Le origini degli enti bilaterali nel diritto del e sindacale risalgono allo sviluppo delle Società di Mutuo Soccorso, che svolgevano funzioni mutualistiche, assistenziali e pensionistiche. Questi enti sono istituzioni private, enti analoghi alle associazioni non riconosciute di mutua assicurazione, composte da associazioni datoriali e sindacali. La riforma Biagi (Legge n. 30/2033 e D.lgs. n. 276/2003) ha introdotto misure per promuovere lo sviluppo di alcune competenze e funzioni, permettendo agli enti bilaterali di sperimentare nuove tecniche regolatorie, differenti sia dalla legge che dalla contrattazione collettiva tradizionale. L’art. 2 comma 1 del D.lgs. n. 276/2003 definisce gli enti bilaterali quali “organismi costituiti a iniziativa di una o più associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative, quali sedi privilegiate per la regolazione del attraverso: la promozione di una occupazione regolare e di qualità; l’intermediazione nell’incontro tra domanda e offerta di lavoro; la programmazione di attività formative e la determinazione di modalità di attuazione della in azienda; la promozione di contro la discriminazione e per la dei soggetti più svantaggiati; la gestione mutualistica di fondi per la formazione e l’integrazione del reddito; la certificazione dei contratti di lavoro e di regolarità o congruità contributiva; lo sviluppo di azioni inerenti la salute e la ; ogni altra attività o funzione assegnata loro dalla legge o dai contratti collettivi di riferimento”. Le applicazioni più rilevanti di questo sistema si osservano nei settori caratterizzati da un'elevata frammentazione produttiva e mobilità della forza lavoro, come nel caso delle piccole imprese artigiane, commerciali, edili e agricole. In questi ambiti, successivamente espansi al settore terziario, al credito e ad altri settori privi di ammortizzatori sociali, gli enti bilaterali hanno consolidato il loro ruolo nella gestione e regolamentazione del mercato del lavoro. Il presupposto per l'affermazione della cultura della bilateralità risiede principalmente nell'intento di superare la tradizionale dimensione conflittuale e negoziale, considerata come esclusiva e non solo predominante all'interno delle organizzazioni sindacali, attraverso l'instaurazione di una cultura basata sulla partecipazione e gestione condivisa. Per garantire la funzionalità e l'efficacia operativa di tale approccio partecipativo, è essenziale una volontà comune di cooperazione e un rapporto di fiducia reciproca tra le parti coinvolte. Un significativo impulso alla partecipazione delle è derivato dalla recente riforma del Titolo V della Costituzione, che, oltre a ribadire il principio di sussidiarietà verticale tra Stato, Regioni ed Enti locali, ha chiaramente enfatizzato il principio di sussidiarietà orizzontale. Tale principio riconosce la possibilità di soddisfare interessi generali anche attraverso l'intervento di soggetti privati, sia individualmente sia in forma associativa, nell'organizzazione e gestione di specifiche attività. Ciò rappresenta un riconoscimento significativo del ruolo delle parti sociali, che dovrebbe essere esplicitamente integrato anche nelle normative degli enti territoriali. In questo contesto, gli enti bilaterali possono efficacemente operare per fornire determinati servizi e prestazioni di carattere sociale, che, in un contesto di piccole e medie imprese come quello italiano, risultano più efficaci se implementati a livello territoriale. Bibliografia Lai M - A. Trovò, Bilateralità e lavoro. Il sistema di una esperienza consolidata di relazioni sindacali in Italia, Edizioni Lavoro, 2022. Tiraboschi M., Bilateralismo ed enti bilaterali: la nuova frontiera delle relazioni industriali in Italia, in Caragnano R - E. Massagli (a cura di), Regole, conflitto, partecipazione. Letture di diritto delle relazioni industriali, Giuffrè, Milano, 2013, pp. 645 ss. D.lgs. 10 settembre 2003, n. 276.
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