Nel sistema di Istruzione e Formazione italiano agiscono più soggetti.

Scuole statali e a carattere statale
Lo Stato agisce attraverso le scuole statali e a carattere statale (con quest’ultima definizione si indicano le scuole non statali pubbliche di Aosta, Bolzano e Trento dalla primaria in poi).
In Italia le scuole statali sono prevalenti nella scuola primaria e secondaria (rappresentano il 93% del totale nella scuola primaria, il 96% nella scuola secondaria di 1° grado e il 95% negli istituti scolastici della Scuola Secondaria di 2° grado) .

Scuole paritarie
Il sistema nazionale di istruzione, fermo restando quanto previsto dall'articolo 33, secondo comma, della Costituzione, è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali“ (Legge 10 Marzo 2000, n. 62).  

Tra le scuole non statali vi sono le scuole paritarie, private o pubbliche a seconda della natura dell’Ente gestore. Si tratta di scuole non statali che hanno conseguito la “parità” conformandosi agli ordinamenti scolastici vigenti; l’Ufficio Scolastico Regionale (precedentemente il Ministero), su richiesta della scuola, accerta il possesso dei requisiti di qualità ed efficacia previsti dalla legge 62/2000 ed emette il provvedimento di riconoscimento della parità che permette alla scuola di rilasciare titoli di studio aventi valore legale.

Esistono anche scuole non paritarie (scuole iscritte in un apposito albo regionale, ai sensi del D.M. 263/2007), ma rappresentano solo lo 0,4% delle scuole italiane e sono concentrate prevalentemente nel settore dell’infanzia .

Altre istituzioni scolastiche con particolari caratteristiche
Oltre alle scuole richiamate sopra vi sono alcune scuole “con differenziazione didattica” che adotta-no, previa autorizzazione o riconoscimento ministeriale, metodi particolari. È il caso delle scuole con metodo Montessori. Ci sono anche convitti e educandati presso i quali, oltre al servizio convittuale, funzionano scuole pubbliche, scuole straniere (svizzera, tedesca, francese, ecc.), la scuola europea di Parma, scuole ebraiche e scuole con norme specifiche che tutelano l’insegnamento delle lingue minoritarie.

Istituzioni formative
Le istituzioni formative (o Centri di Formazione Professionale), per svolgere attività di formazione professionale, devono essere accreditate.

L’Accreditamento è l’atto con cui l’amministrazione pubblica riconosce ad un organismo la possibilità di proporre e realizzare interventi di formazione e orientamento, finanziati con risorse pubbliche” (D.M. 166/2001 e normativa successiva).

Le Regioni rilasciano l’accreditamento ai soggetti che fanno domanda di svolgere attività di orientamento o di Formazione Professionale, purché in possesso di specifici requisiti.
I soggetti che svolgono i percorsi formativi triennali che concorrono all’assolvimento dell’obbligo di istruzione devono essere in possesso di ulteriori requisiti, oltre a quelli regionali, definiti da uno specifico provvedimento nazionale (D.I. 29 novembre 2007).

La normativa vigente chiama “istituzioni formativequelle strutture formative accreditate dalle Regioni per il diritto-dovere all’istruzione e alla formazione, ivi compreso l’assolvimento dell’obbligo di istruzione (C.U. del 16.12.2010).

Nell’espressione “istituzioni formative” sono compresi i Centri di Formazione Professionale (CFP) che sono, secondo la definizione più affermata , “sedi operative, in convenzione o in gestione diretta da parte delle Regioni, dotate di risorse umane e strutturali, che erogano servizi formativi e non formativi finalizzati sia al conseguimento di una qualifica professionale, da parte di giovani e adulti, sia ad attività di consulenza a soggetti terzi (scuole, territorio, imprese). In particolare i servizi forniti sono relativi a: analisi del contesto di impresa, sportelli informativi, inserimento dei disabili, incontro domanda/offerta, elaborazione di dati relativi al mercato del lavoro” (Glossario multimediale ISFOL).

n.1 Scuola libera in Italia e nel mondo  
(PRELLEZO J.M. - MALIZIA G. - NANNI C., Dizionario di scienze dell’educazione, 2° ed., LAS 2008).

La terminologia più diffusa distingue tra scuola privata e pubblica secondo che sia istituita da privati, singoli o istituzioni, o dal potere pubblico, mentre alcuni parlano di scuola statale e non, ma ambedue le definizioni non sembrano del tutto adeguate perché nel primo caso l’appellativo di pubbliche non può essere negato a scuole che, pur nate dall’iniziativa privata, offrono un servizio a tutti, e nel secondo va osservato che non in ogni Paese le scuole sono dello Stato e inoltre la categoria «non statale», oltre ad essere una definizione negativa, per esclusione, risulta molto eterogenea dato che raggruppa un’ampia gamma di scuole, da quelle degli enti pubblici a quelle private con scopo di lucro.
Un’altra terminologia di area francese usa l’espressione scuola libera per indicare programmi formali di educazione istituiti e gestiti da privati, singoli o enti, con finalità di interesse pubblico o di profitto. Essa non implica alcun giudizio negativo nei confronti della scuola pubblica, quasi che lì non fosse rispettata la libertà, ma vuole sottolineare che la scuola libera costituisce una manifestazione del diritto dei cittadini all'iniziativa in campo educativo.

La situazione italiana.
Nel primo cinquantennio dello Stato unitario ha dominato il principio del monopolio statale.
Durante il fascismo la riforma Gentile del 1923 e, soprattutto, la L. n.86/42 introdussero la normativa sul riconoscimento legale dei titoli di studio conseguiti nelle scuole libere, a condizione della conformità degli ordinamenti didattici a quelli delle corrispondenti scuole statali.
La Costituzione repubblicana ha inserito dal 1948 il sistema educativo in un quadro nuovo di principi.
L’ordinamento scolastico è finalizzato al pieno sviluppo della persona umana all’interno di una concezione pluralista della società e svolge la sua funzione in connessione inscindibile con l’attività delle comunità naturali e delle formazioni sociali in cui avviene la maturazione dell’individuo, soprattutto con la famiglia.
Esso va organizzato secondo i principi di libertà e di democrazia in vista soprattutto della realizzazione di tre diritti: all’educazione, alla libertà d’insegnamento, alla libertà d’iniziativa scolastica.
Il punto più problematico è rappresentato dalla clausola contenuta nell’art. 33 secondo la quale il diritto di istituire scuole è riconosciuto ad enti e privati senza oneri per lo Stato. Grosso modo le interpretazioni possono essere raccolte intorno a tre nuclei.

Per alcuni la clausola sancisce il diritto di istituire scuole libere, ma vieta allo Stato di erogare loro finanziamenti.
Secondo altri la normativa intende semplicemente escludere un diritto costituzionale dei privati ai contributi dello Stato; essa però non vieta qualsiasi aiuto pubblico alle scuole libere.
Altri infine ritengono che la tesi del divieto è in contraddizione con il resto della nostra costituzione scolastica.
Per oltre 50 anni il dettato della carta fondamentale che, tra l’altro, richiedeva l’emanazione di una legge sulla parità delle scuole non statali, è rimasto inattuato, nonostante l’invito della Corte Costituzionale nel 1958 a provvedere con sollecitudine.

Solo nel 2000 la L. n.62 ha introdotto una parità parziale e imperfetta.
Gli aspetti problematici riguardano soprattutto il concreto della vita scolastica: la realizzazione del tutto inadeguata della libertà di educazione della famiglia; l’ambiguità presente già nel titolo che mescola parità e diritto allo studio e all’istruzione; l’affermazione di principi giuridici di per sé validi ma di cui non viene valorizzata tutta la potenzialità pratica.
Al tempo stesso risultano apprezzabili alcuni aspetti fondamentali di carattere giuridico quali: la consacrazione in legge del principio di un sistema nazionale di istruzione che non si identifica con la scuole dello Stato e degli Enti locali, ma del quale sono parte integrante scuola statale e libera; il riconoscimento del servizio pubblico delle scuole paritarie; la libertà culturale e pedagogica con il diritto di dichiarare nel progetto educativo la propria ispirazione culturale o religiosa; la libertà del gestore di scegliere il personale dirigente e docente, purché fornito di abilitazione.

Lo scenario a livello mondiale.
Il riconoscimento reale e pieno della libertà di educazione può contare almeno su tre giustificazioni:
-    il diritto di ogni persona ad educarsi e a essere educata secondo le proprie convinzioni e il correlativo diritto dei genitori di decidere dell’educazione e del genere d’istruzione da dare ai loro figli minori;
-    il modello dell’educazione permanente la cui attuazione è assicurata non solo dalle istituzioni formative statali, ma anche da una pluralità di strutture educative pubbliche o private che, in quanto operano senza scopo di lucro, hanno diritto di ricevere adeguate sovvenzioni statali;
-    l’emergere nelle dinamiche sociali fra Stato e mercato di un «terzo settore» o del «privato sociale» che, creato dall’iniziativa dei privati e orientato a perseguire finalità di interesse generale, sta ottenendo un sostegno sempre più consistente dallo Stato a motivo delle sue valenze solidaristiche.

Vari fattori hanno spinto i governi ad interessarsi a forme di privatizzazione dell’istruzione tra cui, fra l’altro, una certa superiorità della scuola libera rispetto alla pubblica circa il profitto degli allievi, evidenziata dalla ricerca.
Tra i regimi giuridici della libertà di educazione una formula che contrasta con criteri di eguaglianza sostanziale è costituita dal monopolio dello Stato che relega le scuole libere in una posizione marginale, escludendole tra l'altro dai finanziamenti pubblici.
Tra i modelli accettabili vanno ricordati:
-    il sistema integrato di servizio scolastico che è caratterizzato dall’integrazione e dal coordinamento nell’unico servizio pubblico delle scuole predisposte dai pubblici poteri e di quelle istituite e/o gestite da soggetti diversi, purché dirette al fine di educazione;
-    il regime delle convenzioni che consiste in un’associazione dell’iniziativa privata al servizio pubblico, a metà strada fra l’indipendenza e l’integrazione;
-    il buono scuola, purché sia subordinato a condizioni che garantiscano l’eguaglianza delle opportunità.

Da ultimo, una ipotesi recente che potrebbe rivelarsi molto valida propone il passaggio da una scuola sostanzialmente dello Stato a una scuola della società civile con un perdurante ed irrinunciabile ruolo dello Stato, ma nella linea della sussidiarietà.
 
n. 2: Qualità della formazione e accreditamento in Italia. Il punto a novembre 2012  
(ISFOL, Appunti, Novembre 2012)  

Raccomandazione dell’Ue, giugno 2009
La Raccomandazione dell’Ue del giugno 2009 per l’istituzione di un Quadro europeo di riferimento per la garanzia della qualità dell’istruzione e della formazione professionale (European Quality Assurance Reference Framework for Vocational Education and Training – EQAVET) prevede che ciascuno Stato membro definisca entro due anni un approccio volto a migliorare i sistemi di garanzia della qualità a livello nazionale e ad utilizzare nel modo migliore il quadro di riferimento, coinvolgendo le parti sociali, le autorità regionali e locali e tutti i soggetti interessati, conformemente alla legislazione e alla prassi nazionali.

Secondo la Raccomandazione, il modello europeo deve ispirare sia le strategie di governo del sistema a livello nazionale o regionale, sia le strategie di chi gestisce a livello locale l’attività formativa.
Infatti l’European Quality Assurance Reference Framework enfatizza la necessità che la garanzia di qualità sia organicamente inserita all’interno del processo decisionale, altrimenti rimarrà un’analisi dei risultati fine a sé stessa, forse utile per il controllo ma non per lo sviluppo del sistema e in particolare delle competenze dei cittadini. Inoltre la Raccomandazione europea pone un forte accento sul monitoraggio e sulla valutazione interna ad esterna, a rimarcare che l’attenzione al rispetto degli standard di qualità deve essere accompagnata da meccanismi di valutazione che entrino nel merito dei risultati raggiunti anche in termini di apprendimenti conseguiti.

L’applicazione di questa Raccomandazione in ambito nazionale ha comportato l’elaborazione di un Piano nazionale per la garanzia di qualità del sistema di Istruzione e formazione professionale.
Infatti, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, le Regioni e le Province autonome, condividendo le finalità e i vantaggi connessi all’attuazione della Raccomandazione europea, hanno concordato sull’opportunità di individuare un quadro di riferimento comune, caratterizzato da scelte e da criteri omogenei, lasciando altresì all’autonomia dei diversi soggetti interessati le decisioni su ulteriori evoluzioni e declinazioni.
Allo stato attuale il Piano ha avuto l’approvazione di tutti i soggetti istituzionali coinvolti, del Ministero del Lavoro, del Ministero dell’Istruzione e delle Regioni, mentre dovrà essere riproposto alle parti sociali rappresentate nel Board del Reference Point nazionale.

L’obiettivo finale del Piano è quello di introdurre, in coerenza con il quadro europeo, elementi effettivamente utili al miglioramento e all’evoluzione qualitativa dei sistemi di istruzione e formazione professionale, valorizzando quanto finora realizzato ed acquisito ed evitando aggravi burocratici e costi eccessivi. Il Piano è stato concepito in termini di progressiva implementazione, a partire dalla fotografia della situazione esistente a livello di sistemi nazionali e regionali e a livello di erogatori dell’istruzione e della formazione professionale.

Nel pervenire alla stesura del Piano nazionale, l’assunto e l’approccio fondamentali sono stati il rispetto e la valorizzazione delle specificità delle attività di istruzione e di quelle della formazione professionale, ponendo sempre al centro dell’attenzione in primo luogo le persone, e dunque i soggetti che utilizzano il sistema, ovvero i giovani e gli adulti in situazione di apprendimento, tenendo presente che la finalità del sistema (e dunque il parametro finale rispetto al quale si potrà valutare la qualità del sistema) è l’acquisizione di conoscenze e competenze utili per lo sviluppo personale e per un adeguato inserimento nella società civile ed economica.

Il Piano nazionale prospetta l’adozione di alcuni indicatori, con riferimento anche a quelli suggeriti dalla Raccomandazione europea, ma non intende in nessun modo sostituire l’analisi quantitativa alla valutazione qualitativa, che è l’unica in grado di tenere conto della complessità dell’attività formativa.
L’uso degli indicatori, e di altri parametri statistici, rappresenta solamente un supporto alla valutazione più complessiva, che rimane affidata ai diversi soggetti preposti nell’ambito delle diverse iniziative già esistenti per la garanzia di qualità.
In particolare per quanto riguarda la componente del sistema VET (Vocational Education and Training) che fa riferimento al Ministero del Lavoro e alle Regioni, l’iniziativa nazionale più significativa in merito alla garanzia di qualità riguarda l’introduzione di un sistema di accreditamento delle strutture formative.

L’accreditamento si è reso necessario a seguito della crescita del mercato della formazione, che si è venuta a determinare per l’introduzione nel nostro sistema delle regole e delle risorse del Fondo Sociale Europeo, nonché a fronte dell’insufficienza di una valutazione basata esclusivamente sulla bontà del progetto formativo, senza tener conto della affidabilità della struttura.

Il sistema di accreditamento in Italia
L’accreditamento costituisce, ad oggi, il principale strumento di assicurazione della qualità dell’offerta formativa finanziata con fondi pubblici. Le Regioni, in qualità di amministrazioni competenti in materia di formazione, hanno progressivamente investito nell’affinamento del proprio sistema di accreditamento sia in termini di maggiore selettività delle strutture formative, sia di sostenibilità dei dispositivi da parte delle amministrazioni stesse. In base alle rilevazioni periodiche realizzate dall’Isfol sul numero delle strutture accreditate, si possono offrire alcune riflessioni sulle tendenze che hanno caratterizzato il fenomeno accreditamento nei diversi contesti territoriali, a partire dall’implementazione dei primi sistemi regionali (ex D.M.166/2001) fino alla pubblicazione dell’Intesa Stato-Regioni del 2008.