Le – denominate in senso plurale per evidenziare la varietà e la difformità dei materiali di cui sono composte - rappresentano le cognizioni (nozioni, principi, leggi, regole, procedure, concetti, ecc.) di cui l’individuo dispone, mettendole a frutto nei vari contesti della vita, non solo formali, ma anche non formali e informali. Le conoscenze si costituiscono entro un legame necessario tra le dimensioni dello studio, della ricerca, dell’azione, dell’ e della riflessione. Esse si riferiscono formalmente ad aree disciplinari codificate, oppure a campi d’azione incrementati continuamente dall’ e dall’invenzione. Nelle scienze pedagogiche e psicologiche, le conoscenze sono connesse alle abilità, e rappresentano assieme ad esse gli ingredienti indispensabili perché il soggetto acquisisca la conoscenza intesa come quella qualità, definita da precisi di cognizioni, che consente alla persona di avere consapevolezza circa la realtà che la circonda e quella interiore, e di orientare il proprio agire nel mondo. Le conoscenze possono essere dichiarative, condizionali o procedurali. Sono dichiarative quelle che riguardano il “sapere che cosa” e consentono pertanto di riconoscere (ovvero dare un nome a) un fenomeno. Sono condizionali quelle che si riferiscono al “dove, quando e perché” di un determinato oggetto di conoscenze. Sono procedurali quelle che concernono il “sapere come si fa” tramite una certa operazione e quindi prevedono una stretta relazione con una serie di abilità. Tuttavia, appare difficile procedere oltre in una classificazione delle conoscenze, in quanto la grande varietà di teorie filosofiche e psicologiche sul conoscere impedisce di trovare un’intesa circa una chiara definizione. Se le epistemologie classica e moderna convergevano circa la possibilità di una precisa e completa strutturazione del sapere, conducendo così alla piena legittimazione di istituzioni come la scuola e l’accademia connotate dal compito di accumulare e di insegnare le conoscenze, secondo le attuali correnti epistemologiche non è possibile organizzare tutto il sapere esperto, ma neppure quello insegnato, entro una struttura piramidale rigida e predeterminata; esse al contrario riflettono un universo complesso, senza un centro prestabilito, in continua trasformazione. Ciò comporta il passaggio ad una razionalità meno pretenziosa, ma contestuale e progressiva. Il conoscere richiede, quindi, una continua circolarità tra l’agire e il riflettere sull’azione, al fine di giungere ad acquisizioni ad un tempo teoriche e pratiche, ma comunque in continua trasformazione e difficilmente riconducibili a sistemi dati una volta per tutte. È convinzione diffusa che le conoscenze non possano essere ricondotte unicamente a materie, discipline o aree culturali. Da questo punto di vista si distingue tra “cognizione”, ovvero un sapere puntuale, riferito ad una realtà specifica, e “metacognizione” del sapere che, nella sua organizzazione in un tempo e in uno spazio considerati, presenterebbe sempre una struttura disciplinare. Da ciò consegue che compito della scuola non è trasmettere le nozioni, quanto consentire nell’alunno la formazione di un metodo che gli consenta una «[…] conoscenza pertinente, quella capace di collocare ogni informazione nel proprio contesto e se possibile nell’insieme in cui si inscrive. Si può anche dire che la conoscenza progredisce principalmente non con la sofisticazione, la formalizzazione e l’astrazione, ma con la capacità di contestualizzare e di globalizzare» (Morin, 2000, 8). I processi di apprendimento nell’ambito dell’istruzione e della formazione conducono a risultati di tipo cognitivo che si distinguono dagli apprendimenti di tipo relazionale, emotivo, comportamentale, operativo. Il rapporto tra conoscenze e competenze è anch’esso di tipo complesso. Le conoscenze sono - accanto alle abilità - un ingrediente della . In linea generale, il processo di apprendimento viene strutturato in modo che il soggetto debba acquisire certe cognizioni per poter porre in atto una competenza; ma può succedere che attraverso l’esercizio concreto di una competenza si acquisiscano e si razionalizzino cognizioni che non si possedevano in precedenza. Nell’insegnamento risulta decisivo il processo di trasposizione didattica del sapere. Questo indica l’operazione continuamente effettuata dall’insegnante, finalizzata a creare un contesto in cui il sapere esperto, acquisito mediante anni di studio approfonditi ed in diversi casi anche di esperienza in situazioni reali, possa essere tradotto in sapere insegnato, quello che viene proposto agli alunni nell’azione . Questa operazione si svolge alla luce di tre criteri: la pertinenza rispetto al ciclo ed all’indirizzo degli studi, la significatività per gli alunni e la classe, infine l’accessibilità ed efficacia tenuto conto della situazione cognitiva ed evolutiva di ogni fascia di età. Un’operazione molto delicata, in quanto la riduzione e la semplificazione del sapere esperto non può essere portata oltre il limite della veridicità. Il processo di trasposizione svela il motivo secondo cui, per insegnare, non basta la padronanza del sapere, ma occorre impegnarsi nella sua continua conversione mossi dalle seguenti domande: cosa del mio sapere è indispensabile per la formazione degli alunni? Quale strategia risulta più efficace? In che modo posso semplificare il loro accesso a tale sapere? L’insegnante che non avverte la necessità di questa operazione potrebbe incontrare un rifiuto da parte dei propri studenti, oppure favorire, senza volerlo, un apprendimento mnemonico senza un legame con il reale ed un’interiorizzazione personale. Per svolgere correttamente questa operazione occorrono due tipi di vigilanze: la prima riferita al rischio di un’operazione caratterizzata dalla soggettività, quando i criteri che entrano in gioco sono soprattutto gli interessi, il credo e le preferenze dei singoli insegnanti. Per evitare ciò occorre privilegiare la strada del coinvolgimento dei colleghi entro lo specifico dipartimento disciplinare, e in sintonia – per ciò che riguarda i fattori del contesto – con gli altri dipartimenti. Il dialogo comune tra i colleghi aiuta ad uscire dallo stato della solitudine professionale e a sviluppare convergenze ed arricchimenti reciproci, così da giungere ad un’intesa sui saperi pertinenti, significativi ed accessibili, oltre che sulle strategie didattiche più efficaci; la seconda vigilanza riguarda la dimensione epistemica del sapere proposto, allo scopo di verificare che venga effettivamente offerto ai giovani un “canone formativo” che li aiuti a comprendere il tempo attuale, a poter passare dall’opinione alla conoscenza, e soprattutto a cogliere il potere della mente nell’appropriazione della realtà nelle sue diverse dimensioni. L’OCSE insiste molto nelle sue recenti ricerche e proposte sul superamento di curricoli troppo estesi e poco profondi, sulla necessità di sollecitare negli insegnanti l’abitudine e il gusto della riflessione, del dialogo, della . Tre condizioni affinché quanto proposto corrisponda ad una cultura viva che è tale quando mantiene acceso l’interesse degli studenti e dona loro la possibilità di sperimentare quell’apertura alla totalità del reale che Ernst Cassirer pone come obiettivo terminale della sua filosofia della cultura. Soprattutto la stagione della scuola di massa, insieme alla successiva stagione dove la scuola si è resa troppo permeabile rispetto alle mode culturali e politiche del momento, hanno condotto ad una sorta di indottrinamento, con il rischio di concentrare l’attenzione di insegnanti e studenti sui temi proposti dalle autorità intellettuali e politiche del momento. Risulta invece decisivo favorire l’acquisizione dei contenuti essenziali, quelli in grado di formare i fondamentali dinamismi del pensiero: osservare, ascoltare, approfondire, interpretare, giudicare, agire in modo consapevole e riflettere sul percorso, gli esiti esterni ed interiori ed argomentare sull’operazione culturale compiuta. La ricerca dell’essenzialità e della profondità di ciò che viene insegnato deve portare all’identificazione dei nuclei del sapere, ovvero i temi-valore fondanti una formazione compiuta. Essi risultano dal processo, spiegato in precedenza, di declinazione del sapere esperto in sapere da insegnare, e sono l’esito di una selezione e di una focalizzazione educativa che garantiscano: a) la significatività di quanto viene insegnato, b) l’aderenza epistemologica e c) il legame con la realtà (quindi l’aspetto problematico del sapere proposto) così che possano ispirare all’équipe degli insegnanti le situazioni di apprendimento più idonee da fornire agli allievi. I nuclei del sapere non sono riducibili né a “nozioni” o “contenuti”, ovvero oggetti in sé, separati dal senso del soggetto e dal contesto in cui si svolge la sua esistenza, e neppure a “conoscenze” viste come supporti cognitivi delle pratiche lavorative, poiché in tal caso rischiano di produrre apprendimenti superficiali e di mancare la formazione nell’educando di disposizioni interne durevoli e trasferibili, solo in presenza delle quali si può parlare di formazione compiuta. Essi consistono in “aggregatori sintetici” di saperi formali e saperi della pratica, disciplinari ed interdisciplinari, riferiti ad attività ed esperienze proprie di un certo dominio culturale. Tale campo, connotato da peculiarità epistemica, viene visto non solo per ciò di cui tratta, ma anche per come funziona. In tal modo, essi comprendono contenuti, ma anche metodi, linguaggi, regole d’uso, oltre a valori ed atteggiamenti. Il loro potenziale formativo consente agli allievi la comprensione del mondo, il fronteggiamento di situazioni reali e l’acquisizione di un habitus o disposizione etica circa se stessi, gli altri, il contesto umano ed ambientale. Così concepiti, i nuclei del sapere disegnano l’orizzonte culturale del curricolo, condizione fondamentale affinché gli allievi siano formati all’esercizio della libertà positiva, quella propria di cittadini che hanno a cuore il carattere umano, e sostenibile, della città. Bibliografia Arendt A., La vita della mente, Il Mulino, Bologna, 2009. Bateson G., Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano, 1976. Bertagna G., Verso i nuovi piani di studio, in “Annali dell’Istruzione, n. speciale Stati Generali dicembre, 1-2, pp. 246-277, 2001. Cassirer E., Saggio sull’uomo. Un’introduzione alla filosofia della cultura umana, Armando, Roma, 2009. Dewey J., Democrazia e educazione, Sansoni, Milano, 2004. Gardner H., Intelligenze multiple, Milano, Anabasi, 1994. Martini M. – M.C. Michelini, Il curricolo integrato, FrancoAngeli, Milano, 2020. Morin E., La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Cortina, Milano, 2000. Ocse, Future of Education and Skills 2030, 2019, https://www.oecd.org/education/2030-project/ (ultimo accesso dicembre 2024). Perelman C. – L. Olbrechts-Tyteca, Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Einaudi, Torino, 2001; Sternberg R.J., Stili di pensiero. Differenze individuali nell’apprendimento e nella soluzione di problemi, Erickson Trento, 1998.
Footer: in quest'area va inserito il testo con le specifiche di gestione del glossario