Per cultura del lavoro si intende il sistema di significati e di valori che in una certa area geografica, ed in un certo periodo storico, vengono attribuiti al lavoro umano; essa riflette da un lato una concezione della persona come soggetto dell’azione e dall’altro una visione del ruolo del lavoro nell’ambito della società in cui questo si esercita. Il rappresenta l’insieme delle opere che una determinata civiltà pone in atto in quanto vicenda umana vitale, proiettata nella dinamica della storia come attualizzazione della sua rappresentazione del mondo e del compito che si autoassegna. Tali opere mirano a conservare la civiltà nelle sue necessità fondamentali di esistenza, a fronteggiare gli eventi sapendo replicare ad essi con risposte appropriate ed innovative, a perfezionare continuamente il patrimonio dei saperi e delle tecniche, a consentire ai suoi membri di condividere le esperienze e le riflessioni che ne fanno un’entità sociale dotata di una cultura peculiare. Mentre tutte le grandi civiltà, compresa quella moderna, hanno espresso un’epica del lavoro come compimento delle premesse da cui traevano alimento, nel corso dell’industrialismo ha iniziato ad emergere, tramite il potente influsso del pensiero di Karl Marx e dei movimenti ad esso ispirati, una critica del lavoro nel sistema capitalistico in quanto causa di alienazione. Effettivamente, in quel periodo la civiltà occidentale ha rischiato di entrare nella parabola della decadenza a causa del «[…] degenerare della libertà nell’automatismo e, mentre l’azione libera è infinitamente varia e del tutto imprevedibile, i processi che hanno carattere di automatismo inclinano ad essere uniformi e regolari» (Toynbee 1983, 19). A questa è seguita nel secolo scorso, in corrispondenza all’affermazione del consumismo e della cultura dell’individuo autosufficiente, un’ulteriore critica fondata sulla frattura fra tempo del lavoro e tempo del loisir, dove solo il secondo costituirebbe lo spazio dell’autorealizzazione umana. In tal modo compare una concezione della felicità individuale non più comprensiva del dovere sociale, ovvero all’etica del lavoro, bensì assorbita entro il diritto di ciascuno di perseguire l’estetica del consumo come ambito in cui il soggetto può acquisire un’identità più soddisfacente i suoi desideri ed impulsi. In realtà nella fase declinante della modernità si sviluppa intorno al lavoro un profondo contrasto: questo è desiderato in quanto condizione di autonomia, di estrinsecazione dei talenti individuali e di riconoscimento sociale, ed allo stesso tempo è fonte di un malessere esistenziale la cui evidenza più chiara è costituita dal recente fenomeno delle auto dimissioni. Ambedue i corni del contrasto trovano però un punto di congiunzione nell’esigenza di un cambiamento delle organizzazioni in cui le persone svolgono la loro opera, concepite non più come spazi nella maggior parte di loro, bensì luoghi in cui è possibile un incontro significativo tra il progetto di realizzazione delle singole persone e lo scopo sociale dell’impresa, nella prospettiva del movimento della sostenibilità. Nel nuovo scenario che si sta manifestando, l’ lavorativa non si esaurisce in una dinamica verso l’esterno, ovvero l’opera compiuta a favore di beneficiari, ma comprende pure un cammino interiore, in quanto consente alle persone di riconoscere la propria e di portare a frutto le proprie potenzialità in una varietà di relazioni sociali. Il lavoro, dal punto di vista di chi lo esercita, presenta infatti un duplice significato: è una relazione di servizio, dotata di valenza sociale nel senso della costruzione di legami di socialità e di apporto di valore; è una relazione interiore che coinvolge la personalità di chi lo svolge e ne esprime il proprio carattere peculiare. Il lavoro è un vero e proprio “vestito” che modella la personalità. Esso emerge da questa come il suo modo di essere e di esprimersi socialmente. Di conseguenza, il lavoro richiede una partecipazione interiore; in un certo modo esso “viene da dentro” e si esprime in passione, curiosità e desiderio di apprendere e migliorare continuamente. La dinamica esteriore e quella interiore si intrecciano nelle interazioni molteplici che il lavoro consente, secondo una logica di scambio e nello stesso tempo di reciprocità: lo scambio consiste nella transazione di beni e servizi tra prestatore ed acquirente sulla base del loro calcolo economico; la reciprocità si realizza tra l’offerta di un bene-servizio nel quale è iscritta la dell’individuo ma anche la sua personalità, ed un riconoscimento che deriva dalla corrispondenza al bisogno (soddisfazione) ma anche dall’apprezzamento del contenuto umano (creativo, estetico) dell’opera lavorativa. Ad un livello più ampio, il lavoro è creazione di civiltà, poiché permette alla persona di partecipare ad un’opera di costruzione di socialità concrete e sensate: in quanto riferimento simbolico, il lavoro è ricerca di senso. Lo si vede molto bene nei giovani, nei quali il lavoro ha soprattutto il valore di un coinvolgimento nel perseguimento di significati esistenziali: la ricerca del primo lavoro significa fare la scelta di un impegno simbolico che possa – innanzi tutto – offrire un senso umano. È il filosofo Antimo Negri il pensatore che ha elaborato il contributo più interessante circa un rapporto umano tra cultura e lavoro; egli ha dedicato tutta la sua vita a dimostrare, scrivendo un’opera monumentale e convincente, l’identità di lavoro e cultura, da cui si comprende come «[…] la storia del lavoro possa intendersi […] come storia della civiltà e la storia della filosofia del lavoro come storia della conquista progressiva della coscienza, da parte dell’uomo, del proprio destino culturale» (Negri 1980, 27). L’attuale cultura del lavoro si è arricchita di tre nuove componenti: la sostenibilità, la complessità e la nuova forma di interazione uomo-tecnologia. L’espressione “sostenibilità” si riferisce ad un orientamento dell’insieme delle energie umane, specialmente quelle del lavoro, a favore dell’equilibrio ambientale, economico e sociale, concepito come una prospettiva morale su cui indirizzare la nuova epoca entro cui siamo incamminati. A differenza del catastrofismo di alcune posizioni radicali, la prospettiva della sostenibilità sollecita le energie positive di tutti i soggetti dell’economia e del lavoro. Emerge la necessità di personale tecnicamente preparato, ma soprattutto dotato di affidabilità in riferimento alle diverse situazioni che si possono presentare nell’organizzazione del lavoro nel rapporto con il contesto esterno, che presentano potenziali rischi circa la salute e la sicurezza delle persone, oltre alla tutela dell’ambiente specie quando si tratti di eventi derivanti da incidenti organizzativi, quelli maggiormente dotati di forza distruttiva. Ciò richiama il carattere complesso della realtà in cui ogni lavoratore svolge il proprio compito. L’attuale stagione presenta un cambiamento continuo e progressivamente accelerato, unito ad una automatizzazione ed una digitalizzazione sempre più spinte. Ma ciò accade però entro un mondo dominato dall’imprevisto, un fattore che può comportare un semplice scostamento da uno standard, ma che può anche essere il segnale di un’emergenza potenzialmente pericolosa per la salute e la sicurezza, oppure ancora di un’opportunità che va colta per tempo. I lavoratori con una postura da diligenti esecutori producono un “effetto silos” che significa mancanza di connessione con il resto dell’organizzazione; il nuovo contesto richiede invece figure dotate di una visione più ampia, della capacità di vedere ogni segnale inatteso e imponderabile, di dialogare con i colleghi del team al fine di giungere ad una diagnosi appropriata e ad un intervento efficace da attuare nei tempi richiesti dalla natura dell’emergenza. La rivoluzione tecnologica dovuta all’applicazione dell’ in molteplici contesti del lavoro e della vita sociale impone a sua volta una cultura più aperta all’interlocuzione tra uomo e tecnologia, che richiede in sostanza un livello più elevato di mobilitazione dell’intelligenza naturale. Si nota, nel dibattito suscitato da questo cambiamento, la dominanza di un pensiero tecnocratico la cui caratteristica consiste nel presupporre che il cervello funzioni come un sistema linguistico artificiale riconducibile ad un numero limitato di connessioni logiche che operano su contesti già noti oppure simulati mediante l’applicazione di algoritmi. Al contrario, la mente umana è dotata di facoltà che vanno oltre la razionalità formale: la trance-logica, l’agentività, l’intelligenza emozionale, il desiderio di significato, lo spingersi in avanti verso il possibile, sono tutti modi dell’intelligenza umana che risultano sempre più indispensabili nel fronteggiare l’imprevisto, e la cui messa in gioco spetta al soggetto dell’intelligenza naturale, visto non come individuo geniale, ma come componente di una comunità operosa e riflessiva. Bibliografia Fischbach F. - Merker A. - Morel P.M. - Renault E., Histoire philosophique du travail, Vrin, Paris, 2022. Gorz A., Metamorfosi del lavoro. 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