L’ al è la prospettiva pedagogica che accomuna diversi percorsi formativi, specialmente quelli collocati nel diritto-dovere di istruzione e formazione, finalizzati alla formazione integrale ed unitaria della persona, del cittadino e del lavoratore. Essi hanno in comune la prospettiva esistenziale del lavoro come compimento della propria identità, che si concretizza entro un cammino in cui l’allievo viene accompagnato ad un’introduzione consapevole nel mondo in cui vive, prossimo e lontano, fino alla scoperta della propria e dei propri talenti, affinché possa maturare la decisione di assumere un compito come forma della propria personale realizzazione perseguita a favore degli altri e della comunità. Per molti intellettuali la combinazione dei due termini educare e lavoro viene vista con sospetto in quanto associata ad un’idea di addestramento sistematico dell’individuo alle pratiche professionali. Una concezione che rivela un pensiero in cui si combinano due stereotipi: il primo legato all’educazione il cui compito consisterebbe nell’offrire ai giovani una cultura costituita di categorie che, se pur riferite alla realtà, si collocano esclusivamente sul piano delle idee generali; il secondo riguardante il lavoro che viene concepito come cessione di tempo e di energie che l’individuo è tenuto a fornire ad un datore di lavoro per poter ottenere il denaro necessario per vivere, senza che vi sia nessun nesso tra questa attività e il suo mondo interiore. Nella concezione qui proposta, l’educazione al lavoro prende le distanze sia dai modelli formativi addestrativi che mirano ad imprimere nella persona una forma adattata al contesto esterno sia da prassi educative che muovendosi sul piano delle idee pure relegano l’alunno in una posizione disinteressata al mondo ed a se stesso. Nell’espressione che stiamo considerando, non viene utilizzato il termine addestramento, e neppure quello di occupazione, bensì educazione che proviene dal latino educere e che significa tirar fuori, allevare, avere cura. Quindi educare è «[…] avere cura di offrire all’altro quei contesti esperienziali che possano consentire il pieno fiorire della sua umanità» (Mortari 2017, p. 34); mentre il lavoro inteso come la forma che assume l’amore per la vita che la persona matura nel suo cammino formativo, tramite cui essa dona le proprie capacità ed i propri talenti per soddisfare i bisogni degli altri, migliorare la comunità e proteggere l’ecosistema. L’educazione al lavoro si regge su tre architravi: l’antropologia della vocazione, il lavoro come compito sociale costitutivo dell’identità personale, la formazione come cammino verso il compimento delle potenzialità della persona accompagnandola a realizzare nella migliore forma possibile il suo essere implicandosi in modo operoso nel mondo al servizio di uno scopo buono. La vocazione è quel fattore che indica la differenza radicale tra esistere e vivere. La prospettiva dell’esistere consiste in un adattamento del soggetto alle condizioni del contesto, nel tentativo di trarre dalle varie esperienze in cui si è di volta in volta immessi il massimo di beneficio ed il minimo di fastidi, secondo una concezione che Bernard Stiegler definisce “minorità permanente”. Secondo questo Autore, il modo dell’adattamento consiste nell’abbandonarsi ad una prospettiva comoda di vita, riempiendo il proprio tempo di attività suggerite dall’industria della captazione dell’attenzione, confidando nel potere del condizionamento “gentile” che fa leva su stati d’animo elementari e sul modo della vita sospesa, senza riflessione né responsabilità. È il tipo di esistenza dell’individuo massa della società dei consumi, così magistralmente descritto da Ortega Y Gasset: «[…] un tipo o un modo d’essere dell’uomo che si ritrova oggi in tutte le classi sociali, che per ciò stesso rappresenta il nostro tempo: massa è tutto ciò che non valuta se stesso ‑ né in bene né in male ‑ mediante ragioni speciali, ma che si sente “come tutto il mondo”, e tuttavia non se ne angustia, anzi si sente a suo agio nel riconoscersi identico agli altri» (Ortega Y Gasset 1988, p. 30). Il vivere, invece, trova la sua sorgente nell’intuizione che la persona prova avvertendo l’unicità e la preziosità del suo proprio io come valore e promessa di compimento. Nell’essere umano vivo, la vicenda della propria esistenza è percepita non come un accadimento che deriva da una combinazione casuale di fattori, ma come un essere unico e irripetibile che porta con sé la premonizione di un dovere verso se stessi e verso gli altri, di cui si intuisce la valenza sacra sapendo rivolgere lo sguardo al cielo, oltre le nubi. Compiere questo cammino, e scoprire il mistero di se stessi, è il compito della vita che ci lega agli altri ed appartiene ad una vicenda più grande del proprio piccolo mondo. Il valore attribuito al proprio io riguarda una dimensione che va oltre la misura: la gratuità dei doni ricevuti, e l’impulso alla loro restituzione agli altri al meglio delle proprie possibilità, trascende infatti ogni sistema di organizzazione economica e delinea il mondo come il luogo in cui si svolge l’epopea della ricerca di ciò che corrisponde all’autentica dignità umana. La chiave del modo del vivere è costituita dalla vocazione, ovvero la scoperta da parte del soggetto di una speciale corrispondenza tra una forma particolare di lavoro comunicata da alcuni testimoni significativi, e l’impulso alla pienezza che egli avverte dentro di sé, da cui scaturisce un’adesione esistenziale chiamata “passione”, vissuta come un fuoco che scalda, una forza che sospinge e una luce che illumina la strada del proprio cammino. Mettersi al lavoro non è fare un’attività quale che sia, purché serva a portare a casa uno stipendio; non è neanche il frammento di un’organizzazione che procede per forza propria. Per lavorare bisogna dare un senso alle cose, in quanto ciò che facciamo deve avere un legame sia con il mondo comune sia con il nostro mondo personale. Ciò indica la principale condizione del lavoro buono: partecipare ad un’impresa mossa consapevolmente da un proposito positivo per la società. Il vero significato del lavoro è nel mistero del rapporto tra il singolo e la collettività, vissuto entro una comunità operosa dove ciascuno, condividendo le diverse vicende in cui si svolge, collabora al bene di tutti, così da poter ottenere un riconoscimento che conferma la giustezza della sua scelta e ne spinge in avanti il cammino. Il concetto di lavoro comprende due significati: quello giuridico economico che si riferisce alla forma del suo esercizio come ruolo che si svolge entro un’organizzazione sulla base di un e di un insieme di regole che orientano il contributo di tutti al medesimo scopo, e quello di natura esistenziale che riguarda i significati che il soggetto attribuisce al proprio operare e al tipo di legame che instaura con l’organizzazione ed i colleghi. Il lavoro è oggetto nel nostro tempo di un travaglio che riguarda ambedue gli aspetti: lo scopo dell’impresa e la prospettiva esistenziale del soggetto che opera. È in declino, anche per motivi anagrafici, l’etica del lavoro convenzionale, ovvero quell’habitus che assicurava, ai cittadini delle società precedenti, una solida identità professionale ed una maestria di mestiere che garantiva loro un percorso lineare per tutto il corso della vita. Nell’attuale “società degli individui” che mal sopportano quel modo di concepire il ruolo, troviamo due forme differenti di etica: quella minimale che considera il lavoro solo come strumento per ottenere un reddito da poter spendere per i consumi ed in generale per vivere quelle esperienze che soddisfano le proprie preferenze emotive; inoltre quella orientata alla pienezza propria di coloro che perseguono la realizzazione di sé tramite un “lavoro significativo” (Meaningful Work) che è tale in quanto dotato di senso e di contenuto buono, orientato ad un fine o scopo speciale, espressivo della persona ed insieme dell’organizzazione, che si svolge in orari compatibili con i valori connessi alla pienezza: i legami familiari, gli impegni personali, lo sport e la cura della salute, il rapporto con la natura, la vita di comunità. Fa parte di questa seconda componente la riscoperta del lavoro manuale in quanto capace di smuovere le corde interiori e di sollecitare in chi opera una maggiore consapevolezza di sé e del proprio compito nel mondo. Come risposta alle tensioni generate dal difficile rapporto fra queste diverse filosofie di vita, sta emergendo un’area di imprese “dotate di un’anima” che perseguono un’identità del lavoro fondata, prima e oltre le specificità professionali, sull’appartenenza ad un’organizzazione finalizzata ad offrire alla società un prodotto/servizio dotato di valore, favorendo tra i compagni di lavoro un legame di tipo neocomunitario. Nel modo del compimento, l’educazione consiste nel perseguimento dell’autorealizzazione del soggetto-persona, sulla base di una proposta culturale orientata al futuro costituita da una costellazione di , competenze, valori e significati posti entro un orizzonte di senso dotato di una speranza ragionevole, capace di suscitare la risorsa più preziosa dei giovani, l’entusiasmo. Educare al lavoro significa educare ad una vita in pienezza, sottrarre i giovani dalle sirene della irrealtà, suscitare il desiderio di una conoscenza veritativa, offrire la possibilità di fondare la propria vita su un impegno solido, stabile, rigoroso e potenzialmente ricco di soddisfazioni, fonte di legami di appartenenza al mondo comune. Perché possano conquistare qualcosa di veramente personale, di cui sentirsi fieri, occorre che facciano di ciò che gli corrisponde e porta beneficio agli altri ed alla comunità, disciplinando la propria vita. Ciò richiede di saper reagire alle difficoltà, imparare dagli insuccessi e far risuonare nell’anima il bene raggiunto. Il vivente è caratterizzato da un essere-orientato, un impulso a tendere a qualcosa di desiderabile il cui valore viene intuito, ma che si rende chiaro solo nell’agire; egli è capace di «[…] atti ed atteggiamenti intenzionali che sono qualcosa che è “nell’anima”» (Spaemann 2005, p. 55). La corrispondenza - non statica, ma tensionale - tra il mondo soggettivo ed il mondo comune perseguita esercitando un lavoro dotato di valore per gli altri e per sé, si realizza quando il soggetto riconosce, lasciandosi guidare da essa, quella speciale forza impulsiva che risiede nella sua anima, una tendenza originaria che rende significativo il proprio stare nel mondo. I percorsi formativi orientati al lavoro presentano un grande vantaggio rispetto a quelli di natura generale, in quanto sono centrati sulla scoperta della personale e quindi su un progetto di vita in cui il soggetto apprende a porsi di fronte agli altri come risorsa di valore, fonte di benefici. Ciò accade quando gli studenti vivono entro contesti (, azienda, territorio…) con adulti in grado di essere guide nella comprensione della propria vocazione, quest’ultima intesa come generatrice di “passione”, superando la volubilità degli “interessi” e l’astrazione delle “attitudini”, e quindi capace di donare direzione e consistenza alla vita. Lavorare con amore entro legami significativi, conferisce alla persona un ancoraggio di senso che la fa sentire pienamente “a casa” là dove si svolge la sua esistenza riconoscendosi parte di un tutto, condizione da cui scaturisce una disposizione positiva nei confronti degli altri e della comunità. Un lavoro buono consente la corrispondenza tra il mondo soggettivo ed il mondo comune, quando il soggetto si appropria della speciale forza impulsiva che risiede nella sua anima, rendendo significativo il proprio stare nel mondo. Si tratta di una intenzionalità potenziale che diviene attuale quando egli ne conquista consapevolezza, evitando che venga cancellata da un’influenza esterna oppure disconosciuta o rimossa da stereotipi culturali o circoli viziosi mentali. Il curricolo dell’educazione al lavoro è il documento chiave che orienta gli insegnanti e tutte le altre figure coinvolte entro un cammino formativo unitario e personalizzato. Esso è composto da due parti: il curricolo esplicito rappresenta la parte programmatica che comprende l’analisi del contesto e dei bisogni formativi a cui intende dare risposte, la strategia formativa, i traguardi perseguiti, i nuclei del sapere e le competenze mirate, infine la strategia di . In esso troviamo le componenti del metodo ovvero i moduli formativi ed i compiti di realtà che accompagnano il cammino degli allievi come passi progressivi di conoscenza del mondo e di sé e di acquisizione di competenze. Accanto ad esse vi sono le evidenze degli apprendimenti e del cammino di crescita degli allievi rilevabili tramite un metodo valutativo “integrale” che rispetta e promuove i dinamismi che connettono i nuclei del sapere come “sfondo di senso”, le competenze come “prestazione di valore sociale” e l’identità personale che riguarda i fattori della crescita personale come l’autoconsapevolezza, la disposizione positiva nel reale e l’orientamento confidente della propria vita. La necessaria intesa entro l’équipe formativa trova la sua esplicitazione nel Canovaccio formativo, il documento da cui risulta chiaro come le due principali formule didattiche – il modulo e il - sono poste in relazione reciproca e finalizzate a mete comuni che connotano le tappe del percorso; il curricolo implicito si riferisce all’organizzazione consapevole degli spazi, dei tempi, dell’, delle routine e della convivialità, delle forme di partecipazione, tutto ciò che fa della partecipazione all’organismo formativo un’esperienza di e. alla vita in comune, secondo un habitus della premurosa e responsabile. Tali fattori influiscono direttamente sulla gestione delle risorse umane, sugli aspetti organizzativi e sui vincoli gestionali, a favore di un autentico e personalizzato. Esistono varie soluzioni che configurano lo spazio secondo una prospettiva educativa superando la tradizionale distinzione tra aule, corridoi e luoghi off-limITS per privilegiare spazi educativi significativi; allo stesso modo, si riscontrano varie soluzioni tese al superamento della frammentazione del tempo entro un orario dettagliato di ore di lezione, per una nozione di tempo formativo più fluida, collegandolo al tipo di lavoro e di mandato assegnato agli allievi (studio, compito di realtà, ricerca, evento…). Cinque possono essere gli spazi per l’apprendimento presenti all’interno dell’organismo formativo: aule per il lavoro frontale, o generiche o specifiche per ambiti culturali, scientifici o tecnologici; laboratori professionali in configurazione simulata o reale su progetti svolti in raccordo con imprese madrine ed anche, nella formula dell’impresa formativa, servizi rivolti ad un target definito come nel caso del salone di acconciatura ed estetica, del ristorante didattico, della riparazione di autoveicoli; spazi, non necessariamente ritagliati all’interno delle aule, per il lavoro cooperativo a piccoli gruppi; spazi per il lavoro e la ricerca individuale; spazi per il lavoro virtuale in videoconferenza. Questi si integrano con l’attività reale svolta all’esterno dell’organismo formativo. Secondo una lunga tradizione, l’educazione al lavoro comprende differenti formule di accordo – alleanza con i soggetti economici del settore di riferimento. Le soluzioni adottate sono varie: si va dal tradizionale che si svolge in un periodo di tempo contenuto, alla cosiddetta “alternanza lunga” che impegna una quota oraria più rilevante, fino alla formazione per apprendisti contrattualizzati dalle imprese, queste ultime soluzioni svolte secondo la formula del “”. Fanno parte degli spazi esterni anche le opportunità di partecipazione alla vita della comunità territoriale, come iniziative (feste, ricorrenze…), attività di volontariato (assistenza, protezione civile, ecologia, valorizzazione del patrimonio locale, iniziative a favore dei giovani). Il Curricolo indica in che modo queste iniziative si inseriscono in una orchestrazione che garantisce una visione unitaria dell’attività e l’armonia di fondo che rende il tutto un’esperienza formativa dotata di un’anima. La gestione degli spazi è strettamente collegata a quella dei tempi; eccone una specificazione riguardante le diverse situazioni di apprendimento possibili: il modulo formativo prevede un orario variabile fra due e cinque ore: la formula più breve è gestita in continuità oraria, mentre quella più lunga può essere spezzata in due unità da svolgere in classe, intercalate da attività domestiche per la ricerca e l’elaborazione dei testi; il modulo di richiede unità formative di 3-4 ore, in quanto il processo di apprendimento che privilegia l’operatività richiede tempi adeguati affinché gli allievi possano apprendere dal formatore-maestro tramite affiancamento, imitazione e passi operativi via via sempre più autonomi; la ricerca può essere svolta in parte presso l’organismo formativo ed in parte a casa oppure in una biblioteca del territorio dove possono ritrovarsi insieme due o più compagni. Ciò porta a considerare “strutturale” l’orario successivo a quello interno alla struttura, in quanto tempo necessario alla completa e corretta realizzazione dei compiti affidati; lo studio individuale – una pratica didattica indispensabile per riflettere sulle esperienze svolte, assimilare i nuclei del sapere, elaborare testi o video - si svolge in parte oltre l’orario canonico entro un’aula a ciò dedicata in cui è presente sempre un adulto, ed in parte in un contesto domestico; il richiede un tempo più lungo, fino anche a 30 ore. La natura collegiale del compito richiede il coinvolgimento di tutti i formatori; per questo è bene che esso si svolga secondo una gestione oraria ad hoc. Ciò vale specialmente per l’impresa simulata e l’impresa formativa in quanto il processo si svolge entro una situazione del tutto simile a quella del lavoro reale; l’evento è la situazione formativa che più delle altre richiede una modalità propria di gestione del tempo: la presentazione di un lavoro particolarmente significativo, l’incontro con studenti di altre scuole, una gara sportiva, una festa, sono tutte attività che necessitano di una specifica organizzazione che preveda la , il reperimento delle risorse, la realizzazione dell’evento, la verifica finale. La chiave per un’effettiva educazione al lavoro risiede nella comunità educativa fondata sull’assunzione della visione, dello stile e del metodo propri di questa prospettiva educativa, la condizione che rende l’ambiente formativo un “mondo naturale” in cui gli allievi possono vivere in comune, accolti ed accettati, e ricevere quella protezione che permette loro di impegnarsi nelle attività che mirano al compimento delle proprie potenzialità. La comunità ha il compito di farsi carico della povertà esistenziale dei giovani, derivante anche dalla scomparsa della figura paterna, vista come una causa dell’indebolimento dell’identità dei giovani, dai quali proviene una domanda inedita di padre. Gli elementi che qualificano questo stile di comunità sono: tutta la comunità è educante ha anche il compito di educare se stessa ed avere speciale cura dei nuovi assunti tramite l’affiancamento con i senior, facendo leva su esperienze formali e informali svolte anche insieme ai ragazzi e tra colleghi. Anche la comunità educante necessita di un Curricolo, tenuto conto che fare i formatori non è solo un mestiere, ma corrisponde ad una scelta di vita; inoltre, Il comportamento del singolo formatore si ripercuote sugli altri: da qui la necessità di agire come squadra, con attività che forniscono un buon aiuto a stemperare l'ansia da prestazione ed a superare attraverso il confronto le difficoltà che via via emergono, al fine di creare tra i collaboratori, e con la direzione, un clima di vera “amicizia professionale”; uno stile collegiale con persone di pari importanza, con eguale diritto di manifestare le proprie idee e proposte, e con possibilità di entrare in relazione diretta con la direzione; prevedere un collegio settimanale per ogni settore o ; prevedere esperienze che sollecitano l'apertura all'esterno in maniera strutturata come la visita presso le aziende partner; puntare alla stabilità del personale come fattore di contenimento di un turn over in parte fisiologico; il clima di benessere, e la tensione alla pienezza costituiscono infatti un potente fattore motivante; per formare il gruppo e la collegialità è necessario dedicare il giusto tempo alle dinamiche del lavoro comune come gruppi di ricerca, workshop, incontri di scambi o di esperienze; una buona prassi consiste nella valutazione dei formatori da parte degli allievi, unita all’ come processo di miglioramento e di crescita del singolo. Utilizzare spazi e tempi in modo “non convenzionale” rende imprescindibile la responsabilizzazione degli allievi. È questo il valore che rappresenta la stella polare del curricolo implicito: fare dello spazio, del tempo e dell’organizzazione dei mezzi per poter adottare metodologie più collaborative, affidando sin dall’inizio, ai veri protagonisti dell’esperienza formativa, piccoli compiti e via via altri sempre più complessi per allenarli alla responsabilità. Questa si accompagna al sentimento di fierezza nell’aver saputo realizzare opere significative con le proprie forze, imparando a fronteggiare imprevisti e criticità e allo stesso tempo rafforzando il senso di autoefficacia. Per mettere in vita questa modalità di occorre una responsabilità che riguarda in primo luogo i formatori, cui è richiesto di non “spezzare” il compito in tanti piccoli frammenti, mantenendo sempre il ruolo di guida e limitando gli allievi a meri esecutori, ma di lasciare loro la libertà, il rischio e la soddisfazione, di mettersi alla prova. Il curricolo dell’educazione al lavoro. si struttura su tre comunità concentriche: quella del personale interno, quella dei partner formativi, infine quella che comprende la comunità territoriale e soggetti presenti in altri territori. Di conseguenza, sono esplicitamente impegnati nell’opera educativa anche: i partner del sistema economico, coinvolti nelle diverse formule: l’impresa madrina, lo tradizionale, l’alternanza lunga, l’. Trattandosi di componenti del curricolo, è decisiva la condivisione dello stile educativo, il loro coinvolgimento nella valutazione degli allievi sia per le competenze di indirizzo sia per quelle trasversali, comprese, a seconda dei casi, quelle culturali. I partner del territorio comprensivi degli enti locali, delle associazioni culturali, educative, assistenziali, di tutela e valorizzazione del patrimonio locale con i quali l’organismo condivide alcuni progetti formativi in cui sono coinvolti gli allievi. I partner che si collocano oltre il territorio e riguardano esperienze di scambio culturale e di alternanza svolte all’estero, altre di natura sportiva e di utilizzo formativo del tempo libero. Vi sono poi le reti composte da organismi formativi, enti locali e servizi territoriali, tra cui quelle dell’ e dell’. Bibliografia Mancini R., La logica del dono. Meditazioni sulla società che credeva d’essere un mercato, Edizioni Messaggero, Padova, 2011. May D.R. - Gilson R.L. - Harter L.M., The psychological conditions of meaningfulness, safety and availability and the engagement of the human spirit at work. «Journal of Occupational and Organizational Psychology», 77, pp. 11-37, 2004. Mortari L., Filosofia dell’educazione scolastica. Direzioni di senso della pratica educativa, in Mariani A.M., L’agire scolastico. Pedagogia della scuola per insegnanti e futuri docenti, La Scuola, Brescia, pp. 33-55, 2017. Nicoli D., Il lavoro buono. Un manuale di educazione al lavoro per i giovani (2^ ed.), Rubbettino, Soveria Mannelli, 2023. Nicoli D. – C. Ferro, Una nuova formazione professionale. Ricerca su 14 Centri significativi, FrancoAngeli, Milano, 2023. Ortega Y – J. Gasset, La ribellione delle masse, TEA, Milano, 1988. Otto R., Il sacro. Sull’irrazionale nell’idea del divino e il suo rapporto con il razionale, Morcelliana, Brescia, 2011. Spaemann R., Persone. Sulla differenza tra “qualcosa” e “qualcuno”, Laterza, Bari, 2005. Stiegler B., Prendersi cura. Della gioventù e delle generazioni, Orthotes, Napoli, 2014.

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