Il contratto, secondo la definizione che ne dà l’art. 1321 cod. civ., è «l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale». Nel linguaggio giuridico corrente si usa il termine «contratto» anche per indicare il rapporto tra le parti che consegue all’accordo. Le parti del contratto possono essere costituite ciascuna da una o più persone. Il contratto si dice «bilaterale», quando l'accordo è preso da due sole parti; «plurilaterale» quando è preso da più di due parti. Quando una parte è costituita da più persone, si dice «complessa» (ad esempio un contratto sottoscritto per i lavoratori da più organizzazioni sindacali); quando le dichiarazioni di volontà sono dirette a formare la volontà di un soggetto diverso (ad esempio, la deliberazione dell'assemblea di un’organizzazione sindacale) si dice «collegiale»; quando le dichiarazioni, pur confluendo in un unico atto, restano riferibili alle singole volontà, il contratto si dice «collettivo». Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto, nei soli limiti imposti dalla legge quand’essa detta norme imperative che contengono clausole destinate ad inserirsi nel contenuto del contratto a prescindere, e a volte contro, la volontà dei contraenti. Il contratto di lavoro è il contratto stipulato tra un datore di lavoro e un lavoratore per la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato, con il quale il datore di lavoro si obbliga essenzialmente a corrispondere al lavoratore la retribuzione e il lavoratore si obbliga essenzialmente a rendere al datore di lavoro la propria prestazione lavorativa. È, perciò, un contratto «a prestazioni corrispettive», nel quale ciascuna parte assume l'obbligo di eseguire la prestazione in favore della controparte esclusivamente in quanto quest’ultima, a sua volta, assume l'obbligo di eseguire la propria prestazione in suo favore. Il contratto collettivo di lavoro è l’accordo tra associazioni i datori di lavoro – o, talvolta, un singolo datore di lavoro – e una o più organizzazioni sindacali di lavoratori per determinare il trattamento normativo e retributivo nei rapporti individuali di lavoro che a tale contratto fanno riferimento. Dà origine, quindi, ad una disciplina comune delle relazioni lavorative in un determinato settore merceologico o in una determinata azienda. La regola generale è che il contratto collettivo può derogare alla legge solo in senso più favorevole al lavoratore, così come il contratto individuale., a sua volta, può derogare al contratto collettivo solo in senso più favorevole al lavoratore. Le disposizioni del contratto collettivo hanno validità diretta nei confronti delle parti iscritte alle organizzazioni che lo hanno stipulato e nei confronti delle parti che lo abbiano recepito nel contratto individuale, espressamente o implicitamente chiamandolo a regolare il rapporto individuale di lavoro. La parte retributiva, però costituisce per tutti i rapporti di lavoro, a prescindere dall’applicazione diretta del contratto collettivo, un parametro obbligatorio di riferimento per la determinazione dell’equa retribuzione dovuta al lavoratore ai sensi dell’art. 36 della Costituzione. Il contratto collettivo nazionale di lavoro (in acronimo, «CCNL») costituisce la contrattazione collettiva di «primo livello», applicabile in tutto il territorio nazionale nell’ambito della categoria di riferimento. Gli accordi che si applicano a più categorie, o a tutte le categorie, si denominano «accordi interconfederali», perché vengono stipulati non dalle associazioni sindacali di categoria bensì dalle confederazioni di rappresentanza dei datori di lavoro e dei lavoratori per disciplinare taluni aspetti dei rapporti di lavoro con efficacia intercategoriale. Il contratto collettivo di «secondo livello» può essere stipulato a livello territoriale (in genere, a livello regionale e si denomina, appunto, contratto collettivo regionale di lavoro) o aziendale (è questo il caso del contratto collettivo aziendale di lavoro, stipulato dalle organizzazioni sindacali con il singolo datore di lavoro). Le parti stipulanti rappresentative dei lavoratori nei contratti di secondo livello sono le strutture territoriali delle organizzazioni sindacali che hanno stipulato il CCNL o, nella contrattazione aziendale, le rappresentanze sindacali aziendali costituite nell’ambito delle medesime («Rsa») oppure le rappresentanze sindacali unitarie elette nei luoghi di lavoro («Rsu»). Le materie oggetto della contrattazione di secondo livello (detta anche «decentrata») di norma sono individuate dalla contrattazione nazionale: quand’è così, i contratti di secondo livello si dicono «integrativi». Fa parte del trattamento previsto dai contratti collettivi anche il welfare aziendale, vale a dire l’insieme dei beni e dei servizi che il datore di lavoro eroga ai propri dipendenti per soddisfare loro bisogni di carattere extra lavorativo, le cui prestazioni beneficiano di un regime fiscale agevolato. Si possono distinguere diversi tipi di welfare aziendale: a) «individuale»: rivolto a dipendenti specifici (si tratta dei cosiddetti «benefit», quali auto o alloggio di servizio, servizi a scopo educativo o assistenziale dei familiari, rimborsi relativi ad abbonamenti di trasporto pubblico); b) «obbligatorio»: l’insieme delle prestazioni di utilità sociale imposte dalla legge al datore di lavoro e prive di corrispettivo alcuno, quali il collocamento dei disabili (Legge n. 68/1999), la sorveglianza sanitaria (D.lgs. n. 81/2008), i congedi parentali (D.lgs. n. 151/2001), i congedi assistenziali (Legge n. 104/1992), i congedi per donne vittime di violenza (D.lgs. n. 80/2015), i congedi per recupero da tossicodipendenza e alcol dipendenza (Legge n. 162/1990), i permessi per donatori di sangue (Legge n. 584/1967) e di midollo osseo (Legge n. 52/2001), i permessi per i volontari della protezione civile (D.p.r. n. 194/2001); c) «libero»: l’insieme delle prestazioni di cui il datore di lavoro determina liberamente il contenuto, il valore e le modalità di fruizione, ma rivolto ad una platea omogenea di beneficiari dei beni e dei servizi (ad esempio, i premi per i figli diplomati o laureati); d) «regolamentare»: l’insieme delle prestazioni erogate dal datore di lavoro previa adozione unilaterale di un regolamento aziendale, non revocabile e costitutivo di un obbligo verso i lavoratori; e) «sindacale»: l’insieme delle prestazioni erogate dal datore di lavoro a seguito della sottoscrizione di uno specifico accordo con le organizzazioni sindacali. Il CCNL formazione professionale è sottoscritto, per i datori di lavoro, dalle associazioni Forma e Cenfop e, per i lavoratori, dalle organizzazioni sindacali Flc Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola Rua e Snals Confsal. Il contratto collettivo regionale FP (in acronimo, «CCRL FP») è denotato da autonomia in particolare sulle seguenti materie: a) modalità e tempi di attuazione dei diritti di informazione e della concertazione territoriale; b) costituzione di specifici fondi negli Regionali; c) composizione e funzionamento delle Commissioni regionali; d) criteri per l’aggiornamento professionale, qualificazione, riconversione e riqualificazione del personale dipendente, sperimentazione di nuove figure professionali nonché gestione della sua mobilità, anche in relazione alle innovazioni tecnologiche ed organizzative; e) criteri per determinare quantità e modalità di attribuzione del fondo incentivi e gestione delle indennità varie; f) modalità e parametri per l’attribuzione degli incentivi, ivi compresa la costanza della presenza quale elemento concorrente alla misura della partecipazione per l’attribuzione delle componenti accessorie della retribuzione, corrisposte in relazione ad incrementi di produttività, innovazione ed efficienza organizzativa; g) dinamiche professionali, loro eventuale incentivazione economica e sviluppo di carriera legati alle specificità regionali; h) organizzazione, programmazione e flessibilità dell’orario di lavoro; i) diritto allo studio; l) criteri modalità e tempi per la stabilizzazione dei rapporti di lavoro precari ed atipici in rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Nell’ambito della contrattazione regionale, al fine di armonizzare le esigenze organizzative, le parti firmatarie del CCNL hanno individuato ulteriori specifiche materie che concorrono alla definizione del contratto integrativo di ente. L’assunzione è l’atto costitutivo del rapporto di lavoro. Secondo quanto stabilito dal D.lgs. n. 152/1997, il datore di lavoro è tenuto a comunicare al lavoratore, mediante consegna prima dell'inizio dell'attività lavorativa o del contratto individuale di lavoro oppure della copia della di instaurazione del rapporto di lavoro al Centro per l’impiego, le informazioni essenziali sul contenuto del contratto, (quali, ad esempio, il luogo di lavoro, l'inquadramento, il livello e la qualifica attribuiti al lavoratore, la data di inizio del rapporto di lavoro. la tipologia di rapporto di lavoro, precisando in caso di rapporti a termine la durata prevista dello stesso, la durata del periodo di prova, la durata delle ferie e degli altri congedi retribuiti, l'importo iniziale della retribuzione, la programmazione dell'orario normale di , il contratto collettivo applicato. L’assunzione in prova è consentita dall’art. 2096 cod. civ. e deve risultare da atto scritto; le parti possono liberamente recedere dal rapporto durante il periodo di prova, ma il datore di lavoro solo se abbia effettivamente consentito l’esperimento: a) assegnando al lavoratore le mansioni per cui è stato assunto in prova; b) concedendogli il lasso di tempo, ragionevole e sufficiente a verificare che la prova sia stata superata o sia fallita, determinato dalla contrattazione collettiva, poiché è illegittimo il licenziamento nel periodo di prova intimato dopo un periodo troppo breve. Il collocamento obbligatorio è quello cui hanno diritto le categorie protette: i datori di lavoro che occupano più di 14 dipendenti devono riservare una quota variabile di posti di lavoro ai soggetti disabili (invalidi civili, invalidi del lavoro, non vedenti, sordomuti, invalidi di guerra e di servizio nonché, in via transitoria, alcune specifiche categorie): dai 15 ai 35 dipendenti è necessario assumere un lavoratore disabile, dai 36 ai 50 dipendenti due lavoratori disabili, mentre le aziende con più di 50 dipendenti devono riservare alle categorie protette il 7% dei posti. Il disabile può accedere ai servizi del collocamento mirato mediante l'iscrizione in un apposito elenco; il datore di lavoro, entro 60 giorni da quando sorge l'obbligo di assunzione, può assumere il disabile presentando una richiesta nominativa di avviamento o stipulando con l’autorità competente convenzioni che fissino tempi e modalità per adempiere all’obbligo. Nel caso di omessa assunzione entro tali termini, la richiesta di avviamento può essere solo numerica e, pertanto, gli uffici competenti inviano il disabile presso l'azienda secondo l'ordine di graduatoria per la qualifica richiesta. L'accertamento delle condizioni di viene effettuato da apposite Commissioni mediche istituite presso le Asl. Orario di lavoro, secondo la definizione che ne dà il D.lgs. n. 66/2003, è qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell'esercizio della sua attività o delle sue funzioni; lavoro straordinario è il lavoro prestato oltre l'orario normale di lavoro. L'orario normale di lavoro è fissato per legge in 40 ore settimanali, ma i contratti collettivi possono stabilire una durata minore e riferire l'orario normale alla durata media delle prestazioni lavorative in un periodo non superiore all'anno. Nel CCNL FP l’orario normale di lavoro è di 36 ore settimanali, distribuito su non meno di cinque giorni; per i formatori l’orario di lavoro è comprensivo della formazione diretta, il cui orario convenzionale medio settimanale è pari a 22 ore fino ad un massimo di un monte di 800 ore annue; la distribuzione del monte ore di formazione diretta è definita su un calendario massimo di 46 settimane. L’assunzione può avvenire «a tempo pieno» (full time), vale a dire per l’orario normale di lavoro, oppure «a tempo parziale» (part time), vale a dire per un orario inferiore a quello normale. L’art. 5 D.lgs. n. 81/2015 dispone che il contratto di lavoro a tempo parziale è stipulato in forma scritta ai fini della prova e deve contenere la puntuale indicazione della durata della prestazione lavorativa e della collocazione temporale dell'orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno. Nel rispetto di quanto previsto dai contratti collettivi, il datore di lavoro ha la facoltà di richiedere al dipendente occupato part time lo svolgimento, entro i limiti dell'orario normale di lavoro, di «lavoro supplementare», intendendosi per tale quello svolto oltre l'orario concordato fra le parti ma non oltre l’orario normale. Il lavoro supplementare va retribuito con la maggiorazione determinata dalla contrattazione collettiva, in misura comunque non inferiore al 15% della retribuzione oraria globale di fatto, comprensiva dell'incidenza della retribuzione delle ore supplementari sugli istituti retributivi indiretti e differiti. Le parti del contratto di lavoro a tempo parziale possono pattuire, per iscritto, «clausole elastiche», relative alla variazione della collocazione temporale della prestazione ovvero relative alla variazione in aumento della sua durata. Il lavoratore a tempo parziale non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno di pari inquadramento; ha i medesimi diritti di un lavoratore a tempo pieno comparabile e il suo trattamento economico e normativo è riproporzionato in ragione della ridotta entità della prestazione. Esistono diverse forme contrattuali del lavoro subordinato che si discostano dal suo archetipo; se ne indicano le principali: Contratto di formazione e lavoro: è un contratto di lavoro a tempo determinato, a causa giuridica mista, caratterizzato dalla prestazione lavorativa del lavoratore e dall’obbligo per il datore di lavoro di provvedere alla sua ; istituito dal D.L. n. 863/1984, è ormai ammesso nelle sole pubbliche amministrazioni con giovani di età compresa tra i 16 e i 32 anni. Contratto di inserimento: è un contratto istituito nel 2003, finalizzato all’inserimento o al reinserimento di giovani lavoratori nel , mediante un progetto individuale e con retribuzione ridotta (il «salario di ingresso»); la normativa è stata abrogata con effetto dal 1° gennaio 2013. formativo: costituisce una misura di politica attiva finalizzata agli obiettivi di , e inserimento o reinserimento nel mercato del lavoro; i tirocini possono essere: a) curriculari, percorsi obbligatori di formazione sul posto di lavoro per conseguire diplomi professionali o terminare specifici corsi di specializzazione, consistenti in esperienze di persone iscritte e frequentanti un percorso di istruzione o formazione di livello secondario, dottorati, master universitari o realizzati da istituti di alta formazione accreditati da enti riconosciuti in ambito nazionale o internazionale e, in generale, percorsi formativi che rilasciano un titolo o una certificazione con valore pubblico; b) extracurriculari (o «»), percorsi facoltativi di formazione sul posto di lavoro consistenti in esperienze di orientamento, inserimento o reinserimento lavorativo rivolte a disoccupati, a rischio di disoccupazione o inoccupati, beneficiari di strumenti di sostegno al reddito in costanza di rapporto di lavoro, soggetti disabili e svantaggiati, stranieri non UE residenti all’estero con specifico permesso di soggiorno quali tirocinanti. L’art. 5 Legge n. 53/2000 disciplina il congedo di formazione: i dipendenti con almeno cinque anni di anzianità di servizio presso la stessa azienda possono richiedere uno speciale congedo finalizzato al conseguimento del titolo di studio di secondo grado, del diploma universitario o di laurea e alla partecipazione ad attività formative diverse da quelle poste in essere o finanziate dal datore di lavoro; il congedo non può essere superiore a undici mesi nell’arco della vita lavorativa, fruibili in via continuativa o in modo frazionato. Lavoro intermittente (o «job on call»): l’art. 13 D.lgs. n. 81/2015 lo definisce «il contratto, anche a tempo determinato, mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro, che ne può utilizzare la prestazione lavorativa in modo discontinuo o intermittente secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi», anche con riferimento alla possibilità di svolgere le prestazioni in periodi predeterminati nell'arco della settimana, del mese o dell'anno; può essere concluso con soggetti con meno di 24 anni di età, purché le prestazioni lavorative siano svolte entro il venticinquesimo anno, e con più di 55 anni. Ad eccezione dei settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo, è ammesso per ciascun lavoratore con il medesimo datore di lavoro per un periodo complessivamente non superiore a 400 giornate di effettivo lavoro nell'arco di tre anni solari. E) Lavoro ripartito (o «job sharing»): è il contratto con cui due lavoratori si obbligano in solido a fornire la stessa prestazione lavorativa; i lavoratori in genere possono discrezionalmente sostituirsi tra loro e modificare l’iniziale collocazione temporale delle rispettive prestazioni. La sua regolamentazione legislativa è stata abrogata dal D.lgs. n. 81/2015. : si rinvia alla specifica voce. F) Lavoro domestico, è il contratto di lavoro degli assistenti familiari (colf, badanti, baby-sitter ed altri profili professionali analoghi) addetti, in regime di convivenza o no, al funzionamento della vita familiare e delle convivenze familiarmente strutturate (art. 2240 cod. civ.; Legge n. 339/1958). Il contratto di lavoro autonomo (o «contratto d’opera») è, secondo la definizione che ne dà l’art. 2222 cod. civ., l’accordo con il quale una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente. Sono lavoratori autonomi i coltivatori diretti, i commercianti e gli artigiani, nonché coloro che esercitano una intellettuale per lo svolgimento della quale è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi (art. 2229 cod. civ.). Il lavoratore autonomo organizza il proprio lavoro, restando libero di determinare l'orario di lavoro, il luogo di lavoro, le modalità di svolgimento del lavoro, disponendo in proprio dei mezzi di produzione e assumendo i rischi dell’attività lavorativa sulla base di un corrispettivo liberamente concordato con il committente. Il lavoro occasionale, definito dall’art. 54-bis D.L. n. 50/2017, è un contratto di lavoro autonomo che consente di acquisire prestazioni di lavoro occasionali, intendendosi per tali le attività lavorative che danno luogo, nel corso di un anno civile: a) per ciascun prestatore, con riferimento alla totalità degli utilizzatori, a compensi di importo complessivamente non superiore a 5.000 euro; b) per ciascun utilizzatore, con riferimento alla totalità dei prestatori, a compensi di importo complessivamente non superiore, tranne eccezioni, a 10.000 euro; c) per le prestazioni complessivamente rese da ogni prestatore in favore del medesimo utilizzatore, a compensi di importo non superiore a 2.500 euro. I compensi sono esenti da imposizione fiscale, non incidono sullo stato di disoccupato e sono computabili ai fini della determinazione del reddito necessario per il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno a lavoratori extra Ue. Non possono essere acquisite prestazioni di lavoro occasionali da soggetti con i quali l'utilizzatore abbia in corso o abbia cessato da meno di sei mesi un rapporto di lavoro subordinato o di collaborazione coordinata e continuativa. La collaborazione coordinata e continuativa (o «co.co.co.») è il contratto di lavoro avente ad oggetto una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato (art. 409 cod. proc. civ.); la collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l'attività lavorativa: questi tre requisiti - personalità, continuità, etero-organizzazione - devono sussistere contemporaneamente. A far data dal 1° gennaio 2016 si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente, anche mediante piattaforme digitali. L'estensione della disciplina propria del rapporto di lavoro subordinato non opera, tuttavia, nei seguenti casi: a) per le collaborazioni individuate dalla contrattazione collettiva nazionale comparativamente più rappresentativa; b) per le prestazioni intellettuali rese da soggetti iscritti ad albi professionali; c) per le attività prestate dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dei partecipanti ai collegi ed alle commissioni, esclusivamente in relazione alle loro funzioni. È un contratto di lavoro autonomo anche il contratto di agenzia, con il quale l’agente assume stabilmente l'incarico di promuovere, per conto del preponente, verso retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata (art. 1742 cod. civ.). Il contratto di somministrazione, secondo la definizione che ne dà l’art. 30 D.lgs. n. 81/2015, è «[…] il contratto, a tempo indeterminato o determinato, con il quale un'agenzia di somministrazione autorizzata […] mette a disposizione di un utilizzatore uno o più lavoratori suoi dipendenti, i quali, per tutta la durata della missione, svolgono la propria attività nell'interesse e sotto la direzione e il controllo dell'utilizzatore». Dev’essere stipulato in forma scritta e fa sorgere nell’utilizzatore l'obbligo di comunicare al somministratore il trattamento economico e normativo applicabile ai lavoratori suoi dipendenti che svolgono le medesime mansioni dei lavoratori da somministrare. Per tutta la durata della missione presso l'utilizzatore, i lavoratori del somministratore hanno diritto, a parità di mansioni svolte, a condizioni economiche e normative complessivamente non inferiori a quelle dei dipendenti di pari livello dell'utilizzatore. L'utilizzatore è obbligato, in solido con il somministratore, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e a versare i relativi contributi previdenziali. Il somministratore deve informare i lavoratori sui rischi per la sicurezza e la salute connessi alle attività produttive e formarli e addestrarli all'uso delle attrezzature di lavoro necessarie allo svolgimento dell'attività lavorativa per la quale essi vengono assunti, salvo che il contratto di somministrazione non attribuisca tale obbligo all'utilizzatore, il quale deve comunque osservare nei confronti dei lavoratori somministrati gli obblighi di prevenzione e protezione cui è tenuto, per legge e contratto collettivo, nei confronti dei propri dipendenti. I contratti di solidarietà (Legge n. 863/1984) costituiscono strumenti di integrazione salariale finalizzati alla tutela dell’occupazione mediante diminuzione dell’orario di lavoro non accompagnata dalla perdita totale della retribuzione; vanno stipulati tra il datore di lavoro, rientrante nel campo di applicazione della cassa integrazione guadagni straordinaria («Cigs»), e le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, le loro rappresentanze sindacali aziendali o la rappresentanza sindacale unitaria (art. 51 d.lgs. n. 81/2015); possono assumere due diverse forme: a) contratti «difensivi», aventi ad oggetto la riduzione dell’orario di lavoro finalizzata al mantenimento dell’occupazione in caso di crisi aziendale, evitando la riduzione del personale occupato; b) contratti «espansivi», aventi ad oggetto una riduzione dell’orario di lavoro finalizzata a favorire nuove assunzioni. Il contratto di lavoro si estingue per mutuo consenso o per dimissioni del lavoratore o per licenziamento. La risoluzione consensuale è l’accordo con il quale le parti pattuiscono la cessazione del rapporto di lavoro; va redatta, a pena di inefficacia, esclusivamente con modalità telematiche (tranne i lavoratori domestici) su un apposito modulo, reso disponibile sul sito del Ministero del lavoro, nel quale deve essere indicata la data di cessazione degli effetti contrattuali. È revocabile dal lavoratore entro sette giorni dalla trasmissione del modulo e va convalidata avanti all’Ispettorato territoriale del lavoro in pendenza di gravidanza e durante i primi tre anni di vita del figlio o nei primi tre anni di del minore adottato o in affidamento. La risoluzione consensuale non dà diritto alla NaSpi, tranne che: a) sia intervenuta in sede di conciliazione presso l’Ispettorato territoriale del lavoro; b) sia giustificata dal rifiuto del lavoratore al trasferimento a sede distante più di 50 km. dalla propria residenza o mediamente raggiungibile in 80 minuti o più con i mezzi pubblici. Le dimissioni costituiscono l’atto unilaterale ricettizio con il quale il lavoratore recede dal contratto di lavoro, vincolato dal solo obbligo di concedere il preavviso previsto dalla contrattazione collettiva, tranne il caso in cui siano giustificate da un inadempimento da parte del datore di lavoro di tale gravità da non consentire la prosecuzione, nemmeno provvisoria, del rapporto di lavoro (ad esempio, il mancato pagamento della retribuzione); questa «giusta causa» dà, anzi, diritto al dipendente di ricevere dal datore di lavoro l’indennità sostitutiva del preavviso (art. 2119 cod. civ.). Anche le dimissioni vanno comunicate telematicamente, tranne che per i lavoratori domestici, per i lavoratori che le rassegnano nelle sedi protette di conciliazione, qual è l’Ispettorato del lavoro, nonché per le lavoratrici nel periodo di gravidanza e le lavoratrici e i lavoratori durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento, le cui dimissioni vanno convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro. Il lavoratore ha il diritto di revocare le dimissioni entro i sette giorni successivi alla loro telematica. Il licenziamento consiste nell’esercizio da parte del datore di lavoro del diritto di recesso dal rapporto di lavoro, nei casi in cui tale esercizio è legittimo, oppure di conseguire la sua risoluzione; ai sensi della Legge n. 604/1966 può avvenire solo per un «giustificato motivo oggettivo» di natura tecnica, organizzativa o produttiva o per un «giustificato motivo soggettivo», costituito da un notevole inadempimento del lavoratore dei propri obblighi, oppure (art. 2119 cod. civ.) per una «giusta causa», che non consenta la prosecuzione nemmeno provvisoria del rapporto lavorativo. È nullo, indipendentemente dalla motivazione addotta e comporta, quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro, il licenziamento determinato da ragioni di credo politico o fede religiosa, dall'appartenenza a un sindacato, dalla partecipazione ad attività sindacali o conseguente all'esercizio di un diritto ovvero alla segnalazione, alla denuncia all'autorità giudiziaria o contabile o alla divulgazione pubblica di dati in base alla normativa in materia di protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto (cosiddetto whistleblowing). Il datore di lavoro deve comunicare per iscritto il licenziamento; la comunicazione del licenziamento deve contenere la specificazione dei motivi che lo hanno determinato: il licenziamento intimato senza l'osservanza di queste disposizioni è inefficace. L’impugnazione del licenziamento va effettuata, a pena di decadenza, entro 60 giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch’essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore. L’impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di 180 giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato. Il licenziamento immotivato, intimato cioè con violazione del requisito di motivazione, comporta la dichiarazione giudiziale di estinzione del rapporto di lavoro alla data del licenziamento e la condanna del datore di lavoro al pagamento di un'indennità in misura non inferiore a 2 e non superiore a 12 mensilità (d.lgs. n. 23/2015). Il licenziamento nullo o inefficace comporta la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno con un'indennità commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del Tfr, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative. La medesima disciplina trova applicazione nelle ipotesi di difetto di giustificazione per motivo consistente nella fisica o psichica del lavoratore. Il licenziamento ingiustificato, perché privo di giusta causa o di giustificato motivo comporta l’estinzione del rapporto di lavoro alla data del licenziamento e la condanna del datore di lavoro al pagamento di un'indennità in misura non inferiore a 6 e non superiore a 36 mensilità (importo dimezzato, e comunque non superiore a 6 mensilità, per le piccole imprese), tranne il caso di insussistenza dello fatto materiale stesso contestato al dipendente, caso cui consegue la reintegrazione nel posto di lavoro. Nell'ipotesi di revoca del licenziamento, purché effettuata entro il termine di 15 giorni dalla comunicazione al datore di lavoro della sua impugnazione, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, con diritto del lavoratore alla retribuzione maturata nel periodo precedente alla revoca (art. 5 d.lgs. n. 23/2015). Il licenziamento collettivo è intimato dalle imprese che occupano più di 15 dipendenti e che, in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, intendono effettuare almeno 5 licenziamenti, nell'arco di 120 giorni, in ciascuna unità produttiva o in più unità produttive nell'ambito del territorio di una stessa Provincia (art. 24 Legge n. 223/1991). Le imprese che esercitano tale facoltà sono tenute a darne comunicazione preventiva per iscritto alle rappresentanze sindacali aziendali e alle rispettive associazioni di categoria o, in mancanza di tali rappresentanze, alle associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale. Entro sette giorni dal ricevimento della comunicazione, a richiesta delle organizzazioni sindacali si procede ad un «esame congiunto» tra le parti, allo scopo di esaminare le cause che hanno contribuito a determinare l'eccedenza del personale e le possibilità di utilizzazione diversa del personale dichiarato eccedente, anche mediante contratti di solidarietà e forme flessibili di gestione del tempo di lavoro. Qualora non sia possibile evitare la riduzione di personale, è esaminata la possibilità di ricorrere a misure sociali di accompagnamento intese, in particolare, a facilitare la riqualificazione e la riconversione dei lavoratori licenziati (art. 4 Legge n. 223/1991). In caso di violazione di queste procedure, il giudice dichiara comunque estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento ma condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità in misura non inferiore a 6 e non superiore a 36 mensilità. Il contratto a tempo determinato (artt. 19-29 d.lgs. n. 81/2015) deroga al principio che il contratto di lavoro a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro; al contratto di lavoro può infatti essere apposto un termine di durata non superiore a 12 mesi, senza necessità che sussistano cause che giustificano oggettivamente la determinazione di un scadenza («contratto acausale»); il termine di 12 mesi può essere esteso a 24 mesi, ma solo in presenza di una causa giustificatrice prevista dai contratti collettivi oppure per la sostituzione di lavoratori assenti che conservano il posto di lavoro. Fra gli stessi soggetti può essere concluso un ulteriore contratto a tempo determinato della durata massima di 12 mesi, a condizione che la sottoscrizione avvenga presso la competente sede territoriale dell’Ispettora

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