Secondo il DSM-V, i Disturbi Specifici di Apprendimento (da ora in poi DSA) sono descrivibili come deficit specifici dell’ di un individuo di percepire o elaborare informazioni in maniera efficiente e accurata, al punto tale che livelli accettabili di performance “sono raggiunti solo attraverso sforzi straordinari”. Insomma, i DSA rappresentano un gruppo eterogeneo di difficoltà che si manifestano con significative difficoltà nell’acquisizione e uso di abilità di comprensione del linguaggio orale, espressione linguistica, lettura, scrittura, ragionamento o calcolo. I DSA sono da includere, al pari di autismo e intellettiva, nell’insieme dei cosiddetti disturbi del neurosviluppo, ovvero difficoltà che si manifestano nelle prime fasi dello sviluppo, e che sono caratterizzate da deficit del funzionamento personale, sociale, scolastico o lavorativo. Nel precedente DSM-IV i DSA venivano suddivisi in alcune condizioni specifiche, e precisamente: la Dislessia, intesa come compromissione della velocità e/o correttezza di lettura, con ripercussioni anche sulla comprensione del testo letto; la Disortografia, intesa come difficoltà nelle applicazioni delle regole ortografiche; la Disgrafia, intesa come difficoltà nella produzione del tratto grafico; la Discalculia, intesa come deficit che interessa l’area del calcolo e del ragionamento matematico. Al contrario, il DSM- V raccomanda di non utilizzare le singole etichette diagnostiche, ma piuttosto di avvalersi della definizione più ampia di DSA. Infine, include nei DSA anche il Disturbo del Linguaggio Orale, intesa come difficoltà nella comprensione del testo letto e nell’elaborazione del testo scritto. I criteri per l’attribuzione dei DSA, intesa dunque come condizione ampia, sono di quattro tipologie: una o più delle seguenti difficoltà: lettura delle parole lenta o imprecisa, difficoltà nella comprensione del significato di ciò che viene letto, difficoltà nello spelling, difficoltà nell’espressione scritta, difficoltà nel padroneggiare il numero e il calcolo, difficoltà nel ragionamento matematico; performance significativamente al di sotto delle attese per età cronologica, e che causano interferenze col rendimento scolastico, la prestazione lavorativa e/o la vita quotidiana; l’inizio avviene nel periodo scolastico; non sono meglio giustificate dalla presenza di disabilità intellettiva o sensoriale, da altri disturbi mentali, da avversità psico-sociali, dalla mancata conoscenza della lingua parlata/letta nel contesto o da istruzione inadeguata. In coerenza con l’ICF, il DSM-V Il DSM-V raccomanda di esprimersi non in modo categoriale, ma descrivendo la severità del disturbo che può essere lieve, moderata o grave. Il disturbo sarà quindi: lieve, se l’individuo conserva comunque un buon funzionamento grazie a adattamenti del metodo didattico e supporti compensativi appropriati durante la frequenza scolastica; moderato, se le difficoltà nella capacità di sono così marcate che difficilmente l’individuo riesce a sviluppare competenze in assenza di un insegnamento intensivo e specializzato, consistente ad esempio in supporti compensativi, facilitazioni, ridimensionamento del lavoro, etc. grave, se le difficoltà risultano a tal punto consistenti da rendere improbabile l’apprendimento in assenza di un insegnamento intensivo, specifico, personalizzato e continuativo. Queste difficoltà dovranno essere valutate e “dimensionate” non attraverso il semplice confronto con le performance attese (anche se questo rappresenta un criterio), ma mediante il ricorso a prove standardizzate Bibliografia American Psychiatric Association, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali – Quinta Edizione, a cura di Biondi M.R., Cortina Editore, Milano, 2014.

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