La regione Sardegna detiene ad oggi, il triste primato della dispersione scolastica. Nell’isola quasi tutti gli indicatori sulle possibilità di lavoro e possibilità di metter su famiglia rendendosi autonomi rispetto a quella originaria sono negativi. Un ragazzo ogni quattro (25%) si ferma al diploma di terza media. Assieme alla Sicilia, l’isola ha la percentuale negativa peggiore d’Italia circa mancate iscrizioni alle superiori. Un tasso più allarmante si riscontra soltanto in alcune zone di Spagna, Portogallo, Malta Islanda e Turchia. Sulla penisola italiana, invece, a non studiare dopo i 14 anni è il 18% dei ragazzi, contro l’obiettivo europeo del 10%. È dunque di 15 punti percentuali il divario che separa il sistema Sardegna dal massimo risultato raggiunto invece, in altre aree dei 27 Paesi Ue. Per capire le cause di tutto ciò, non occorre essere degli scienziati. La causa maggiore, non certo l’unica, ritengo sia stata la chiusura indiscriminata dei Centri di Formazione Professionale, finanziati dalla Regione, un tempo fiorenti e pieni di ragazzi che hanno imparato un mestiere e si sono riscattati con il loro lavoro divenendo, in molti casi, titolari di azienda o dignitosi professionisti.
La chiusura, risalente ai tempi del governatore Soru, fu motivata dal fatto che gli enti di formazione si erano moltiplicati a dismisura ed erano diventati del carrozzoni che macinavano soldi pubblici generando, una situazione di fatto ingovernabile. Non si volle tener conto però, che accanto agli enti che effettivamente davano motivo di censura, si cancellavano di fatto altri enti che lavoravano con passione educativa e ottenevano ottimi risultati. Stessa sorte quindi, per gli avventurieri della formazione improvvisata e coloro che avevano accumulato secoli di esperienza, creato nel tempo strutture e laboratori invidiabili, curato personale appositamente formato e metodologie educative vincenti.
Parliamo, per intenderci, dei salesiani presenti nell’isola in più provincie, fin dal 1898 con l’apertura della casa di Lanusei, delle Figlie di Maria Ausiliatrice e di tutti quegli enti che hanno alla loro origine un santo fondatore o un carisma educativo. Una vicenda insomma, che richiama la celebre parabola evangelica del grano e della zizzania.
Ma questo ormai, è passato remoto. Da allora molto è cambiato, a partire dal quadro di riferimento legislativo. I percorsi formativi triennali che allora erano sperimentali, dal 2012 sono a pieno titolo nell’ordinamento dello stato. Significa cioè che un ragazzo, conclusa la scuola media, può scegliere un percorso di Istruzione e Formazione Professionale per imparare un mestiere e assolvere cosi al diritto/dovere di istruzione, giungendo a qualificarsi entro il diciottesimo anno di età. Fine della sperimentazione quindi, ma non nella nostra isola! La libertà di scelta di un doppio binario è ridotta o preclusa per i ragazzi della Sardegna e le loro famiglie!
La competenza sulla formazione professionale infatti, è demandata alle Regioni e qui, il disegno di legge che dovrebbe recepire i nuovi orientamenti sollecitati dall’Europa e già operativi in altre regioni, è da anni fermo al palo impantanato in mille difficoltà. Non solo, la Regione non avendo in questi anni messo in bilancio un capitolo di spesa specifico dedicato alla formazione, ha perso sostanziosi contributi europei di cui beneficano invece le altre regioni.
Sarebbe tuttavia ingeneroso non riconoscere che in questa giunta qualcosa si sta facendo con la banditura della misura Ardisco, che sta per Azioni di Recupero Dispersione Scolastica, ma cosa sono quindici corsi biennali su tutta la Sardegna, per di più fatti partire ormai a dicembre dopo snervanti maratone burocratiche? Una goccia nell’oceano: nel solo centro salesiano di Selargius, si sono presentati alle selezioni per un corso di meccanici, novantatre ragazzi, la maggior parte di quindici o sedici anni, i più fortunati, accompagnati dai loro genitori. Di questi, soltanto quindici potranno essere selezionati, gli altri resteranno dispersi …e spesso disperati. Non può essere questa l’unica soluzione. Come salesiani ci stiamo interrogando per percorrere altre vie e creare nuove opportunità. Vale la pena soffermarsi su due delle difficoltà accennate sopra, che bloccano di fatto l’approvazione del disegno di legge sulla riorganizzazione della formazione professionale, riorganizzazione di cui ha estremo bisogno la Sardegna se non vuole continuare a rimanere indietro per correre ostinatamente con una gamba sola.
La prima è di carattere ideologico. È facile intravedere nelle scelte compiute la convinzione che la vera istruzione debba obbligatoriamente passare per la scuola, una sorta di liceizzazione forzata che non riconosce un tipo di abilità e di competenze pratiche che vengono di fatto mortificate. Così, quando si parla di formazione professionale, alcune teste pensanti intendono subito la serie B, quelli che, poveretti, falliscono nel percorso scolastico e quindi debbono essere recuperati in questo modo. Non si riconosce cioè la pari dignità di un percorso professionale che invece è chiarissima nel nuovo ordinamento nazionale. Del resto non possiamo negare che c’è un ingegno dell’homo faber, un’abilità manuale, che mal si adatta al banco di scuola o alla speculazione teoretica, mentre è esaltata nella bottega, nel laboratorio o nell’officina, nel mettere le mani in pasta. Proprio in questo modo molti ragazzi scoprono o riscoprono il gusto dello studio.
La seconda è di carattere amministrativo. Il mondo della scuola, da sempre assai sindacalizzato, vede nella riapertura di questi percorsi un’emorragia certa di iscrizioni, una falla nel sistema già traballante. Qui le pressioni sono evidenti per manovrare verso gli istituti statali, già pagati dallo stato, anche i fondi regionali della formazione professionale.
Molto si potrebbe fare invece, costruendo un vero sistema integrato, in cui ciascuna delle due parti sostiene l’altra in termini di competenze ed esperienza. Certo alcune cose vanno sicuramente corrette: far percepire, ad esempio, un’indennità di frequenza in un corso che assolve l’obbligo di istruzione è una cosa che non sta ne in cielo ne in terra!
Merita infine, segnalare un’importante iniziativa dal titolo significativo: “Perché nessuno si perda”. Un appello in dieci punti per rilanciare l’istruzione e la formazione professionale (IeFP) in tutte le regioni. Il contenuto è rintracciabile nel sito www.cnos-fap.it da cui si può aderire online con la propria firma, accanto a quella di numerose personalità tra le quali l’Arcivescovo Mons. Arrigo Miglio e il Presidente regionale Ugo Cappellacci.

Don Simone Indiati SdB
Delegato regionale CNOS-FAP