Europa e Istruzione e Formazione. Una visione di sintesi

a. Elementi di contesto[1]

All’inizio degli anni Novanta, la visione del mondo degli Europei mutò radicalmente. Nel giro di pochi mesi l’assetto del Pianeta consolidatosi dopo la Seconda Guerra mondiale è stato abbattuto insieme al Muro di Berlino[2] e, con la scomparsa dell’Unione Sovietica[3] e la caduta dei regimi totalitari a essa collegati, il continente europeo si scopre non più diviso in due blocchi separati da una cortina di ferro.[4]

Improvvisamente per i capitali europei si aprono i confini di un mercato immenso e tutto da sfruttare, in cui collocare i capitali finanziari in esubero per poter abbassare i costi di produzione. Infatti, la contemporanea e impetuosa crescita delle economie emergenti delle “Tigri asiatiche” (Taiwan, Singapore, Hong Kong e Corea del Sud) e i segnali sempre più percepibili dell’imminente impetuoso sviluppo economico della Cina, rendono sempre più necessaria la ‘delocalizzazione’ delle produzioni in Paesi con salari più bassi, con tutele del lavoro inesistenti così come i vincoli (costosi) di contenimento dell’inquinamento. L’Europa, dopo secoli di supremazia economa comincia a sentire il fiato della concorrenza che si fa progressivamente sempre più aggressiva.

Un terzo elemento contribuisce in modo decisivo a modificare lo scenario con una velocità mai conosciuta nelle precedenti trasformazioni dei sistemi produttivi: lo sviluppo delle comunicazioni aveva di fatto reso reale quel villaggio globale[5] in cui le distanze non esistono più, annullate dalla comunicazione in tempo reale possibile con la telematica. Il denaro comincia a divenire un qualcosa di ‘immateriale’ che è possibile spostare con un ‘click’ della tastiera. Si afferma la ‘globalizzazione’ come sistema economico e culturale a livello planetario.

In questo scenario e per rispondere a questi problemi, la vecchia Comunità Economica Europea avverte la necessità di un compattamento delle economie e dei sistemici politici dei Paesi membri: il 7 febbraio 1991 a Maastricht vede quindi la luce l’Unione Europea il cui compito sarà quello di armonizzare, integrare, coordinare non solo le economie, ma anche le politiche sociali e le collaborazioni politiche che supportano l’economia.

In questa prospettiva, il primo serio e approfondito approccio analitico alle condizioni sociali ed economiche dell’Unione e che segnano il cammino verso la definizione di una ‘idea europea’ del lavoro e del rapporto tra lavoro e Istruzione e Formazione trova espressione nel cosiddetto Libro Bianco di Delors[6]Crescita, competitività e occupazione - Le sfide e le vie da percorrere per entrare nel XXI secolo” del 1993, presentato alla Commissione Europea come documento ufficiale dell’Unione.

Di fronte alla crisi occupazionale Delors propone ai paesi membri di costruire una nuova economia sana, aperta, decentrata, competitiva e solidale.

Per la Commissione scommettere sulla crescita dell’Europa significa puntare sul “capitale umano, la risorsa principale, e sulla superiore competitività rispetto agli altri paesi valorizzando congiuntamente il senso di responsabilità individuale e di responsabilità collettiva[7], elementi questi che caratterizzano quei valori di civiltà europea che vanno conservati e adattati al mondo di oggi e di domani” e che concepiscono lo sviluppo inteso come diffusione del benessere a fette sempre più consistenti di popolazione grazie alla diffusione dei diritti e dell’economia solidale (sviluppo socialmente sostenibile).

La cultura, l’istruzione, la “qualità” sono le chiavi che potrebbero permettere all’Europa di mantenere la competitività internazionale senza abbassare i livelli di civiltà civile e sociale raggiunti.

Una tale affermazione del resto è ampiamente radicata nella storia e nella cultura europea: la troviamo estesamente declinata nell’art. 149 del Trattato sulla Comunità Europea siglato a Roma nel 1957 e ripresa integralmente nel 1997 dal trattato di Amsterdam e infine accolta dal Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 che modifica il trattato sull’Unione europea: “La Comunità contribuisce allo sviluppo di un “istruzione di qualità incentivando la cooperazione tra Stati membri e, se necessario, sostenendo e integrando la loro azione nel pieno rispetto della responsabilità degli Stati membri per quanto riguarda il contenuto dell’insegnamento e l’organizzazione del sistema di istruzione, nonché delle loro diversità culturali e linguistiche”.

In questa ottica l’educazione ha la duplice responsabilità di concorrere alla conservazione di una “competitività al rialzo” in cui l’abbattimento dei costi è scongiurato dal mantenimento di alti standard di qualità per sostenere i quali non è produttivo abbinare bassi salari con alti tassi di disoccupazione così da avere sempre mano d’opera a buon prezzo. Al contrario la competitività è il frutto di alti livelli di occupazione in mestieri e mansioni culturalmente qualificate. La ricchezza della cultura (cioè la ricchezza spesa a istruire i lavoratori) si riversa nella merce e ne costituisce il valore aggiunto. Ecco, dunque, la necessità di contrastare “l’inadeguato livello dell’istruzione e della formazione professionale di fronte sia ai rapidi mutamenti della tecnologia, che alla sfida portata al sistema europeo dalla globalizzazione dell’economia” e il ruolo centrale che in ciò assumono i sistemi scolastici e formativi: “imparare ad imparare per tutto il corso della vita” è la chiave di volta per la ricostruzione del sistema sociale europeo. Di qui lo sforzo che l’Unione Europea deve compiere per sostenere le politiche della formazione e dell’educazione nei Paesi membri.

Sulla scia di tale analisi, nel 1995 Edith Cresson (all’epoca, membro della Commissione Europea con la delega alla scienza, alla ricerca e allo sviluppo) pubblicò il libro “Insegnare e apprendere: verso la società conoscitiva”.

La tesi di Cresson era che se, per ipotesi, dieci milioni di posti di lavoro fossero stati immediatamente disponibili, le imprese avrebbero avuto enormi difficoltà a reperire la totalità dei candidati idonei a occuparli per via della mancanza di qualifiche sufficienti.

Ecco, dunque, una domanda ineludibile per i governi e i sistemi scolastici europei.

Come formare lavoratori qualificati, in possesso delle necessarie competenze e in grado di adattarle rapidamente a nuove esigenze?

Come dotare l’individuo di conoscenze e qualifiche di base suscettibili di aiutarlo nel corso della sua esistenza?

La risposta è semplice: “A scuola e dalla scuola si esigono nuove forme del sapere”.

E non solo: all’Europa si chiede un forte impegno di collaborazione e integrazione ‘tra’ e ‘dei’ sistemi formativi e una nuova integrazione tra questi e il mondo del lavoro.

L’Europa deve:

  • garantire la mobilità degli studenti e dei lavoratori;
  • avvicinare la scuola all’impresa con l’ausilio di un programma di mobilità dei tirocinanti e grazie a uno statuto europeo del tirocinante;
  • sostenere una vera e propria industria europea del software educativo e multimediale, effettivo strumento pedagogico di domani;
  • sostenere qualsivoglia iniziativa nazionale o locale intesa a offrire, grazie a un insegnamento adattato che si valga delle nuove tecnologie dell’informazione, una seconda possibilità educativa ai giovani che non hanno avuto successo nel sistema scolastico classico.

b. Lisbona 2000

Facendo seguito alla strategia individuata dal Libro Bianco di J. Delors e agli impulsi offerti dall’analisi di Cresson, il Consiglio Europeo di Lisbona del marzo 2000 ha posto per l’Europa l’obiettivo di diventare l’economia della conoscenza più competitiva e più dinamica del mondo, capace di una crescita economica sostenibile e accompagnata da un miglioramento quantitativo e qualitativo dell’occupazione e da una maggiore coesione sociale.

Gli obiettivi di Lisbona, per quanto estremamente ambiziosi, ero molto concreti:

  • aumento degli investimenti per l’istruzione e la formazione: non c’è un parametro specifico, il dato relativo a ogni Stato verrà inserito in un’analisi comparata (benchmarking) con quello degli altri Stati;
  • abbandono scolastico: dimezzare il tasso si abbandono, per arrivare a una media nell’Unione Europea inferiore al 10%;
  • aumento dei laureati in matematica, scienze e tecnologia di almeno il 15% entro il 2010 e dimezzare la disparità fra i sessi dei laureati in questi settori;
  • aumento almeno all’80% della popolazione compresa tra i 25 e i 64 anni che ha portato a termine la propria istruzione secondaria superiore;
  • competenze fondamentali: la percentuale dei quindicenni con livelli bassi di capacità di lettura e di nozioni di matematica e scienze deve essere almeno dimezzata (rapporti PISA);
  • apprendimento per tutto l’arco della vita: il livello del Longlife Learning (apprendimento per tutta la vita) deve essere almeno del 15% e in nessun paese deve essere al di sotto del 10%.

Per realizzare tali obiettivi, la Presidenza del Consiglio Europeo a Stoccolma del 2001 assunse tre assi strategici:

  • migliorare la qualità e l’efficacia dei sistemi di istruzione e formazione dell’UE;
  • agevolare l’accesso di tutti ai sistemi di istruzione e formazione;
  • aprire al mondo esterno i sistemi di istruzione e formazione.

Furono così individuati gli Obiettivi Strategici per l’Istruzione, adottati dal Consiglio Istruzione del 12 febbraio 2001 e approvati dal Consiglio Europeo di Stoccolma del 23-24 marzo 2001.

Sulla base di queste priorità il Consiglio d’Europa ha elaborato successivamente le competenze chiave che i sistemi scolastici europei avrebbero dovuto assumere come asse comune di organizzazione delle conoscenze:

  • lettura, scrittura e calcolo (competenze di base);
  • competenze di base in matematica, scienze e tecnologia;
  • lingue straniere;
  • competenze nel settore delle TIC e uso della tecnologia;
  • apprendere ad apprendere;
  • competenze sociali;
  • spirito d’impresa;
  • cultura generale.

Per lo sviluppo di tali competenze chiave, nel 2005 il Consiglio Europeo a Bruxelles ha emanato una Raccomandazione ai Governi degli Stati membri di provvedere urgentemente a riorganizzare i propri sistemi sulla base delle competenze chiave così formalizzate:

  1. comunicazione nella madrelingua;
  2. comunicazione nelle lingue straniere;
  3. competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia;
  4. competenza digitale;
  5. imparare a imparare;
  6. competenze interpersonali, interculturali e sociali e competenza civica;
  7. imprenditorialità;
  8. espressione culturale.

Ogni Stato membro, in questi anni, si è attivato per corrispondere a un tale oneroso impegno di adeguamento e conversione dei propri sistemi formativi e anche l’Italia ha prodotto un reale e significativo cambiamento del proprio sistema di istruzione e formazione.

c. Europa 2020

Nel 2010 si è potuto constatare che gli esiti dell’attuazione della strategia di Lisbona nel nostro Paese non sono stati molto positivi.

Se sul piano della riforma strutturale degli Ordinamenti gli obiettivi sono stati tutti essenzialmente colti, lo stesso non si può dire per i risultati rispetto ai traguardi educativi.

Questi, sinteticamente, sono i risultati sul piano degli esiti del processo:

Benchmark Lisbona 2000

media europea

Italia

85% giovani conseguono diploma superiore

78,5%

76,5%

Abbandono massimo 10%

14,9%

19,7%

Formazione permanente 12,5%

9,5%

6,3%

Diminuire al 20% giovani con scarsa comprensione del testo

24,1%

26,4$

Aumento 15% laureati in matematica, scienze e tecnologia

+ 33,6%

+ 112,5%

Pur nella sua estrema sintesi, la tabella ci evidenzia due criticità importanti per i riflessi sociali che adombrano.

Il numero di studenti con difficoltà di lettura è in realtà aumentato perché nel 2000, prima dell’avvio del programma di Lisbona, la media europea era del 21,3%.

L’incremento dello “scarso alfabetismo” in Italia si è verificato soprattutto nelle fasce deboli e questo testimonia del fatto che la crisi sta rendendo i poveri sempre più poveri mentre le fasce agiate si stanno riconvertendo (aumento dei laureati non in assoluto ma nelle facoltà tecnico-scientifiche, anche se va considerato che il dato in tabella afferisce alla laurea triennale). In questo scenario, già di per sé problematico per l’Italia, si è abbattuta la crisi globale del sistema capitalistico che ha imposto all’UE di ripensare complessivamente la sua strategia di sviluppo.

Nel 2008, nella fase finale di applicazione del programma Lisbona 2000, l’Europa è stata interessata dall’esplosione dalla più grande crisi economica dell’età contemporanea e che, tutt’ora in corso per l’area dell’euro, ha da subito posto nuovi e seri problemi di ristrutturazione dell’assetto sociale e produttivo dei Paesi dell’Unione. Il crollo del PIL, l’incremento massiccio della disoccupazione, il blocco dei consumi indotto dalla nuova povertà, hanno posto all’Europa serie domande su come uscire dalla crisi.

La Commissione europea ha lanciato il 3 marzo 2010 la strategia “Europa 2020” che delinea un quadro dell’economia di mercato sociale europea per il prossimo decennio, sulla base dei tre settori prioritari:

  • crescita intelligente, sviluppando un’economia basata sulla conoscenza e sulla innovazione;
  • crescita sostenibile, promuovendo un’economia a basse emissioni di carbonio;
  • economia con un alto tasso di occupazione, che favorisca la coesione sociale e territoriale.

Sul piano sociale gli obiettivi generali di “Europa 2020” sono tutti incentrati sull’emergenza lavoro ed il riposizionamento strategico dei settori produttivi in chiave di competitività ed eco-sostenibilità:

  1. il 75% delle persone di età compresa tra 20 e 64 anni deve avere un lavoro;
  2. il 3% del PIL dell’UE deve essere investito in R&S (ricerca e sviluppo);
  3. devono essere raggiunti i traguardi “20/20/20” in materia di clima/energia (ridurre del 20% le emissioni di gas a effetto serra, portare al 20% il risparmio energetico e aumentare al 20% il consumo di fonti rinnovabili);
  4. il tasso di abbandono scolastico deve essere inferiore al 10% e almeno il 40% dei giovani deve avere una laurea o un diploma;
  5. 20 milioni di persone in meno devono essere a rischio di povertà.

Per conseguire tali obiettivi, la Commissione ritiene che l’UE 2020 debba essere guidata da fattori di stimolo tematici imperniati sulle seguenti tre priorità:

  1. una crescita basata sulla conoscenza come fattore di ricchezza: in un mondo in cui i prodotti e i processi si differenziano in funzione dell’innovazione, le opportunità e la coesione sociale vanno potenziate valorizzando l’istruzione, la ricerca e l’economia digitale;
  2. coinvolgimento dei cittadini in una società partecipativa: l’acquisizione di nuove competenze, l’accento sulla creatività e l’innovazione, lo sviluppo dell’imprenditorialità e la possibilità di cambiare facilmente lavoro sono i fattori essenziali in un mondo che offrirà più occupazione;
  3. un’economia competitiva, interconnessa e più verde. A tal fine, potranno contribuire anche il potenziamento e l’interconnessione infrastrutturale, la riduzione degli oneri amministrativi e una maggiore rapidità dei mercati e sfruttare le innovazioni.

Il settore dell’Istruzione e della Formazione Professionale, in questo scenario, è dunque di assoluta rilevanza e l’Europa è chiamata a ristrutturare tutto il proprio apparato formativo per rispondere alle nuove, inattese esigenze.

Non si partiva comunque da zero. Grazie al programma di “Lisbona 2000”, come già visto sopra, l’UE “ha istituito, per la prima volta, un quadro solido per la cooperazione europea nel settore dell’Istruzione e della Formazione, fondato su obiettivi comuni” grazie al quale si sono armonizzati i sistemi formativi mentre l’assunzione dell’EQF ha reso possibile una circolazione dei lavoratori nell’Unione rispettosa delle qualifiche e delle competenze acquisite nel corso della propria vita.

Su questo robusto tessuto unitario, andavano innestate nuove politiche educative.

Nel Consiglio d’Europa del 12 maggio 2009, sono stati stabiliti gli assi portanti della nuova strategia decennale dell’Europa nel campo della formazione (Europa 2020 - Istruzione) e sono stati posti i seguenti obiettivi strategici:

  1. Fare in modo che l’apprendimento permanente e la mobilità divengano una realtà.

Bisogna pensare a “sistemi di istruzione e formazione più reattivi di fronte al cambiamento e più aperti verso il mondo esterno. … Occorre soprattutto adoperarsi per garantire lo sviluppo dei quadri nazionali delle qualifiche sulla base dei relativi risultati dell’apprendimento e del loro collegamento al Quadro europeo delle qualifiche, l’istituzione di percorsi di apprendimento più flessibili, inclusi migliori transizioni tra i vari settori dell’istruzione e della formazione, una maggiore apertura verso l’apprendimento non formale e informale e una trasparenza e un riconoscimento maggiori dei risultati dell’apprendimento”

  1. Migliorare la qualità e l’efficacia dell’Istruzione e della Formazione

La sfida principale consiste nel garantire che ciascuno possa acquisire le competenze fondamentali, sviluppando al tempo stesso, a tutti i livelli dell’Istruzione e della Formazione, l’eccellenza e l’attrattiva che consentiranno all’Europa di conservare un forte ruolo globale.

Per raggiungere tale traguardo su una base sostenibile, deve essere prestata maggiore attenzione al miglioramento del livello delle competenze di base come la lettura, la scrittura e il calcolo, rendendo la matematica, le scienze e la tecnologia più allettanti, nonché al rafforzamento delle competenze linguistiche ... garantire un insegnamento di qualità elevata, offrire un’istruzione iniziale adeguata agli insegnanti e uno sviluppo professionale continuo agli insegnanti e ai formatori e rendere l’insegnamento una scelta di carriera allettante.

  1. Promuovere l’equità, la coesione sociale e la cittadinanza attiva:

I sistemi di Istruzione e di Formazione dovrebbero mirare ad assicurare che tutti i discenti, compresi quelli che provengono da un ambiente svantaggiato o con bisogni specifici e i migranti, completino la loro istruzione, anche, se del caso, attraverso le scuole della seconda opportunità e l’offerta di apprendimento maggiormente personalizzato.

  1. Incoraggiare la creatività e l’innovazione, compresa l’imprenditorialità, a tutti i livelli dell’istruzione e della formazione.

La prima posta in gioco consiste nel promuovere l’acquisizione da parte di tutti i cittadini di competenze trasversali fondamentali: in particolare le competenze digitali, «imparare ad imparare», lo spirito d’iniziativa e lo spirito imprenditoriale, e la sensibilizzazione ai temi culturali.

Una seconda sfida consiste nel vigilare sul buon funzionamento del triangolo della conoscenza: istruzione/ricerca/innovazione.

I partenariati tra il mondo imprenditoriale e i vari livelli e settori dell’istruzione, della formazione e della ricerca possono contribuire a garantire una migliore concentrazione sulle capacità e competenze richieste nel mercato del lavoro sviluppando l’innovazione e l’imprenditorialità in tutte le forme d’insegnamento.

Il documento prosegue dettando, dopo gli obiettivi strategici, i benchmark che sostituiscono, evolvendoli, quelli di Lisbona 2000:

  • Partecipazione degli adulti all’apprendimento permanente

Per favorire una maggiore partecipazione degli adulti all’apprendimento permanente, in particolare la partecipazione degli adulti scarsamente qualificati:

  • Entro il 2020, una media di almeno il 15% di adulti dovrebbe partecipare all’apprendimento permanente.
  • Risultati insufficienti nelle competenze di base

Per assicurare che tutti i discenti raggiungano un livello adeguato nelle competenze di base, specialmente nella lettura, nella matematica e nelle scienze:

  • Entro il 2020, la percentuale dei quindicenni con risultati insufficienti in lettura, matematica e scienze dovrebbe essere inferiore al 15%.
  • Diplomati dell’istruzione superiore

Data la domanda crescente di diplomati dell’istruzione superiore, e pur riconoscendo l’uguale importanza dell’istruzione e della formazione professionale:

  • Entro il 2020, la percentuale di persone tra i 30 e i34 anni in possesso di un diploma d’istruzione superiore dovrebbe essere almeno del 40%.
  • Abbandono prematuro di istruzione e formazione

Quale contributo per assicurare che un numero massimo di discenti completi la propria istruzione e formazione:

  • Entro il 2020, la percentuale di giovani che abbandonano prematuramente l’istruzione e la formazione dovrebbe essere inferiore al 10%.
  • Istruzione della prima infanzia

Per aumentare la partecipazione all’istruzione della prima infanzia quale punto di partenza per il futuro successo scolastico, in particolare nel caso di chi proviene da un ambiente svantaggiato:

  • Entro il 2020, almeno il 95% dei bambini di età compresa tra i 4 anni e l’età dell’istruzione primaria obbligatoria dovrebbe partecipare all’istruzione della prima infanzia.

d. Le priorità della Commissione europea per il periodo 2019 – 2024

Ogni cinque anni, all’inizio di ogni nuovo mandato della Commissione europea, il/la Presidente definisce i settori prioritari su cui la Commissione intende concentrarsi.

A seguito dei risultati delle elezioni europee del 2019 e del mandato ricevuto dal Consiglio europeo e dal Parlamento europeo, la Commissione von der Leyen ha proposto una serie di obiettivi ambiziosi per il futuro dell’Europa:

  • conseguire la neutralità climatica entro il 2050;
  • fare degli anni ‘20 il “decennio digitale europeo”;
  • rafforzare l’Europa nel mondo con un approccio più geopolitico.

Per raggiungere questi ambizioni obiettivi la Commissione ha individuato sei priorità:

  1. Un Green Deal europeo

Costruire una nuova strategia di crescita per trasformare l’Unione europea in un’economia moderna, neutra in termini di emissioni di carbonio, efficiente sotto il profilo delle risorse, sostenibile e competitiva.

  1. Un’Europa pronta per l’era digitale

Rafforzare la sovranità digitale, con una chiara attenzione ai dati, alle tecnologie e alle infrastrutture, per una trasformazione digitale che sia al servizio di tutti gli europei.

  1. Un’economia al servizio delle persone

Creare un ambiente più favorevole agli investimenti e sostenere una crescita che crei posti di lavoro di qualità, in particolare a favore dei giovani e delle piccole imprese.

  1. Un’Europa più forte nel mondo

Promuovere il multilateralismo e l’ordine mondiale basato sulle regole, attraverso un approccio coordinato all’azione esterna e una voce europea unita nel mondo.

  1. Promuovere il nostro stile di vita europeo

Garantire un’Unione europea sociale ed economica improntata all’uguaglianza, alla tolleranza e all’equità per tutti i cittadini e fondata sullo Stato di diritto.

  1. Un nuovo slancio per la democrazia europea

Rafforzare il ruolo dei cittadini europei nel processo decisionale e nella definizione delle priorità dell’UE, proteggendo nel contempo la nostra democrazia da interferenze esterne.

Oltre alle 6 priorità principali, la Commissione europea guida un programma per sostenere la ripresa dell’Europa a seguito del disastro sociale ed economico causato dalla pandemia di Covid-19.

e. Una Istruzione e Formazione di qualità per favorire la coesione sociale

All’interno di questo quadro le politiche europee per il settore Istruzione, Formazione e Gioventù mirano a sostenere un’istruzione e formazione di qualità e favorire la coesione sociale.

L’UE sostiene gli sforzi compiuti dagli Stati membri per fornire ai propri cittadini un elevato livello di istruzione e formazione. Promuove inoltre il multilinguismo in Europa, sostenendo l’insegnamento e l’apprendimento delle lingue, incoraggiando la mobilità degli studenti, dei tirocinanti, degli insegnanti e dei giovani e favorendo lo scambio di informazioni e di esperienze.

L’UE definisce il quadro in cui i paesi dell’UE possono scambiarsi le migliori pratiche e imparare gli uni dagli altri, allo scopo di:

  • fare in modo che l’apprendimento permanente e la mobilità divengano una realtà
  • migliorare la qualità e l’efficacia dell’istruzione e della formazione
  • promuovere l’equità, la coesione sociale e la cittadinanza attiva
  • favorire la creatività, l’innovazione e lo spirito imprenditoriale.

Per conseguire gli obiettivi fissati nel quadro per l’istruzione e la formazione, l’UE attua politiche in settori quali:

  • l’educazione e cura nella prima infanzia
  • le scuole
  • l’istruzione e la formazione professionale
  • l’istruzione superiore
  • l’istruzione degli adulti.

Per quanto riguarda i giovani, la collaborazione tra gli Stati membri avviene nell’ambito della strategia dell’UE per la gioventù.

Inoltre, attraverso il programma Erasmus+, l’UE sostiene singole persone, organizzazioni e la riforma delle politiche in questo campo erogando finanziamenti, strumenti e risorse intesi a favorire:

  • attività di studio, formazione e perfezionamento per studenti, tirocinanti e docenti all’estero,
  • soggiorni all’estero per giovani ed educatori,
  • l’avvio di partnership per l’innovazione nel campo dell’istruzione, della formazione e della gioventù,
  • lo scambio di conoscenze e la riforma delle politiche al fine di sostenere la crescita, l’occupazione, l’equità e l’integrazione in Europa.

Il corpo europeo di solidarietà offre ai giovani la possibilità di svolgere attività di volontariato o di lavorare nell’ambito di progetti condotti nel proprio paese o all’estero a favore delle persone e delle comunità locali di tutta Europa.

  • Istruzione obbligatoria in Europa

Eurydice aggiorna in modo costante la durata dell’istruzione/formazione obbligatoria in Europa. Nella scheda allegata vengono sottolineate le età di inizio e di fine del percorso di istruzione/formazione e vengono distinti i concetti di istruzione/formazione obbligatoria a tempo pieno e a tempo parziale per ciascun paese.

Le informazioni, che si riferiscono all’anno scolastico 2020/21, sono disponibili per i 43 sistemi educativi europei, che coprono i 38 paesi partecipanti al programma dell’UE Erasmus+.

  • La libertà di scelta educativa in Europa

La situazione della libertà di scelta in Italia è ormai nota. Dario Antiseri, in una sua recente pubblicazione, scrive con durezza: “In Italia la scuola libera è solo libera di morire[8].

In un convegno promosso da CISM e USMI, il Card. Gualtiero Bassetti, Presidente della CEI, ha così commentato il tema “La libertà di scelta educativa in Italia e in Europa”:

Si avvia a conclusione il decennio che la Chiesa italiana ha voluto dedicare all’educazione, e proprio dal documento che inaugurava questo decennio (Educare alla vita buona del Vangelo, Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020) possiamo prendere qualche spunto.

Anzitutto, nelle pagine iniziali si afferma che «nell’educazione, la libertà è il presupposto indispensabile per la crescita della persona», perché «siamo nel mondo con la consapevolezza di essere portatori di una visione della persona che, esaltandone la verità, la bontà e la bellezza, è davvero alternativa al sentire comune» (n. 8).

Nel paragrafo dedicato alla scuola cattolica si declinava invece il principio di libertà in relazione alla scelta educativa dei genitori: «La scuola cattolica costituisce una grande risorsa per il Paese. In quanto parte integrante della missione ecclesiale, essa va promossa e sostenuta nelle diocesi e nelle parrocchie […]. In quanto scuola paritaria, e perciò riconosciuta nel suo carattere di servizio pubblico, essa rende effettivamente possibile la scelta educativa delle famiglie, offrendo un ricco patrimonio culturale a servizio delle nuove generazioni» (n. 48).

Purtroppo, nonostante l’impegno profuso dalle realtà ecclesiali nel promuoverle e sostenerle, la vita delle scuole cattoliche non è facile, perché manca in Italia quella vera parità che altri Paesi riescono a garantire tra scuole statali e non statali. Ciò può spiegare, insieme ad altri fattori, il calo progressivo nel numero di scuole cattoliche registrato negli ultimi anni in Italia, e ancor più il calo nel numero degli alunni di queste scuole. Negli ultimi dieci anni, infatti, sono scomparse circa 1.000 scuole cattoliche (su un totale di quasi 9.000) e si sono persi più di 160.000 alunni.

Prendo questi dati dalle ricerche condotte ogni anno dal Centro Studi per la Scuola Cattolica della CEI, che monitora la situazione del settore e documenta purtroppo la grave crisi in cui le scuole cattoliche si trovano attualmente.

Ma questi numeri non devono indurci a considerazioni pessimistiche. Accanto alle tante scuole che si chiudono ce ne sono di nuove che si aprono e che rivelano la domanda di educazione cristiana che le famiglie desiderano per i propri figli: una domanda che potrebbe essere molto maggiore se solo le condizioni economiche fossero diverse.

Non si tratta solo della crisi economica che affligge ancora l’Italia e che induce molte famiglie a rinunciare alle spese giudicate non indispensabili (anche se le spese per l’educazione dei figli non possono definirsi accessorie o, peggio, un “lusso”). Si tratta anche dei riflessi dell’inverno demografico e della crisi in cui si dibattono le stesse scuole cattoliche a fronte di spese crescenti per il personale e per le strutture.

È un’eccezione italiana che certo non fa onore al nostro Paese. Nel resto del mondo e in Europa le cose vanno senz’altro meglio.

Per un rapido panorama possiamo partire dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948), in cui all’art. 26, comma 3, si afferma che «i genitori hanno diritto di priorità nella scelta dell’istruzione da impartire ai loro figli». E questo diritto alla libertà di scelta educativa è ripreso dai successivi documenti promulgati da diverse sedi internazionali. Ovviamente non è questa la sede per ripercorrere le singole dichiarazioni, ma sarebbe una lettura utile per confrontare la condizione italiana con il quadro internazionale.

Se ci limitiamo a guardare all’Europa, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (la cosiddetta Carta di Nizza, dell’anno 2000) afferma nell’art. 14 il diritto all’istruzione per tutti e, nel comma 3, ribadisce che «la libertà di creare istituti di insegnamento nel rispetto dei principi democratici, così come il diritto dei genitori di provvedere all’educazione e all’istruzione dei loro figli secondo le loro convinzioni religiose, filosofiche e pedagogiche, sono rispettati secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio». Le legislazioni dei Paesi europei garantiscono quasi ovunque questo diritto e purtroppo l’Italia è uno dei pochi Paesi che impediscono di vedere attuato in tutta Europa questo principio. Ben due risoluzioni del Parlamento europeo, nel 1984 e nel 2012, hanno ribadito la necessità di finanziare anche i costi delle scuole non statali che offrono, come le scuole cattoliche, un servizio scolastico di qualità.

Il Centro Studi per la Scuola Cattolica ha dedicato un suo recente Rapporto al Valore della parità (2017), analizzando il quadro nazionale ed europeo e giungendo alla conclusione che purtroppo l’Italia si distingue negativamente in un contesto invece aperto ed attento al contributo dei soggetti non statali alla fornitura del servizio scolastico, cui sono assicurati regolari finanziamenti per coprire almeno buona parte dei costi di esercizio, in nome di quel principio di sussidiarietà che oggi è affermato anche nella Costituzione italiana ma non ancora pienamente attuato.

Non è però sui soli aspetti economici che intendo soffermarmi. La finalità di una scuola cattolica non è solo quella di assicurare un generico servizio scolastico, ma quella di offrire un valore aggiunto al percorso educativo dei suoi allievi mediante l’ispirazione evangelica che deve permeare tutte le attività scolastiche. Un’ispirazione che non contraddice la laicità della scuola italiana: quest’ultima, infatti, non si identifica con un indifferentismo religioso, bensì si esprime anche con un’apertura alla dimensione religiosa, riconoscendo come il cristianesimo abbia contribuito a dare forma ai valori e alla cultura del nostro Paese e dell’Europa.

La Chiesa ha un patrimonio di valori educativi che non può disperdersi solo per ragioni economiche: vorrebbe dire che abbiamo costruito la nostra casa sulla sabbia e non sulla roccia di una solida convinzione missionaria. Le Congregazioni religiose hanno carismi educativi da preservare e valorizzare anche quando si trovano in difficoltà per la crisi delle proprie vocazioni. Associazioni e movimenti laicali stanno affiancando (e talora sostituendo) le Congregazioni nella promozione di scuole e istituzioni educative.

L’importante è che non venga mai meno questo impegno di educazione e di missione che si concretizza nel servizio a quelle famiglie che vedono nell’offerta educativa delle scuole cattoliche una proposta efficace e in sintonia con i loro principi e con le loro esigenze. È questo servizio che non deve mai venire meno. La scuola cattolica, infatti, vuole essere soprattutto una “comunità educante”; e in una comunità ciò che conta sono le persone in quanto tali, apprezzate, valorizzate e amate per la loro singolare identità e con le loro particolari esigenze: alunni e insegnanti, genitori e dirigenti. Chi si dedica all’educazione è animato da una speranza incrollabile. È questa che ci accompagna nell’impegno di ogni giorno in mezzo alle persone, soprattutto quelle che stanno crescendo e chiedono a noi adulti ragioni di vita, di fiducia e di speranza.

(Gualtiero Card. Bassetti)

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  • La libertà di scelta educativa in Italia e in Europa

Contrariamente a quanto è stato denunciato in Italia, la libertà di scelta educativa trova ampio riscontro in Europa: Austria, Belgio, Danimarca, Paesi Bassi, Finlandia, Germania, Francia, Svezia, Irlanda, Svezia, ecc.

Sul sito si riportano, per approfondire questa importante problematica, alcuni studi, ordinati cronologicamente:

1. Zani A.V., La parità scolastica in Europa, in CSSC, A dieci anni dalla legge sulla parità, ed. La Scuola, 2010;

2. Lessi V., Cosa succede in Europa, in Lessi V., Libertà d’educazione. Un diritto negato, un bene per tutti, Pazzini Editore, 2012;

3. Treellle, Scuole pubbliche o solo statali? Per il pluralismo dell’offerta. Francia, Olanda, Inghilterra, Usa e il caso Italia 2014;

4. Malizia G., La libertà di educazione nel mondo. Il Rapporto OIDEL e Novae Terrae, in Rassegna CNOS 3/2016;

5. Malizia G., Autonomia e parità nel quadro della libertà di educazione. I ritardi del nostro sistema nazionale di Istruzione, in CSSC, Il valore della parità, Ed La Scuola, 2017;

6. Zagardo G., Modelli scolastici e finanziamenti alle scuole non governative in Europa, in CSSC, Il valere della parità. 19° Rapporto, ELS La Scuola 2017 (pp. 73 – 92);

7. Antiseri/Alfieri, Lettera ai politici sulla libertà di scuola, Rubbettino 2018.

 

[1] Pagine tratte dal volume Pace S., Elementi di legislazione scolastica, 4° edizione, Tecnodid editrice, marzo 2019.

[2] Il 9 novembre 1989, travolto da una crisi economica irreversibile, dalla pressione popolare e internazionale, il Governo della Germania Est (Repubblica Democratica Tedesca, DDR) liberalizza il transito tra le due Germanie, mentre la folla abbatte materialmente il Muro di Berlino.

[3] Lo sfaldamento dell’URSS avviene nel 1991. Il 26 dicembre l’ultima seduta del Soviet Supremo ratifica la fine anche giuridica dell’Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche.  

[4] Con questa espressione, il primo ministro britannico W. Churchill nel 1946 intese la linea di divisione in due dell’Europa a seguito delle intese della conferenza di Yalta che prefigurarono la divisione in due sfere politiche del Continente, l’una soggetta agli Usa e alla Gran Bretagna, l’altra all’URSS. Una cortina di ferro spinato vera e propria fu poi eretta per centinaia di chilometri tra Ungheria, Cecoslovacchia e Austria.

[5] L’espressione fu usata dal teorico delle comunicazioni canadese M. McLuhan (1911-1980) per indicare la progressiva riduzione dello ‘spazio’ del pianeta a causa del velocizzarsi dei trasporti e delle comunicazioni.

[6] Jaques Delors, nato a Parigi nel 1925, esperto economista, fu Presidente della Commissione Europea fino al 1994. La Commissione Europea, con sede a Bruxelles, è l’organo esecutivo dell’Unione Europea mentre il Parlamento, con sede a Strasburgo, ne è l’organo ‘legislativo’, anche se le sue deliberazioni non hanno forza di legge per i Paesi membri ma rappresentano degli indirizzi o dei vincoli a cui i Parlamenti nazionali sono comunque tenuti ad attenersi nel legiferare.

[7] Qui si afferma l’altro concetto portante dell’analisi di Delors e fatto proprio dalla Commissione Europea relativo alla “responsabilità sociale delle imprese”.

[8] Antiseri D. - Alfieri M., Lettera ai politici sulla libertà di scuola, Rubbettino 2018, p. 23.