Argomento:
Data:
26 Ottobre 2010
Descrizione breve:
Dossier statistico del 2010 sull'immigrazione, sono analizzate le seguenti tematiche: aree di origine, presenze, inserimento, lavoro, territorio.
Contenuto nascosto:
Caritas Migrantes 2010/00_Saluto_Feroci.pdf
Dossier Statistico 1mmigrazione 2010
Teatro Orione, 26 ottobre 2010
Mons. Enrico Feroci, Direttore Caritas diocesana di Roma, Comitato di Presidenza del “Dossier”
Ricordo del fondatore, mons. Luigi Di Liegro
Fra poco ci sarà la presentazione del “Dossier Statistico Immigrazione 2010”. E’ il
ventesimo anno dalla sua prima edizione. E l’ideatore, il fondatore del “Dossier” è stato Mons.
Luigi Di Liegro. Questa riflessione, che svolgo anche a nome degli altri membri della presidenza,
mons. Vittorio Nozza, direttore della Caritas Italiana e mons. Perego, direttore della Fondazione
Migrantes, e che faccio perché io sono, oggi, il responsabile della Caritas diocesana di Roma, vuole
essere un omaggio commosso a “Don Luigi”, un grande prete romano, un indimenticabile amico
degli immigrati.
Improvvisandomi storico, sono andato a rileggere due volumi pubblicati da don Luigi nel
1990 e nel 1991, gli anni in cui nasceva il “Dossier”, come anche la sua introduzione al primo
“Dossier”. Sono rimasto soggiogato dall’attualità del suo pensiero sull’immigrazione e ho preparato
l’intervento con un collage delle sue stesse frasi. Premetto, però, alcune annotazioni di contesto.
Il mese di febbraio 1990 fu segnato dall’approvazione della “legge Martelli”, che don Luigi
sostenne con convinzione e riuscì anche a far migliorare rispetto al testo iniziale. Sempre nel 1990,
si svolse la prima conferenza nazionale dell’immigrazione, nel corso della quale si invocò per gli
immigrati in Italia lo stesso trattamento da noi richiesto per gli italiani all’estero. Ancora in
quell’anno venne diffuso un documento della Conferenza episcopale italiana, dal titolo “Uomini di
culture diverse: dal conflitto alla solidarietà” e don Luigi lo riprese nel titolo del suo libro: “Il
pianeta immigrazione: dal conflitto alla solidarietà.
Seguì nel 1991, durante la prima “Guerra del Golfo” e con la prefazione del Card. Vicario
Ruini, il volume “Per conoscere l’islam: cristiani e musulmani nel mondo di oggi”, per smontare la
tesi che vi possano guerre religiose giustificate, mentre è fondata solo l’operosità sociale comune in
un clima di reciproco rispetto. Nel 1991, don Luigi diede vita al “Forum per l’intercultura”, un
programma di sensibilizzazione che a sua volta ha compiuto 20 anni e che con l’attività del
“Dossier” si è sempre intrecciato, mettendo a disposizione i mediatori culturali.
Veniamo ora al pensiero di don Luigi, che ho sintetizzato in sette punti.
1.Lo scopo del “Dossier” è quello di consentire una consultazione veloce e attendibile a tutte
le persone interessate, tenendo conto che i dubbi vanno dissipati con un ricorso non superficiale alle
statistiche e che solo così si spiana la via ad interventi sociali adeguati.
2.L’immigrazione è l’occasione per una conoscenza umana più approfondita. Ma in Italia
manca una ideologia positiva dell’immigrazione, spesso equiparata a una realtà ostile, confondendo
la regolamentazione con la diffidenza. Bisogna, invece, insistere sull’accoglienza e
sull’inserimento, tenendo conto che più che di assistenza si tratta della tutela della dignità umana e
che non si può offrire per carità ciò che è dovuto per giustizia.
3.L’immigrazione va inquadrata in una lettura congiunta dell’andamento demografico e
dello sviluppo del nostro paese e di quello dei paesi di origine, e non ha senso parlare di
cooperazione internazionale nella speranza di chiudere le porte all’immigrazione. La posta in gioco
è un nuovo ordine economico che sia meno ingiusto e favorisca una maggiore amicizia tra i popoli.
4.Di fronte al nuovo fenomeno dell’immigrazione si deve mettere in conto un certo numero
di problemi, che però un paese civile deve saper affrontare e risolvere con sensibilità umana e con
apertura. Non bisogna avere paura, invece, perché la paura non è una virtù.
5.Il rapporto tra le strutture pubbliche, da una parte, e il volontariato e la realtà socio-
ecclesiale, dall’altra, deve essere collaborativo ma anche non subalterno, e deve tendere a far
rientrare nell’ambito pubblico le intuizioni della base sociale.
6. L’immigrazione è un processo di lungo periodo e comporta che le aperture conoscitive
vengano completate con un nuovo stile di vita. Serve una vera e propria rivoluzione culturale che
consenta di accettare il diverso, superando insensibilità e chiusure egoistiche.
7.Il Vangelo ci dice “Quod super est date pauperibus” che tradotto significa: “ Ciò che è
sopra ( il tavolo) condividetelo con i poveri”. Don Luigi ci diceva: “Noi abbiamo tradotto questa
frase “ciò che è superfluo datelo ai poveri”. E continuava chiedendosi: “Ma come facciamo a
misurare il superfluo? Il superfluo non si misura dalla sazietà dei nostri desideri, ma dalla gravità
del bisogno degli altri, che ci costringe a ridimensionare il nostro necessario”. Per questo inventò lo
slogan “Contro la fame cambia la vita”, per far riflettere sull’attenzione agli ultimi, a coloro che
non hanno il sufficiente per vivere. La carità, che nelle sue implicazioni è anche e specialmente
politica, era per Don Luigi qualcosa di ben diverso dai luoghi comuni messi in bocca ai cristiani,
che peraltro non sono degli illusi bensì delle persone impegnate sul campo che conoscono bene le
difficoltà, ma hanno anche la coscienza che si possono affrontare e risolvere con l’impegno serio e
vero di tutti.
Quali furono le reazioni di alcuni famosi giornalisti e politici? Eccone alcune:
- la Caritas invita il terzo mondo in Italia, aspettandosi che nel futuro votino secondo le sue
indicazioni;
- i cattolici sono votati a un temerario provvidenzialismo;
- le buone intenzioni di solidarietà sconfinano nella dabbenaggine.
Concludo, chiedendomi: questo avveniva 20 anni fa, e oggi? Sono stati fatti passi in avanti
nel superamento delle chiusure di fronte agli immigrati? La Caritas e la Fondazione Migrantes
ritengono che la situazione sia problematica e rinnovano il loro impegno per promuovere una
positiva convivenza.
Ecco il significato di questo 20° anniversario del “Dossier”, alla luce del messaggio
evangelico, della solidarietà umana e dell’indimenticabile fondatore del “Dossier”, mons. Luigi Di
Liegro!
Caritas Migrantes 2010/01_Pittau.pdf
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Dossier Statistico Immigrazione 2010
Teatro Orione, 26 ottobre 2010
Franco Pittau, Coordinatore “Dossier Statistico Immigrazione” Caritas e Migrantes
La presentazione del 20° rapporto sull’immigrazione della Caritas e della Fondazione
Migrantes può prendere l’avvio da due constatazioni. Dal 1990, anno al quale si riferiscono i primi
dati del “Dossier”, l’immigrazione è cresciuta di 10 volte, arrivando a quasi cinque milioni di
presenze regolari. La seconda constatazione è di segno inverso: nel frattempo è cresciuto
l’atteggiamento di chiusura nei confronti degli immigrati, sia da parte dei vertici politici sia da parte
della base, complice da ultimo anche la crisi economica ed occupazionale.
La contrapposizione “Aumento dell’immigrazione – Aumento della chiusura” può essere
uno schema utile per sintetizzare i dati più significativi del nuovo “Dossier”, con una particolare
attenzione a quanti sono portati a ritenere gli immigrati un male supplementare per l’Italia, senza
rendersi conto che l’avversione nei loro confronti non solo si discosta dalla dottrina sociale della
Chiesa cattolica, ma va anche contro gli interessi del paese.
Questa è la tesi che il nuovo “Dossier” consente di argomentare con dati affidabili, partendo
dalla insoddisfacente situazione economica e occupazionale per soffermarsi, poi, sull’apporto degli
immigrati e sulla gestione delle differenze in una società multiculturale.
La situazione socio-occupazionale dell’Italia non è soddisfacente
Chi ha vissuto la sua gioventù negli anni del dopoguerra, un periodo caratterizzato da un
livello più basso di benessere, li ricorda come gli anni della speranza, della creatività,
dell’investimento sul futuro, sia quando si continuava ad andare all’estero, sia quando, specialmente
a partire degli anni ’70, si rimpatriava per mettere a frutto l’esperienza fatta e i risparmi messi da
parte.
Il 2009 è stato un anno particolarmente difficile, in cui l’andamento economico è stato
negativo, è crollata la produzione e sono aumentati i disoccupati (oltre la soglia dei 2 milioni) a
seguito dei pesanti effetti della crisi internazionale. Ma l’introduzione al “Dossier” curata dal
Comitato di Presidenza della Caritas e della Migrantes sottolinea che, ormai, non si tratta solo di un
male congiunturale.
Il nostro sistema economico è da tempo in difficoltà, impossibilitato a ricorrere alle
svalutazioni della moneta dopo l’introduzione dell’euro, a esportare nel mondo prodotti a basso
costo, così come riescono a fare i paesi emergenti, e a ridurre l’enorme peso della spesa pubblica.
Infatti, è andato peggiorando il rapporto tra Pil e debito pubblico, pari al 95,2% nel 1990, al 109,2%
nel 2000 e attualmente attorno al 118%, il livello più alto tra tutti gli Stati membri dell’UE. Al
contrario, è costante la diminuzione nella crescita del Prodotto interno lordo: 3,8% negli anni ’70,
2,4% negli anni ’80, 1,4% negli anni ’90. Nell’ultimo decennio il tasso medio di crescita è stato
dello 0,3%, mentre nel biennio 2008-2009 il Pil è crollato del -6%.
L’Italia non regge il passo degli altri grandi paesi europei per quanto riguarda la
modernizzazione del sistema e lo sviluppo tecnologico: nel periodo 1980-2009 l’aumento medio
annuo della produttività è stato di appena l’1,2% e ha influito negativamente sulla crescita del Pil,
sull’aumento delle retribuzioni e anche sugli investimenti esteri (22 miliardi di euro l’anno in
entrata contro 32 in uscita), scoraggiati anche da una pesante burocrazia. Rispetto al passato, è
diventata meno brillante anche l’affermazione delle imprese italiane all’estero, senza che questa
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perdita sia stata compensata dalla delocalizzazione delle produzioni, che rischiano di farci diventare
un paese più consumatore che produttore e, quindi, dotato di scarse risorse.
A fronte di questo quadro, tracciato con realismo, bisogna chiedersi se l’immigrazione sia
un’opportunità o un ulteriore appesantimento. Il “Dossier” aiuta a sciogliere la riserva in senso
positivo.
Non è concepibile il futuro dell’Italia senza lavoratori immigrati
Gli immigrati sono stati utili per rimediare alle carenze di manodopera in diversi settori. Si
tratta all’incirca di due milioni di persone, che incidono per circa il 10% su tutti gli occupati.
L’inserimento è avvenuto in misura massiccia nel settore familiare, in edilizia e in agricoltura, e in
misura comunque consistente in molti altri comparti.
Nel mese di settembre 2009 sono state presentate quasi 300 mila domande per la
regolarizzazione delle posizione degli immigrati presso le famiglie, ma il loro contributo è
fondamentale su un piano più generale, come ha ricordato alcuni mesi fa il primo sciopero degli
immigrati in Italia.
Innanzi tutto, questi lavoratori svolgono una funzione complementare rispetto agli italiani, ai
quali indirettamente garantiscono più soddisfacenti opportunità occupazionali. Basti pensare che 4
immigrati su 10 sono occupati a livello inferiore rispetto alla loro formazione, svolgono le
prestazioni in orari disagiati (di sera, di notte e di domenica) e percepiscono una retribuzione più
ridotta rispetto agli italiani (mediamente al mese 971 euro, -23%).
Il loro apporto alla creazione del Prodotto Interno Lordo è notevolmente superiore alla loro
consistenza numerica; essi incidono per il 7% sulla popolazione residente, dichiarano al fisco
annualmente 33 miliardi di euro e incidono per più dell’11% sulla produzione della ricchezza.
Il confronto tra spese sociali per gli immigrati e tasse e contributi da loro pagati, va a
vantaggio delle casse statali: si tratta in attivo di almeno un miliardo di euro l’anno, sicuramente
molto di più se dalla semplice ripartizione delle spese sociali pro-capite si passa alla metodologia di
calcolo basata sui costi aggiuntivi o marginali.
I lavoratori immigrati assicurano un grande supporto al sistema pensionistico perché pagano
annualmente 7,5 miliardi di contributi previdenziali ed essendo ridotto il flusso degli immigrati che
vanno in pensione, gravano in misura minimale sui bilanci previdenziali. Trattandosi di una
popolazione giovane, con appena il 2,2% di ultrasessantacinquenni (tra l’insieme della popolazione
residente 20,2%), questi benefici, seppure non nella stessa misura, sono destinati a durare:
attualmente è pensionato 1 immigrato su 30 (tra gli italiani 1 su 4), mentre nel 2025 sarà pensionato
1 immigrato ogni 12 (e tra gli italiani 1 su 3).
Gli immigrati non solo occupano i posti loro offerti dagli italiani ma essi stessi ne creano
con le loro imprese (213.267 a maggio 2010, con un tasso di crescita del 13,8% rispetto allo stesso
periodo dell’anno precedente). Tra titolari, soci, figure societarie e dipendenti, l’imprenditoria degli
immigrati coinvolge più di mezzo milione di persone.
Gli immigrati potrebbero essere di maggior supporto al “sistema Italia” ma in parte ne sono
impediti da una rigidità normativa disfunzionale. La difficoltà nell’acquisire un titolo di soggiorno
stabile pregiudica la concessione dei mutui, nel quale la quota degli immigrati dal 10% di alcuni
anni fa è scesa al 6,6%, e incide negativamente sulla possibilità di costituire nuove imprese o di
inserirsi nel mercato della compravendita degli immobili. Il periodo di sei mesi, concesso ai
disoccupati per trovare un nuovo posto di lavoro, è eccessivamente ristretto nella patria del lavoro
nero (che secondo l’Istat incide per il 12,2% sul totale del lavoro in Italia), anche in considerazione
degli ulteriori effetti negativi recati dalla crisi occupazionale.
Servono passi in avanti non solo a livello legislativo ma anche a livello di mentalità per
inquadrare in maniera adeguata la nuova società multiculturale, portatrice di differenze e,
soprattutto, di possibili nuove sinergie.
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Una società multiculturale trova coesione nell’integrazione
L’Italia è indubbiamente una società fortemente multiculturale, con più della metà degli
immigrati che vengono dall’Europa (53,6%) e gli altri dai restanti paesi del mondo (Africa 22%,
Asia 16,2%, America 8,1% e Oceania 0,1%). Gli immigrati hanno assunto nella nostra società una
forte visibilità, in maniera più accentuata in diverse regioni del Nord (61,6%) e del Centro (25,3%),
ma in maniera non trascurabile anche nel Meridione (13,1%). Nel complesso, essi incidono per il
3,5% sulle imprese (ma il doppio su quelle artigiane e con una forte presenza anche in quelle
cooperative), per il 7% sui residenti, per il 7,5% sugli iscritti a scuola, per il 10% sugli occupati
(con 147 mila nuovi assunti nel 2009), per il 13% sulle nascite, per il 15% sui matrimoni.
I numeri devono indurci maggiormente alla riflessione. Gli immigrati iscritti come residenti
nelle anagrafi comunali sono 4 milioni e 235 mila, ai quali ne vanno aggiunti altri 686 mila che
verranno registrati in ritardo, inclusi i regolarizzandi. I minori sono quasi un milione (932.675), più
di mezzo milione sono i cittadini stranieri nati in Italia (572.720) e poco meno gli immigrati
diventati cittadini italiani nel corso del tempo. Ogni giorno 70 italiani si sposano con un cittadino
straniero, 163 stranieri diventano cittadini italiani, nascono 211 figli da genitori stranieri e,
quotidianamente, è di origine immigrata 1 abitante ogni 14 e un disoccupato ogni 10.
È una constatazione, quindi, che l’Italia sia una società multiculturale. Anche nel biennio
2007-2009 gli immigrati, nonostante la crisi, sono cresciuti di quasi un milione di unità. Tuttavia, il
fatto che l’aumento sia intervenuto in un ristretto spazio di tempo (all’inizio del 1990 non erano
neppure mezzo milione), ha generato in diversi senso di timore e in altri una sindrome da invasione.
Per di più, andando al di là della realtà statistica, comunemente si è arrivati a pensare che gli
immigrati siano 15 milioni e per lo più irregolari (Ricerca “Transatlantic Trends 2009”): non è così,
anche se i trafficanti di manodopera imperversano con un volume d’affari che, secondo l’Onu,
raggiunge i 2,5 miliardi di dollari.
È necessario correggere le informazioni sbagliate o parziali e superare i pregiudizi per
vincere le riserve nei confronti della società multiculturale nell’ottica della interculturalità. Le
tendenze centrifughe possono essere composte attraverso la strategia dell’integrazione o
dell’interazione o dell’inclusione (i termini sono meno importanti rispetto al concetto). Gli
immigrati sono chiamati a non isolarsi e a partecipare alla vita della società che li ha accolti,
condividendone regole e obiettivi (come, a dire il vero, fa la stragrande maggioranza), ma hanno
anche diritto a essere accolti, rispettati e valorizzati su un piano di uguaglianza.
Manca ancora in Italia questa decisa volontà di accoglienza, quella che chiedevamo quando
eravamo un popolo di emigranti. Significativo è il riferimento della Germania che, a partire dal
2005, superando il modello di una immigrazione temporanea, ha varato un impegnativo piano di
integrazione supportato da consistenti risorse, che riserva ad ogni nuovo venuto 900 ore di
insegnamento gratuito della lingua tedesca.
Anche in Italia, nel mese di giugno 2010, è stato varato un piano interministeriale per
l’integrazione (denominato “Identità e incontro”), che presenta diversi spunti di interesse ma che
non è stato preceduto da un ampio coinvolgimento delle forze sociali, come è accaduto nella
Repubblica Federale, ed è dotato di minori risorse. Giustamente si insiste, tra le altre cose,
sull’apprendimento dell’italiano. Nel comune di Roma, secondo uno studio della Rete Scuole
Migranti, a studiare l’italiano sono annualmente circa 15 mila persone, di cui quasi la metà presso
strutture del privato sociale, bisognose – come è intuibile – di un maggiore supporto; altri 5 mila
immigrati aspettano, per inserirsi in questi corsi, di ulteriori possibilità. Tra le difficoltà
supplementari bisogna menzionare, a livello economico, la certificazione del livello di
apprendimento richiesta nel sistema del permesso di soggiorno a punti (che non sembrerebbe equo
addossare agli interessati) e, a livello di mentalità, il rischio che l’apprendimento dell’italiano venga
sentito dagli immigrati più come una minaccia che un’opportunità. Nel passato, a livello nazionale,
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si era arrivati ad assegnare fino a 100 milioni di euro per l’integrazione degli immigrati, mentre
attualmente lo stesso importo caratterizza solo l’ammontare delle tasse che gli immigrati
annualmente pagano per i permessi di soggiorno e le pratiche di cittadinanza (nel primo caso,
sopportando notevoli lentezze burocratiche, e nel secondo caso senza la garanzia che la pratica vada
a buon fine).
Nel documento interministeriale sull’integrazione, anche in questo caso giustamente, si
ipotizza la necessità di superare il divieto che impedisce ai cittadini stranieri di accedere ai posti
pubblici, superando la contraddizione per cui chiediamo loro di identificarsi con la società italiana
ma li teniamo lontani dalla realtà pubblica. Si innesta qui il discorso fondamentale della necessità di
una loro partecipazione più ampia e anche del riconoscimento del diritto al voto amministrativo.
Nel documento interministeriale viene sollevata anche la questione delle pari opportunità da
attribuire agli immigrati, rispetto alla quale i rappresentanti degli immigrati lamentano dei ritardi.
Ad esempio, il cosiddetto “bonus bebé” è stato ripetutamente limitato alle famiglie italiane, mentre
le famiglie degli immigrati devono sostenere da sé i 9.000 euro annui mediamente necessari per la
crescita di un figlio. Anche l’accesso all’edilizia residenziale pubblica viene sottoposto a un numero
così elevato di anni di residenza da restringere sostanzialmente la cerchia dei possibili beneficiari
immigrati. Ancora più significativo è il caso dei rom, per principio considerati nomadi (ma spesso
sedentari) e destinati ai campi. A Milano, ad esempio, non è andato in porto il piano, con così
grande impegno preparato dalla Curia ambrosiana e dal mondo sociale, di assegnare loro 25 case
comunali.
In conclusione, serve una mentalità rinnovata. L’obiettivo dell’integrazione è difficile ma
irrinunciabile, richiede l’impiego di maggiori risorse e, ancora di più, è necessario un atteggiamento
più aperto verso gli immigrati nella consapevolezza che essi sono indispensabili per sostenere
l’andamento demografico negativo dell’Italia.
Nell’ultimo decennio, a fronte di un aumento di 2 milioni degli ultrasessantacinquenni, le
persone in età lavorativa sono cresciute di solo 1 milione di unità e i minori fino a 14 anni solo di
mezzo milione di unità. A metà secolo, secondo le previsioni di Istat e di Eurostat, con l’ipotesi di
“immigrazione zero” l’Italia perderebbe un sesto della sua popolazione. Continuando i ritmi
riscontrati in questo decennio, nel 2050 gli immigrati supereranno i 12 milioni e incideranno per il
18%. Questo aumento non sarà una minaccia bensì una garanzia per la popolazione italiana, di cui
un terzo avrà superato i 65 anni. In moltissimi comuni i figli degli immigrati incideranno sulla
popolazione scolastica per il 30% o più, come già avviene in diversi Stati membri dell’UEe, a quel
punto, bisognerà aggiornare le strategie per il mondo della scuola. Gli africani, che ora sono poco
meno di 1 milione, a seguito dell’esplosione demografica del loro continente raggiungeranno i tre
milioni, come la Caritas e la Migrantes hanno posto in evidenza in un recente volume pubblicato dal
Fondo Europeo per l’Integrazione, che fa capo in Italia al Ministero dell’Interno.
La parola d’ordine è “inclusione”. Il vantaggio sarà reciproco in Italia e, inoltre, gli effetti
positivi si riverseranno anche sui paesi di provenienza tramite le rimesse (6 miliardi e 753 milioni di
euro nel 2009). In Italia, attualmente i fondi vengono utilizzati in gran parte per le azioni di
contrasto: secondo una stima riportata nel “Dossier” si tratta circa mezzo miliardo di euro a carico
del Ministero dell’Interno e 2 miliardi di euro a carico del Ministero della Giustizia. Servono più
risorse sia per l’inserimento dei quasi 5 milioni di immigrati in posizione regolare, sia per i
richiedenti asilo (17.670 nel 2009, meno della metà rispetto ad altri grandi paesi europei), rendendo
più incentivanti le vie legali dell’immigrazione legale e i percorsi di integrazione.
Il “Dossier Statistico Immigrazione” della Caritas e della Fondazione Migrantes da 20 anni
si batte per diffondere questa cultura dell’altro: l’ampliamento di questa campagna di
sensibilizzazione sarà una maniera molto concreta per preparare l’Italia del futuro.
Caritas Migrantes 2010/02_Khawatmi.pdf
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Dossier Statistico 1mmigrazione 2010
Teatro Orione, 26 ottobre 2010
Radwan Khawatmi, Hirux International S.p.A. Milano
Carissimi amici,
sono profondamente lieto del vostro invito e delle attenzioni che mi avete riservato e sono qui per
testimoniare la solida amicizia che mi lega alla Caritas e alla Migrantes ed a tutti i loro operatori.
Desidero trasmettere la gratitudine di tutti i “nuovi italiani” per quello che avete dato al
mondo dell’immigrazione e continuate a dare con generosità.
Storia personale
La mia storia di immigrante che ha avuto la fortuna di farcela e di emergere con tutte le
difficoltà oggettive potrà essere un motivo di riflessione per milioni di immigranti che hanno scelto
l’Italia come unica ed ultima spiaggia di speranza.
Ho finito i miei studi universitari e sono entrato in una grande impresa salendo la china un
passo dopo l’altro fino al vertice. Erano necessarie marce in più rispetto ai miei colleghi per
emergere, ma questa condizione non spaventi un immigrante che deve emergere da solo e senza
l’aiuto di nessuno.
Sono stato contagiato dai fratelli italiani che mi hanno insegnato la volontà di fondare
un’azienda che oggi conta più di 500 lavoratori e fattura oltre 50 milioni di euro, lanciando nel
mondo il vero made in Italy, non solo lo slogan, ma fatti concreti.
Passando da un successo all’altro l’ultimo “trofeo”, se mi consentite il termine, è di aver
portato in Italia il marchio Thomson, gemma di prestigio nella corona francese.
La mia società viene osservata e rispettata da molti colossi multinazionali quale esempio di
innovazione e laboriosità, e di questo sono orgoglioso grazie ad una squadra multietnica che
collabora al mio fianco.
Situazione attuale dell’immigrazione
Ma non sono qui per raccontare la mia personale storia. Sono venuto per illustrarvi
realmente la situazione del mondo dell’immigrazione raccontato dalla parte reale e non come la
descrivono certe forze politiche.
Vi illustrerò 3 aspetti fondamentali – quelli economici, sociali e politici senza mezzi termini
ma con profonda onestà intellettuale.
Dal punto di vista economico gli immigrati regolari sono oltre 5 milioni a cui si aggiungono
gli irregolari, arriviamo cosi’ a rappresentare circa il 10% della popolazione italiana.
Vivono in tutta la penisola con concentrazione nel triangolo del nord dove vivono oltre il
60%. Cerco di sfatare un falso mito, quello che noi occupiamo i posti ai lavoratori italiani, noi
abbiamo occupato posti abbandonati dai lavoratori italiani.
Nelle concerie siamo l’80% della forza lavoro, nelle acciaierie quasi il 60%, nell’edilizia il
55%, nelle raccolte stagionali siamo la maggioranza assoluta.
Le cascine abbandonate dai contadini in Emilia Romagna oggi sono fiorenti aziende agricole
grazie ai lavoratori indiani, i carpentieri bergamaschi andati in pensione sono stati sostituiti da bravi
albanesi. La maggioranza delle società di servizi sono di nuovi italiani; i lavori artigianali sono in
forte fase di espansione dopo anni di abbandono.
I nostri lavoratori secondo le statistiche ufficiali Censis ed Istat hanno prodotto lo scorso
anno l’11% del Pil italiano pari a 130 milioni di euro ( circa 250 mila miliardi delle vecchie lire).
Se pensate che la Grecia e l’Irlanda erano vicini alla bancarotta per la metà di quello che
abbiamo prodotto noi in Italia potete capire che immigrazione non è questione di lavavetri, o di
qualche delinquente come lo dipingono certe forze politiche che ci offendono profondamente.
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I nostri lavoratori versano i contributi mensili all’Inps pari a 750 milioni al mese (circa 8,5
miliardi all’anno) ricevendo in cambio poco in quanto l’età media dei nostri lavoratori è di circa
25/30 anni quindi non sono in età pensionabile.
Un dirigente dell’Inps ha dichiarato che grazie ai nostri contributi stiamo risanando i conti
dell’Inps.
Negli ultimi anni abbiamo creato oltre 230 mila nuove imprese (il popolo delle partite Iva),
abbiamo contratto oltre 150.000 mutui per l’acquisto di nuove case. In altre parole posso assicurarvi
che stiamo diventando una colonna portante dell’economia italiana.
Durante l’ultima crisi abbiamo pagato un duro prezzo, i primi licenziamenti hanno toccato
noi con gravissime conseguenze, grazie a rigide ed insensate normative che ha introdotto questo
governo. Vi cito un esempio:
Se un nostro lavoratore viene licenziato anche se risiede e lavora da 10-15 anni in Italia ha
pochi mesi di tempo per trovare un altro lavoro, altrimenti scade il suo permesso di soggiorno e
deve rientrare in patria distruggendo una famiglia, i suoi equilibri, e la sua nuova storia, vi assicuro
che è un dramma di vaste dimensioni, ma per questo governo è un trofeo da esibire in quanto
cercano di picchiare duro sulla parte sana del mondo dell’emigrazione lanciando statistiche di
riduzione del numero degli immigranti.
E’ necessario valorizzare l’impegno del lavoro di milioni di nuovi italiani studiando nuove
regole che corrispondano alla realtà. Ormai la legge Bossi – Fini non è più adeguata.
La nostra intenzione è di stringere le fila incrementando il nostro impegno a fianco dei nostri
fratelli lavoratori per dare il nostro contributo al superamento della crisi e poter veramente contare
su di noi.
A tale proposito abbiamo lanciato al governo la proposta di creare un alto commissariato per
l’immigrazione, cosi’ come è stato fatto in diversi paesi europei con il compito di gestire
correttamente questo fenomeno dal punto di vista economico, sociale e politico, non si possono
lasciare 5 milioni di esseri umani alla mercè di qualche partito politico che ha come primo obiettivo
terrorizzare la popolazione italiana con lo slogan “ straniero immigrante = criminale”.
Gli aspetti sociali sono molteplici: pensate che 800.000 studenti nuovi italiani sono iscritti
all’anno scolastico del 2010 - 2011 vivono e studiano con i loro compagni italiani. Guai alla politica
che inquina questo mondo cosi’ pulito, cosi’ fragile con leggi a sfondo razziale e di visione
discriminatoria.
Vi ricordate le proposte di certi sindaci che vietavano le scuole ai figli dei non regolari?
Cosa si può dire ad un bambino quando chiede a sua mamma: “perché non posso andare a scuola
con i miei compagni?”
La nostra umanità trema davanti a questi scenari.
Culto
La nostra attenzione dovrà concentrarsi sull’esercizio del culto garantito dalla costituzione
italiana. Dobbiamo sottrarla a coloro che cercano di speculare da una parte e dall’altra. Io preferisco
vedere i fedeli raccolti in preghiera in un luogo sicuro piuttosto che in fatiscenti garage irregolari o
sui marciapiedi come accade a Milano. Dobbiamo emanare delle norme che regolano il ruolo degli
Imam nelle moschee promuovendo iniziative per l’integrazione delle religioni nel rispetto della fede
del paese che ci ospita. Anche su questo aspetto abbiamo finora avuto provocazioni da parte di certe
forze politiche (vedi i maiali davanti alle moschee e le dichiarazioni esplosive di certi esponenti
politici con lo scopo di permettere a certi estremisti di reagire di conseguenza come è accaduto
tristemente in Inghilterra).
Ho donato al comune di Parma una copia rara del corano che risale al 1600, ed è stata
esposta ultimamente con un versetto del corano dedicato alla verginità di Maria e la nascita di
Cristo miracolo di Dio. Questo è l’Islam che vorremmo illustrarvi, basato sulla pace e fratellanza, e,
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sono sicuro che il dialogo interreligioso continuerà il suo cammino come ha dichiarato Sua Santità
il Papa.
Esperienza personale
Vi racconto una mia personale esperienza dovendomi sposare molti anni fa dove non c’era
alcuna moschea. Chiesi al Gran Mufti se potevo celebrare il mio matrimonio in Chiesa, la sua fu
una secca risposta: “ è una domanda da fare? Certo che si, la Chiesa è la casa di dio”.
Il vescovo della mia città celebrò il mio matrimonio in un clima di grande commozione con
le lacrime.
Questa è la religione cristiana che rispettiamo e davanti ad essa ci inginocchiamo con
profondo rispetto e con essa intendiamo proseguire un lungo cammino di fede in Dio Cristo e Mosè.
Nessuna torbida forza ci dividerà, saremo capaci di isolare l’estremismo di coloro che cercano di
dividere la nostra strada.
Diritto voto
Infine vorrei parlare degli aspetti politici ed anche qui mi chiedo: quando un immigrato
regolare lavora, versa i contributi e paga le tasse, rispetta la legge e la costituzione, manda i suoi
figli a scuola e parla italiano, avendo adempiuto a tutti i suoi doveri non pensate che abbia qualche
diritto?
Uno di essi è il diritto al voto amministrativo per cui il nostro movimento è impegnato da
oltre 10 anni.
L’Italia ha recepito una direttiva europea in tal senso e fu il primo firmatario di questa legge
ma quando è arrivata in Italia, apriti cielo, iniziarono i problemi, e certe forze politiche arrivarono a
minacciare il Presidente del Consiglio di uscire dalla coalizione governativa aprendo la crisi.
Nell’ultimo congresso del mio movimento a Parma, il Presidente del Consiglio mi promise
solennemente, davanti a migliaia di partecipanti, che avrebbe fatto tutto il possibile per approvare
tale proposta, peccato che i risultati furono deludenti, anzi il Presidente iniziò un atteggiamento
molto negativo ed in certi casi anche offensivo.
Noi ricordiamo le sue affermazioni circa la superiorità della sua civiltà rispetto alla nostra e
l’infelice frase” “vedo molte facce di colore nella mia città di Milano e mi disturba parecchio”, per
finire con frecciate velenose al mondo dell’immigrazione.
Noi comprendiamo le difficoltà del Presidente e non accettiamo che sia ostaggio di un
partito politico per la questione emigrazione, noi gli tendiamo una mano sincera quali cittadini
esemplari che hanno dimostrato l’attaccamento all’Italia ma desideriamo essere riconosciuti come
cittadini e non più offesi.
Il nostro mondo è deluso, umiliato e demoralizzato; abbiamo accolto la sfida
dell’integrazione e la stiamo portando a termine con successo, ma l’integrazione è un processo
irreversibile che si fa da entrambe le parti.
Oggi nel parlamento giace la proposta del voto agli emigranti dove essa ha una
maggioranza qualificata, ma questo governo sta facendo di tutto per non metterla in discussione.
Non so cosa temano, e perché sono preoccupati per un esercizio democratico quale è il diritto al
voto dei cittadini residenti, cosi’ come accade già in Germania, in Francia ed in altri paesi europei.
Se passa questa legge avremo oltre 2 milioni di nuovi voti, e certamente saranno
determinanti nella scelta di diversi consigli comunali e provinciali.
Noi siamo grati al Presidente della Camera On. Gianfranco Fini per il suo sostegno al nostro
diritto al voto.
Dateci fiducia e vi dimostreremo che saremo meritevoli ed all’altezza di essi, noi
proseguiremo il nostro cammino al vostro fianco con lealtà, fedeli compagni di un lungo viaggio.
Dio benedica questo paese e la sua comunità. Viva l’Italia.
Caritas Migrantes 2010/03_Di_Tora.pdf
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Dossier Statistico 1mmigrazione 2010
Teatro Orione, 26 ottobre 2010
Mons. Guerino Di Tora, Vescovo ausiliare della diocesi di Roma,
e Presidente della Commissione Migrazioni della Conferenza Episcopale del Lazio
L’immigrazione, una sollecitazione per tutti
Svolgo queste considerazioni come vescovo cattolico con compiti specifici nel settore delle
migrazioni nell’area romano-laziale, quella a più alta concentrazione di immigrati. Sul fenomeno
migratorio proporrò l’autenticità del messaggio della chiesa, che per i cattolici è vincolante ma che
spero susciti non solo la loro adesione.
Perciò, mi rivolgo anche ai credenti di altre religioni, tra i quali molti, in maniera positiva e
apprezzabile, intervengono sui temi della convivenza sociale. Per noi essi sono dei fratelli, in forza
della condivisione del riferimento a Dio, e non dei competitori e tanto meno dei nemici.
E, infine, mi indirizzo a tutte le persone di buona volontà che, seppure con motivazioni
laiche, condividono i valori della solidarietà umana, una base solida sulla quale radicare la comune
collaborazione.
Commentando da un punto di vista ecclesiale i dati di questo nuovo rapporto
sull’immigrazione, e specialmente lo slogan che ne racchiude il messaggio (“Per una cultura
dell’altro”), voglio ribadire che l’immigrazione è una realtà che ci interpella e ci sollecita a una
presa in considerazione che vada nell’ottica del bene comune, superando la superficialità e i calcoli
interessati, personali o di altro tipo.
La mia riflessione si articola in tre punti per i quali ho attinto abbondantemente ai dati del
nuovo “Dossier Statistico Immigrazione”:
- primo punto: l’attenzione all’immigrazione è dovuta per coerenza storica
- secondo punto: la società multiculturale è chiamata a diventare una società interculturale;
- terzo punto: bisogna aggiornare l’agenda degli impegni pubblici e dei comportamenti
personali.
Cercherò di parlare con semplicità ed estrema chiarezza, riprendendo diversi spunti offerti
dai relatori che mi hanno preceduto, e chiuderò in maniera molto concreta.
L’attenzione all’immigrazione è dovuta per coerenza storica.
Sono consapevole che l’immigrazione, alla pari di altri fenomeni sociali, comporta
innumerevoli problemi, anche di difficile soluzione, che perciò non vanno banalizzati. Gli operatori
pastorali lo sanno bene. La Chiesa ha formulato i suoi insegnamenti non a tavolino e per sentito
dire, bensì raccogliendo le sollecitazioni di migliaia di persone che quotidianamente, e non da oggi,
sono impegnati sul campo.
La Fondazione Migrantes ci ricorda che il magistero della chiesa cattolica è maturato
tenendo conto di più di un secolo e mezzo di assistenza agli emigrati italiani a partire dall’unità
d’Italia. Sacerdoti, suore e laici impegnati nelle missioni cattoliche e nelle chiese locali si sono
prodigati per assistere una moltitudine di persone, costrette all’esodo in condizioni veramente
penose, e ancora oggi continuano farlo a beneficio dei quattro milioni di cittadini italiani che vivono
all’estero.
La Caritas, a sua volta, tramite i centri di ascolto è a conoscenza dei bisogni delle persone
più sfavorite e si fa carico di promuovere iniziative e strutture per rispondere a queste necessità ma
specialmente, cosa ben più importante, diffonde l’idea della solidarietà perché il senso della vita
2
non consiste nel cavarsela da soli, dimenticando di aiutare chi è più debole, in momentanea
difficoltà o sfavorito per il fatto di trovarsi in un paese che non è il suo.
Non si può prescindere dalla necessità di chi ci sta vicino. Tutti ci dobbiamo attenere a
questa consegna in un contesto sociale che, a dire il vero, diventa sempre meno sensibile a questo
richiamo, ma specialmente lo devono fare i cristiani, memori dell’insegnamento del Vangelo,
assolutamente chiaro su questo punto.
Partendo da questi presupposti, veniamo ora all’immigrazione,.
Nel 1990, anno della prima conferenza nazionale dell’immigrazione, mons. Silvano Ridolfi,
allora direttore dell’Ucei (così allora si chiamava la Fondazione Migrantes), intervenendo alla prima
conferenza nazionale dell’immigrazione a nome delle associazioni che si occupavano dei
connazionali all’estero, faceva questa affermazione: “Se abbiamo chiesto per gli italiani giustizia e
rispetto, altrettanto dobbiamo fare per gli immigrati nel nostro paese”.
Questo ventesimo anniversario ci ricorda che, sempre nel 1990, mons. Luigi Di Liegro,
direttore della Caritas diocesana di Roma, seguendo un disegno lungimirante dava l’avvio alla
pubblicazione del “Dossier Statistico Immigrazione”. Da allora ad oggi abbiamo avuto a
disposizione una preziosa fonte conoscitiva, dalla quale sono derivati stimoli a operare meglio e,
specialmente, con maggiore prossimità agli immigrati. Questo grande sacerdote era un convinto
sostenitore della convivenza rispettosa dei diversi e dei più bisognosi, dalla quale dipende il livello
qualitativo della nostra società.
La società multiculturale deve diventare una società interculturale
Quasi cinque milioni di presenze regolari sollecitano prioritariamente la nostra attenzione,
senza dover trovare la scappatoia di parlare, sempre e comunque, degli irregolari e di dimenticare il
dovere d’accoglienza nei confronti dei richiedenti asilo. La presenza regolare e ben visibile e ci
colloca tra i primi paesi di immigrazione in Europa, subito dopo la Germania. Il ritmo d’aumento è
stato sostenuto anche in questi anni di crisi. Le previsioni lasciano intendere che l’Italia, a metà
secolo, potrà collocarsi al vertice europeo per numero per numero di immigrati.
Questi sono, realisticamente, gli scenari che si prefigurano. Tuttavia, seppure con diverse
motivazioni, sono forti le resistenze a prendere coscienza che l’Italia è diventata una società
multiculturale, quasi che la stessa sia per definizione ingovernabile e non possa diventare una
società interculturale.
Ritengo che, in prevalenza, le resistenze siano dovute al timore che le differenze culturali, di
cui gli immigrati sono portatori, possano radicarsi come un cune di estraneità, senza accordarsi con
la cultura che le accoglie. Questo è il vecchio “modello di integrazione multiculturale”, del quale si
continuano a vedere gli strascichi, ma che possiamo ritenere superato, sia concettualmente che nella
sua concreta attuazione. Ma non è questa l’unica via possibile. Possiamo fare alcune precisazioni al
riguardo, ispirandoci a mons. Luigi Di Liegro che oggi commemoriamo e che denominò il suo
programma di intervento “Forum per l’intercultura”. Le culture si devono incontrare: multicultura è
solo un dato di fatto, mentre intercultura è una strategia imperniata sul confronto, sul dialogo e sulla
mediazione.
Se così stanno le cose, la società multiculturale non comporta per noi italiani la rinuncia alle
nostre tradizioni. Abbiamo una storia, una lingua, una cultura, un orientamento costituzionale, un
passato religioso. Secondo l’orientamento della chiesa, i nuovi venuti hanno diritto a essere accolti
ma anche il dovere di rispettare il paese che li accoglie.
L’apertura alle altre culture non comporta la rinuncia alla giustizia penale, lasciando che gli
immigrati infrangano le nostre leggi. Nessuna persona di buon senso può accettare un’impostazione
simile. Devianza, tanto nel caso degli italiani che in quello degli immigrati, significa scostamento
dalla strada maestra. Servono vigilanza e costanza per evitare le degenerazioni, ma, serve il buon
senso per non equiparare immigrazione e delinquenza. Anche quest’ultimo “Dossier” si è
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adoperato, con i dati, per sconfessare questa equazione, che alimenta un’aria di sospetto e
pregiudica la convivenza.
La società multiculturale neppure comporta la rinuncia alla nostra religione, anche se al
riguardo si dicono le cose più inesatte. La chiesa cattolica rimane attaccata al messaggio cristiano,
cercando di testimoniarlo e di proporlo, senza per questo trascurare il rispetto dei fedeli di altre
religioni, come anche il rispetto dei cristiani che vivono all’estero. Il fenomeno migratorio può
essere un’occasione provvidenziale a dimensione planetaria per diffondere una impostazione di
tolleranza e di collaborazione mentre – mi sia consentito di dirlo – non mi sembra che il compito
principale, in questo contesto, sia l’eliminazione del crocifisso dalle pareti delle scuole..
Superati gli equivoci sui concetti di multi cultura e di intercultura, possiamo riconoscere che
nell’immigrazione sono numerosi gli aspetti positivi. In particolare, constatiamo che a seguito di
questi flussi milioni di persone hanno potuto conoscere e amare il nostro paese, imparare la lingua,
apprezzare la popolazione, contribuire al benessere del paese, parlare bene di noi nel mondo e,
naturalmente, ricavarne loro stessi dei benefici.
Ogni immigrato è un moltiplicatore della realtà italiana, una garanzia per la sua
sopravvivenza e non una minaccia di estinzione. Da soli non siamo più sufficienti e per costruire la
società del futuro abbiamo bisogno anche degli immigrati, da valorizzare nelle loro differenze pur
sempre indirizzate verso gli obiettivi comuni in una prospettiva di interazione e di integrazione.
Solo inquadrando da vicino gli immigrati si possono scoprire questi aspetti positivi. Il “Dossier
Statistico Immigrazione” della Caritas e della Migrantes lo fa da 20 anni con i numeri, ma non è
questa l’unica maniera. Qui presenti sono molti mediatori culturali, che al tempo in cui nasceva il
“Dossier”, insieme a mons. Luigi Di Liegro diedero vita al “Forum dell’intercultura” e all’interno
di quel progetto, che personalmente ho seguito per un decennio, continuano a valorizzare le
differenze degli immigrati per il bene della società italiana.
Bisogna aggiornare l’agenda degli impegni pubblici e dei comportamenti personali
All’inizio degli anni ’90, al tempo delle prime edizioni del “Dossier”, il messaggio che
derivava dalla lettura dei dati statistici invitava al ridimensionamento del fenomeno a fronte della
paura di una invasione.
A 20 anni di distanza il messaggio è diverso. L’Italia è già diventata un paese di
immigrazione e bisogna pervenire a una conoscenza meno superficiale e acquisire una sensibilità
più adatta al nuovo contesto.
Dalla dottrina sociale della Chiesa, della quale ho esposto alcuni punti essenziali, non
derivano meccanicamente le scelte tecniche di politica migratoria. Questo compito spetta alla
responsabilità degli amministratori, dei parlamentari, degli uomini di governo, a loro volta tenuti ad
ascoltare le esigenze della società.
Mi preme però sottolineare che non può essere accettata una sorta di doppia verità, per cui
sul piano ideale si dicono delle cose e sul piano pratico se ne fanno delle altre. Qualcosa di simile
avviene effettivamente. Anche se usiamo tante belle parole per giustificarci, onestamente dobbiamo
riconoscere che ci può essere in noi un fondo di razzismo. Voglio porre alcuni interrogativi che ci
aiutino a riflettere.
Perché trattiamo peggio le persone che hanno un diverso colore della pelle? Perché siamo
diffidenti nei confronti di chi professa, con onestà e apertura a quanti professano un’altra religione?
Perché siamo portati a considerare di dignità inferiore chi viene dai paesi più poveri? Perché non
riteniamo i nuovi venuti meritevoli di ottenere senza discriminazioni le misure di sostegno sociale?
Perché, pur a fronte di un insediamento stabile, non concediamo spazi di partecipazione effettiva e
facilitiamo l’accesso alla cittadinanza a chi è nato in Italia? Perché riteniamo che nei confronti dei
rom è sempre giustificato il nostro atteggiamento negativo, mentre quanto è avvenuto a Milano e in
altri contesti ci invitano a essere più prudenti?
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L’immigrazione comporta anche dei problemi, come ho riconosciuto, ma fondamentalmente
è un’opportunità e può aiutarci a riappropriarci di quella dalla voglia di riuscire, che nel passato è
stata la principale risorsa del paese: con gli immigrati l’Italia potrà conoscere una nuova fase di
benessere, e questa avrà un riverbero anche sui paesi di origine.
Le difficoltà che oggi incontriamo si superano attraverso le vie virtuose della tolleranza,
della mutua accettazione e della collaborazione. Non basta fermarsi al contrasto della irregolarità e
agli aspetti penali, ma bisogna fare di più per mettere l’immigrazione nell’agenda del paese con
l’obiettivo prioritario di una vera integrazione, sostenuta con mezzi adeguati.
Un riferimento personale e un invito a tutti
Voglio chiudere con due annotazioni, una personale e l’altra dottrinale. Sono stato il
successore di mons. Luigi Di Liegro e come direttore della Caritas diocesana di Roma ho seguito il
“Dossier Statistico Immigrazione” dal mese di ottobre 1997 fino al 2008. In questo periodo il
“Dossier” è diventato un sussidio culturale ufficiale di Caritas Italiana e della Fondazione
Migrantes, i due organismi pastorali della Conferenza Episcopale Italiana che hanno competenze
specifiche nel settore delle migrazioni, nella cui sede i carissimi redattori si sono trasferiti dopo
essere stati per quasi 15 anni nel palazzo del Vicariato di Roma.
La dottrina sociale della Chiesa magistralmente proposta da Papa Benedetto XVI, i messaggi
che la Santa Sede predispone per le Giornata Mondiale delle Migrazioni che si svolge nel mese di
gennaio di ogni anno, il luminoso esempio di mons. Di Liegro, l’impegno dei redattori del
“Dossier”, la lezione dei dati statistici: questi molteplici stimoli invitano a considerare
l’immigrazione una risorsa aggiuntiva e a comportarsi di conseguenza.
L’immigrazione è un segno dei tempi, ed è anche tempo di trarne delle conseguenze
concrete. A opporsi all’immigrazione si possono anche trovare delle convenienze, ma non si fa il
bene dell’Italia, per il cui futuro tutti, italiani e immigrati, in questo 150° anniversario dell’unità
vogliamo collaborare.
Grazie.
Caritas Migrantes 2010/04_Scheda_Sintesi.pdf
1
X X R a p p o r t o
s u l l ’ i m m i g r a z i o n e
CARITAS/MIGRANTES
Immigrazione
Dossier Statistico 2010
Dossier 1991-2010:
per una cultura
dell’altro
IDOS - Centro Studi e Ricerche
Redazione Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes
Via Aurelia 796 - 00165 Roma
Tel. +39 06.66514345 – Fax + 39 06.66540087
E-mail: idos@dossierimmigrazione.it
Internet: www.dossierimmigrazione.it
CONSIDERAZIONI SUL”DOSSIER” E SULL’IMMIGRAZIONE
Nascita del Dossier all’inizio degli anni ‘90. Nel mese di
febbraio 1990 fu approvata la “legge Martelli”. Fu quello
l’anno della prima conferenza nazionale dell’immigrazione,
nel corso della quale mons. Silvano Ridolfi, allora direttore
della Migrantes, così affermava a nome delle associazioni
degli emigrati italiani: “Se abbiamo chiesto per gli italiani
giustizia e rispetto, altrettanto dobbiamo fare per chi immi-
gra nel nostro paese”. Sempre nel 1990 la Conferenza Epi-
scopale Italiana approvò il documento “Uomini di culture
diverse: dal conflitto alla solidarietà”, un tema che mons.
Luigi Di Liegro, direttore della Caritas diocesana di Roma,
riproponeva sia nel volume Il pianeta immigrazione sia l’an-
no successivo, in piena guerra del Golfo, nella pubblicazio-
ne Per conoscere l’islam: cristiani e musulmani nel mondo di
oggi, smontando la tentazione di una guerra religiosa.
Ancora nel 1991, il “prete degli immigrati” diede vita al
“Forum per l’Intercultura”, un impegnativo programma di
sensibilizzazione, e al Dossier Statistico Immigrazione.
Il suo obiettivo era quello di favorire una visione agevole,
ma non superficiale, delle statistiche sul fenomeno migrato-
rio, partendo da tre considerazioni di fondo.
1. L’immigrazione offre l’occasione per una conoscenza
umana più profonda. Mancava (e per certi versi ancora
manca) una visione positiva dell’immigrazione, che resta
equiparata a una realtà ostile, confondendo la regola-
mentazione con la sicurezza. La posta in gioco è un ordi-
ne economico mondiale meno ingiusto e una maggiore
amicizia tra i popoli basata sul reciproco apprezzamento.
2. L’immigrazione va inquadrata in collegamento con l’an-
damento demografico e lo sviluppo socio-economico e
non ha senso parlare di cooperazione nella speranza che i
flussi cessino.
3. Il rapporto tra le strutture pubbliche, da una parte, e il
volontariato e la realtà socio-ecclesiale, dall’altra, deve
essere collaborativo e non concorrenziale, comunque mai
subalterno, e deve tendere a far rientrare nell’ambito
pubblico le intuizioni della base per una maggiore giusti-
zia sociale, nella convinzione che non si può offrire per
carità ciò che è dovuto per esigenze di giustizia e di
dignità umana. Specialmente al cristiano è richiesto un
nuovo stile di vita, perché il vangelo richiede atti di soli-
darietà concreta.
Questo coraggioso sacerdote metteva anche in conto un
certo numero di problemi, aspettandosi però, da un paese
civile, la capacità di affrontarli e risolverli con il superamen-
to del disinteresse e della chiusura, vincendo il senso della
paura.
Secondo mons. Di Liegro, per il quale la carità era anche
e specialmente politica, pensarla così non era da illusi ma
solo da conoscitori consapevoli dei termini reali della que-
stione migratoria, secondo una impostazione lontana dai
luoghi comuni.
2
Il Dossier, come prima raccolta organica dei dati statistici
sull’immigrazione, suscitò subito grande interesse, perché
andava incontro alle esigenze degli operatori sociali, dei
funzionari pubblici, dei ricercatori e dei giornalisti. Ma non
mancarono le reazioni negative: “la Chiesa invita i poveri
del mondo in Italia, aspettandosi che nel futuro votino
secondo le sue indicazioni”; “i cattolici si basano su un
temerario provvidenzialismo”; “le buone intenzioni di soli-
darietà sconfinano nella dabbenaggine”. E queste obiezio-
ni continuano ancora oggi.
Un servizio conoscitivo tuttora necessario. A distanza
di due decenni dalla nascita del Dossier, Caritas e Migran-
tes ritengono, alla luce del messaggio evangelico, che si
richieda un rinnovato impegno per una fruttuosa convi-
venza e considerano l’immigrazione un “segno dei tempi”
nel quale si configurano le linee di un profondo cambia-
mento in atto in Italia, in Europa e nell’intero contesto
mondiale.
In questi vent’anni il rapporto con le strutture pubbliche
è stato molto stretto, ma nell’ambito dell’autonomia pro-
pria del mondo socio-pastorale e della sua funzione critica
e propositiva. Il Dossier rimane il frutto di un progetto cul-
turale inteso a favorire una conoscenza del fenomeno
migratorio libera da pregiudizi e contrapposizioni partiti-
che, ricavando le ipotesi interpretative a partire dalle stesse
fonti statistiche.
Sono aumentate le pagine del rapporto, apprezzato in
particolare per la sua completezza, seppure non siano
mancate anche reazioni di disappunto, quasi che la chiesa
cattolica si sia resa protagonista di una sorta di invasione di
campo. In realtà questa ricerca, nata per rimediare a una
carenza conoscitiva sul piano statistico, non è avulsa dai
compiti pastorali, strutturandosi la missione della chiesa
non solo in testimonianza della fede ma anche in promo-
zione umana e sostegno sociale.
Di fondamentale supporto è la rete di migliaia di opera-
tori pastorali, a loro volta collegati con altre realtà sociali e
di ricerca. È stata questa la base che ha consentito di arric-
chire la riflessione sulle dimensioni nazionali e regionali del
fenomeno migratorio e di far sentire il Dossier come un
prodotto a disposizione di tutti.
Nel corso di due decenni sono state distribuite alcune
centinaia di migliaia di copie del rapporto e sono state
organizzate migliaia di presentazioni in tutte le realtà pro-
vinciali. All’inizio del 1990, anno al quale si riferisce la
prima edizione del Dossier, non si andava oltre il mezzo
milione di presenze. In questi 20 anni la popolazione
immigrata è cresciuta di quasi 10 volte, arrivando alla
soglia di 5 milioni, ma insieme al numero degli immigrati
sono aumentate anche le chiusure.
L’immigrazione e la crisi economico-occupazionale.
Innanzi tutto, a predisporre negativamente la popolazione
verso la presenza immigrata sono gli effetti in Italia della
crisi mondiale: nel 2009, il crollo della produzione (special-
mente nelle manifatture e in edilizia) e degli investimenti,
la diminuzione di 380mila posti di lavoro e del tasso di
occupazione, l’aumento del tasso di disoccupazione e dei
disoccupati (2 milioni e 45mila), l’incremento delle migra-
zioni interne anche a lungo raggio. In questo contesto, in
cui le previsioni di nuove assunzioni dall’estero sono
andate diminuendo (da 168.000 nel 2008 a 89.000 nel
2009 secondo l’indagine Excelsior), non solo si è ridotto
l’afflusso degli immigrati, considerati in qualche modo
una causa di questi mali, ma molti sono stati anche licen-
ziati e in parte costretti a lasciare il paese o a scivolare
nell’irregolarità.
È il nostro sistema economico a trovarsi in difficoltà,
impossibilitato ormai a ricorrere alle svalutazioni della
moneta dopo l’introduzione dell’euro, a esportare nel
mondo prodotti a basso costo, come riescono invece a fare
i paesi emergenti, e a ridurre l’enorme peso della spesa
pubblica. Intanto, continua la diminuzione nella crescita del
Prodotto Interno Lordo: 3,8% negli anni ’70, 2,4% negli
anni ’80, 1,4% negli anni ’90, 0,3% negli anni 2000 (un
valore ridottissimo anche per effetto del crollo del Pil del
6% nel biennio 2008-2009). Inoltre, il rapporto tra debito
pubblico e Pil, pari al 95,2% nel 1990, è passato al 109,2%
nel 2000 ed è stimato pari al 118,2% alla fine del 2010, il
rapporto più alto tra tutti gli Stati membri dell’UE.
Rispetto agli altri grandi paesi europei è stentata la
modernizzazione del nostro sistema produttivo, che nel
periodo 1980-2009 ha conosciuto un aumento medio
annuo della produttività (dati Istat) di appena l’1,2%. Que-
sto andamento influisce negativamente sulla crescita del Pil
e delle retribuzioni ed evidenzia la necessità di un maggiore
sviluppo tecnologico, dell’alleggerimento della burocrazia,
di una maggiore apertura agli investimenti diretti esteri (22
miliardi di euro l’anno in entrata contro 32 in uscita) e di
una maggiore affermazione all’estero. È vero, ad esempio,
che le imprese italiane di costruzione ricavano dall’estero la
metà del loro fatturato, che comunque rimane allo stesso
livello di 10 anni fa, con perdita di addetti e chiusure di
imprese. D’altra parte, il mero trasferimento all’estero di
produzioni a basso costo senza mantenere sinergie con l’Ita-
lia comporta il rischio di svendere il know how italiano e di
pagarne le conseguenze a medio e lungo termine, con un
inedito panorama di paesi produttori con pochi consumato-
ri e paesi consumatori ma non più produttori.
Le opportunità connesse con l’immigrazione. Alla luce
degli effetti della crisi bisogna chiedersi se gli immigrati,
che contribuiscono alla produzione del Prodotto Interno
Lordo per l’11,1% (stima di Unioncamere per il 2008),
siano il problema o non piuttosto un contributo per la sua
soluzione. Diversi studi, tra i quali quello della Banca d’Ita-
lia di luglio 2009, hanno posto in evidenza la funzione
complementare dei lavoratori immigrati in grado di favori-
re migliori opportunità occupazionali per gli italiani.
Venendo essi a mancare, o a cessare di crescere, nei settori
produttivi considerati non appetibili dagli italiani (in agri-
coltura, in edilizia, nell’industria, nel settore familiare e in
tanti altri servizi), il paese sarebbe impossibilitato ad affron-
tare il futuro. È quanto ci è stato ricordato il primo marzo
2010 dal primo “sciopero degli stranieri”, ispirato a una
analoga manifestazione francese, con l’astensione dal lavo-
ro e dagli acquisti e la presenza in piazza per far sentire la
propria voce.
In particolare, gli immigrati sono sempre più indispensa-
bili per rispondere alle esigenze delle famiglie, come emer-
so in occasione dell’ultima regolarizzazione, chiusa a set-
tembre 2009 con quasi 300mila domande: basti pensare
che nella prospera Lombardia, nel 2025, le persone con
oltre 65 anni saranno circa tre milioni, un milione in più
rispetto al 2010, con un fabbisogno esponenziale di assi-
stenza.
Il Dossier, nelle indagini condotte sui benefici e sui costi del-
l’immigrazione, ha evidenziato che gli immigrati versano alle
casse pubbliche più di quanto prendano come fruitori di pre-
stazioni e servizi sociali. Si tratta di quasi 11 miliardi di contri-
buti previdenziali e prelievi fiscali l’anno che hanno contribui-
to al risanamento del bilancio dell’Inps, trattandosi di lavora-
tori giovani e, perciò, ancora lontani dall’età pensionabile.
Essi, inoltre, dichiarano al fisco oltre 33 miliardi l’anno.
A livello occupazionale gli immigrati non solo incidono
per circa il 10% sul totale dei lavoratori dipendenti, ma
sono sempre più attivi anche nel lavoro autonomo e
imprenditoriale, dove riescono a creare nuove realtà azien-
dali anche in questa fase di crisi. Sono circa 400mila gli
stranieri tra titolari di impresa, amministratori e soci di
aziende, ai quali vanno aggiunti i rispettivi dipendenti. A
Milano i pizzaioli egiziani sono più di quelli napoletani, così
come sono numerosi gli imprenditori tessili cinesi a Carpi
(Modena) e Prato, e quelli della concia ad Arzignano
(Vicenza), in questo caso non solo cinesi ma anche serbi.
Ogni 30 imprenditori operanti in Italia 1 è immigrato, con
prevalenza dei marocchini, dediti al commercio, e dei
romeni, più propensi all’imprenditoria edile.
Le esigenze demografiche e gli intrecci interculturali.
Sono circa 240mila i matrimoni misti celebrati tra il 1996 e
il 2008 (quasi 25mila nell’ultimo anno); più di mezzo milio-
ne le persone che hanno acquisito la cittadinanza di cui
59mila nel 2009; oltre 570mila gli “stranieri” nati diretta-
mente in Italia; quasi 100mila quelli che ogni anno nasco-
no da madre straniera; più di 110mila gli ingressi per moti-
vi familiari.
In un’Italia alle prese con un elevato e crescente ritmo di
invecchiamento, dove gli ultrasessantacinquenni superano
già i minori di 15 anni, gli immigrati sono un fattore di par-
ziale riequilibrio demografico, influendo positivamente
anche sulla forza lavoro.
I contatti quotidiani sul lavoro e nei luoghi di socializza-
zione (la scuola, le associazioni, i luoghi di culto…), insieme
alle famiglie miste, stanno facendo dell’immigrazione una
realtà organica alla società italiana.
La collettività romena è la più numerosa, con quasi
900mila residenti; seguono albanesi e marocchini, quasi
mezzo milione ciascuno, mentre cinesi e ucraini sono quasi
200mila. Nell’insieme, queste 5 collettività coprono più
della metà della presenza immigrata (50,7%). Gli europei
sono la metà del totale, gli africani poco più di un quinto e
gli asiatici un sesto, mentre gli americani incidono per
meno di un decimo.
Diversi gruppi nazionali risiedono per lo più nelle città,
come i filippini, i peruviani e gli ecuadoriani. Altri, come gli
indiani, i marocchini o gli albanesi, si sono insediati mag-
giormente nei comuni non capoluogo. L’insediamento è
prevalente nel Nord e nel Centro, ma anche il Meridione è
coinvolto nel fenomeno, rappresentando un’area privilegia-
ta per l’inserimento di alcune collettività. È il caso degli
albanesi in Puglia, degli ucraini in Campania o dei tunisini
in Sicilia.
Roma e Milano, rispettivamente con quasi 270mila e
200mila stranieri residenti, sono i comuni quantitativa-
mente più rilevanti, ma gli immigrati si stabiliscono anche
nei piccoli centri, spesso con incidenze elevate rispetto al
totale dei residenti. Ad esempio, a fronte di una media
nazionale del 7%, gli stranieri sono il 20% dei residenti a
Porto Recanati (MC), il salotto del mare della riviera
adriatica, come anche a Castiglione delle Stiviere (MN),
conosciuto non solo per essere patria di San Luigi Gonza-
ga, patrono mondiale della gioventù, ma anche il luogo
in cui Herny Dunant concepì l’idea della Croce Rossa. In
provincia di Imperia, Airole si impone per un’incidenza
degli stranieri pari al 31%, seppure su una popolazione di
appena 493 abitanti.
E il fattore criminalità? Nei primi anni, l’impostazione
del Dossier, nella consapevolezza che l’immigrazione non
comporta solo aspetti positivi, è consistita nel riportare
anche i dati relativi al coinvolgimento degli stranieri in atti-
vità devianti ripartiti per territorio, per paesi di provenienza
e per tipo di reato, fornendo alcune indicazioni per la loro
lettura. Negli ultimi tempi questa metodologia documenta-
le non si è rivelata più sufficiente, anche perché, con il
notevole aumento dei flussi migratori a partire dalla secon-
da metà degli anni ’90, si è rafforzata nella società la diffi-
denza prima nei confronti dei marocchini, poi verso gli
albanesi e attualmente verso i romeni, seppure con toni
fortemente ridimensionati rispetto al biennio 2007-2008.
Diversi sono stati gli approfondimenti condotti dai redat-
tori Caritas/Migrantes:
• per gli albanesi (2008) è stato mostrato che la loro stig-
matizzazione è continuata per forza di inerzia anche negli
anni 2000 quando, stabilizzatisi i flussi, la loro rilevanza
nelle statistiche criminali è risultata in realtà fortemente
ridimensionata;
• per i romeni (2008 e 2010) la progressione accusatoria
ha continuato a essere accentuata, nonostante le statisti-
che continuino ad attestare un loro coinvolgimento più
ridotto rispetto alla generalità degli immigrati;
• per gli africani (2010), almeno relativamente alle mag-
giori collettività, si è visto che sussistono problemi quanto
alla loro implicazione sia nella criminalità comune sia in
quella organizzata, fenomeni che meritano di essere
approfonditi nelle loro cause e nei loro dinamismi, met-
tendo in atto adeguate strategie di recupero.
• a loro volta, i rom sono stati, sono e forse continueranno
ad essere il gruppo maggiormente discusso, non rara-
mente al di là delle loro specifiche colpe: mai provata, e
anzi del tutto smentita da un’apposita indagine della
Fondazione Migrantes, è l’accusa di rapire i bambini.
3
Ma i timori e il senso di insicurezza degli italiani dipendo-
no in prevalenza da altri fattori, considerato che:
1. la criminalità in Italia è aumentata in misura contenuta
negli ultimi decenni, nonostante il forte aumento della
popolazione straniera, e addirittura è andata diminuen-
do negli anni 2008 e 2009;
2. il ritmo d’aumento delle denunce contro cittadini stra-
nieri è molto ridotto rispetto all’aumento della loro pre-
senza, per cui è infondato (e non solo per il Dossier) sta-
bilire una rigorosa corrispondenza tra i due fenomeni:
ciò si desume anche, per quanto riguarda le diverse
province, dalla raccolta statistica curata per i Consigli
territoriali per l’immigrazione nell’ambito del Fondo
Europeo per l’Integrazione (2010) e, per quanto riguar-
da le principali collettività di immigrati (con alcune
eccezioni), dal Rapporto del Cnel sugli indici di integra-
zione (2010);
3. il Rapporto del Cnel ha mostrato che il tasso di crimina-
lità addebitabile agli immigrati venuti ex novo nel nostro
paese, quelli su cui si concentrano maggiormente le
paure, è risultato, nel periodo 2005-2008, più basso
rispetto a quello riferito alla popolazione già residente;
4. il confronto tra la criminalità degli italiani e quella degli
stranieri, attraverso una metodologia rigorosa basata
sulla presa in considerazione di classi di età omoge-
nee, ha consentito di concludere che gli italiani e gli
stranieri in posizione regolare hanno un tasso di crimi-
nalità simile;
5. lo stesso coinvolgimento criminale degli immigrati non
autorizzati al soggiorno, innegabile, di difficile quantifi-
cazione e spesso direttamente legato alla stessa irregola-
rità della presenza e alle difficili condizioni di vita che ne
conseguono, va esaminato con prudenza e con rigore
in un paese in cui entrano annualmente decine di milio-
ni di stranieri come turisti o per altri motivi.
Queste linee interpretative non devono portare ad
“abbassare la guardia”, bensì a vincere i preconcetti e a
investire maggiormente sulla prevenzione e sul recupero,
coinvolgendo i leader associativi degli immigrati, come
avvenuto nel passato con positivi risultati tra i senegalesi.
Immigrazione e pari opportunità: un binomio irrinun-
ciabile. L’immigrazione e l’integrazione devono andare di
pari passo. Il Governo ha proposto un piano per l’integra-
zione nella sicurezza, denominato “Identità e Incontro”,
qualificandolo come modello italiano lontano dall’assimila-
zionismo e dal multiculturalismo. Nel documento vengono
individuati percorsi imperniati su diritti e doveri, responsa-
bilità e opportunità, in una visione di relazione reciproca,
facendo perno sulla persona e sulle iniziative sociali piutto-
sto che sullo Stato, individuando cinque assi di intervento:
l’educazione e l’apprendimento, dalla lingua ai valori; il
lavoro e la formazione professionale; l’alloggio e il governo
del territorio; l’accesso ai servizi essenziali; l’attenzione ai
minori e alle seconde generazioni.
Si insiste inoltre, così come si fa in ambito comunitario,
sugli aiuti allo sviluppo, progressivamente ridotti in Italia a
un livello veramente minimo, oltre che sulle migrazioni a
carattere rotatorio e sui rientri. Ma, intanto, è andata radi-
candosi la convinzione, supportata dai dati, che l’immigra-
zione stia acquisendo un carattere sempre più stabile.
Vi si ritrovano aperture apprezzabili riguardo al pubblico
impiego, rilievi critici rispetto a quanto è stato fatto nel pas-
sato, l’individuazione di linee di impegno e specialmente il
criterio che quanto proposto vada monitorato nella sua
concreta efficacia.
Nel 2009, tuttavia, il Fondo nazionale per l’inclusione
sociale è rimasto sprovvisto di copertura e questa carenza,
oltre tutto in fase di crisi economica, di certo non aiuta l’in-
tegrazione a fronte di una diminuita capacità di spesa delle
famiglie, anche immigrate.
Continua a essere più difficoltoso per gli immigrati l’ac-
cesso ai servizi. A Milano un cittadino italiano ha firmato un
contratto d’affitto insieme a un rom, che da solo altrimenti
non sarebbe stato accettato dal proprietario. Tra la popo-
lazione immigrata regolare solo il 68% è iscritto al Servizio
Sanitario Nazionale, come si rileva dal secondo rapporto
del Ministero dell’Interno sui consigli territoriali, e questo
concorre a spiegare anche perché per essi vi siano più rico-
veri in stato d’urgenza e un maggiore accesso al pronto
soccorso. Secondo una ricerca del Cisf, crescere e mantene-
re un figlio costa 9.000 euro l’anno, anche per le famiglie
immigrate; tuttavia, inspiegabilmente, le coppie straniere
sono state escluse dal beneficio del bonus bebé, così come i
capifamiglia stranieri hanno trovato più difficile accedere ad
altri benefici sociali erogati dagli Enti Locali.
Integrazione e pari opportunità, quindi, devono andare
di pari passo, in un intreccio di doveri ma anche di diritti
come enunciato nel documento governativo. Bisogna spia-
nare la via ai nuovi cittadini, non solo per sensibilità evan-
gelica ma anche perché questa è l’unica via corretta per
andare incontro al nostro futuro.
Irregolarità e politica migratoria. Nel Dossier 2010 si
parla anche di sbarchi e di irregolari, senza sottacere gli
aspetti problematici, ma anche senza perdere il riferimento
ai dati e il senso delle proporzioni.
Tutte le persone di buon senso riconoscono la necessità
di controllare le coste, evitando che esse diventino l’attrac-
co per i trafficanti di essere umani e la base per i loro lucrosi
commerci (2,5 miliardi di dollari nel mondo, secondo
l’Onu). Questo rigore, però, va unito al rispetto del diritto
d’asilo e della protezione umanitaria, di cui continuano ad
avere bisogno persone in fuga da situazioni disperate e in
pericolo di vita. Il contrasto degli sbarchi non deve far
dimenticare che nella stragrande maggioranza dei casi
all’origine dell’irregolarità vi sono gli ingressi legali in Italia,
con o senza visto, di decine di milioni di stranieri che arriva-
no per turismo, affari, visita e altri motivi. Rispetto a questi
flussi imponenti, e non eliminabili, anche la punta massima
di sbarchi raggiunta nel 2008 (quasi 37mila persone) è ben
poca cosa.
Risulterà inefficace il controllo delle coste marittime,
come anche di quelle aeree e terrestri, se non si incentive-
ranno i percorsi regolari dell’immigrazione. Non è in discus-
sione la necessità di regole bensì la loro funzionalità. Ciò
induce a ripensare in maniera innovativa la flessibilità delle
quote, le procedure d’incontro tra datore di lavoro e lavo-
4
5
ratore, il tempo messo a disposizione per la ricerca di un
nuovo posto di lavoro (che si potrebbe ampliare tenendo
conto dei periodi di integrazione salariale o disoccupazione
indennizzata). In effetti, è disfunzionale costringere ad
andar via lavoratori già ben inseriti, e in grado di ritrovare
un posto di lavoro dopo la crisi, oppure costringerli di fatto
a incrementare l’area del lavoro irregolare (il 12,2% del
totale, secondo l’Istat). Lascia, perciò, perplessi constatare
che diversi enti locali abbiano destinato fondi per il loro
allontanamento, oltretutto con scarsa efficacia, come si è
visto anche in Spagna. Sembra, invece, auspicabile esten-
dere i rimpatri assistiti a favore degli irregolari, come racco-
mandato dalla stessa Commissione europea, trasformando
il ritorno di chi non ha avuto sbocco o successo nell’immi-
grazione in un investimento positivo per i paesi di origine.
Seguendo un’ottica realistica, Eurostat ha precisato che il
miraggio di una “immigrazione zero” in mezzo secolo
farebbe perdere all’Italia un sesto della sua popolazione.
Perciò, se l’immigrazione è funzionale allo sviluppo del
paese, l’agenda politica è chiamata a riflettere sugli aspetti
normativi più impegnativi, come quelli riguardanti la citta-
dinanza e le esigenze di partecipazione di questi nuovi cit-
tadini, in particolare se nati in Italia. È questa la strada più
fruttuosa sotto tutti i punti di vista, economico e occupa-
zionale non meno che culturale e religioso. Ed è per questo
che il Dossier 2010 pone a tutti la domanda: e se mancasse,
in realtà, la cultura dell’altro?
I RIFERIMENTI STATISTICI FONDAMENTALI NEL 2009
I numeri fondamentali dell’immigrazione. All’inizio del
2010 l’Istat ha registrato 4 milioni e 235mila residenti stra-
nieri, ma, secondo la stima del Dossier, includendo tutte le
persone regolarmente soggiornanti seppure non ancora
iscritte in anagrafe, si arriva a 4 milioni e 919mila (1 immi-
grato ogni 12 residenti). L’aumento dei residenti è stato di
circa 3 milioni di unità nel corso dell’ultimo decennio,
durante il quale la presenza straniera è pressoché triplicata,
e di quasi 1 milione nell’ultimo biennio.
Intanto, però, complice la fase di recessione, sono cre-
sciute anche le reazioni negative.
Gli italiani sembrano lontani, nella loro percezione, da un
adeguato inquadramento di questa realtà. Nella ricerca
Transatlantic Trends (2009) mediamente gli intervistati
hanno ritenuto che gli immigrati incidano per il 23% sulla
popolazione residente (sarebbero quindi circa 15 milioni,
tre volte di più rispetto alla loro effettiva consistenza) e che
i “clandestini” siano più numerosi dei migranti regolari
(mentre le stime accreditano un numero tra i 500mila e i
700mila). Su questa distorta percezione influiscono diversi
fattori, tra i quali anche l’appartenenza politica.
La Lombardia accoglie un quinto dei residenti stranieri
(982.225, 23,2%). Poco più di un decimo vive nel Lazio
(497.940, 11,8%), il cui livello viene quasi raggiunto da
altre due grandi regioni di immigrazione (Veneto 480.616,
11,3%) e Emilia Romagna (461.321, 10,9%), mentre il Pie-
monte e la Toscana stanno un po’ al di sotto (rispettiva-
mente 377.241 e 8,9%; 338.746 e 8,0%). Roma, che è
stata a lungo la provincia con il maggior numero di immi-
grati, perde il primato rispetto a Milano (405.657 rispetto a
407.191).
L’incidenza media sulla popolazione residente è del 7%,
ma in Emilia Romagna, Lombardia e Umbria si va oltre il
10% e in alcune province anche oltre il 12% (Brescia, Man-
tova, Piacenza, Reggio Emilia, Prato).
Le donne incidono mediamente per il 51,3%, con la
punta massima del 58,3% in Campania e del 63,5% a Ori-
stano, e quella più bassa in Lombardia (48,7%) e a Ragusa
(41,5%).
I nuovi nati da entrambi i genitori stranieri nel corso del
2009 sono oltre 77.000 (21mila in Lombardia, 10mila nel
Veneto e in Emilia Romagna, 7mila in Piemonte e nel Lazio,
6mila in Toscana, almeno mille in tutte le altre regioni italia-
ne, fatta eccezione per il Molise, la Basilicata, la Calabria e
la Sardegna). Queste nascite incidono per il 13% su tutte le
nuove nascite e per più del 20% in Emilia Romagna e Vene-
to. Se si aggiungono altri 17.000 nati da madre straniera e
padre italiano, l’incidenza sul totale dei nati in Italia arriva al
16,5%. Il numero sarebbe ancora più alto se considerassi-
mo anche i figli di padre straniero e madre italiana, per
quanto tra le coppie miste prevalgano quelle in cui ad esse-
re di origine immigrata è la donna (nel 2008 erano 23.970
i figli nati da coppie miste in Italia, 8 su 10 da padri italiani
e madri straniere).
Diversificata è anche l’incidenza dei minori, in tutto quasi
un milione (932.675): dalla media del 22% (tra la popolazio-
ne totale la percentuale scende al 16,9%) si arriva al 24,5%
in Lombardia e al 24,3% in Veneto, mentre il valore è più
basso in diverse regioni centro-meridionali, segnatamente
nel Lazio e in Campania (17,4%) e in Sardegna (17%).
Oltre un ottavo dei residenti stranieri (572.720, 13%) è
di seconda generazione, per lo più bambini e ragazzi nei
confronti dei quali l’aggettivo “straniero” è del tutto inap-
propriato, in quanto accomunati agli italiani dal luogo di
nascita, di residenza, dalla lingua, dal sistema formativo e
dal percorso di socializzazione. A differenza della chiusura
su altri aspetti, gli italiani sembrano essere più propensi alla
concessione della cittadinanza a chi nasce in Italia seppure
da genitori stranieri.
I figli degli immigrati iscritti a scuola sono 673.592 e inci-
dono per il 7,5% sulla popolazione scolastica. I dati metto-
no in evidenza un ritardo scolastico tre volte più elevato
rispetto agli italiani, sottolineando la necessità di dispiegare
più risorse per il loro inserimento nel caso in cui giungano
per ricongiungimento familiare.
Nel 2009 l’apposito Comitato ha censito 6.587 minori
non accompagnati, dei quali 533 richiedenti asilo, pro-
venienti da 77 paesi (Marocco 15%, Egitto 14%, Alba-
nia 11%, Afghanistan 11%), in prevalenza maschi
(90%) e di età compresa tra i 15 e i 17 anni (88%). Tra i
di essi non sono più inclusi i romeni (almeno un terzo
del totale), che in quanto comunitari vengono presi in
carico dai servizi comunali. Non sempre, al raggiungi-
mento del 18° anno, le condizioni attualmente previste
(3 anni di permanenza e 2 anni di inserimento in un
percorso formativo) consentono di garantire loro un
permesso di soggiorno.
Gli aspetti economici dell’immigrazione. Gli immigrati
assicurano allo sviluppo dell’economia italiana un contribu-
to notevole: sono circa il 10% degli occupati come lavora-
tori dipendenti, sono titolari del 3,5% delle imprese, inci-
dono per l’11,1% sul prodotto interno lordo (dato del
2008), pagano 7,5 miliardi di euro di contributi previden-
ziali, dichiarano al fisco un imponibile di oltre 33 miliardi di
euro.
Il rapporto tra spese pubbliche sostenute per gli immigra-
ti e i contributi e le tasse da loro pagati (2.665.791 la stima
dei dichiaranti) va a vantaggio del sistema Italia, special-
mente se si tiene conto che le uscite, essendo aggiuntive a
strutture e personale già in forze, devono avere pesato di
meno.
Secondo le stime riportate nel Dossier le uscite sono state
valutate pari a circa 10 miliardi di euro: (9,95): 2,8 miliardi
per la sanità (2,4 per gli immigrati regolari, 400 milioni per
gli irregolari); 2,8 miliardi per la scuola, 450 milioni per i
servizi sociali comunali, 400 milioni per politiche abitative,
2 miliardi a carico del Ministero della Giustizia (tribunale e
carcere), 500 milioni a carico del Ministero dell’Interno
(Centri di identificazione ed espulsione e Centri di acco-
glienza), 400 milioni per prestazioni familiari e 600 milioni
per pensioni a carico dell’Inps.
Le entrate assicurate dagli immigrati, invece, si avvicina-
no agli 11 miliardi di euro (10,827): 2,2 miliardi di tasse, 1
miliardo di Iva, 100 milioni per il rinnovo dei permessi di
soggiorno e per le pratiche di cittadinanza, 7,5 miliardi per
contributi previdenziali. Va sottolineato che negli anni 2000
il bilancio annuale dell’Inps è risultato costantemente in
attivo (è arrivato a 6,9 miliardi), anche grazie ai contributi
degli immigrati. Per ogni lavoratore, la cui retribuzione
media annua è di circa 12.000 euro, i contributi sono pari a
quasi 4.000 euro l’anno.
Nel 2008 le compravendite immobiliari sono state
78.000 (-24,3%). Nel periodo 2004-2009 sono stati quasi
700mila gli scambi immobiliari con almeno un protagoni-
sta straniero, per un volume di oltre 75mila miliardi di euro.
Ancora oggi il loro influsso è rilevante, anche se la loro
quota sui mutui è scesa dal 10,1% del 2006 al 6,6% del
2009.
L’impatto positivo degli immigrati trova una significativa
conferma dal confronto dell’andamento pensionistico tra
gli immigrati e gli italiani. Sulla base dell’età pensionabile
si può stimare che nel quinquennio 2011-2015 chiede-
ranno la pensione circa 110mila stranieri, pari al 3,1% di
tutte le nuove richieste di pensionamento. Dai 15mila
pensionamenti nel 2010, pari al 2,2% di tutte le richieste,
si passerà ai 61mila nel 2025, pari a circa il 7%. Attual-
mente è pensionato tra gli immigrati 1 ogni 30 residenti
e tra gli italiani 1 ogni 4. Nel 2025, i pensionati stranieri
saranno complessivamente circa 625mila (l’8% dei resi-
denti stranieri). A tale data, tra i cittadini stranieri vi sarà
circa 1 pensionato ogni 12 persone, mentre tra gli italiani
il rapporto sarà di circa 1 a 3.
Gli aspetti occupazionali dell’immigrazione. In tutta
Europa la crescita dell’occupazione è legata ai lavoratori
immigrati. Essi sono circa 17,8 milioni, dei quali circa 2
milioni in Italia. Nel 2008 è stato varato l’ultimo decreto
flussi per lavoratori dipendenti (150mila persone), mentre
nel 2009 è seguito un decreto flussi solo per gli stagionali
(80.000 unità) e infine nel mese di settembre 2009 è stata
approvata la regolarizzazione degli addetti al settore dome-
stico e di cura alla persona (295.112 domande presentate).
Secondo i dati Istat, nel 2009, un anno in cui l’occupa-
zione complessiva è diminuita di 527.000 unità, i lavoratori
stranieri occupati sono aumentati di 147mila unità, arrivan-
do a quota 1.898.000, con una incidenza dell’8,2% sul
totale degli occupati (nell’anno precedente l’incidenza era
del 7,5%). Il loro tasso di occupazione, rispetto al 2008, è
passato dal 67,1% al 64,5% (quello degli italiani è sceso al
56,9% dal 58,1%), mentre quello di disoccupazione è
aumentato dall’8,5% (media 2008) all’11,2% (per gli italia-
ni il cambiamento è stato dal 6,6% al 7,5%). Nel 2010,
ogni 10 nuovi disoccupati 3 sono immigrati e, tuttavia, il
fatto che svolgono mansioni umili ma essenziali è servito a
proteggerli da conseguenze più negative. Un mercato così
frastagliato spiega l’accostamento di dati abbastanza dispa-
rati: aumento degli occupati immigrati (147.000), ma
anche dei disoccupati a seguito della crisi (77.000 in più) e
degli inattivi (aumentati di 113.000 unità).
Inoltre, tra i lavoratori immigrati è più elevata la percen-
tuale dei non qualificati (36%), molto spesso perché sot-
toinquadrati (il 41,7% rispetto alla media del 18%). Il sot-
toinquadramento non diminuisce in modo significativo
anche quando si risiede da molti anni in Italia. Rilevante
anche la quota dei sottoutilizzati (il 10,7% rispetto alla
media del 4,1%). Inoltre, 4 stranieri su 10 lavorano in orari
disagiati (di sera, di notte, di domenica).
La retribuzione netta mensile nel 2009 è stata di 971
euro per gli stranieri e 1.258 euro per gli italiani (media di
1.231 euro), con una differenza a sfavore degli immigrati
del 23%, di ulteriori 5 punti più alta per le donne straniere.
L’archivio dell’Inail (che sovrastima la presenza straniera
di circa 1 milione di unità in quanto include anche gli italia-
ni nati all’estero) consente di ripartire gli occupati anche
per continente di origine: Europa 59,2%, Africa 16,8%,
Asia 13,3%, America 9,8%, Oceania 0,3% (0,5 non attri-
buiti). Più in particolare, i lavoratori comunitari sono oltre
un terzo (36,3%) e i nordafricani un decimo dell’intera
forza lavoro (11,1%).
I saldi occupazionali (differenza tra i lavoratori assunti e
licenziati nell’anno), pur positivi attestano l’andamento
calante di questa fase occupazionale (+98.033 nel 2007,
+34.207 nel 2008, +14.096 nel 2009).
Al 31 maggio 2010 sono risultate iscritte 213.267 impre-
se con titolare straniero, 25.801 in più rispetto allo stesso
periodo dell’anno precedente, un aumento che attesta la
dinamicità del settore anche in periodo di crisi; in particola-
re, nei primi cinque mesi del 2010 le imprese sono aumen-
tate al ritmo del 13,8%, e a ritmi ancora superiori in Tosca-
na e nel Lazio. Queste imprese incidono, come precisato,
per il 3,5% su tutte le imprese operanti in Italia e per il
7,2% su quelle artigiane. È molto dinamico anche il settore
delle imprese cooperative (69.439 soci), sia di produzione
che di consumo. Se, oltre che dei titolari e dei soci, si tiene
conto degli amministratori (87.485), delle altre funzioni
6
societarie (18.622) e di 131 figure la cui funzione non è
stata classificata, si arriva a un totale di 388.944 posizioni
lavorative e a un complesso occupazionale che include
oltre mezzo milione di posizioni, tenendo conto anche dei
lavoratori dipendenti.
Tra demografia, intercultura e contrasto della irrego-
larità. Gli immigrati assicurano un valido sostegno demo-
grafico all’Italia. Tra la popolazione residente in Italia, tra il
2000 e il 2009 sono aumentate di 2 milioni le persone con
più di 65 anni, di solo 1 milione quelle in età lavorativa e
neppure di mezzo milione quelle con meno di 14 anni.
L’età media è salita da 31,5 a 43,3 anni. Gli ultrasessanta-
cinquenni sono il 2,2% tra gli stranieri e il 20,2% tra l’insie-
me della popolazione residente. Il tasso di fecondità è di
1,33 per le donne italiane e di 2,05 per le donne straniere
(media 1,41).
I matrimoni celebrati in Italia sono scesi dai 418.944 del
1972 ai 246.613 del 2008, con una diminuzione special-
mente delle prime nozze, un aumento delle seconde (un
sesto del totale) e dell’età media degli sposi (30 anni per le
donne e 33 anni per gli uomini). Nel periodo 1996-2008
sono stati celebrati 236.405 matrimoni misti. Nel 1995
erano misti solo 2 matrimoni su 100, ora sono 10 su 100 e
non risulta statisticamente fondata l’idea che falliscano con
molta più facilità del resto delle unio-
ni. Nel 2008 su 100 matrimoni, 15
riguardano almeno un coniuge stra-
niero e di questi 5 riguardano due
sposi stranieri.
Secondo i dati dell’Unar gli atti di
discriminazione, non solo in ambito
lavorativo, colpiscono maggiormente
gli africani, i romeni, i cinesi, i maroc-
chini, i bangladesi. Ricordiamo, per
esempio, che alcune compagnie di
assicurazione praticano agli immigrati
polizze RC auto più costose per il
cosiddetto “rischio etnico”.
La regolarizzazione di settembre
2009 (quasi 300mila domande) ha
consentito di abbassare il livello della
irregolarità, anche se il provvedimen-
to, limitato (ufficialmente) al settore
familiare, ha avuto una efficacia par-
ziale, per quanto non trascurabile,
soprattutto in ragione del limite di
reddito previsto (20 mila euro: limite
che è stato superato mediamente nel
2008 solo da due regioni), oltre che
per il fatto che l’assunzione, per un
minimo 20 ore, è stata riferita a un
solo datore di lavoro; non stupisce
quindi che, secondo il Censis (luglio
2010), 2 addette su 5 nel settore
domestico lavorerebbero ancora in
nero.
Nel 2009 sono stati registrati 4.298
respingimenti e 14.063 rimpatri for-
zati, per un totale di 18.361 persone allontanate. Le perso-
ne rintracciate in posizione irregolare, ma non ottemperan-
ti all’intimazione di lasciare il territorio italiano, sono state
34.462. Il rapporto tra persone intercettate e persone rim-
patriate è andato diminuendo nel corso degli anni (dal
57% nel 2004 al 35% nel 2009). Le persone trattenute nei
centri di identificazione e di espulsione sono state 10.913,
tra le quali diverse già ristrette in carcere, dove non era
stata accertata la loro identità. Nell’insieme il 58,4% delle
persone trattenute nei CIE non è stato rimpatriato.
L’Italia è anche uno snodo e meta forzata per donne,
uomini e minori, vittime della tratta a fini di sfruttamento
sessuale e, sempre più spesso, lavorativo (soprattutto in
agricoltura), che si cerca di contrastare anche con la con-
cessione del permesso di soggiorno per protezione sociale
(810 permessi) e con l’intervento del Fondo Europeo per i
Rimpatri. Nel corso del 2009 sono stati aperti 212 procedi-
menti per reati di tratta e si sente l’esigenza di contrastare
maggiormente questo fenomeno in crescita.
La ricerca Transatlantic Trends. Immigrazione 2009 ha
posto in evidenza che metà dei nordamericani e degli euro-
pei, italiani compresi, vedono l’immigrazione come un pro-
blema. Si può inquadrare in questo modo una realtà della
quale si ha bisogno? Dalla “sindrome dell’invasione” biso-
gna passare alla mentalità dell’incontro e del dialogo.
7
Costi e benefici dell’immigrazione in Italia: stima delle entrate e delle
uscite (2008)
Voci di entrata e di uscita Miliardi di euro
Totale entrate 10,8
Contributi previdenziali 7,5
- di cui lavoratori dipendenti 6,5
- di cui lavoratori autonomi 0,7
- di cui lavoratori parasubordinati 0,2
Gettito Irpef 2,2
- di cui lavoratori dipendenti 1,8
- di cui lavoratori autonomi 0,3
- di cui lavoratori parasubordinati 0,1
Gettito Iva 1,0
Tasse per permessi di soggiorno e cittadinanza 0,1
Totale uscite 9,9
Sanità 2,8
- di cui per stranieri residenti 2,4
- di cui per stranieri temporaneamente presenti
Spese scolastiche 2,8
Spese sociali dei comuni 0,4
Spese per la casa 0,4
- Edilizia residenziale pubblica 0,2
- Fondo sociale per l’affitto 0,2
Spese Ministero Giustizia (tribunali e carcere) 2,0
Spese Ministero Interno (centri espulsione e accoglienza) 0,5
Spese previdenziali 1,0
- Trattamenti familiari 0,4
- Trattamenti pensionistici 0,6
FONTE: Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes
8
Gli slogan del Dossier Caritas/Migrantes
2000 Progetto Intercultura
2001 Il tempo dell’integrazione
2002 Lavoratori e cittadini
2003 Italia, paese di immigrazione
2004 Società aperta, società dinamica e futura
2005 Immigrazione e globalizzazione
2006 Al di là dell’alternanza
2007 Anno europeo del dialogo interculturale
2008 Lungo le strade del futuro
2009 Immigrazione: conoscenza e solidarietà
Dossier Statistico Immigrazione 1991-2010: per una cultura dell’altro
ITALIA. Popolazione straniera residente per continenti d’origine (31.12.2009)
Continente v.a. % vert. Aumento 2008-2009
Aumento %
2008-2009
Europa 2.269.286 53,6 185.193 8,9
Africa 931.793 22,0 60.667 7,0
Asia 687.365 16,2 71.305 11,6
America 343.143 8,1 26.467 8,4
Oceania 2.618 0,1 71 2,8
apolidi 854 0,0 61 7,7
Totale 4.235.059 100,0 343.764 8,8
FONTE: Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes. Elaborazioni su dati Istat
ITALIA. Popolazione straniera residente per regioni (31.12.2009)
Regione v.a. % vert. Provincia v.a. % vert.
Piemonte 377.241 8,9 Lazio 497.940 11,8
Valle d'Aosta 8.207 0,2 Campania 147.057 3,5
Liguria 114.347 2,7 Abruzzo 75.708 1,8
Lombardia 982.225 23,2 Molise 8.111 0,2
Trentino A.A. 85.200 2,0 Puglia 84.320 2,0
Veneto 480.616 11,3 Basilicata 12.992 0,3
Friuli V.G. 100.850 2,4 Calabria 65.867 1,6
Emilia Romagna 461.321 10,9 Sicilia 127.310 3,0
Marche 140.457 3,3 Sardegna 33.301 0,8
Toscana 338.746 8,0
Umbria 93.243 2,2 Totale 4.235.059 100,0
FONTE: Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes. Elaborazioni su dati Istat
ITALIA. Prime 30 collettività di stranieri residenti (31.12.2009)
Paese di cittadinanza v.a. % vert. Paese di cittadinanza v.a. % vert.
Romania 887.763 21,0 Senegal 72.618 1,7
Albania 466.684 11,0 Pakistan 64.859 1,5
Marocco 431.529 10,2 Serbia, Repubblica di 53.875 1,3
Cinese, Repubblica Popolare 188.352 4,4 Nigeria 48.674 1,1
Ucraina 174.129 4,1 Bulgaria 46.026 1,1
Filippine 123.584 2,9 Ghana 44.353 1,0
India 105.863 2,5 Brasile 44.067 1,0
Polonia 105.608 2,5 Germania 42.302 1,0
Moldova 105.600 2,5 Francia 32.956 0,8
Tunisia 103.678 2,4 Bosnia-Erzegovina 31.341 0,7
Macedonia, ex Rep. Jugoslava di 92.847 2,2 Regno Unito 29.184 0,7
Perù 87.747 2,1 Russa, Federazione 25.786 0,6
Ecuador 85.940 2,0 Algeria 25.449 0,6
Egitto 82.064 1,9 Dominicana, Repubblica 22.920 0,5
Sri Lanka (ex Ceylon) 75.343 1,8 Altri Paesi 459.953 10,9
Bangladesh 73.965 1,7 Totale 4.235.059 100,0
FONTE: Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes. Elaborazioni su dati Istat
CARITAS / MIGRANTES: XX Rapporto sull’immigrazione