Il compito di realtà indica un metodo formativo al cui centro vi è l’ degli allievi a fronte di una commessa reale densa di significati professionali, culturali, civici e formativi, che opera come un compito sfida e che richiede agli allievi di mobilitare l’intero repertorio delle proprie facoltà-risorse in modo autonomo e responsabile, al fine di giungere ad una soluzione positiva della consegna, soddisfacente le attese dei committenti e delle norme generali e specifiche proprie del campo in cui si opera. Le attività che costituiscono l’oggetto dei compiti di realtà sono azioni complesse, in quanto traggono origine da una situazione problematica da interpretare correttamente, presentano imprevisti che richiedono visione e capacità di decisione, rivelano ai soggetti i fattori in gioco solo lungo il corso l’azione, prevedono più soluzioni egualmente valide, richiedono capacità di negoziazione, un approccio per tentativi ed errori, doti costanti di riflessione, ed autocorrezione. Per tutti questi motivi, il compito di realtà assume un carattere veramente sfidante nel segno della trasversalità delle competenze che accade solo a condizione di un reale confronto e di una continua collaborazione tra i formatori dell’équipe. Quattro sono le caratteristiche essenziali del compito di realtà: è riferito ad un prodotto/servizio tecnico professionale, o parte di esso, con carattere di realtà (non limitato ad un’esercitazione) ed inoltre significativo nel contesto dei traguardi dei percorsi formativi entro cui è inserito; è apportatore di un beneficio reale a favore dei destinatari diretti cui si rivolge, ma anche della comunità, soprattutto sotto il profilo della sostenibilità economica, ecologica e sociale; è motivante per l’allievo in quanto i sentimenti di soddisfazione e di fierezza suscitati dall’apprezzamento dei committenti e beneficiari diretti a seguito di quanto realizzato, consentono di accrescere negli allievi l’autoconsapevolezza e con essa il senso di autoefficacia; la progressione del compito alimenta un reticolo di legami con saperi appartenenti a diversi campi culturali e professionali, combinati variamente a seconda del particolare focus del singolo compito di realtà. La sua struttura prevede tre componenti: quella riferita agli insegnanti ed agli altri attori in gioco, composta da due elementi: la Scheda del compito comprendente il titolo, a chi è rivolto, quando e dove si realizza, le esigenze da cui nasce e gli obiettivi che persegue, segnalando eventualmente le criticità che si possono incontrare; Il Dispositivo riguardante il prodotto/evento finale, le competenze ed i nuclei del sapere prevalenti, le capacità di processo e le , i tempi, le risorse e le modalità di . La Consegna agli allievi nella quale vengono indicati, con un linguaggio chiaro, l’oggetto del compito, i suoi scopi, i prodotti e le loro caratteristiche, le risorse a disposizione compresi tempi e spazi, il valore dell’esperienza ai fini della valutazione. Gli esiti, intesi come benefici a favore di destinatari, allievi e comunità, e le riflessioni emergenti che aiutano la comunità educante a crescere e migliorarsi traendo insegnamento dalle esperienze via via svolte. La letteratura didattica ha assunto largamente l’espressione compito di realtà, ma incorrendo nel pericolo della perdita di chiarezza circa la sua natura e il suo valore euristico, finendo per rendere labili e incerti i suoi confini. Sorge pertanto la necessità di distinguere questa metodologia: da un generico attivismo metodologico, in quanto il termine realtà non può comprendere qualsiasi azione didattica svolta tramite la metodologia laboratoriale, ma richiede la messa in atto di una situazione di centrata su un’attività complessa avente le stesse caratteristiche di un compito ordinario (es.: organizzare un viaggio tra amici) o professionale (es.: organizzare un pacchetto turistico), in modo da trarre da essa tutte le potenzialità formative che le sono proprie; da un’azione didattica avente un prevalente scopo valutativo, come nel caso dell’espressione “compito esperto” spesso utilizzata come sinonimo di compito di realtà, ma che modifica il tipo di ingaggio degli allievi e degli stessi insegnanti, portandoli ad assumere una postura centrata sul voto, perdendo invece il carattere di valutazione “naturale”, quella che si svolge tra il committente ed il gruppo di allevi che si mettono all’opera e che si esprime nell’apprezzamento e nel riconoscimento, oltre che nell’indicazione dei fattori che richiedono un miglioramento. Il compito di realtà così delineato può certamente essere assunto come core focus del dispositivo di valutazione, purché venga gestito secondo un approccio formativo (light e supportivo), che è tale quando risulta parte di un processo di apprendimento situato, dal valore intuitivo, concreto ed amichevole, senza fratture tra apprendimento e valutazione, così da ridurre al minimo le problematiche tipiche delle tecniche di valutazione selettive (high stakes) che, avendo come scopo quello di elaborare una lista numerica in cui collocare gli allievi in base ai loro rendimenti misurati in voti, risultano eccessivamente focalizzate su aspetti circoscritti del sapere, sull’asetticità del contesto e l’impersonalità della prestazione, e che comportano il rischio di travisamento dello scopo finale della stessa azione valutativa. Tenendo conto di queste accortezze, il compito di realtà può rappresentare un contesto in cui si sviluppano processi di grande valore formativo ed emergono evidenze per l’osservazione e la valutazione dell’azione competente, come ambito in cui gli allievi mobilitano spontaneamente il corredo delle proprie acquisizioni (, abilità, le ), sia come singolo individuo sia come partecipante ad un gruppo di lavoro, nel portare a termine compiti significativi e stimolanti che si muovono con una dinamica di attrazione di saperi di varia natura. In tal modo, gli allievi fanno esperienza diretta del carattere vitale della cultura intesa come patrimonio interiorizzato mediante l’ingaggio entro un’azione reale, stimolante, il cui valore risulta incorporato in prodotti che apportano benefici ai destinatari diretti, agli allievi stessi ed anche alla comunità. Il passaggio dalle esercitazioni guidate – tipiche di una didattica centrata sull’insegnante - ai compito di realtà, centrati sul protagonismo degli allievi, richiede tre attenzioni decisive per il loro successo: la valorizzazione dell’intelligenza “naturale” degli allievi, liberandolo da ogni incrostazione “artificiale”, affinché possa mostrare loro in modo chiaro che non appartiene al campo della didattica ma a quello della vita. Il metodo artificiale è troppo cognitivo; questa caratteristica porta con sé una frattura tra apprendimento astratto e pratica concreta, imponendo all’allievo uno sforzo di estraniazione che ne indebolisce la disposizione naturale a “fare bene le cose” in vista di un giudizio ancorato a fattori obiettivi e convincenti propri del mondo reale. È bene ricordare che il carattere di artificialità è presente anche in attività considerate “gradevoli” come i giochi e le diverse formule dell’attivismo didattico quando non sono mosse da un intento pedagogico sostanziale. Per tutti questi aspetti, i metodi didattici artificiali non generano sicurezza e creano una barriera tra la vita scolastica ed il tempo successivo, non aiutando infine la decisione orientativa. Al contrario, il metodo naturale pone gli alunni nel vivo nelle tensioni del mondo circostante che li coinvolgono direttamente; ai loro occhi risulta convincente, tanto da assumere la disciplina intrinseca nel compito come un habitus naturale, quello proprio delle pratiche dotate di buon senso. È in forza di questi aspetti che il compito di realtà risulta in grado di sollecitare i dinamismi che rendono la persona capace di conoscenza del reale e di consapevolezza di sé. Il metodo naturale porge il sapere (essenziale) in modo interessante e ancorato al mondo esteriore e risuonante in quello interiore, stimola l’allievo a proiettarsi in avanti guidato da passione e ragione, lo forma all’autoefficacia ed alla capacità di aiutandolo così ad assumere decisioni personali e fondate. La cura dell’équipe formativa nello scegliere situazioni di apprendimento prossime al contesto in cui tale compito viene assunto e nel disegnare un contesto di apprendimento adeguato: il , la simulazione, l’impresa formativa, l’attività di alternanza/PCTO, l’, il progetto, la ricerca applicata. Ogni volta che è possibile, vanno privilegiate situazioni di apprendimento nella forma del lavoro, con commesse reali apportate da imprese o enti vari che interloquiscono con gli allievi a partire dalla consegna fino alla valutazione del prodotto finale: il rapporto con un soggetto altro rispetto ai propri formatori rappresenta un forte stimolo a saper gestire relazioni basate sulle esigenze degli interlocutori, superando quindi la tendenza autoreferenziale tipica della mentalità del nostro tempo ed imparando la postura del servizio come risposta ai bisogni degli altri in quanto apporta benefici da questi apprezzabili. La capacità degli insegnanti di lasciare gli allievi liberi di esprimersi senza esercitare un controllo o un’intromissione nelle scelte, specie nella forma da conferire al risultato finale. L’esperienza dimostra che si tratta di un cambio di paradigma che richiede tempo; pertanto, la condivisione di best practices tra formatori, la continuità nell’esperienza e una buona capacità di coordinamento sono di grande aiuto in questo passaggio che trasforma il formatore in facilitatore dei processi di apprendimento e di crescita. Da quanto indicato, emerge l’importanza dell’ingaggio degli allievi visto come innesco decisivo affinché si impegnino attivamente mettendo in gioco tutte le proprie facoltà, essendo quindi presente come attore protagonista dell’azione. Una postura che risulta molto differente da quella che il mondo odierno predilige e che propone modelli altamente performanti e competitivi, svolti in contesti in cui la digitalizzazione è vista spesso come una gabbia fatta di adattamenti governati dall’intelligenza iscritta nella tecnologia, rendendo ancora più difficile negli allievi il coinvolgimento personale e quindi la spontanea e fiduciosa partecipazione alle attività formative. La strategia dei compiti di realtà assume quindi il valore di una nuova sfida per i formatori in quanto è chiesto loro di disegnare contesti di apprendimento autentici, rassicurare gli allievi, rendere possibile un ingaggio sereno e premuroso, lasciarli agire liberamente, intervenire, quando esplicitamente richiesto, con chiarimenti, consigli e valorizzazione degli errori come occasione di apprendimento e di crescita personale. Bibliografia Arter J.A. – L. Bond, Why is assessment changing, in Blum R.E. – J.A. 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