Argomento: 
Data: 
7 Dicembre 2012
Descrizione breve: 
Rapporto sulla situazione sociale italiana.
Contenuto nascosto: 
Il capitolo «Processi formativi» del 46° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2012 Roma, 7 dicembre 2012 – Verso una filiera tecnico-professionale integrata. Gli istituti scolastici stanno implementando dal basso la costituzione di reti finalizzate a proporre un’offerta formativa più rispondente alle esigenze del tessuto produttivo e del mondo del lavoro. Secondo un’indagine del Censis, a farlo sono soprattutto gli istituti professionali (l’81,5%) e tecnici (il 79,3%), piuttosto che i licei (il 65,8%). Nel 53,6% dei casi si tratta di veri e propri poli formativi, cui si aggiunge la tipologia dei distretti formativi (14%) e le Fondazioni Its (16,1%). Accordi di rete, convenzioni, associazioni temporanee, protocolli con imprese e altre istituzioni arricchiscono la proposta formativa della scuola. La maggioranza dei dirigenti scolastici (66,8%) ritiene che la principale debolezza di tali reti sia la mancanza di disponibilità di risorse finanziarie certe e pluriennali, per il 44,5% una criticità sono i rapporti con il tessuto imprenditoriale, il 25,8% indica la necessità di semplificare gli organismi d’indirizzo e controllo. L’internazionalizzazione della scuola secondaria di II grado. Tra gli istituti superiori si registra un diffusa vitalità nell’ambito dell’internazionalizzazione dell’offerta formativa. Secondo un’indagine del Censis, negli ultimi cinque anni il 68% delle scuole ha partecipato a iniziative di questo tipo, soprattutto gli istituti tecnici (74%), i professionali (70,5%) e i licei (64,5%) e nel Sud (73,4%). È la mobilità degli studenti per scambi, tirocini e soggiorni di studio all’estero (76,6%) la principale delle azioni portate avanti dalle scuole, seguita da quella dei docenti (38%) e dalla cooperazione tra scuole (visite preparatorie 27,4%, partenariati di cooperazione 24%, reti tematiche 21,2%). Oltre ai finanziamenti erogati dai programmi Comenius (57,4%) e Leonardo Da Vinci (22,3%), le scuole hanno beneficiato in questi anni anche delle risorse del Fondo sociale europeo, cui hanno avuto accesso a livello nazionale il 30,6% delle scuole e il 54,8% di quelle del Sud. La maggiore internazionalizzazione dell’offerta scolastica è però anche merito dei contributi delle famiglie, che hanno finanziato nella misura del 17,2% le iniziative di mobilità delle scuole, solitamente per l’apprendimento delle lingue straniere. Tra le problematicità evidenziate, il 47% delle scuole «internazionalizzate» indica la conciliazione di questo tipo di progetti con l’ordinaria gestione dell’istituto e il 46,8% le procedure amministrative eccessivamente complesse. Un apprendistato con molte anime e altrettanti squilibri. Tra il 2008 e il 2010 il numero medio di apprendisti occupati è passato da 645mila a 542mila (-16%). La contrazione del numero di apprendisti si accompagna a un loro elevato turnover. Nel 2011 solo il 46,4% dei contratti di apprendistato cessati ha avuto una durata superiore all’anno, mentre il 27,4% è stato attivo tra i 4 e i 12 mesi, un altro 17,6% tra i 2 e i 3 mesi e l’8,6% meno di un mese. Nel 57,7% dei casi il motivo della cessazione è imputabile all’apprendista, mentre solo il 16,8% dei contratti giunge al suo termine naturale. Nel 2010 si registrano solo 7.702 contratti di apprendistato stipulati con minori (solo l’1,4% del totale) e nel triennio si assiste a una notevole contrazione di tale segmento (-57,1%). Su tale fenomeno ha influito la maggiore «appetibilità» per le imprese di contratti di apprendistato con giovani già maggiorenni, impegnati in un numero inferiore di ore di formazione esterna e con minori necessità in materia di sicurezza sul lavoro. Un sistema universitario compresso tra la disillusione giovanile e i processi di un ennesimo cambiamento. Tra gli anni accademici 2006-2007 e 2010-2011 si registra una riduzione del numero di immatricolati all’università del 6,5%. Ciò non dipende né da fattori demografici, né da un minore grado di scolarità superiore (nell’ultimo quinquennio il numero di diplomati aumenta anzi da 449.693 a 459.678: +2,2%). Le regioni che nel 2012 presentano i più elevati valori dell’indice di attrazione di studenti universitari sono la Lombardia (17,9 iscritti da fuori regione ogni 100 iscritti), il Lazio (16,7%) e l’Emilia Romagna (15,7%). Le regioni che invece disperdono più facilmente i propri universitari sono la Puglia (13,2 residenti iscritti in atenei fuori regione ogni 100 iscritti), la Sicilia (10,5%), seguite da Veneto e Campania (entrambe con un valore del 9,2%). Gli studenti del nuovo millennio nella transizione al digitale. Dall’indagine condotta su 2.300 studenti calabresi di età compresa fra 11 e 19 anni realizzata dal Censis su iniziativa della Regione Calabria emerge che il 60,7% degli studenti afferma di poter navigare su Internet anche per diverse ore senza stancarsi, il 47,3% è convinto che l’uso del computer aumenti la propria capacità di imparare e di memorizzare, il 68,3% dichiara di saltare da un’applicazione all’altra adottando un approccio multitasking. Il 72,4% ritiene che l’uso del pc (e di Internet) abbia effetti positivi sull’apprendimento, il 64,9% pensa che le tecnologie digitali possano accrescere curiosità e spirito di iniziativa personale, ma solo il 34,9% crede che contribuiscano ad aumentare anche la concentrazione e la riflessione. Rispetto al rendimento scolastico, il 36,3% giudica che gli effetti possano essere neutri, per il 28,9% negativi, positivi il 34,8%. Inoltre, il 39,7% afferma che ci può essere un impatto negativo sulla volontà di studiare. Circa tre quarti degli studenti calabresi conosce e utilizza Facebook (73,3%) e YouTube (75,8%). Il 39,6% cerca sulla rete cose, persone o idee quasi tutti i giorni, il 56,2% ricorre alla posta elettronica e alle chat, il 56,8% impegna il suo tempo su Internet per accedere ai social network. Il capitolo «Lavoro, professionalità, rappresentanze» del 46° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2012 Roma, 7 dicembre 2012 – Lo stallo occupazionale accelera la ristrutturazione del mercato. Nei primi sei mesi dell’anno il numero degli occupati ha registrato una flessione dello 0,3%, azzerando la leggera crescita del 2011 (+0,4%). Gli unici saldi positivi hanno riguardato il lavoro a tempo determinato, cresciuto del 5,5% tra il 2010 e il 2011 e del 4,6% nel primo semestre del 2012. Il lavoro a tempo indeterminato è rimasto stabile nel 2011 e risulta in leggera flessione nei primi sei mesi del 2012 (- 0,4%). L’ampio ricorso alla Cassa integrazione e la riduzione degli orari di lavoro stanno determinando un effetto di sostituzione tra lavoro part time e full time. Quest’ultimo si riduce (-0,1% nel 2011 e -2,2% nel 2012) e aumenta invece il numero dei lavoratori occupati con formule orarie atipiche: 114.000 in più nel 2011 (+3,3% rispetto al 2010) e 362.000 in più nei primi sei mesi del 2012 (+10,3% rispetto al primo semestre del 2011). Anche negli ultimi due anni la crisi ha fatto sentire i propri effetti sulla componente giovanile: tra il 2010 e il 2011, mentre l’occupazione in Italia cresceva, anche se di poco, il numero dei lavoratori con meno di 35 anni diminuiva del 3,2%, segnando una contrazione di 200.000 unità. E per il 2012 il quadro sembra destinato a peggiorare, visto che nel primo semestre sono stati bruciati più di 240.000 posti di lavoro destinati a giovani, con una diminuzione rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente del 4%. La moltitudine emergente dei job seekers. Tra il primo semestre del 2011 e il primo semestre del 2012 il numero delle persone in cerca di lavoro è aumentato di oltre 700.000 unità, raggiungendo quota 2 milioni 753.000 (+34,2%). Di questi, il 51,8% ha meno di 35 anni e il 24,9% si colloca nella fascia intermedia di 35-44 anni. Sono il 20,4% le persone in cerca di lavoro che hanno perso l’occupazione nel corso del 2011, soprattutto adulti (24,9%), ma anche molti giovanissimi: il 16,3% con meno di 35 anni. Ma la componente più rilevante dei job seekers è rappresentata da quanti (il 62,4%) anche un anno prima si trovavano nella stessa condizione. La dinamica anticiclica dell’occupazione femminile. Tra gli effetti imprevisti del protrarsi della crisi vi è la creazione di 110.000 nuovi posti di lavoro femminili tra il 2010 e il 2011 (+1,2%), a fronte della perdita di 15.000 posti di lavoro maschili (-0,1%). Tendenze destinate a consolidarsi nel 2012, visto che nei primi sei mesi, a fronte di un’ulteriore contrazione dell’occupazione maschile (-183.000 occupati, con un calo dell’1,3%), quella femminile registra un saldo positivo di 118.000 unità (+1,3%). Tuttavia, per le donne la conciliazione con i tempi di lavoro resta problematica. Mentre tra i single di 35-44 anni il tasso di attività maschile e femminile è praticamente identico (91,5% il primo e 89,6% il secondo), tra le coppie senza figli inizia a comparire un divario (di circa 15 punti percentuali), ma è con la nascita del primo figlio che la differenza esplode, diventando di 25 punti percentuali con un figlio, 40 con due figli e quasi 50 con il terzo figlio. La cooperazione, antidoto alla crisi. Dal 2007 al 2011 l’occupazione nelle cooperative italiane è aumentata dell’8%, facendo lievitare il numero dei lavoratori da 1 milione 213.000 agli attuali 1 milione 310.000. Nello stesso periodo l’occupazione presso le imprese è diminuita del 2,3% e il mercato del lavoro nel suo complesso ha subito una perdita di posti di lavoro dell’1,2%. A trainare l’aumento dell’occupazione è stato proprio il settore della cooperazione sociale, che ha registrato tra il 2007 e il 2011 un vero e proprio boom, con una crescita del numero dei lavoratori del 17,3%. Le quasi 80.000 imprese cooperative attive in Italia danno lavoro al 7,2% degli occupati del totale delle imprese: un valore che in alcuni settori, come la sanità e l’assistenza (dove lavorano nelle cooperative il 49,7% degli occupati), i trasporti (24%), ma anche i servizi alle imprese (19,3%), tende a salire, attribuendo alla cooperazione un ruolo di vero e proprio motore nella crescita e nello sviluppo. Competenze tecniche cercasi. Con la previsione di oltre 100.000 assunzioni, pari al 17% del totale previsto, la domanda di competenze tecniche ha registrato un’ulteriore crescita rispetto al 2009 (+15,4%). Sono oggi più di 4 milioni i tecnici occupati nel sistema delle imprese, nel pubblico, o che svolgono la libera professione. E tra i livelli alti della piramide occupazionale, le professioni dell’area tecnica sono quelle che presentano la più elevata incidenza di giovani con meno di 35 anni (il 26,3%). Ma non è ancora compiuta la fasatura tra sistema formativo e mercato del lavoro: nel 22,4% dei casi le aziende considerano tali figure di difficile reperimento, a fronte di un dato medio che per gli altri gruppi professionali si ferma al 19,7%. L’aggiornamento che serve al lavoro autonomo. Dal 2008 al 2011 il lavoro autonomo ha visto contrarre le proprie fila di oltre 230.000 unità, con una riduzione del 3,9%, che ha interessato in massima parte gli imprenditori (il cui numero si è ridotto del 18,6%) e i lavoratori in proprio (-4,1%). I liberi professionisti sono invece aumentati del 4,4%. Per il 2012 il quadro non sembra destinato a migliorare. Nei primi sei mesi dell’anno si è registrata un’ulteriore contrazione dei lavoratori indipendenti (-1,7%), che ancora una volta ha interessato la componente imprenditoriale e non i professionisti (+2%). Secondo un’indagine del Censis, più della metà dei lavoratori autonomi (il 51,9%) avverte la necessità di migliorare nella gestione contabile della propria attività, il 40,2% ha bisogno di strumenti e tecnologie innovative per rispondere alle esigenze della clientela, un altro 40,2% di fare rete all’interno delle comunità professionali, con un maggiore scambio di esperienze e informazioni e relazioni migliori tra colleghi. Il capitolo «Il sistema di welfare» del 46° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2012 Roma, 7 dicembre 2012 – Paure e iniquità generate dalla previdenza italiana. L’81% degli italiani esprime un giudizio negativo sulla previdenza (di questi, il 33% un giudizio «molto» negativo). Ma solo il 32% dei finlandesi giudica negativamente il proprio sistema previdenziale, il 33% dei tedeschi, il 39% nel Regno Unito, e la media dei 27 Paesi della Ue è pari al 55%. Rispetto a un anno fa, la valutazione negativa degli italiani ha subito un balzo in alto di 25 punti percentuali, dato di gran lunga superiore a quello medio europeo (+2%) e a quello degli altri Paesi: Francia (dove il giudizio negativo è diminuito del 12%), Finlandia (-11%), Germania (-8%) e Spagna (-3%). Il 74% degli italiani dichiara che la previdenza è peggiorata rispetto a cinque anni fa, mentre in Finlandia il dato scende al 23%, in Svezia al 40%, in Germania al 41%, nel Regno Unito al 52% e la media Ue è pari al 58%. Le aspettative per il futuro della previdenza sono per il 50% degli italiani di ulteriore peggioramento, un dato molto diverso da quello registrato in Finlandia (14%), Svezia (20%) e Francia (23%). C’è una torsione evidente del ruolo sociale della previdenza, che agli occhi degli italiani diventa un problema più che una risorsa, un sistema minato dall’interno da contraddizioni, che costa tanto e copre poco, con bassi redditi pensionistici attuali e futuri. Il 68% ritiene probabile che non riceverà una pensione adeguata in futuro, una percentuale che lievita tra i giovani fino al 93%. I gruppi sociali più colpiti nella crisi. Nel rapporto con il lavoro, nel periodo di crisi 2008-2011 hanno subito i più forti impatti negativi i maschi (-46mila attivi, -438mila occupati), le persone con basso titolo di studio (927mila occupati in meno con il diploma di scuola media) e i residenti nel Sud (-129mila attivi, -300mila occupati). Sotto il profilo del reddito disponibile, più a rischio sono ovviamente le famiglie marginali, tra le quali vanno annoverate quelle che escono dal rischio povertà solo grazie ai trasferimenti pubblici, oggi così minacciati. È vero che l’Italia non è tra i Paesi europei dove è più alta la quota di cittadini che i trasferimenti pubblici tengono lontani dal rischio povertà (il 5%, mentre nel Regno Unito è quasi il 14%, in Francia l’11,5%, in Germania il 6,6%), ma i tagli ai trasferimenti pubblici possono esercitare un effetto domino sulle famiglie, visto che per tante di esse contano i trasferimenti orizzontali, quelli intra-familiari. La salute costa. La spesa sanitaria out of pocket (ossia gli esborsi sostenuti direttamente dalle famiglie per acquistare beni e servizi sanitari) ammonta in Italia a circa 28 miliardi di euro, pari all’1,76% del Pil. Il modello assistenziale socio-sanitario continua a coprire solo una parte dei bisogni, lasciando scoperti i soggetti che esprimono le necessità più complesse a lungo termine. Il Censis ha stimato i costi sociali diretti a carico delle famiglie per alcune patologie croniche e a forte impatto sulla qualità della vita: 6.403 euro all’anno per l’ictus, 6.884 per il tumore, 10.547 per l’Alzheimer. Le reti familiari: l’unione fa la forza. La tradizionale forza della famiglia, soggetto centrale dello scambio di risorse e forme molteplici di sostegno tra i suoi diversi componenti, assume, in questa fase ormai avanzata della crisi economica, una ulteriore rilevanza. Complessivamente, il 59,4% delle famiglie ha dato o ricevuto nell’ultimo anno almeno una forma di aiuto, come tenere i bambini (17,3%) o fare compagnia a persone sole o malate (15,9%), partecipando alla rete informale di supporto. Manca nel nostro sistema una logica redistributiva. Il meccanismo retributivo, in base al quale è erogata la quasi totalità delle pensioni vigenti, fa sì che le prestazioni più alte assorbano una quota rilevante di risorse: il 45,5% dei titolari di pensioni più basse (con reddito pensionistico medio mensile di 579 euro) pesa per il 20,4% sull’ammontare totale delle pensioni, mentre il 4,6% dei titolari di prestazioni della fascia più alta (che ricevono in media 4.356 euro al mese) ha un’incidenza di poco inferiore sul totale della spesa (15,7%). Il decisivo ruolo del capitale umano nella sanità italiana. La sanità italiana cammina sulle gambe di oltre 724mila persone: 237mila medici, 334mila infermieri, 49mila unità di personale con funzioni riabilitative, 45mila con funzioni tecnico-sanitarie, 11mila di vigilanza e ispezione. Il giudizio degli italiani è largamente positivo: per il 71,2% gli operatori sanitari sono gentili e disponibili, oltre il 75% esprime un giudizio positivo sugli infermieri. Non a caso, questa è considerata una professione attraente: per il 76,6% perché è una professione con un alto valore sociale e di aiuto verso gli altri, per il 47% circa perché consente di trovare facilmente un’occupazione. Nel settore ci sono potenzialità occupazionali imponenti che richiederebbero adeguati ampliamenti degli spazi nella formazione universitaria, che invece è bloccata dal numero chiuso per l’accesso alla Facoltà di Scienze infermieristiche. Questo è un errore secondo il 61,3% degli italiani. Il capitolo «Territorio e reti» del 46° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2012 Roma, 7 dicembre 2012 – Un destino credibile per i piccoli comuni italiani. L’Italia rimane un Paese con un’accentuata distribuzione della popolazione sul territorio. Sul totale degli 8.093 comuni, ben 5.683 (il 70,2% del totale) hanno una popolazione inferiore a 5.000 abitanti. In questi comuni risiedono 10,3 milioni di abitanti, ossia il 17,1% del totale. I sindaci dei piccoli comuni amministrano una superficie molto ampia, corrispondente al 54,1% del territorio italiano. La dispersione insediativa e il frazionamento amministrativo, stante il quadro generale di ridimensionamento delle risorse pubbliche, comportano la difficoltà di mantenere nei territori a bassa densità le funzioni indispensabili per la vita delle comunità locali. Negli ultimi tre anni, quasi due terzi dei comuni con meno di 5.000 abitanti si sono trovati a fronteggiare la prospettiva della chiusura di una struttura pubblica (ospedale, scuola, ecc.). L’edilizia scolastica tra problemi di obsolescenza e ricerca di nuove modalità di realizzazione. Degli oltre 36mila edifici scolastici censiti, il 30% risale a prima del 1960 e il 44% è stato costruito negli anni ’60 e ’70, quindi in una fase in cui temi come la sicurezza antisismica erano ancora poco presenti nella legislazione. Solo un quarto degli edifici (in Liguria appena il 13%, in Piemonte il 17%) è stato realizzato negli ultimi tre decenni. Anche in questo caso dobbiamo fare i conti con edifici e attrezzature pubbliche realizzati rapidamente e spesso in modo inadeguato. Il 33,5% delle scuole italiane non possiede un impianto idrico antincendio, il 50,7% non dispone di una scala interna di sicurezza, la dichiarazione di conformità dell’impianto elettrico manca in circa il 40% dei casi. Solo il 17,7% degli edifici è provvisto del certificato di prevenzione incendi, con divari regionali notevoli: è presente nel 36% delle scuole dell’Emilia Romagna e appena nel 4,6% di quelle della Sardegna. Le politiche territoriali tra incertezze, commissariamenti e conflitti. Nel 2005 le opere contestate in Italia erano 190, nel 2011 il numero è salito a 331. Il 62,5% delle contestazioni riguarda impianti energetici (di cui il 47,1% rinnovabili), il 31,4% i rifiuti, il 4,8% le infrastrutture viarie. Il 51% delle contestazioni riguarda interventi non ancora autorizzati e solo allo stato di progetto. Le contestazioni popolari sono il 36% delle proteste, ma crescono le iniziative dei politici locali (29%) e delle istituzioni locali (23%). Se nel nostro Paese il conflitto contro le infrastrutture è diventato endemico, ciò è attribuibile a una generale mancanza di fiducia verso i soggetti decisori che si proietta immediatamente sulle opere stesse. L’Italia si posiziona al 43° posto in una graduatoria di 139 Paesi per livello di competitività. Siamo penalizzati soprattutto dalle variabili relative alla qualità istituzionale: in questo caso scivoliamo all’88° posto. L’Italia risulta debole sotto i profili della fiducia nell’operato della classe politica (127° posto), della trasparenza dei processi decisionali (135°), della presenza di favoritismi nelle decisioni pubbliche (119°) e dello spreco di risorse pubbliche (114°). Dal Piano città all’agenda urbana. Il bando del Piano città lanciato dal Governo nell’ambito del decreto CresciItalia ha riscosso un notevole successo: hanno presentato proposte 432 comuni, di cui 180 con meno di 10mila abitanti, in gran parte localizzati nel Mezzogiorno, per un valore complessivo degli investimenti pari a poco meno di 18 miliardi di euro. Da tempo mancavano iniziative di livello nazionale che coinvolgessero le città nella riprogettazione di aree e quartieri caratterizzati da deficit rilevanti di servizi, infrastrutture, qualità dell’abitare. Ora si è messo al centro di ogni progetto un accordo (contratto di valorizzazione urbana) con il quale i soggetti pubblici e privati assumono impegni su risorse, tempi, valenze sociali e ambientali degli interventi. Lo spazio urbano reinventato nelle nuove forme di manifestazione del dissenso. Lo spazio fisico facilita la trasformazione della manifestazione di protesta in evento. Ma non ci sono solo i casi dei blocchi di un’arteria o di una linea di trasporto, come quello della tangenziale di Torino da parte del movimento No Tav del febbraio 2012. Ci sono anche spazi abbandonati gestiti come contenitori culturali, come nel caso del Teatro Valle a Roma (occupazione e autogestione dal giugno 2011), della Torre Galfa a Milano o del Teatro Garibaldi a Palermo. L’inaspettata stagione dei grattacieli italiani. Nelle maggiori città italiane sono 13 i progetti di torri con altezza superiore a 100 metri realizzati o in corso di realizzazione dal 2011 al 2015. Si tratta di interventi ideati e progettati prima della crisi e che giungono in gran parte a realizzazione nell’attuale scenario. A scegliere l’altezza non sono solo i grandi gruppi del credito e della finanza (Intesa San Paolo, Unicredit, Unipol), ma anche alcune amministrazioni pubbliche (Regione Piemonte). Da un lato gioca la visibilità internazionale, data anche dalla qualità architettonica dell’edificio che permette di accrescerne il valore sul mercato. Dall’altro lato (e questo vale in particolare per le amministrazioni pubbliche) la scelta di concentrare in un unico edificio i propri uffici mira alla razionalizzazione degli spazi distribuiti in sedi separate, con alti costi di gestione, connessione e manutenzione. Il capitolo «I soggetti economici dello sviluppo» del 46° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2012 Roma, 7 dicembre 2012 – Le tre “r” dei consumi familiari: risparmio, rinuncio, rinvio. Nel primo trimestre del 2012 la flessione delle spese delle famiglie è stata del 2,8% e nel secondo trimestre vicina al 4%. Nel 2012 i consumi reali pro-capite, pari a poco più di 15.700 euro, sono ritornati ai livelli del 1997. Anche la propensione al risparmio è in flessione, dal 12% del 2008 all’attuale 8%. Secondo un’indagine del Censis, nella prima parte del 2012 l’83% delle famiglie italiane ha riorganizzato la spesa alimentare cercando offerte e prodotti meno costosi, il 66% ha cercato di limitare gli spostamenti in auto o moto per risparmiare sulla benzina, il 42% ha rinunciato a un viaggio, il 40% all’acquisto di articoli di abbigliamento o calzature, il 38% a pranzi e cene fuori casa. A metà del 2012, il 10% delle famiglie ha venduto oro o altri oggetti preziosi per ottenere liquidità, il 3% ha venduto un immobile senza acquistarne un altro per disporre di denaro contante, l’1% ha venduto mobili di famiglia. Nei primi sei mesi del 2012 il 18% delle famiglie non è riuscito a coprire tutte le spese con il reddito accumulato nel medesimo periodo. Si tratta di circa 4,5 milioni di famiglie che per il momento non hanno mostrato capacità di risparmio e che nella maggior parte dei casi (52%) hanno dovuto intaccare quelli preesistenti. Dalla destrutturazione del commercio ai nuovi format di vendita. Negli ultimi cinque anni più di 500.000 imprese del commercio hanno cessato la propria attività, mentre sono state circa 400.000 le nuove entranti nel mercato. Se tra il 2008 e il 2011 le strutture del piccolo dettaglio in sede fissa si sono ridotte dello 0,1%, molti altri format commerciali sono cresciuti. A parte la Grande distribuzione organizzata, è cresciuto del 9% il numero di operatori non convenzionali, ovvero quelli che operano al di fuori di negozi, che oggi ammontano ad oltre 32.000 unità. Molto consistente appare la crescita di chi opera nel commercio via Internet (+32%), in linea con l’incremento dei volumi di vendita del commercio elettronico. Si stima che nel 2011 le vendite online abbiano generato un fatturato di quasi 19 miliardi di euro, con un incremento del 32% rispetto all’anno precedente. Qualità per il sistema d’impresa. Negli ultimi anni è aumentato il numero delle imprese che hanno adottato sistemi formalizzati di gestione e controllo della qualità certificati secondo le norme Iso 9001. Dalle quasi 81.000 imprese certificate nel 2006 si è arrivati nel 2012 ad oltre 91.000, con un numero di siti produttivi pari attualmente a quasi 134.000 unità. 17 strutture produttive ogni 1.000 imprese attive dispongono attualmente di un sistema certificato di gestione della qualità, con una crescita del 12% negli ultimi sei anni. Per un’agricoltura organizzata e competitiva. Le esportazioni dei prodotti agricoli italiani pesano per l’1,5% del totale, ma se si considerano i prodotti agricoli trasformati la quota sale al 7%. Nel 2011 le esportazioni agricole sono state pari a 5,7 miliardi di euro e quelle dell’industria della trasformazione dei prodotti primari pari a 24,3 miliardi di euro. Si stima che 1 euro di export dell’agricoltura sia in grado di generare 4 euro aggiuntivi di vendita all’estero di prodotti trasformati. Secondo un’indagine del Censis su un campione di aziende agricole di medie e grandi dimensioni, è elevato il grado di partecipazione a reti di collaborazione finalizzate a promuovere e tutelare specificità agricole locali (il 52,3% delle imprese), con università e centri di ricerca per consulenze e sperimentazioni su colture e prodotti o processi produttivi (48%), finalizzate a istituire consorzi di acquisto di forniture (41,7%), per condividere le spese di infrastrutturazione del territorio (smaltimento rifiuti, opere di bonifica, ecc.) (40%), per la creazione di un marchio comune (32,7%), per le attività di importazione e di esportazione (28,7%). Chi ha sperimentato questi network ha ottenuto una serie di vantaggi competitivi: il 78% l’acquisizione di nuove competenze, il 72% ha avviato processi di innovazione di prodotto o di processo, il 54% ha ottenuto una riduzione dei costi aziendali, il 53% un contributo all’incremento del fatturato. Il capitolo «Comunicazione e media» del 46° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2012 Roma, 7 dicembre 2012 – I consumi mediatici degli italiani: meno teledipendenti, più digitali, ma senza stampa. La televisione ha un pubblico che coincide con la totalità della popolazione: il 98,3% (+0,9% rispetto al 2011), con aggiustamenti che dipendono dalla progressiva sostituzione del segnale analogico con quello digitale, dal successo consolidato delle tv satellitari (+1,6%), dalla maggiore diffusione della web tv (+1,2%) e della mobile tv (+1,6%). Sono cambiati e aumentati i modi per guardare la tv. Oggi un quarto degli italiani collegati a Internet (24,2%) ha l’abitudine di seguire i programmi dai siti web delle emittenti televisive e il 42,4% li cerca su YouTube per costruirsi i propri palinsesti di informazione o di intrattenimento su misura. Queste percentuali aumentano nel segmento di popolazione più giovane, salendo rispettivamente al 35,3% e al 56,6% tra gli internauti 14-29enni. Anche la radio resta un mezzo a larghissima diffusione di massa: la ascolta l’83,9% della popolazione (+3,7%). Ma cresce la radio via web tramite il pc (+2,3%) e per mezzo dei telefoni cellulari (+1,4%). I cellulari (utilizzati dall’81,8% degli italiani) aumentano ancora la loro utenza complessiva (+2,3%), anche grazie agli smartphone (+10% in un solo anno), la cui diffusione è passata tra il 2009 e il 2012 dal 15% al 27,7% della popolazione e oggi si trovano tra le mani di più della metà dei giovani di 14-29 anni (54,8%). E questi ultimi utilizzano il tablet (13,1%) più della media della popolazione (7,8%). La penetrazione di Internet ha guadagnato 9 punti percentuali nell’ultimo anno e oggi l’utenza si attesta al 62,1% degli italiani (erano il 27,8% solo dieci anni fa, nel 2002). Il dato sale nettamente nel caso dei giovani (90,8%), delle persone più istruite, diplomate o laureate (84,1%), e dei residenti delle grandi città, con più di 500.000 abitanti (74,4%). E continua la forte diffusione dei social network. È iscritto a Facebook il 66,6% delle persone che hanno accesso a Internet, che corrispondono al 41,3% dell’intera popolazione e al 79,7% dei giovani. YouTube arriva a un’utenza del 61,7% delle persone con accesso a Internet (pari al 38,3% della popolazione complessiva). Al tempo stesso, prosegue l’emorragia di lettori della carta stampata: i lettori di quotidiani (-2,3% tra il 2011 e il 2012), che erano il 67% degli italiani cinque anni fa, sono diventati oggi solo il 45,5%. Al contrario, i quotidiani online contano il 2,1% di lettori in più rispetto allo scorso anno, arrivando a un’utenza del 20,3%. Perdono lettori anche la free press, che si attesta al 25,7% di utenza (-11,8%), i settimanali (-1%) e l’editoria libraria (-6,5%). E proprio tra i giovani la disaffezione per la carta stampata è più grave: tra il 2011 e il 2012 i lettori di quotidiani di 14- 29 anni sono diminuiti dal 35% al 33,6%, quelli di libri dal 68% al 57,9%. Il decollo dell’app economy. Tra gennaio e giugno del 2012 il traffico dati registrato sulle schede sim è cresciuto del 12,3% confrontato con lo stesso periodo dell’anno precedente. Le sim in uso che hanno effettuato traffico dati sono state 21 milioni. E il volume di traffico che in media si può attribuire a ogni singola sim ha registrato un incremento del 21% rispetto al primo semestre del 2011. Negli ultimi dodici mesi il 37,5% dei possessori di mobile device ha scaricato applicazioni gratuite o a pagamento: il 16,4% frequentemente, il 21% qualche volta. In cima alla classifica delle app più scaricate ci sono i giochi (ricercati dal 63,8% di chi ha scaricato applicazioni), poi il meteo (33,3%) e le informazioni stradali (32,5%), con un utilizzo prevalente da parte del pubblico maschile (40,6%) rispetto a quello femminile (21,5%). A seguire, il 27,4% degli utenti mobile che hanno scaricato applicazioni si è orientato su app che portano i social network sul display, il 23,8% app multimediali, il 23,2% app per telefonate e messaggistica istantanea via Internet, il 25,8% app per le news. Editori alle prese con sfide vecchie e nuove: calo dei lettori, e-book e self publishing. Oggi meno di un italiano su due (il 49,7% della popolazione) legge almeno un libro all’anno, con un calo rispetto all’anno precedente del 6,5%. I lettori forti, che leggono almeno dieci libri all’anno, erano nel 2007 il 25,6%, ma nel 2012 sono scesi al 13,5%. I lettori occasionali, che leggono al massimo due libri all’anno, erano l’11,2% nel 2007 e sono vertiginosamente saliti al 41,1% nel 2012. C’è stato un incremento degli e-book letti dell’1% rispetto al 2011, ma sono pochi 2,7 lettori di e-book ogni 100 abitanti. Aumenta però il numero di e-book immessi sul mercato dalle case editrici: 37.662 titoli a settembre del 2012. Il 37% delle novità italiane viene pubblicato anche in versione elettronica. Oggi si presenta una nuova sfida editoriale: il self publishing. Nel 2011 sono stati rilasciati 1.924 codici Isbn direttamente ad autori per auto-pubblicazioni. Si stimano in circa 40.000 i titoli auto-pubblicati attualmente in catalogo, pari a circa il 5% dei titoli in commercio. Il difficile connubio tra fenomenologia dello sharing e privacy. Il 51,2% degli utenti dei social network pubblica informazioni personali, la stessa percentuale vi diffonde fotografie e video propri, il 30,7% comunica le attività che svolge durante la giornata, il 10,7% consente la geolocalizzazione della posizione, il 7,1% pubblica informazioni e fotografie di altri (amici e familiari) e il 7% pubblica notizie sulla propria vita sentimentale. L’esplosione dei social media ha avuto come effetto la moltiplicazione delle informazioni personali in rete. Complessivamente, il 75,4% di chi accede a Internet ritiene che esista il rischio che la propria privacy possa essere violata sul web: il 45,3% teme la pubblicazione da parte di chiunque contenuti e immagini che li riguardano, il 23,5% la registrazione da parte dei motori di ricerca dei propri percorsi di navigazione, il 21,4% l’utilizzo dei propri dati a scopi commerciali, il 14,7% la registrazione della posizione. Il 54,3% degli italiani pensa che sia necessario tutelare maggiormente la privacy per mezzo di una normativa più severa che preveda sanzioni e la rimozione dei contenuti sgraditi, ma il 29,3% crede che ormai sia impossibile garantire la privacy perché in rete non si distingue più tra pubblico e privato, l’8,9% ritiene che sia inutile perché con l’avvento dei social network la privacy non è più un valore e che la condivisione delle informazioni in rete dia maggiori benefici, il 7,6% che non si corrono rischi e che le attuali regole sono sufficienti. C’è poi la questione del «diritto all’oblio» in rete. Il 74,3% degli italiani è convinto che ognuno ha il diritto di essere dimenticato e che le informazioni personali sul nostro passato, se negative o imbarazzanti, dovrebbero poter essere eliminate dal web. La nuova pubblicità on demand. Nel primo semestre del 2012 gli investimenti pubblicitari si sono ridotti nel complesso del 9,7%. Internet è l’unico mezzo a registrare una variazione positiva: +11,2%. Il successo è dovuto alla pubblicità «fai da te» sul web, on demand, cioè la possibilità per l’utente di interrogare la rete prima di effettuare un acquisto. Il 37,1% degli italiani che hanno accesso a Internet ha l’abitudine di visitare il sito dell’azienda produttrice o venditrice, il 19% chiede consigli nei forum online, il 13,4% cerca le offerte sui siti di vendita online come eBay e il 10,9% sui portali di acquisto collettivo come Groupon, l’11,2% cerca recensioni su YouTube, il 10,5% scambia informazioni attraverso i social network. Negli ultimi dodici mesi il 24% degli italiani ha acquistato un prodotto o un servizio grazie alla segnalazione pubblicitaria vista in televisione, ma al secondo posto per capacità di influenza viene Internet (13,6%), prima di giornali (11,9%), riviste (9,9%) e radio (6,2%). I limiti del parental control in tv. Le famiglie italiane si dichiarano parzialmente soddisfatte del parental control, anche se una significativa percentuale (il 54,5%) puntualizza che il filtro tecnologico in tv a protezione dei minori potrebbe essere efficace, ma bisognerebbe migliorarlo. Il capitolo «Governo pubblico» del 46° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2012 Roma, 7 dicembre 2012 – I troppi incagli sulla via dell’e-government. Il tasso di penetrazione della banda larga su rete fissa è del 22,8% della popolazione, piazzando il nostro Paese al 29° posto nel mondo. Secondo il Web Index della World Wide Web Foundation, che misura i riflessi di Internet sull’economia e sulla vita politica e sociale di 61 Paesi sviluppati e in via di sviluppo, l’Italia si piazza al 23° posto, il penultimo in Europa. Dal punto di vista dell’indicatore di impatto economico (ottenuto ponderando i dati sulla diffusione via Internet delle informazioni utili per le attività imprenditoriali, il livello di sviluppo dell’e-commerce e il grado di fiducia dei consumatori e delle imprese rispetto agli acquisti online) ci fermiamo al 38° posto, più vicini ai Paesi in via di sviluppo che ai Paesi avanzati. E per risalire posizioni rispetto all’indicatore di impatto politico (siamo al 29° posto) dobbiamo migliorare la partecipazione digitale ai processi decisionali e la presenza online di strumenti che facilitino il rapporto con il cittadino (la e-partecipation). La rivoluzione possibile degli open data. Gli enti pubblici possiedono un patrimonio sterminato di informazioni la cui disponibilità in formato digitale è preziosa per gli utenti per la produzione di beni e servizi innovativi e come strumento di trasparenza e democrazia diretta. La Commissione europea ha stimato che il valore di mercato del riuso delle informazioni del settore pubblico è, per l’intera Ue, intorno ai 140 miliardi di euro all’anno. L’Italia è sulla buona strada: a ottobre 2012 erano a disposizione 3.647 dataset, con una forte crescita rispetto ai 1.987 disponibili a marzo. Con la crisi, l’Italia si scopre diffidente verso l’Europa. Eravamo più europeisti quando gli altri erano prevalentemente euroscettici, oggi invece siamo più euroscettici degli altri europei. Nel 2009 il 54% degli italiani esprimeva fiducia nell’Ue, mentre la media europea si fermava al 50%. Nel 2012 la percentuale italiana è crollata al 22%, meno della media europea (31%). Avevamo pensato che con l’Europa ci si aprissero nuove frontiere di cittadinanza e invece ci siamo ritrovati a fare i conti con una burocrazia, magari meno bizantina della nostra, ma certo più distante e insensibile alle nostre peculiarità. Le determinanti della spending review. Il documento per una revisione della spesa pubblica della Presidenza del Consiglio arriva a quantificare la spesa realmente aggredibile nel breve periodo. Considerando il volume complessivo della spesa pubblica pari a 793,5 miliardi di euro e scomputando tutte le voci che non sono comprimibili, si arriva a stimare un’area su cui sarebbe possibile intervenire in coerenza con gli obiettivi di riduzione-riorganizzazione-restringimento pari al 37% del valore complessivo, cioè 295 miliardi di euro. Se a tale cifra si applicano le considerazioni sulla concreta possibilità di intervenire e di ottenere risultati a breve, il valore si ferma al 25%, pari a circa 70 miliardi di euro. l capitolo «Sicurezza e cittadinanza» del 46° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2012 Roma, 7 dicembre 2012 – L’andamento anticiclico della criminalità. Nel 2011 sono stati denunciati 2.763.012 reati (45,4 ogni 1.000 abitanti), il 5,4% in più rispetto all’anno precedente. A crescere è soprattutto la microcriminalità. Le rapine sono state 40.549 (+20,1%), i furti 1.460.205 (+10,2%), soprattutto quelli in appartamento (204.891, +21,1%), gli scippi e i borseggi (rispettivamente, +16% e +24%). L’aumento degli «street crime» può dipendere dal disagio sociale a seguito della crisi, ma anche dal minore presidio del territorio da parte delle forze dell’ordine a causa dei tagli delle spese. Negli ultimi sei anni la spesa per l’ordine pubblico e la sicurezza è passata da 29 miliardi a 31 miliardi di euro, con una crescita nominale del 7,3% e una riduzione in termini reali del 3%, a fronte di un aumento del totale delle uscite pubbliche nello stesso periodo del 3,4%. Il mix esplosivo dell’agricoltura al Sud. Secondo l’82,1% dei testimoni privilegiati intervistati nel corso di una recente indagine del Censis, nelle imprese agricole meridionali sarebbe molto o abbastanza presente lo sfruttamento della manodopera attraverso sottoretribuzioni (nel Centro-Nord il fenomeno è segnalato dal 40%); secondo il 59,5% verrebbero dichiarati all’Inps falsi lavoratori al solo fine di avere accesso alla disoccupazione agricola (nel Centro-Nord lo pensa il 13,1% degli intervistati); il 57,9% ritiene che sia abbastanza usuale il ricorso al caporalato (nel resto del Paese la quota è del 13,9%); il 43,4% pensa che siano diffuse le frodi nei confronti di soggetti pubblici e dell’Unione europea. Uno Stato a corto di cittadinanza. All’interno dei Paesi membri dell’Unione europea vigono normative e procedure diverse in merito al diritto di cittadinanza, ma è sempre più urgente individuare standard europei comuni. La normativa italiana si rivela decisamente arretrata in merito all’acquisizione della cittadinanza da parte dei minori stranieri. Ma l’opinione pubblica è orientata in gran parte (il 72,1% degli italiani) verso il riconoscimento dello «ius soli», cioè la concessione della cittadinanza ai figli di immigrati che siano nati nel nostro Paese. L’importanza del dialogo interreligioso nel processo d’integrazione. Secondo una recente indagine del Censis, il 63,8% degli italiani è cattolico, l’1,8% è di un’altra religione e il 15,6% è comunque convinto che ci sia qualcosa o qualcuno nell’aldilà. Il 21,5% considera la tradizione religiosa un fattore di comunanza e il 77,4% pensa che il matrimonio sia un vincolo sacro da rispettare. Il 51,3% dichiara che la domenica partecipa a funzioni religiose, l’8% di aver militato o di militare in associazioni di ispirazione religiosa, il 70,4% affiderebbe il proprio figlio alla parrocchia, riconoscendola come una istituzione educativa. Ad oggi non esistono dati ufficiali sull’appartenenza religiosa degli immigrati, ma da un’indagine del Censis risulta che il 52,5% degli stranieri residenti nel nostro Paese è cristiano (cattolici, ortodossi e altri) e il 25,8% musulmano, gli induisti sono il 5,1% e i buddisti il 4,3%, l’8,8% non professa nessuna religione. Mentre sono innegabili i passi in avanti compiuti nel nostro Paese lungo il percorso di tolleranza e integrazione, nella sfera spirituale sembra prevalere una posizione di indifferenza, che nel caso della religione islamica si trasforma in insofferenza. Il 59,3% degli italiani non considera le pratiche di culto degli stranieri come una minaccia al nostro modo di vivere, il 51,1% si mostra disinteressato all’apertura di una sinagoga, di una chiesa ortodossa o di un tempio buddista nei pressi della propria abitazione (il 22% è favorevole e il 26,9% contrario). Diversa è l’opinione riguardo all’eventualità di avere vicino alla propria casa una moschea: in questo caso i contrari salgono al 41,1%, gli indifferenti sono il 41,8% e i favorevoli il 17,1%. Minori e vittime di tratta. In Italia la tratta coinvolge per lo più minori stranieri e si configura principalmente come sfruttamento sessuale, anche se negli ultimi anni sono aumentati i fenomeni di accattonaggio e di sfruttamento lavorativo. I dati del Dipartimento per le Pari Opportunità sui minori assistiti attraverso i progetti ex art. 13 e art. 18 rivolti alle vittime di tratta riportano un totale di 1.246 minori assistiti dal 1999 al 2011; di questi, 60 si riferiscono al solo 2011. A settembre 2012 risultavano 7.370 minori non accompagnati segnalati al Comitato per i minori stranieri istituto presso il Ministero del Lavoro. Le stime più accreditate riferiscono di 1.600-2.000 minori che si prostituiscono in strada e di circa il triplo che si prostituisce all’interno di appartamenti, night o centri benessere. CENSIS: 46° Rapporto sulla situazione sociale del Paese