Argomento:
Data:
3 Dicembre 2010
Descrizione breve:
Rapporto sulla situazione sociale italiana.
Contenuto nascosto:
Il Rapporto Annuale 2010
44° Rapporto sulla situazione sociale del paese
Giunto alla 44a edizione, il Rapporto Censis interpreta i più significativi fenomeni socio-economici
del Paese in una confusa congiuntura. Le Considerazioni generali introducono il Rapporto
sottolineando come la società italiana sembra franare verso il basso sotto un’onda di pulsioni
sregolate. L’inconscio collettivo appare senza più legge, né desiderio. E viene meno la fiducia nelle
lunghe derive e nella efficacia della classe dirigente. Tornare a desiderare è la virtù civile necessaria
per riattivare la dinamica di una società troppo appagata e appiattita.
Nella seconda parte, La società italiana al 2010, vengono affrontati i temi di maggiore interesse
emersi nel corso dell’anno: la pericolosa china verso l’appiattimento, la proliferazione della logica
d’offerta, l’intreccio (virtuoso o pericoloso) dei sottosistemi, la frammentazione del potere. Nella
terza e quarta parte si presentano le analisi per settori: la formazione, il lavoro e la rappresentanza, il
welfare e la sanità, il territorio e le reti, i soggetti economici, i media e la comunicazione, il governo
pubblico, la sicurezza e la cittadinanza.
Schede:
1. Considerazioni generali
2. Le famiglie resistono alla crisi, rischi per il lavoro, dura ristrutturazione del terziario
3. Processi formativi
4. Lavoro, professionalità, rappresentanze
5. Il sistema di welfare
6. Territorio e reti
7. I soggetti economici dello sviluppo
8. Comunicazione e media
9. Governo pubblico
10. Sicurezza e cittadinanza
Dicembre 2010
1. Considerazioni generali
Un inconscio collettivo senza più legge, né desiderio
La società slitta sotto un’onda di pulsioni sregolate. Viene meno la fiducia nelle lunghe derive e
nell’efficacia delle classi dirigenti. Tornare a desiderare è la virtù civile necessaria per riattivare le
dinamiche sociali.
Roma, 3 dicembre 2010
Abbiamo resistito
Abbiamo resistito ai mesi più drammatici della crisi, seppure con una «evidente fatica del vivere e
dolorose emarginazioni occupazionali». Al di là dei fenomeni congiunturali economici e politico-
istituzionali dell’anno, adesso occorre una verifica di cosa è diventata la società italiana nelle sue
fibre più intime. Perché sorge il dubbio che, anche se ripartisse la marcia dello sviluppo, la nostra
società non avrebbe lo spessore e il vigore adeguati alle sfide che dovremo affrontare.
Una società appiattita
Sono evidenti manifestazioni di fragilità sia personali che di massa: comportamenti e atteggiamenti
spaesati, indifferenti, cinici, passivamente adattativi, prigionieri delle influenze mediatiche,
condannati al presente senza profondità di memoria e futuro. Si sono appiattiti i nostri riferimenti
alti e nobili (l’eredità risorgimentale, il laico primato dello Stato, la cultura del riformismo, la fede
in uno sviluppo continuato e progressivo), soppiantati dalla delusione per gli esiti del primato del
mercato, della verticalizzazione e personalizzazione del potere, del decisionismo di chi governa. E
una società appiattita fa franare verso il basso anche il vigore dei soggetti presenti in essa.«Una
società ad alta soggettività, che aveva costruito una sua cinquantennale storia sulla vitalità, sulla
grinta, sul vigore dei soggetti, si ritrova a dover fare i conti proprio con il declino della soggettività,
che non basta più quando bisogna giocare su processi che hanno radici e motori fuori della realtà
italiana».
Un’onda di pulsioni sregolate
Non riusciamo più a individuare un dispositivo di fondo (centrale o periferico, morale o giuridico)
che disciplini comportamenti, atteggiamenti, valori. Si afferma così una «diffusa e inquietante
sregolazione pulsionale», con comportamenti individuali all’impronta di un «egoismo
autoreferenziale e narcisistico»: negli episodi di violenza familiare, nel bullismo gratuito, nel gusto
apatico di compiere delitti comuni, nella tendenza a facili godimenti sessuali, nella ricerca di un
eccesso di stimolazione esterna che supplisca al vuoto interiore del soggetto, nel ricambio febbrile
degli oggetti da acquisire e godere, nella ricerca demenziale di esperienze che sfidano la morte
(come ilbalconing). «Siamo una società pericolosamente segnata dal vuoto, visto che ad un ciclo
storico pieno di interessi e di conflitti sociali, si va sostituendo un ciclo segnato dall’annullamento e
dalla nirvanizzazione degli interessi e dei conflitti».
Il declino parallelo della legge e del desiderio nell’inconscio collettivo
Bisogna scendere più a fondo nella personalità dei singoli e nella soggettività collettiva per
verificare come funziona l’inconscio. Qui si confrontano la legge (l’autorità esterna o interiorizzata)
e il desiderio (che esprime il bisogno e la volontà di superare il vuoto acquisendo oggetti e
relazioni). Ogni giorno di più il desiderio diventa esangue, indebolito dall’appagamento derivante
dalla soddisfazione di desideri covati per decenni (dalla casa di proprietà alle vacanze) o indebolito
dal primato dell’offerta di oggetti in realtà mai desiderati (con bambini obbligati a godere giocattoli
mai chiesti e adulti al sesto tipo di telefono cellulare). «La strategia del rinforzo continuato
dell’offerta è uno strumento invincibile nel non dare spazio ai desideri». Così, all’inconscio manca
oggi la materia prima su cui lavorare, cioè il desiderio. Al tempo stesso, la desublimazione di
archetipi, ideali, figure di riferimento rende labili i riferimenti alla legge (del padre, del dettato
religioso, della stessa coscienza). «Si vive senza norma, quasi senza individuabili confini della
normalità, per cui tutto nella mente dei singoli è aleatorio vagabondaggio, non capace di riferirsi ad
un solido basamento».
Tornare a desiderare
Di fronte ai duri problemi attuali e all’urgenza di adeguate politiche per rilanciare lo sviluppo, viene
meno la fiducia nelle lunghe derive su cui evolve spontaneamente la nostra società. Ancora più
improbabile è che si possa contare sulle responsabilità della classe dirigente, sulleleadership
partitiche o su un rinnovato impegno degli apparati pubblici. La tematica rigore-ripresa è ferma alle
parole, la riflessione sullo sviluppo europeo è flebile, i tanti richiami ai temi all’ordine del giorno
(la scuola, l’occupazione, le infrastrutture, la legalità, il Mezzogiorno) sono solo enunciati seriali.
La complessità italiana è essenzialmente complessità culturale. Nella crisi che stiamo attraversando
c’è quindi bisogno di messaggi che facciano autocoscienza di massa. Non esistono attualmente in
Italia sedi di auctoritas che potrebbero ridare forza alla «legge». Più utile è il richiamo a un rilancio
del desiderio, individuale e collettivo, per andare oltre la soggettività autoreferenziale, per vincere il
nichilismo dell’indifferenza generalizzata. «Tornare a desiderare è la virtù civile necessaria per
riattivare la dinamica di una società troppo appagata e appiattita». Attualmente tre sono i processi in
cui sono ravvisabili germi di desiderio: la crescita di comportamenti «apolidi» legati al primato
della competitività internazionale (gli imprenditori e i giovani che lavorano e studiano all’estero), i
nuovi reticoli di rappresentanza nel mondo delle imprese e il lento formarsi di un tessuto federalista,
la propensione a fare comunità in luoghi a misura d’uomo (borghi, paesi o piccole città).
2. L’Italia appiattita stenta a ripartire
Crisi e globalizzazione portano disinvestimento dal lavoro, despecializzazione produttiva, risparmi
stagnanti. Ma il Paese tiene grazie a intrecci virtuosi: welfare mix e reti di imprese.
Roma, 3 dicembre 2010
L’appiattimento. Il disinvestimento individuale dal lavoro
Mentre in tutto il mondo la ricetta per uscire dalla crisi prevede l’attivazione di tutte le energie
professionali con l’auto-imprenditorialità, l’Italia - patria del lavoro autonomo e imprenditoriale -
vede ridursi in questi anni proprio la componente del lavoro non dipendente: 437.000 imprenditori e
lavoratori in proprio (artigiani e commercianti) in meno dal 2004 al 2009 (-7,6%). L’Italia è anche il
Paese europeo con il più basso ricorso a orari flessibili nell’ambito dell’organizzazione produttiva:
solo l’11% delle aziende con più di 10 addetti utilizza turni di notte, solo il 14% fa ricorso al lavoro
di domenica e il 38% al lavoro di sabato. E siamo il Paese dove è più bassa la percentuale di
imprese che adottano modelli di partecipazione dei lavoratori agli utili dell’azienda (lo fa solo il 3%
contro una media europea del 14%). Nei primi due trimestri del 2010 si è registrato poi un calo
degli occupati tra 15 e 34 anni del 5,9%, a fronte di una riduzione media dello 0,9%. Poco fiduciosi
nella possibilità di trovare un’occupazione, ma anche poco disponibili a trovarne una a qualsiasi
condizione, i giovani hanno avvertito più degli altri gli effetti della crisi. Sono 2.242.000 le persone
tra 15 e 34 anni che non studiano, non lavorano, né cercano un impiego. Più della metà degli italiani
(il 55,5%) pensa che i giovani non trovano lavoro perché non vogliono accettare occupazioni
faticose e di scarso prestigio: una valutazione che potrebbe apparire ingenerosa e stereotipata, se
non fosse che ad esserne più convinti sono proprio i più giovani, tra i quali la percentuale sale al
57,8%.
Il rischio di despecializzazione imprenditoriale
Tra il 2000 e il 2009, il tasso di crescita dell’economia italiana è stato più basso che in Germania,
Francia e Regno Unito. Ma il declino demografico o l’immobilismo del mercato del lavoro non
c’entrano. A partire dal 2000, in Italia la popolazione residente è cresciuta del 5,8%, gli occupati
dell’8,3% e il Pil dell’1,4% in termini reali. In Germania le variazioni sono: popolazione -0,4%,
occupati +2,9%, Pil +5,2%. In Francia: residenti +6,2%, occupati +5,0%, Pil +10,9%. Nel Regno
Unito: residenti +4,9%, occupati +5,4%, Pil +13,4%. Esiste un rischio di despecializzazione
imprenditoriale. La quota dell’export italiano sul mercato mondiale è passata negli ultimi nove anni
dal 3,8% al 3,5%. È migliorato il nostro posizionamento per prodotti come gli articoli di
abbigliamento, i macchinari per uso industriale, i prodotti alimentari, ma abbiamo perso terreno nei
comparti a maggiore tasso di specializzazione, come le calzature (-3,8%), la gioielleria (-4,3%), i
mobili (-4,7%), gli elettrodomestici (-5,8%) e i materiali da costruzione (-13,7%). Il pericolo è che
strategie di nicchia, design e qualità non bastino più senza maggiori iniezioni di innovazione nei
prodotti.
L’uso stagnante del risparmio familiare
Mattone, liquidità, polizze: sono questi i pilastri ai quali le famiglie si sono ancorate per resistere
alla crisi. Nel primo trimestre del 2010 i mutui erogati sono aumentati in termini reali del 10,1%
rispetto alla stesso periodo del 2008, superando i 252 miliardi di euro. Nel biennio è aumentata la
liquidità detenuta dalle famiglie (+4,6% in termini reali i biglietti e depositi a vista, +10,3% gli altri
depositi). Nei primi nove mesi del 2010 i premi per nuove polizze vita sono aumentati del 22%
rispetto allo stesso periodo del 2009. Tra le famiglie che fronteggiano pagamenti rateali, mutui o
prestiti di vario tipo, il 7,8% dichiara di non essere riuscito a rispettare le scadenze previste, il
13,4% lo ha fatto con molte difficoltà, il 38,5% con un po’ di difficoltà: a soffrire di più sono state
le famiglie monogenitoriali e le coppie con figli. Nonostante la generale propensione a evitare
impieghi rischiosi, negli ultimi mesi si registra però il ritorno a un profilo meno prudente nella
collocazione del risparmio familiare, con un aumento tra il primo trimestre 2009 e il primo trimestre
2010 delle quote di fondi comuni d’investimento (+29,3%) e delle azioni e partecipazioni (+12,5%).
La proliferazione dell’offerta. L’artificiale promozione dei consumi
Si moltiplicano gli strumenti pubblici e privati di incentivazione della domanda, con la progressiva
spalmatura delle offerte promozionali lungo tutto l’anno. Con la crisi, si registra una crescita del
credito al consumo (+5,6% nel 2008 e +4,7% nel 2009), mentre il valore delle operazioni con carte
di pagamento ha raggiunto complessivamente i 252 miliardi di euro nel 2009. Hanno contribuito
soprattutto le carte di credito (+9% di operazioni rispetto al 2008), le carte prepagate (+23,6%), i
bonifici bancari automatizzati (+1,3%).
La moltiplicazione delle spese indesiderate
I consumi «obbligati» delle famiglie si sono attestati su un livello mai raggiunto in precedenza.
Erano il 18,9% della spesa familiare complessiva nel 1970, il 24,9% nel 1990, il 27,7% nel 2000 e
oggi superano il 30%. Crescono le forme di pagamento cui non ci si può sottrarre. Gli aumenti
tariffari per il prossimo anno vengono calcolati in poco meno di 1.000 euro a famiglia. Poi ci sono i
contributi aggiuntivi per le scuole dell’obbligo, le fasce blu per i parcheggi, le multe che sostengono
le esangui casse dei Comuni, le revisioni di auto e caldaie, le parcelle per la dichiarazione dei
redditi. Complessivamente, la stima della «tassazione occulta» elaborata dal Censis porta a 2.289
euro all’anno per una famiglia di tre persone.
Gli eccessi nell’urbanizzazione del territorio
Il boom immobiliare degli anni passati ha alimentato una nuova ondata di costruzioni, che
cambiano la morfologia del paesaggio metropolitano. La quota di superficie territoriale
impermeabilizzata è aumentata al 6,3%. Tra il 2005 e il 2009 le superfici degli ipermercati sono
cresciute del 28%, quelle dei grandi centri di vendita specializzati (elettronica, arredamento, sport,
bricolage) del 34,5%, il numero dei multiplex (i cinema con almeno 8 schermi) è salito del 21,5%.
Gli intrecci virtuosi. L’irrobustimento delle reti fra imprese
Nel 2010 sono state varate molte misure che incentivano la costituzione di forme di collaborazione
fra imprese. Secondo una rilevazione del Censis, nelle aree distrettuali il dialogo tra tessuto
produttivo, enti di formazione, strutture di ricerca, Confidi, centri servizi è cresciuto. Il 57% degli
imprenditori intervistati si rivolge a laboratori di prova all’interno dell’area distrettuale, il 53% a
strutture di formazione, quasi il 50% a un centro servizi per il distretto, il 43% a una struttura di
coordinamento per le attività di esportazione presente nel suo territorio.
I continui aggiustamenti del welfare mix
Le famiglie sono un pilastro strategico del welfare, caricandosi di compiti assistenziali,
particolarmente gravosi per le situazioni più problematiche di non autosufficienza e disabilità, di
fatto sopperendo ai vuoti del sistema pubblico. Il numero delle persone disabili è stimato in 4,1
milioni. La presa in carico di queste situazioni riguarda le famiglie (i caregiver sono madri, coniugi
e figli) e il ricorso alle badanti come soggetti principali dell’assistenza riguarda il 10,7% dei casi.
Anche il volontariato continua a garantire una funzione strategica di provider di servizi in tempo di
crisi. Secondo una recente indagine del Censis, un italiano su 4 (il 26,2%) svolge una qualche forma
di volontariato. I settori nei quali si opera di più sono la sanità (il 33% dei casi) e nel Sud
l’assistenza sociale (il 32,7%).
La famiglia protagonista forzata delle vicende scolastiche
Il disincanto delle famiglie non è l’unica reazione sociale in campo educativo. Ad esso si
sovrappongono i crescenti oneri diretti e indiretti. Il 56,5% delle scuole italiane (dalla materna alle
superiori) ha chiesto in quest’anno scolastico un contributo volontario alle famiglie, aggiuntivo alle
tasse scolastiche e al costo della mensa. Il valore medio versato è stato pari a 80 euro, con punte
fino a 100 euro nella scuola primaria e 260 euro nei licei. Un quarto delle scuole ha aumentato il
contributo richiesto rispetto all’anno precedente. Il 36,4% delle scuole dispone anche di altre forme
private di finanziamento: donazioni, proventi da distributori automatici di cibi e bevande,
sponsorizzazioni, pubblicità o affitto di locali. Le famiglie tengono alle scuole dei figli, tanto che
hanno collaborato ai lavori di piccola manutenzione (come ridipingere le pareti) del 13,6% degli
edifici. Tra il 2001 e il 2009 aumenta al 15,7% la quota di minori in età scolare che hanno
frequentato almeno un corso o lezioni private (+4,7%). Gli incrementi riguardano le lezioni private
per il recupero scolastico (+2,3%), i corsi di tipo artistico o culturale (+2%), o di lingue straniere
(+1,3%).
Gli intrecci perversi. I limiti del galleggiare sul nero
Se il Paese non imbocca con decisione il sentiero della ripresa dipende anche dal fatto che sul
sistema pesano come macigni un debito pubblico enorme, che ogni anno drena risorse per il 4,7%
del Pil, e un’evasione fiscale che le stime più rosee valutano intorno a 100 miliardi di euro l’anno.
L’economia irregolare, dopo un lungo periodo di frenata, ha ripreso a crescere, registrando tra il
2007 e il 2008 un aumento del valore del 3,3%, portando l’incidenza sul Pil dal 17,2% al 17,6%. A
trainarla è stata la componente più invisibile, legata ai fenomeni di sottofatturazione e di evasione
fiscale (+5,2%), la cui incidenza sul valore complessivo del sommerso raggiunge ormai il 62,8%.
Di contro, il valore imputabile al fenomeno del lavoro irregolare resta sostanzialmente stabile
(+0,1%) e la sua incidenza scende dal 38,4% al 37,2%. Ma gli italiani iniziano a guardare con
preoccupazione al dilagare di questi fenomeni, su cui da sempre si è chiuso un occhio, anche per
convenienza personale. Secondo un’indagine del Censis, il 44,4% degli italiani individua
nell’evasione fiscale il male principale del nostro sistema pubblico, il 60% ritiene che negli ultimi
tre anni l’evasione fiscale sia aumentata, il 51,7% chiede di aumentare i controlli per contrastare
l’evasione. Tuttavia, di fronte a un esercente che non rilascia lo scontrino o la fattura, ancora più di
un terzo degli italiani (il 34,1%) ammette candidamente di non richiederlo, tanto più se questo
consente di risparmiare qualche euro.
I grumi perversi della criminalità organizzata
In Sicilia, Campania, Calabria e Puglia sono 448 i Comuni in cui sono presenti sodalizi criminali,
441 quelli in cui si trovano beni immobili confiscati alle organizzazioni criminali, 36 quelli sciolti
negli ultimi tre anni per infiltrazioni mafiose. Complessivamente si tratta di 672 territori comunali,
che occupano il 54,8% della superficie delle quattro regioni, dove vive il 79,2% della popolazione
(più di 13,4 milioni di persone, che rappresentano il 22,3% dell’intera popolazione italiana).
Rispetto a tre anni fa, il numero dei Comuni è aumentato (nel 2007 erano 610). La regione dove la
presenza della criminalità organizzata e il controllo del territorio sono più pressanti è la Sicilia
(dove il 52,3% dei Comuni presenta almeno un indicatore di criminalità organizzata, coinvolgendo
l’83,1% della popolazione), segue la Puglia (con il 43% dei Comuni), la Calabria (38,4%) e la
Campania (36,3%). L’indicatore segnala la presenza di attività criminali a diverso livello
d’insediamento, con l’ambiguità che dove più si perseguono le mafie ce n’è maggiore evidenza.
Tuttavia, la pervasività nel territorio meridionale della criminalità organizzata viene confermata in
crescita.
La frammentazione del potere. Le ambivalenze della verticalizzazione in politica.
Dopo il lungo ciclo iniziato negli anni ’80, con la voglia di maggiore decisionismo e governabilità,
oggi quasi il 71% degli italiani ritiene che la scelta di dare più poteri al governo e/o al capo del
governo non sia adeguata per risolvere i problemi del Paese. Il distacco è più marcato tra i giovani
(75%), le donne (77%), le persone con titolo di studio elevato (quasi il 74% dei diplomati e oltre il
73% dei laureati).L’accelerazione dei processi decisionali della politica non si è verificata, se è vero
che, ad esempio, secondo l’Eurobarometro il 74% degli italiani giudica negativamente il modo in
cui opera la Pubblica Amministrazione nel nostro Paese: un dato nettamente superiore al valore
medio europeo (52%) e a quanto rilevato in Spagna (53%), Francia (52%), Regno Unito (49%) e
Germania (32%).
I mancati effetti del decisionismo
Secondo un’indagine del Censis, la maggioranza relativa degli italiani (il 34,4%) ritiene che la
classe politica litigiosa sia il principale problema che grava sulla ripresa economica del Paese,
prima ancora della elevata disoccupazione (29,6%), e soprattutto sulla possibilità di realizzare gli
interventi. Molti dei provvedimenti varati negli ultimi anni hanno avuto un modesto impatto reale. I
beneficiari della social card sono 450.000, a fronte di 830.000 richieste e una platea di riferimento
annunciata di circa 1,3 milioni di persone. Per il Piano casa si parlava di investimenti per 70
miliardi di euro, ma a più di un anno di distanza in oltre 60 Comuni capoluogo di provincia sono
state presentate poco meno di 2.700 istanze (in media 42 per Comune). Per realizzare un’opera
pubblica nel settore dei trasporti di valore superiore a 50 milioni di euro ci vogliono ancora
mediamente 3.942 giorni, quasi 11 anni. I lavori dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria sono stati
avviati nel 1997 e il loro completamento, fissato al 2003, è stato posticipato prima al 2008 e poi al
2013.
Federalismo fiscale: la sfida delle responsabilità diffuse
Le amministrazioni locali (Regioni ed enti locali) raccolgono 250 miliardi di euro di entrate, ma di
questi meno della metà proviene dall’azione tributaria, mentre il grosso (112 miliardi) è costituito
da trasferimenti delle amministrazioni centrali. L’87,3% delle entrate dello Stato ha carattere
tributario, ma solo il 37,1% nelle amministrazioni locali. È da questi dati e dalla valutazione sulla
componente dei trasferimenti che potrebbe essere oggetto di riscossione diretta che il federalismo
fiscale deve partire.
3. Processi formativi
Roma, 3 dicembre 2010
Rallenta la crescita degli alunni stranieri a scuola
Pur se ancora di segno positivo, il tasso di incremento della presenza a scuola di alunni con
cittadinanza non italiana manifesta una progressiva decelerazione, attestandosi sul +7% nell’anno
scolastico 2009-2010. In termini assoluti, si tratta di un incremento di 44.232 alunni, che portano a
un peso percentuale del 7,5% sul totale della popolazione scolastica. In particolare, la presenza di
alunni con cittadinanza non italiana supera la quota dell’8% nella scuola dell’infanzia (8,1%),
primaria (8,7%) e secondaria di I grado (8,5%), e si mantiene intorno al 5% nella secondaria di II
grado (5,3%).
Aumentano le esperienze di alternanza scuola-lavoro
Continua la diffusione nelle scuole secondarie di II grado di esperienze strutturate di alternanza
scuola-lavoro, che nel 2009-2010 hanno coinvolto 71.561 studenti (+3,2% rispetto al 2008-2009) di
1.331 istituti (+22,3%). Il numero di imprese coinvolte si avvicina alla soglia delle 30.000 unità.
L’importanza crescente del contributo finanziario di famiglie e privati alle scuole italiane
I contributi volontari versati dalle famiglie sono un’entrata sempre più importante per la gestione
delle scuole statali. Secondo un’indagine del Censis, il 53% delle scuole statali di ogni ordine e
grado ha richiesto quest’anno il contributo. Le somme richieste a livello pre-scolare o di scuola
dell’obbligo sono in media di modesta entità (16,4 euro nella scuola dell’infanzia e 19,8 euro nella
scuola secondaria di I grado). Nelle scuole di II grado, invece, il contributo medio supera gli 80
euro pro-capite, con oscillazioni fino ai 260 euro nei licei. Il 25% dei dirigenti dichiara di averne
dovuto aumentare l’importo rispetto allo scorso anno. Aderisce alla richiesta l’82,7% dei genitori.
Ci sono poi i finanziamenti provenienti da soggetti privati esterni all’istituto scolastico: un
fenomeno che riguarda il 36,4% delle scuole. Il principale canale di reperimento di risorse
aggiuntive private è costituito dalle donazioni (il 46,4% dei casi), seguono i proventi dovuti
all’installazione di macchine distributrici di bevande e alimenti (34,8%), l’individuazione di uno
sponsor o la concessione di spazi pubblicitari (31,8%).
La scuola digitale tra aspettative elevate e criticità attuali
L’84,9% delle scuole possiede una o più Lavagne interattive multimediali (Lim), dislocate in aule
ordinarie o in laboratori speciali. Si oscilla tra l’88% delle scuole nel Nord-Ovest e l’83,4% nel Sud.
È quanto emerge da una rilevazione del Censis sull’introduzione nelle scuole delle Lim come
supporti didattici in grado di innovare l’ambiente di apprendimento e le metodologie didattiche. Nel
91,4% dei casi le risorse per l’acquisto delle Lim hanno origine ministeriale. In misura minore, e
spesso in aggiunta alle risorse ministeriali, le Lim sono state acquistate dalle scuole con fondi propri
(20%) o grazie all’intervento di Regioni ed enti locali (10%), o sono state donate da soggetti privati
(6,6%).
Tecnici superiori: sarà la volta buona?
Il tasso di diploma post-secondario in Italia è pari al 3%, meno della metà del dato medio Ocse
(7,2%), mentre la quota nazionale di studenti che concludono percorsi di istruzione terziaria
tecnico-professionali orientati all’inserimento professionale si è attestata nel 2008 sullo 0,7%
(media Ocse: 12,2%). Oggi però comincia a innestarsi un nuovo modello d’offerta, il cui asse
portante è costituito dagli Istituti tecnici superiori (Its). Sono 15 le Regioni che hanno avviato la
costituzione di 48 Its (21 al Nord, 14 al Centro, 13 al Sud e nelle isole) operativi soprattutto nel
settore delle nuove tecnologie per il made in Italy (24), mobilità sostenibile (8), tecnologie
dell’informazione e della comunicazione ed efficienza energetica (5), tecnologie innovative per i
beni culturali/turismo e tecnologie per la vita (3).
Le sfide da affrontare per un rilancio del sistema universitario italiano
Secondo la tradizionale indagine del Censis presso i presidi di Facoltà, al primo posto tra i fattori di
spinta della competitività del sistema universitario viene individuato il costante miglioramento dei
servizi offerti (53,8%), al secondo e terzo posto la mobilità internazionale degli studenti (46,2%) e
lo sviluppo di collaborazioni internazionali (37,5%). Sempre in relazione all’internazionalizzazione,
un preside su 4 (26%) indica lo sviluppo di corsi di laurea a doppio o congiunto titolo.
4. Lavoro, professionalità, rappresentanze
Roma, 3 dicembre 2010
Allarme giovani
La crisi ha scaricato i suoi effetti su una sola componente del mercato del lavoro, quella giovanile.
Nel 2009 tra gli occupati di 15-34 anni si sono persi circa 485.000 posti di lavoro (-6,8%) e nei
primi due trimestri del 2010 se ne sono bruciati quasi altri 400.000 (-5,9%). Di contro, se si esclude
la fascia immediatamente successiva, dei 35-44enni, dove pure si è registrato un decremento del
livello di occupazione (-1,1% tra il 2008 e il 2009 e -0,7% nel 2010), in tutti gli altri segmenti
generazionali, non solo l’occupazione ha tenuto, ma è risultata addirittura in crescita: è aumentata di
85.000 unità tra i 45-54enni (+1,4% tra il 2008 e il 2009) e di oltre 100.000 tra gli over 55 (+3,7%).
I primi segnali relativi al 2010 (+2,4% per i primi, +3,6% per i secondi) sembrano andare nella
stessa direzione. Tra le ragioni che hanno visto così penalizzata la componente giovanile del lavoro
vi è il loro maggiore coinvolgimento nei fenomeni di flessibilità: tra il 2008 e il 2009, a fronte della
sostanziale tenuta del lavoro a tempo indeterminato, si è registrata una fortissima contrazione sia del
lavoro a progetto (-14,9%), sia del lavoro temporaneo (-7,3%).
Lavoro in proprio cercasi
Nell’ultimo decennio, a fronte di una crescita del lavoro dipendente di 2.406.000 unità (+16,2% tra
il 1999 e il 2009), i lavoratori autonomi sono diminuiti di circa 200.000 unità (-3,8%), portando la
loro incidenza sul totale degli occupati dal 26,6% al 24,5%. Tra le diverse tipologie di lavoro
autonomo, ad essere più in crisi è quella imprenditoriale. Tra il 2004 e il 2009, il numero di
imprenditori è passato da 400.000 circa a 260.000, cioè 140.000 in meno (-35,1%). Il lavoro libero
professionale ha registrato una piccola crescita (+2,2%), mentre i lavoratori in proprio (piccoli
artigiani e commercianti) hanno visto indebolite le loro fila di oltre 90.000 occupati (-2,5%). Sono
soprattutto i giovani a cimentarsi di meno nell’attività in proprio. I lavoratori autonomi con meno di
35 anni sono passati da 1.480.000 a 1.070.000, 400.000 in meno (-27,8%), mettendo così in
discussione una delle più consolidate certezze del sistema di sviluppo italiano.
L’anno zero della contrattazione
La maggioranza degli italiani sembra ormai convinta che la crescita di competitività di cui il
sistema-Paese ha bisogno non possa avvenire senza un surplus di impegno da parte di tutti. Circa
l’80% si dichiara d’accordo sul fatto che la retribuzione dei lavoratori dovrebbe essere collegata per
una quota significativa alla produttività individuale. Una delle strade da percorrere è il rilancio della
contrattazione decentrata. Nell’ultimo decennio, tra le aziende industriali con oltre 20 addetti il
ricorso alla contrattazione di secondo livello è andato progressivamente diminuendo: se alla fine
degli anni ’90 il 43,4% delle aziende aveva sottoscritto nel corso del decennio (1990-1998) almeno
un contratto integrativo aziendale, coinvolgendo il 64,1% degli addetti, nel 2008 la percentuale è
scesa al 30,6% e quella degli occupati al 54,4%.
Il nodo del lavoro terziario
Nell’ultimo decennio il terziario è stato, assieme alle costruzioni, il settore che più ha contribuito
all’aumento della forza occupazionale del Paese, con la creazione di 2,2 milioni di nuovi posti di
lavoro tra il 1999 e il 2009. Si sono così colmate le perdite registrate nell’agricoltura (-150.000
unità circa) e nell’industria (-280.000 lavoratori). La capacità di crescita del terziario si è andata
però progressivamente esaurendo: il contributo alla creazione di nuova occupazione è passato da 1,3
milioni nel quinquennio 1999-2004 a 890.000 nel quinquennio 2004-2009. L’andamento negativo
dell’ultimo anno (-0,8% tra il 2008 e il 2009), non controbilanciato da una ripresa nell’anno in
corso (al secondo trimestre del 2010 i dati evidenziano una tendenziale stagnazione), sembra
confermare i segnali già emersi. Le dinamiche interne al settore terziario sono tuttavia molto
differenziate. Il mondo dei servizi sociali alla persona e alla famiglia è un’area in forte crescita
occupazionale (+36,3% tra il 2004 e il 2009). Il terziario alle imprese è un comparto in
consolidamento, registrando una significativa crescita del lavoro (+9,9%). Altri comparti stanno
vivendo una vera e propria fase di metamorfosi, con uno stravolgimento degli assetti organizzativi,
come il turismo (+12,7% di occupati) e la grande distribuzione (+14%). All’insegna
dell’immobilismo altri comparti come il credito, le assicurazioni e i trasporti, dove non si
riscontrano apprezzabili fenomeni sul versante del lavoro. In forte ridimensionamento
occupazionale è il commercio al dettaglio (-6,1% di occupati) e la Pubblica Amministrazione (-
2,8%).
La tenace resistenza delle donne
L’occupazione femminile sembra resistere meglio di quella maschile. Tra il 2008 e il 2009 sono
stati gli uomini a registrare i maggiori contraccolpi della crisi, con una perdita secca di 274.000
occupati (-2%). Anche le donne hanno visto ridurre la propria partecipazione al lavoro, ma in
misura meno drammatica: sono stati bruciati 105.000 posti di lavoro femminili, con un calo netto
dell’1,1%. Una tendenza che sembra confermata anche nel 2010, considerato che nei primi due
trimestri dell’anno, a fronte di un’ulteriore contrazione dell’occupazione maschile dell’1,1%, quella
femminile registra un calo solo dello 0,5%.
La sicurezza che ancora non c’è: il caso di colf e badanti
Il 44,3% dei collaboratori domestici ha avuto almeno un incidente sul lavoro nell’ultimo anno,
l’11,3% addirittura più di uno. Secondo l’indagine del Censis, si tratta di incidenti che nella
maggior parte dei casi non comportano alcun tipo di inabilità al lavoro (48,6%), né l’esigenza di
assentarsi (71,5%). Tuttavia, una quota non trascurabile di infortuni (il 28,5%), oltre a produrre
effetti sulla salute di colf e badanti, condiziona il proseguimento dell’attività comportando l’assenza
dal lavoro per inabilità: nel 18,8% dei casi superiore a tre giorni, nell’11,9% superiore a una
settimana. Bruciature (18,7%), scivolate (16,1%), cadute dalle scale (12,2%) sono gli incidenti più
frequenti tra colf e badanti. Ma la casistica appare ampia, con casi frequenti di ferite prodotte
dall’utilizzo di coltelli o elettrodomestici (8,6%), strappi e contusioni da sollevamento (7,6%),
intossicazioni con prodotti per pulire (4,2%), scosse elettriche (3,6%). I lavoratori domestici si
rivelano poco attenti al problema. Il 12,4% dichiara di non preoccuparsi più di tanto della propria
sicurezza, e chi lo fa preferisce le soluzioni «fai da te»: nel 46,1% dei casi dichiarano di affidarsi
all’esperienza, nel 18,6% di mantenere la concentrazione durante il lavoro. Solo il 22,9% mostra
curiosità e attenzione dichiarando di informarsi sulla materia.
5. Il sistema di welfare
Roma, 3 dicembre 2010
Il volontariato come pilastro della comunità
Più del 26% degli italiani dichiara di svolgere un’attività di volontariato. La scelta di fare
volontariato è molto più radicata tra i giovani (più del 34%), rimane elevata tra i 30-44enni (più del
29%), per poi calare al 23% tra i 45-64enni e al 20,3% tra gli anziani. È all’interno di realtà
organizzate che circa tre quarti dei volontari svolgono il proprio impegno, e di questi la
maggioranza (54,5%) lo fa all’interno di una specifica organizzazione, mentre poco meno del 10%
lo fa in più di una struttura. Riguardo alle motivazioni, oltre il 38% dei volontari dichiara di
svolgere attività di volontariato perché vuole fare qualcosa per gli altri, mentre il 27,3% richiama
ragioni etiche, ideali. Un plebiscitario 97% valuta positivamente l’attività di volontariato in cui è
impegnato: il 59% perché fa una cosa alla quale crede nel profondo ed è gratificante, il 38% perché
è convinto di incidere positivamente sulla vita delle persone, in particolare quelle che hanno più
bisogno. Ospedali, case di cura, strutture sanitarie (69%), case di riposo, comunità alloggio, presidi
socio-assistenziali di vario tipo (54,3%), poi le varie forme di assistenza a domicilio per anziani e
non autosufficienti (39,9%): sono questi i tre settori in cui i cittadini constatano una maggiore
presenza di volontari nelle comunità in cui vivono.
Tutele sociali e crisi, oltre le buone risposte di breve periodo
L’efficacia degli ammortizzatori disponibili di fronte all’emergenza reddituale legata alla crisi
occupazionale non attenua il fatto che la crisi sta ampliando, al di là del breve periodo, la platea dei
soggetti vulnerabili a forme di disagio sociale. Il 62% degli italiani esprime un giudizio negativo
sugli strumenti di tutela e supporto per i disoccupati, quota che risulta nettamente superiore al dato
medio europeo (pari al 45%) e lontana dalle valutazioni espresse dai cittadini di altri grandi Paesi
come la Francia, dove il giudizio negativo è espresso dal 29% dei cittadini, il Regno Unito (28%),
la Germania (39%) e i Paesi Bassi (13%). Anche sul terreno della lotta alla povertà le valutazioni
degli italiani non sono positive. Il 59% dichiara che gli interventi finalizzati a migliorare la
condizione dei poveri non stanno avendo un particolare impatto, il 21% sostiene che addirittura
stanno peggiorando le cose e solo il 10% parla di un impatto positivo. Nella media europea il 64%
dei cittadini ritiene neutro l’impatto delle politiche contro la povertà, il 10% negativo e il 18%
positivo. Molto più alte le quote di cittadini che valutano positivamente gli impatti delle politiche
contro la povertà in Svezia (45%), Paesi Bassi (26%), Regno Unito (18%) e Germania (15%).
Né pensionati, né occupati: la trappola dei lavoratori anziani
L’età media di effettivo pensionamento nel nostro Paese è di 60,8 anni per gli uomini e 60,7 anni
per le donne. Sono dati che (fatta salva la Francia, dove l’età media di uscita dal mercato del lavoro
è di 59,4 anni per gli uomini e 59,1 anni per le donne) rendono il nostro Paese quello con la più
bassa età di pensionamento effettivo rispetto alla gran parte dei Paesi europei. Attualmente ben il
52% degli italiani è convinto che ci sono molte persone che vanno in pensione troppo presto.
Questo dato è superiore a quello medio europeo (pari al 43%) e a quello di Paesi come Regno Unito
(32%), Olanda (34%) e Germania (42%). Nel nostro Paese lavorare più a lungo sta diventando
sempre più importante anche per sostenere il proprio tenore di vita. Il 28% degli italiani è molto
preoccupato e il 40% abbastanza preoccupato per il fatto che il proprio reddito in vecchiaia sarà
insufficiente a garantire un livello dignitoso di vita. I due dati sono superiori ai valori medi europei,
pari rispettivamente al 20% per le persone molto preoccupate e al 34% per quelle abbastanza
preoccupate. Il 21% degli italiani di età superiore a 18 anni è convinto che sarà costretto ad andare
in pensione più tardi rispetto all’età di pensionamento pianificata, il 20% pensa che dovrà provare a
risparmiare di più per quando sarà in pensione, il 19% ritiene che la propria pensione sarà d’importo
inferiore a quanto si aspetta.
Le nuove frontiere del consumo farmaceutico
La dinamica di lungo periodo dei consumi farmaceutici mostra un costante aumento dei consumi
complessivi in termini di dosi e confezioni, a fronte di un aumento molto contenuto della spesa
totale. Quella a carico del Ssn (convenzionata) e quella privata (a carico dei cittadini) hanno
andamenti di segno opposto: dal 2001 la prima è rimasta sostanzialmente stabile (quasi 11,2
miliardi di euro nel 2009), mentre la spesa privata fa osservare un aumento continuo (fino a
superare i 7,9 miliardi di euro). Nell’anno in cui la crisi ha fatto sentire i suoi effetti sulle famiglie
italiane, circa la metà ha dichiarato che la spesa per la salute è molto (11,4%), abbastanza (28,2%) o
un po’ (8,3%) aumentata, mentre il 53,3% ha indicato di aver intensificato nel 2009 il ricorso ai
farmaci generici con l’obiettivo di risparmiare.
L’onda lunga della comunicazione sulla salute
Il boom dell’informazione sanitaria avvenuto dagli anni ’90 in poi mostra oggi gli effetti positivi
della diffusione nel corpo sociale di comportamenti preventivi e stili di vita più corretti. Allo stesso
tempo si osservano alcuni effetti perversi che la spettacolarizzazione dell’informazione sanitaria
produce sulle conoscenze individuali. Secondo un’indagine del Censis, il 50,2% degli italiani è
convinto che non sia vero che le persone con sindrome di Down abbiano pressoché sempre un
ritardo mentale, e addirittura il 73% pensa che le persone autistiche siano quasi sempre geniali nella
matematica, nella musica o nell’arte. Le narrazioni mediatiche in cui prevale la spettacolarizzazione
di singole vicende, statisticamente rarissime, finiscono per sedimentarsi sotto forma di pseudo-
nozioni per ampi settori della popolazione. Dell’ictus, ad esempio, pur essendo la terza causa di
morte in Italia, solo meno della metà degli italiani sa che colpisce il cervello.
La disabilità invisibile
La dimensione sociale prevalente della disabilità è l’invisibilità, o quanto meno una visibilità
distorta, che si allinea con il crescente arretramento delle politiche per le persone disabili.Secondo
la recente stima del Censis, si tratta complessivamente di 4,1 milioni di persone, pari al 6,7% della
popolazione, con cui gli italiani mostrano di relazionarsi con difficoltà. La maggioranza degli
italiani (il 66%) ritiene che le persone con disabilità intellettiva siano accettate solo a parole, ma che
nei fatti vengano spesso emarginate, mentre il 23,3% condivide un’opinione più negativa: la
disabilità mentale fa paura e queste persone si ritrovano quasi sempre discriminate e sole. Si tende
poi a sovrastimare il peso della disabilità motoria (il 62,9% pensa anzitutto a questo tipo di
limitazione) e a non includere in questo concetto, o a farlo solo in parte, la non autosufficienza degli
anziani, che pure rappresenta un tema che pesa nella vita quotidiana di moltissime famiglie nel
nostro Paese: il 29,4% pensa che la disabilità sia equamente distribuita tra i bambini e i giovani, gli
adulti e la popolazione anziana.
6. Territori e reti
Roma, 3 dicembre 2010
L’inossidabile fiducia delle famiglie nell’investimento immobiliare
Dopo il lungo ciclo positivo dell’immobiliare, iniziato nella seconda metà degli anni ’90, durante il
quale i volumi delle compravendite sono costantemente cresciuti fino ad avvicinarsi alla soglia
degli 850.000 scambi all’anno (nel 2006), la fase di ridimensionamento che ne è seguita sembra
essersi conclusa, e si registra una inversione di tendenza. La tradizionale fiducia delle famiglie
italiane nell’investimento nel mattone torna a manifestarsi, tanto da far prevedere per il 2010, dopo
tre anni consecutivi di calo dei volumi, un leggero progresso nelle compravendite, che possono
essere stimate in 630.000 unità residenziali a fine anno (+3,4% rispetto al 2009). Secondo
un’indagine del Censis, l’investimento in un immobile è considerato dagli italiani il canale
preferibile per l’impiego dei risparmi familiari. Il 22,7% degli italiani ritiene che sia questa la forma
di utilizzo dei propri risparmi da privilegiare, contro il 21,8% che pensa che i risparmi vadano
mantenuti liquidi sul conto corrente e appena l’8,5% che giudica preferibile acquistare azioni e
quote di fondi comuni di investimento. C’è comunque un 39,7% di italiani che dichiarano di non
avere risparmi da utilizzare.
Leva urbanistica e scambio pubblico-privato: il rischio della deriva immobiliarista
Gran parte dei programmi di intervento presenti nell’agenda delle città italiane si trova a fare i conti
con la scarsità dei finanziamenti pubblici. In questa fase di carenza di risorse, le entrate derivanti
dagli oneri di urbanizzazione hanno rappresentato una boccata d’ossigeno per i Comuni: una
dinamica che ha portato non poche amministrazioni locali a favorire, per fare cassa, una forte
produzione edilizia e un notevole consumo di suolo. Anche nel caso delle infrastrutture di mobilità
sta prendendo piede un modello diverso dal passato, che vede come moneta di scambio, per
recuperare l’investimento effettuato dal privato, non più la gestione dell’infrastruttura, ma la
possibilità di realizzare nuove volumetrie su terreni pubblici o in deroga al piano urbanistico.
L’impaludamento dei servizi pubblici di rilevanza economica: il caso dell’acqua
Non c’è pace nel settore dei servizi pubblici di rilevanza economica. Nonostante sia oggetto da
alcuni anni di una incessante attività di riforma, gli utenti sono cronicamente insoddisfatti, gli
investimenti ristagnano, i processi di modernizzazione restano al palo e non si consolidano sistemi
di gestione di tipo autenticamente industriale. L’11,5% degli utenti denuncia irregolarità
nell’erogazione dell’acqua (nel 1995 questa percentuale era simile, il 14,7%). In alcune regioni,
come la Calabria, si supera il 30% e nel periodo estivo la media nazionale arriva al 42,7%. In più, il
32,2% delle famiglie utenti dichiara di non fidarsi dell’acqua che sgorga dal rubinetto di casa.
I fattori della centralità dell’industria energetica
La valenza sociale di un settore fondamentale della nostra economia produttiva come quello
energetico è spesso poco considerata. Ma i benefici che si originano all’interno della filiera della
produzione energetica per il sistema-Paese, per le imprese e per i cittadini sono notevoli. Assorbe
un’occupazione diretta consistente (circa 118.000 addetti) costituita dal personale dipendente delle
compagnie, di elevata qualificazione. Alimenta importanti settori collegati, sia industriali
(dall’impiantistica alle costruzioni, dalla siderurgia all’industria elettromeccanica), sia nei servizi
(dalla progettazione ai trasporti, dalla ricerca alla formazione), anch’essi di elevata specializzazione.
Produce un fatturato annuo rilevante, che supera i 230 miliardi di euro. Determina importanti
investimenti sul territorio (dell’ordine di alcuni miliardi di euro l’anno), in parte legati all’esigenza
di aderire a una normativa tecnica, ambientale e relativa ai temi della sicurezza in continua
evoluzione. Produce un gettito considerevole per lo Stato anche in termini di imposte indirette, quali
le accise, che solo per il settore dell’autotrasporto ammontavano nel 2008 a oltre 23 miliardi di
euro.
Opportunità imprenditoriali e occupazionali dalla «torsione verde» dell’economia
Il segmento dell’energia rinnovabile, oltre a simboleggiare la natura intrinseca della green economy,
ne rappresenta la componente industriale più dimensionata e più promettente in termini di sviluppo
potenziale. L’energia prodotta in Italia da fonti rinnovabili si approssima al 20% del totale. La
crescita del comparto, alimentata dalle politiche europee e nazionali, è stata decisamente rapida. In
soli quattro anni è aumentata del 39%. Quanto alla distribuzione sul territorio, la produzione, come
anche la potenza degli impianti, si concentra nelle regioni settentrionali, dove è determinante il
contributo della fonte idroelettrica.
7. I soggetti economici dello sviluppo
Roma, 3 dicembre 2010
Nuova dinamica dei consumi: fine di un ciclo o semplice pausa di riflessione?
A partire dal secondo trimestre del 2008, la riduzione dei risparmi delle famiglie si è accompagnata
a una sensibile contrazione dei consumi. Se nella maggioranza dei casi (il 51%) le famiglie si sono
limitate a ridurre gli sprechi, non pochi (il 24%) sono coloro che si dichiarano costretti a rinunciare
a prodotti o servizi giudicati essenziali. Nell’ultimo anno si sono messi in atto comportamenti più
parsimoniosi, riducendo pranzi e cene fuori casa (il 60,4% delle famiglie), comprimendo le spese
per lo svago (56,9%) e perfino modificando le abitudini alimentari (38,1%). È soprattutto per gli
acquisti più impegnativi che si assiste a una tendenza a temporeggiare. Ciò ha portato alla fine del
ciclo espansivo legato all’utilizzo degli strumenti di credito al consumo, che nel primo semestre del
2010 subiscono una contrazione in valore del 4,7% rispetto allo stesso periodo dell’anno
precedente. Si assiste a un calo del 2,4% nel numero di prestiti personali erogati, del 2,1% nei
prestiti finalizzati all’acquisto di determinati beni e del 6,3% nelle operazioni di cessione del quinto
dello stipendio. La tendenza trova conferma anche nell’ambito delle piccole spese, come quelle
effettuate mediante le carte di credito. Rispetto agli inizi del 2009, l’importo complessivo delle
operazioni ha subito una flessione del 3,7%. La percentuale di famiglie che utilizzano il credito al
consumo si è ridotta dal 17,8% di inizio 2009 al 14,8% di inizio 2010, per poi aumentare
leggermente nel corso dell’anno, attestandosi al 16,9%.
Deindustrializzazione competitiva per guardare oltre la crisi
Dall’inizio della crisi, l’Italia ha perso 574.000 occupati (giugno 2008-giugno 2010) e le imprese
manifatturiere si sono ridotte di oltre 93.000 unità. La riduzione del valore aggiunto ha colpito tutti i
comparti produttivi ad eccezione di quello dell’intermediazione immobiliare. Se in media la
riduzione nel Paese è stata del 5,5%, si sono raggiunti a fine 2009 (rispetto all’anno precedente)
livelli molto più preoccupanti nel manifatturiero (-14,5%) e nel commercio (-9,5%). Mentre oggi
gran parte del terziario appare in recupero (i servizi alle imprese sono cresciuti del 2,2% nell’ultimo
anno e le attività professionali del 3,1%), l’industria tradizionale (-1,9%), il comparto agricolo (-
2,6%) e l’autotrasporto (-1,7%) continuano a registrare ancora nel 2010 un’emorragia di unità
produttive. La fenomenologia emergente non è il declino del manifatturiero tradizionale, ma una più
complessa deindustrializzazione competitiva, ovvero un riposizionamento dell’industria in cui il
terziario gioca una parte rilevante. La crisi sembra avere accentuato la fase espansiva del terziario
alle imprese, con comparti come quelli della consulenza, della logistica, della ricerca, dei servizi Ict
in cui il numero di imprese ha registrato a metà del 2010 incrementi intorno al 5% rispetto all’anno
precedente.
La metamorfosi dei terziari
Le dinamiche delle imprese e dell’occupazione tra il 2005 e il 2009 evidenziano il riposizionamento
del settore terziario. Si registra una sostanziale stagnazione del commercio (le imprese crescono
dell’1,4%, gli occupati dello 0,9%), dovuta alla forte contrazione del piccolo commercio al
dettaglio. Nei trasporti e nella logistica è forte la contrazione nel numero delle imprese (-6,5%),
mentre l’occupazione rimane pressoché invariata (+1%). Nel turismo (alberghi, ristoranti, agenzie
di viaggio) crescono a ritmi sostenuti sia le imprese (+12%) che gli occupati (+10,2%). Nel terziario
avanzato (servizi alle imprese e intermediazione finanziaria) aumenta rapidamente il numero di
imprese (+17%), soprattutto nel comparto immobiliare, mentre è meno rapida, ma pur significativa,
la crescita dell’occupazione (+7,8%). I servizi alla persona sono in forte espansione sia in termini di
imprese (+8,7%), sia in termini di occupati (+18,4%).
L’inesauribile protagonismo dei distretti industriali
Nel primo trimestre del 2010 la flessione delle esportazioni dei distretti industriali è notevolmente
rallentata (-0,9% in termini tendenziali), mentre nel secondo trimestre dell’anno si è finalmente
registrato un incremento del 13,8%. Tutti i comparti distrettuali, dalla meccanica alla moda, dagli
elettrodomestici ai prodotti per la casa e i prodotti in metallo, si sono riportati su terreno positivo.
Un segnale incoraggiante, dopo un lungo periodo di arretramento sui mercati esteri. Se nei mercati
di sbocco tradizionali, quali l’Europa e il Nord America, ancora agli inizi del 2010 si registra un
sostanziale arretramento (nei primi tre mesi dell’anno le esportazioni distrettuali in Germania si
sono ridotte del 2%, in Francia dell’1,7%, negli Stati Uniti dell’1,1%), in Cina le esportazioni sono
aumentate di quasi il 22%, ad Hong Kong del 28,8%, in India del 51,8% e negli Emirati Arabi Uniti
del 15,8%. La Cina è balzata al settimo posto come area di esportazione dei distretti industriali
italiani.
Logistica intermodale per far crescere il Paese
L’Italia è uno dei Paesi europei in cui negli anni pre-crisi il trasporto di merci su rotaia è aumentato
maggiormente, con una crescita media annua nel periodo 2004-2008 del 3,5%, inferiore soltanto a
quella di Germania e Austria. I traffici intermodali raggiungono un’incidenza sul trasporto
ferroviario complessivo pari al 45,1% (la più alta d’Europa), grazie a una rete di strutture
interportuali e di terminal intermodali in espansione. Tuttavia, a causa dei mancati investimenti a
favore dello sviluppo dei traffici intermodali nei porti italiani, l’Italia è anche il Paese europeo che è
riuscito a intercettare di meno l’importante incremento del traffico di container verificatosi tra il
2004 e il 2008. Se la crescita nel nostro Paese fosse stata paragonabile a quella media dell’Europa
occidentale (+36%), nel 2008 i porti italiani avrebbero movimentato 2,4 milioni di unità di carico in
più rispetto a quante ne sono state effettivamente trasportate. Ciò ha portato a una perdita in termini
di fatturato compresa tra 700 milioni di euro (nel caso in cui i container fossero soltanto in transito)
e 5,5 miliardi di euro (nel caso in cui i container fossero anche «lavorati» in Italia), e a una mancata
occupazione compresa tra 11.000 e 99.000 unità.
Per una nuova politica di sostegno alle imprese e ai localismi
Tra il 2000 e il 2008 le agevolazioni alle imprese concesse dallo Stato e dalle amministrazioni
regionali hanno superato gli 88 miliardi di euro, con una spesa media annua di 11 miliardi di euro.
Forti le difformità tra il Centro-Nord e il Sud in merito alla tipologia di agevolazioni concesse.
Nelle regioni meridionali il 23% dei finanziamenti pubblici è destinato ad attività di innovazione,
ricerca industriale e trasferimento tecnologico, mentre nel Centro-Nord si arriva al 57%, a cui si
aggiunge il 12% di incentivi per l’export e l’internazionalizzazione.
8. Comunicazione e media
Roma, 3 dicembre 2010
Il futuro della rete, tra sicurezza delle transazioni e gratuità dei contenuti
Il futuro di Internet dipenderà dal modo in cui verranno sciolti due nodi rimasti irrisolti: i problemi
di sicurezza delle transazioni on line e la questione riguardante la totale gratuità o meno dei
contenuti reperibili in rete. Al momento solo il 43% degli italiani che utilizzano Internet si dice
pienamente fiducioso in merito alla sicurezza delle transazioni (per il 5% sono del tutto sicure,
abbastanza sicure per il 38%): un dato nettamente più basso del 58% medio rilevato a livello
europeo. Molti gli utenti che hanno incontrato problemi legati alla navigazione in Internet. Il 64%
lamenta di ricevere una quantità eccessiva di spam, al 58% è capitato di essere infettato da un virus
informatico, l’8% si è imbattuto in incidenti relativi alla violazione della privacy, il 3% denuncia
problemi legati alla sicurezza dei minori, il 2% è stato vittima di phishing. Tra le principali
precauzioni adottate c’è quella di evitare le transazioni finanziarie on line (e-commerce, e-banking,
ecc.), come dichiara il 55% degli utenti (un dato più alto di quello medio europeo, pari al 42%).
Venendo al secondo nodo irrisolto, secondo una indagine del Censis per il 64,2% degli utilizzatori
di Internet la forza della rete sta nella piena libertà dell’utente, che verrebbe compromessa dalla
richiesta di pagamenti per l’accesso ad alcuni siti. L’11,8% sostiene che dovrebbero essere Google e
gli altri aggregatori di notizie digitali a condividere i loro profitti con i produttori dei contenuti, dal
momento che grazie alle inserzioni pubblicitarie monetizzano il traffico generato proprio da quei
contenuti. Il 24% è invece favorevole al superamento dell’opzione «tutto gratis»: il 14,9% si dice
disposto ad accettare il pagamento da parte dell’utente dei contenuti di informazione reperibili sul
web attraverso il meccanismo dei micropagamenti, mentre il 9,1% si dimostra consapevole che la
garanzia della libertà di informazione dipende anche da bilanci sani degli editori, che dovrebbero
poter trarre qualche profitto dalle versioni digitali del loro lavoro.
Fuga dalle notizie: la cattiva informazione smorza l’audience
Tra settembre 2009 e giugno 2010 c’è stato un calo di spettatori dei telegiornali serali nazionali da
18.333.000 a 14.968.000, con una perdita di audience superiore a 3 milioni. A diminuire in misura
maggiore è stato l’ascolto del Tg5 e del Tg1, con una perdita di circa un milione di telespettatori
ciascuno. Il confronto settembre 2009-settembre 2010 è altrettanto inesorabile: il Tg1 perde il 3,3%
di share e 441.000 telespettatori. Anche peggio va al Tg5, che registra una media del 21,1% di share
e 4.601.000 telespettatori, arretrando di 5 punti di share e di 813.000 telespettatori. Nel mese di
settembre 2010 il Tg1 e il Tg5 hanno concesso molti più minuti al Pdl (il Tg1 il 35,8% del tempo
totale contro il 17,3% al Pd, con un’ora e mezza di differenza; il Tg5 il 30,7% contro il 23%, con
una differenza di 37 minuti). Lo sbilanciamento nello spazio concesso alle notizie di una parte
piuttosto che dell’altra può aver provocato il distacco di una porzione degli ascoltatori.
Leggere nel futuro: il digitale sorpasserà il cartaceo?
Si prevede che la quota di mercato dei libri digitali triplicherà quest’anno, passando dallo 0,03%
allo 0,1%, per un valore di oltre 3,4 milioni di euro. Si registra anche una forte crescita delle vendite
di libri on line: +94,4% tra il 2006 e il 2009, +11,9% tra il 2008 e il 2009, con ricavi superiori a 100
milioni di euro. Anche i primi mesi del 2010 sono positivi: rispetto al giugno del 2009, le librerie on
line fanno registrare un incremento dell’attività del 24,5%. Nel 2009 i libri elettronici pubblicati
sono stati 685, per un totale di 2.257 opere disponibili sul mercato. I dati al settembre 2010
mostrano una produzione pari a 945 titoli (+38%), raggiungendo così un totale di 3.202 titoli
elettronici disponibili nel nostro Paese (+41,8%). D’altra parte, gli utenti Internet rappresentano per
alcune testate giornalistiche una significativa percentuale del totale dei lettori: il 19,6% per la
Repubblica, il 18,2% per Il Sole 24 Ore, il 15,1% per il Corriere della Sera.
L’informazione medica corre sul web
Dall’indagine del Censis in merito ai principali canali utilizzati dagli italiani per informarsi sui temi
legati alla salute si evince che il medico gode sempre di un’ampia considerazione: ricorre al medico
di famiglia il 20,3% del campione (dato che sale al 31,1% tra i soggetti meno istruiti), il 2,5% si
rivolge al medico specialista e il 2,3% al farmacista. C’è poi il passaparola tra amici, colleghi e
parenti, indicato come il mezzo principale per acquisire le informazioni dal 18,7% degli intervistati.
Ma la prima fonte di informazione è la televisione, secondo il 42,9% delle opinioni raccolte, mentre
il 25,8% degli italiani le cerca in giornali e riviste. Va sottolineato, però, che il 12,6% individua in
Internet il primo strumento a cui ricorrere per informarsi su tematiche mediche (il web è la
principale fonte di informazione sanitaria per il 17,8% dei laureati). Se però si valuta un uso più
generico di Internet in relazione alla propria salute, il dato degli utilizzatori sale al 34% degli
italiani (il dato oscilla tra il 5,4% dei soggetti con la sola licenza elementare fino a oltre il 45% di
diplomati e laureati). Il 29,5% usa il web per cercare informazioni su patologie specifiche, il 18,4%
per trovare informazioni su medici e strutture a cui rivolgersi, il 2,1% (e il dato arriva al 7,4% tra i
soggetti laureati) frequenta forum on line, chat, blog e consulta altre communities di pazienti per
scambiare informazioni e pareri. A questi comportamenti vanno sommati anche altri comportamenti
funzionali, come l’abitudine a prenotare visite specialistiche e analisi mediche via Internet, che
riguarda il 5,3% (il 9,5% dei laureati), o l’acquisto di farmaci on line, praticato dall’1,9%.
Le responsabilità sociali dei media e l’opacità delle norme
L’accelerazione tecnologica e l’evoluzione dei media rendono la triangolazione «famiglie, minori,
media» sempre più complessa. Il 18,2% dei minori utilizza il Pc da solo in casa. Le differenze tra i
bambini e i ragazzi di 3-17 anni dovute al titolo di studio dei genitori sono molto forti: ha usato il
Pc negli ultimi 3 mesi il 64,9% dei bambini e dei ragazzi con almeno un genitore laureato rispetto al
34,6% di quelli con genitori con al massimo la licenza elementare. I bambini e i ragazzi con genitori
con titoli di studio bassi sono svantaggiati sia nell’uso a casa sia nell’uso combinato casa-scuola, a
dimostrazione del fatto che la scuola non riesce a colmare il profondo divario dovuto a uno
svantaggio sociale.
9. Governo pubblico
Roma, 3 dicembre 2010
L’apnea della finanza pubblica
Il Pil potrebbe aumentare quest’anno dell’1,2%, riportando il rapporto debito pubblico/Pil intorno al
115% nel 2013 (dopo un picco, atteso per il 2011, del 119,2%), con un ammontare del debito che
sfiorerebbe i 2.000 miliardi di euro. Non sarà soddisfatta l’attesa per una riduzione della pressione
fiscale, la quale si manterrà costantemente al di sopra della soglia del 42%. I principali interventi
del Governo dovranno portare: a una riduzione del costo della Pubblica Amministrazione per un
valore di oltre 6 miliardi di euro; a una riduzione dei costi politici e amministrativi per 181 milioni
di euro nel 2010 e 39 milioni nel 2013; al contrasto all’evasione fiscale e contributiva, dal quale ci
si attende un forte recupero soprattutto a partire dal 2011, con un importo complessivo superiore ai
21 miliardi di euro.
La Pubblica Amministrazione possibile volano per l’innovazione
Il Ministero per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione ha deciso di puntare su tre aree
prioritarie: scuola, sanità e giustizia; nonché su tre obiettivi settoriali: sistema pubblico di
connettività, rapporti tra Pa e cittadino e dematerializzazione. Su scuola e università il processo è
avviato: al 31 luglio le scuole connesse in rete risultavano 4.000 (il 12,2% delle scuole presenti in
Italia) e da un anno è attivo il portale «ScuolaMia» che offre servizi alle famiglie: dalla pagella
digitale alla segnalazione delle assenze, fino al registro elettronico e ai certificati on line. Il
Fascicolo sanitario elettronico si prospetta come una innovazione epocale. Secondo il piano, la
storia clinica di ogni cittadino sarà disponibile in formato digitale e in rete con il Sistema sanitario
nazionale. Sul versante della dematerializzazione, un ruolo centrale è svolto dalla casella di posta
elettronica certificata (Pec). Più di 267.000 cittadini hanno richiesto una casella, ma non tutte le
amministrazioni pubbliche ne sono provviste. A luglio di quest’anno le imprese dotate di Pec
ammontavano a poco più di 400.000 (circa il 10% delle imprese italiane) e la possedevano circa un
milione di professionisti, praticamente la metà degli iscritti agli Ordini. Nei rapporti tra cittadino-
utente e Pa è stata avviata l’iniziativa «Mettiamoci la faccia», che dà la possibilità di esprimere un
giudizio sulla qualità dei servizi ricevuti attraverso l’uso di interfacce emozionali (emoticons). A
settembre 2010 si conta l’adesione di 230 amministrazioni tra centrali, locali ed enti di previdenza,
con 1.429 sportelli sparsi sul territorio e più di 4 milioni di giudizi (lusinghieri in oltre il 90% dei
casi) espressi dagli utenti in merito alla qualità dei servizi ricevuti.
Le università spingono la R&S anche a favore delle imprese
L’importo dei fondi per la ricerca delle università è in crescita costante (+69,6% negli anni 2004-
2008) e sempre meno dipendente dai fondi pubblici. L’incidenza dei contratti di ricerca e
consulenza (R&C) e dei servizi tecnici finanziati da terzi è cresciuta progressivamente, fino a
diventare la quota più rilevante (27,4%), dopo aver superato il peso dei fondi provenienti dal
governo centrale (23,8%). Dal 2000 a oggi si è quintuplicato il numero delle imprese spin-off
gemmate dalle università (806 nel 2009): circa l’80% è localizzato nelle regioni dell’Italia centro-
settentrionale.
L’europeismo fideistico degli italiani
Nel 1999 l’appartenenza all’Unione europea era vista con favore dal 60% degli italiani, dieci anni
dopo la percentuale è scesa al 49%. Siamo dunque passati da un euroentusiasmo a un
euroscetticismo? Quello che alimenta il nostro europeismo è un’idea quasi messianica: solo
l’Europa ci può salvare. Anche se confessiamo la nostra ignoranza (non sappiamo bene cosa sia e
come funzioni l’Europa) e la nostra distanza dalle istituzioni europee, continuiamo a fidarci più di
queste ultime che di quelle nazionali.
10. Sicurezza e cittadinanza
Roma, 3 dicembre 2010
Aspettando il Piano carceri
Ci sono voluti quattro anni dall’ultimo provvedimento di indulto per riportare gli istituti carcerari a
vivere gli stessi problemi di allora, con quasi 70.000 detenuti (nel 2006 erano 60.000) e un tasso di
sovraffollamento che supera il 150%, ma che in alcuni casi (in Puglia, Emilia Romagna e Calabria)
oltrepassa il 170%. Andando avanti di questo passo, a fine 2012 si dovrebbe sfiorare la quota di
100.000 detenuti. Oltre al sovraffollamento ci sono altri fattori di disagio: il 36,9% dei detenuti è
straniero, il 24,5% è tossicodipendente, il 2,3% è dipendente da alcol, l’1,8% è infetto da Hiv, le
guardie penitenziarie sono 39.569 rispetto alle 45.121 previste per legge, il costo medio giornaliero
per detenuto è sceso dai 131,9 euro del 2007 ai 113,4 euro stimati per il 2010. Circa 30.000 detenuti
si trovano in carcere per avere contravvenuto alla legge sulla droga e circa 4.000 a quella
sull’immigrazione. Circa 30.000 detenuti (pari al 44% del totale) sono in attesa di uno dei gradi del
procedimento. Tra questi, la gran parte (15.111) è in attesa del giudizio di primo grado.
La ripresa del contrabbando
In Italia i fumatori di età superiore ai 15 anni sono circa 11 milioni, pari al 21,7% del totale della
popolazione. L’età media in cui si inizia a fumare è 17 anni, con una media di 13 sigarette al giorno.
Nel 2009 sono stati venduti 89,1 milioni di kg di sigarette, il 3,1% in meno rispetto ai 92 milioni del
2008. I dati relativi ai primi 9 mesi del 2010 confermano un calo nell’ordine dell’1,3%. Ma i dati
sui sequestri negli ultimi quattro anni rivelano una ripresa del commercio illegale: si passa dalle
240.785 tonnellate di tabacchi esteri sequestrati nel 2006 alle 297.689 del 2009. I danni economici
derivanti dalla contraffazione e dal contrabbando delle sigarette si stimano da un minimo del 3% a
un massimo del 5% del fatturato del settore, per un importo che oscilla tra i 500 e i 700 milioni di
euro annui.
Pubblico e privato si integrano in nome della sicurezza
Accanto alle forze dell’ordine, le guardie giurate collaborano in un sistema di sicurezza integrato. Si
tratta di 924 aziende attive nel 2008, per un totale di 49.137 dipendenti e un fatturato di 2,4 miliardi
di euro. Quanto all’identikit delle guardie giurate, si tratta per la grande maggioranza di uomini (le
donne sono 4.146 e rappresentano l’8,4% del totale dei dipendenti), che in oltre la metà dei casi
provengono da una regione del Sud d’Italia. Le province in cui è maggiore la richiesta di guardie
giurate sono quelle dove sono presenti le città maggiori: a Roma si contano 7.008 dipendenti, a
Milano 4.096, a Napoli 3.814.
Un’Agenzia per restituire alla collettività i patrimoni mafiosi
A settembre 2010 sono oltre 11.000 i beni immobili confiscati alle mafie dallo Stato in tutte le
regioni italiane, con l’esclusione della sola Valle d’Aosta. Di essi, 6.423 risultano destinati. Più di
mille sono le aziende. La maggioranza dei beni immobili si trova in Sicilia (44,7%), Campania
(15,1%), Calabria (13,9%) e Puglia (8,3%), ma è elevato il numero di beni confiscati anche in
Lombardia (913, pari all’8,3% del totale, di cui 184 aziende) e nel Lazio (482, il 4,4% del totale, di
cui 105 aziende). La graduatoria provinciale vede in testa Palermo, dove si trova il 30% del totale
dei beni sottratti (3.316 in valore assoluto), poi Reggio Calabria (9,2%), Napoli (8,3%) e Catania
(5,4%), seguono ancora Milano, Caserta, Roma, Trapani, Bari e Catanzaro, per un totale di 8.195
beni confiscati in questi territori, pari al 74,2% del totale. Per superare le difficoltà nelle fasi di
gestione, destinazione e consegna dei beni, quest’anno è stata istituita l’Agenzia nazionale per
l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità: un organismo
autonomo, dotato di proprie risorse finanziarie (3 milioni di euro per il 2010 e 4 milioni di euro per
il prossimo anno), sotto la vigilanza del Ministro dell’Interno.
La conoscenza della lingua italiana: un obbligo su cui investire di più
A breve la conoscenza dell’italiano diventerà un requisito essenziale per poter soggiornare
regolarmente sul territorio nazionale, come prevede la legge 94/2009. Una ricerca del Censis su un
campione di 13.000 immigrati che lavorano in Italia ha messo in evidenza come l’8,9% degli
immigrati ha un’ottima conoscenza della nostra lingua, il 33,1% ne ha una conoscenza buona, per la
gran parte (circa il 43%) il livello è sufficiente, mentre la quota di chi non conosce a sufficienza
l’italiano è pari al 15,1% del totale. I migranti che durante l’anno scolastico 2008/2009 hanno
partecipato ai corsi di istruzione degli adulti presso i Centri territoriali permanenti (Ctp) sono
134.627, ovvero il 44,3%, dell’utenza complessiva.
Gli immigrati come occasione per ripensare i servizi per l’impiego
I lavoratori stranieri nel 2009 sono 1.898.000 (il 68,4% dei quali proviene da Paesi non Ue) e
rappresentano l’8,2% del totale degli occupati, con un incremento dell’8,4% rispetto all’anno
precedente. Il tasso di attività e il tasso di occupazione evidenziano una partecipazione al mercato
del lavoro della popolazione straniera più elevata rispetto alla popolazione italiana: gli stranieri
presentano un tasso di attività del 71,4% contro il 47,3% degli italiani, mentre il tasso di
occupazione è del 63,4% per gli stranieri e del 43,7% per gli italiani. Maggiore di quello degli
italiani, e in preoccupante crescita, è invece il tasso di disoccupazione, che è salito di ben 2,7 punti
percentuali nell’ultimo anno, arrivando all’11,2% contro il 7,5% degli italiani. Secondo un’indagine
del Censis, appena l’1,9% degli immigrati che lavorano ha trovato una occupazione attraverso
l’intermediazione di un Centro per l’impiego: dato che può essere confrontato con il comunque
basso 3,9% riferibile ai lavoratori italiani.
CENSIS: 44° Rapporto sulla situazione sociale del paese 2010