori; inoltre, la frequenza dell'educazione per la prima infanzia rende i bambini meglio disposti verso la scuola, per cui tra l'altro sono meno esposti al pericolo di abbandonarla prematuramente, ed essa aiuta a superare con più facilità gli ostacoli socioeconomici e culturali derivanti da un'origine familiare svantaggiata. Nel contesto attuale, la prima infanzia (pre-scolarità) è la fase che maggiormente necessita la realizzazione di strategie adeguate perché nonostante la sua potenzialità sul piano educativo costituisce il periodo in cui i servizi sono minori, specialmente nel nostro Paese dove solo il 22,8% del gruppo di età corrispondente è coperto; parecchie delle strutture operanti in questo ambito sono carenti sul piano qualitativo, limitandosi a svolgere funzioni di custodia e non educative; i bambini con un background familiare modesto e quelli che vivono nelle aree più svantaggiate del Paese dispongono di minori possibilità di frequentare i servizi in questione, mentre sarebbero proprio loro che dovrebbero essere maggiormente coinvolti in modo da ovviare alle carenze di una socializzazione familiare poco efficace. Uno snodo critico è costituito dal raccordo della secondaria con la primaria, in proposito, per realizzare l'eguaglianza delle opportunità tra studenti di gruppi sociali diversi, i Paesi ricorrono a tre tipi di strategie: in alcuni prevale il modello comprensivo per cui il 1° ciclo della secondaria è completamente unitario e il 2° prevede solo un minimo di differenze, ma questa soluzione non sembra troppo attenta alla molteplicità dei bisogni formativi dei giovani; in altri predomina il modello differenziato per cui la diversificazione nei vari tipi di scuole inizia già nel 1° ciclo della secondaria in una età, quindi, che a molti sembra troppo precoce per una decisione di tale importanza; in altre nazioni, come l’Italia, si è adottato un modello di compromesso per cui il 1° ciclo della secondaria è sostanzialmente unitario (con qualche diversità solo all'interno delle classi), mentre il 2° è differenziato in indirizzi e/o tipi di scuole e questa soluzione sembra la più adeguata ad assicurare un corretto equilibrio fra tutte le istanze in gioco. Un contributo rilevante può essere dato dalla che non è qualcosa di marginale o di terminale, ma rappresenta un principio pedagogico capace di rispondere alle esigenze del pieno sviluppo della persona secondo un approccio specifico fondato sull'esperienza reale e sulla riflessione in ordine alla prassi che permette di intervenire nel processo di costruzione dell'identità personale. Questo, tuttavia, non significa che sia la stessa cosa dell'istruzione: conoscere con l'obiettivo principale di agire, costruire e produrre non può essere confuso con il conoscere e agire con l'intento prioritario di conoscere. Ai fini della tematica di questa voce va sottolineato che la formazione professionale permette di non discriminare i giovani di status socioeconomico basso che altrimenti non avrebbero alcun canale per rimanere nel sistema educativo, acquisire una formazione che consente loro di svolgere un lavoro dignitoso o di continuare gli studi e attraverso rimanere in gioco per raggiungere i più alti livelli dell’istruzione. Un altro snodo critico è il passaggio dalla secondaria di II grado all’istruzione superiore. L’iscrizione a quest’ultima deve dipendere solo dalle competenze di chi fa domanda. Inoltre, potrà essere effettuata a ogni età e si dovrà tenere conto delle acquisite anche al di fuori del sistema formale di educazione. Una strategia fondamentale per realizzare l’eguaglianza consiste nella diversificazione dei modi e dei criteri per l’iscrizione, dei tipi di strutture e dell’offerta di educazione e di formazione. In ogni caso dovrà essere facilitato l’accesso dei membri dei gruppi marginali come le popolazioni autoctone, le minoranze culturali e linguistiche, i gruppi svantaggiati, i popoli che subiscono un’occupazione e i disabili. L’offerta di educazione non si ferma più all’istruzione superiore, ma l’ deve continuare per tutta la vita. Per affrontare i problemi dell’eguaglianza, il contributo , che è un livello essenziale del sistema educativo, consiste soprattutto nel consentire a quanti inseriti nel mondo del lavoro intendono migliorare la propria formazione di poterlo fare, anche elevando il proprio status socioeconomico e culturale. Sulla base delle evidenze empiriche si può affermare che l’autonomia organizzativa e educativa delle scuole può dare un contributo positivo alla realizzazione dell’eguaglianza. Il motivo principale a favore va identificato nell’opportunità che essa offre di adeguare il alle esigenze degli allievi, delle loro famiglie e delle comunità di riferimento. I valori e le ragioni della libertà effettiva di educazione e di istruzione la cui assenza comporta una grave discriminazione a carico delle famiglie, non si collocano in una sola area di significati, ma si distribuiscono intorno a varie dimensioni. Qui mi limito ad affermare che essa si basa sul diritto di ogni persona a educarsi e ad essere educata secondo le proprie convinzioni e sul correlativo diritto dei genitori di decidere dell'educazione e del genere d'istruzione da dare ai loro figli minori, mentre rimando alla relativa voce per gli approfondimenti. Bibliografia Sen a., L’idea di giustizia, Milano, Mondadori,2010. Unesco et ali, Education 2030, Incheon (Korea), 2015. Giovanola b., Giustizia sociale, Bologna, Il Mulino, 2018. Malizia G. – G. Lo grande, Sociologia dell’istruzione e della formazione. Un’introduzione, Milano, FrancoAngeli, 2019. Zamagni S., Diseguali, Sansepolcro, Aboca, 2020. Benadusi L. – O. Giancola, Equità e merito nella scuola, Milano, FrancoAngeli, 2022. Piketty T., Capitale e ideologia, Milano, La Nave di Teseo Editrice, 2022. Sandel M., La tirannia del merito, Milano, Feltrinelli, 2022. Malizia G., I sistemi educativi tra eguaglianza e merito, in “Rassegna CNOS”, 39 (2023), n. 3, pp. 79-93; Ricolfi L., La rivoluzione del merito, Milano, Rizzoli, 2023.

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