Le diversità culturali, presenti da sempre in tutte le società, in Italia sono diventate oggetto di attenzione in ambito pedagogico soltanto nell’ultimo ventennio del secolo scorso quando, in controtendenza rispetto alla precedente di emigrazione di italiani dal Sud verso il Nord e verso l’estero, nel nostro Paese si è avviata la fase dell’immigrazione stanziale di stranieri. Iniziava allora quel flusso, divenuto sempre più numeroso, di persone e famiglie che cercavano condizioni di vita migliori fuggendo da carestie, calamità naturali, povertà, persecuzioni e guerre, conseguenza degli squilibri socioeconomico e geo-politici determinati dalla fine del colonialismo tradizionale. Il processo di , supportato dalle nuove tecnologie digitali e finanziarie, innescava forme di interdipendenza planetaria governata da logiche neoliberiste e accentuava su scala mondiale la mobilità transnazionale della popolazione. E, mentre vecchie e nuove forme di imperialismo e di sfruttamento sancivano di fatto nuovi assetti planetari, anche le società cambiavano configurazione diventando sempre più multiculturali ed eterogenee, esposte alla rapida crisi dell’ecosistema umano e ambientale. I Paesi che prima dell’Italia avevano dovuto confrontarsi con i problemi connessi con l’immigrazione (Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania, Francia, Spagna) avevano già maturato diverse significative esperienze a riguardo che hanno preceduto quella dell’ interculturale. Emblematiche e significative sono le diverse denominazioni che nelle varie fasi sono state utilizzate per indicare il tipo di ottica pedagogica adottata. In un primo momento si pensò di rivolgersi agli immigrati con interventi di tipo compensativo, che colmassero le loro lacune linguistico-culturali e li aiutassero a adattarsi alle nuove condizioni di vita assimilando la cultura del Paese ospitante (pedagogia per gli stranieri). In una seconda fase ci si rese conto che era giusto riconoscere ai gruppi di nuovi arrivati il diritto di mantenere le tradizioni della cultura di appartenenza e di legittimarne alcune manifestazioni (pedagogia multiculturale); ma si creavano così di fatto forme di ghettizzazione dei vari gruppi etnici rispetto agli autoctoni e gli scambi culturali tra di essi quasi sempre si limitavano al piano della tolleranza e del folklore. In una terza fase, quando cresciuti i pregiudizi esplosero forme diverse di razzismo, si sentì la necessità di una maggiore attenzione anche all’educazione degli autoctoni per evitare la diffusione tra questi ultimi di atteggiamenti razzisti e marginalizzanti (pedagogia antirazzista). Proprio a partire dalla considerazione della parzialità e inefficacia di questi percorsi e dai nuovi contesti problematici in cui crescevano intanto anche le seconde generazioni di origini straniere (tra marginalizzazione/rifiuto dei migranti, rivolta delle banlieu, islamofobia e opposizione radicalizzata e violenta, terrorismo, etc.), maturò progressivamente l’esigenza di stabilire nuovi rapporti interculturali che coinvolgessero autoctoni e immigrati (pedagogia interculturale). Si capì che si doveva andare oltre l’idea di “tolleranza” e che occorreva tentare di ridefinire e contestualizzare i concetti di identità, diritti, appartenenza, cultura, , religioni, etc. Riconoscendo che la diversità non è solo tra persone di diverse etnie ma è costitutiva di ogni essere umano, si arrivò all’idea di porre alla base di ogni forma di educazione il riconoscimento della dignità, il rispetto e il dialogo tra soggetti appartenenti a qualunque popolo, nazione, etnia, cultura, religione. Anche la visione dei diritti e della cittadinanza si slargò in quella di cittadinanza globale o terrestre. Parlare di educazione interculturale significa, pertanto, maturare uno sguardo che si apra a una relazione paritaria (inter-) che sia realmente interessata all’alterità, rispettosa di qualunque diversità, capace di dialogare in modo costruttivo per il miglioramento di tutte le società e del pianeta in crisi che tutti ospita. È evidente che l’educazione interculturale deve fare i conti con le diverse realtà di società multiculturali in continuo mutamento e conflittuali al loro interno, nelle quali convivono un coacervo di soggetti che devono ancora maturare atteggiamenti di riconoscimento reciproco e dialogicità. L’intercultura, nella realtà, ancora non esiste se non come utopia necessaria e regolativa, aspirazione a costruire un mondo e società sostenibili, e per molti versi risulta ancor più valida oggi in un momento in cui l’ecosistema del pianeta è a rischio. Nel frattempo, è aumentata la mobilità a livello internazionale, sono cambiate la quantità dei flussi migratori e le forme della migrazione, divenute fluide, continue e transnazionali. Il contesto geo-politico, rivoluzionato da nuove emergenze, continua a porre sempre nuove sfide politiche e educative che esigono risposte complesse, interconnesse e interdipendenti. Il passaggio dal multiculturalismo a società interculturali non è semplice e non avviene automaticamente, perché presuppone un lavoro condiviso di ricerca di valori comuni, che esige come precondizione la possibilità/capacità di dialogo. Non ci potrà essere intercultura senza un serio impegno educativo teso a costruire atteggiamenti, pensieri, relazioni e comportamenti interculturali, che sia svolto con adeguate competenze trasversali. Gli educatori e gli operatori sociali, impegnati in questo compito etico di costruzione di valori condivisi da trovare insieme, sono quelli che si pongono come mediatori e facilitatori di un processo formativo in cui ognuno diviene capace di riflettere sulla propria e altrui cultura, rendendosi disponibile a rinunciare ai propri rigidi schemi concettuali e alle proprie abitudini. Per saper gestire l’incontro con l’altro, gli inevitabili conflitti e le necessarie mediazioni culturali, gli educatori devono maturare essi stessi e far maturare nei loro interlocutori specifiche competenze etiche e interculturali, che rendano la persona capace di decentrarsi, comprendere le diversità e sviluppare uno sguardo nuovo sull’altro. Purtroppo, più spesso prevale la tendenza a governare i fenomeni definendo identità e appartenenze con categorie fisse preconcette che rischiano di cristallizzare i processi, finendo con l’iscriverli o nella forma di un universalismo assoluto che annulla ogni alternativa, o di un relativismo altrettanto assoluto che non lascia spazio a interlocuzioni e raccordi. A partire da queste categorizzazioni, è facile arrivare a contrapposizioni e conflitti irresolubili, poiché non c’è reale confronto né aperture a cambiamenti di prospettiva, ma solo la difesa di punti di vista assolutizzati e impenetrabili. Un universalismo imposto, ad esempio, c’è stato attraverso le forme di colonizzazione culturale che hanno accompagnato la diffusione dei tanti imperialismi coloniali dei secoli passati, ma che anche in questa fase postcoloniale continuano a bloccare i processi di emancipazione di molti popoli. Da questa consapevolezza nasce il filone interculturale della post-colonial education, che tende a evidenziare come, attraverso inedite e sofisticate modalità di soggezione culturale e politica, i rapporti di potere e di dominio continuino a gravare sui popoli, producendo effetti di marginalizzazione ed esclusione. Di fronte alle nuove forme di manipolazione culturale, potenziate dalle nuove tecnologie, che subdolamente continuano a colonizzare le menti delle persone e a illuderle di essere libere, si sottolinea la necessità e l’urgenza di fornire strumenti utili a decolonizzare la mente sia dei colonizzati che dei colonizzatori. L’educazione interculturale oggi deve confrontarsi con la sfida che proviene da un mondo in cui si stanno esacerbando discriminazioni e radicalizzazioni fondamentaliste di ogni tipo, di fronte alle quali serve ormai un lavoro formativo ben organizzato, chiaro negli obiettivi e nelle metodologie. Ai discorsi confusi e manipolatori bisogna saper opporre non soltanto un’operazione di “pulizia lessicale e concettuale” che riguardi linguaggi ostili, pregiudizi, hate speech, ma serve soprattutto lavorare per restituire autonomia di pensiero critico e libertà di azioni etiche. Non si può costruire una mentalità interculturale se prima non si opera questa pars destruens, finalizzata non soltanto a svelare e decostruire la presunta superiorità di un popolo o un gruppo rispetto agli altri, ma anche a denunciare le violazioni di diritti universali puntualmente disattesi, e convincere tutti della pericolosità e degli effetti nefasti che conseguono al disimpegno e alla deresponsabilizzazione sul piano personale rispetto alle diseguaglianze e alle violenze delle relazioni quotidiane. Indispensabile, soprattutto, diventa riconoscere come l’interiorizzazione delle gerarchie di valore riesca a creare sottomissione e sudditanza sia negli autoctoni che negli immigrati, e come non esistano identità e appartenenze definibili in maniera essenzialistica, secondo criteri univoci e semplicistici. Solo dopo aver saputo rileggere e interpretare dall’esterno (exotopia) le proprie visioni e i propri atteggiamenti e comportamenti pregiudiziali, diverrà possibile avviare la pars construens della relazione interculturale, tesa a integrare le differenze. Siamo ormai di fronte a identità, frutto della “intersezionalità” delle differenze e delle appartenenze plurime di ciascuno, che ci obbligano ad avere un approccio concreto e posizionato nelle relazioni interpersonali. Obiettivo fondamentale dell’educazione interculturale diventa quindi la costruzione di un “noi” interculturale capace di valorizzare l’apporto creativo di ciascuno nel lavoro di ricerca comune di valori condivisi. Un itinerario formativo al dialogo interculturale per essere proficuo deve prevedere la di percorsi educativi e metodologie partecipative coinvolgenti, svolte in forma laboratoriale, perché particolarmente efficaci ai fini della modifica di atteggiamenti e della creazione di un clima relazionale emotivamente positivo. A questo scopo, è possibile utilizzare anche esperienze di -servizio, “artivismo”, metodologie umoristiche, tecniche ludico-esperienziali che aiutino a rielaborare criticamente i vissuti e i pregiudizi e che sollecitino la riflessione sui continui processi di meticciamento e sulle nuove culture emergenti. Bibliografia Burgio G., La pedagogia postcoloniale. Prospettive radicali per l’intercultura, Franco Angeli, Milano, 2020. Fiorucci M., Educazione, formazione e pedagogia in prospettiva interculturale, Franco Angeli, Milano, 2020. Portera A., Educazione e pedagogia interculturale, il Mulino, Bologna, 2022. Santerini M., Da cittadini a stranieri. Educazione interculturale e mondo globale, Mondadori Università, Milano, 2017. Sirna C., Pedagogia interculturale. Concetti problemi proposte, Guerini, Milano, 1997. Sirna C., Postcolonial education e società multiculturali, Pensa Multimedia, Lecce, 2003.
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