Argomento:
Data:
28 Ottobre 2009
Descrizione breve:
Dossier statistico del 2009 sull'immigrazione, sono analizzate le seguenti tematiche: aree di origine, presenze, inserimento, lavoro, territorio.
Contenuto nascosto:
Caritas Migrantes 2009/00_Saluto_Nozza.pdf
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PRESENTAZIONE
XIX Dossier Statistico Immigrazione 2009
IMMIGRAZIONE:
CONOSCENZA E SOLIDARIETÀ
Teatro Orione – Roma, 28 ottobre 2009 ore 10.30
Immigrazione:
conoscenza e solidarietà
(sac. vittorio nozza – direttore Caritas Italiana)
Porgo il saluto e il grazie ai relatori e a tutti i partecipanti a nome di mons.
Piergiorgio Saviola, direttore della Fondazione Migrantes, di mons. Enrico Feroci, neo
direttore della Caritas diocesana di Roma, che con me compongono il Comitato di
Presidenza del Dossier Statistico Immigrazione.
Coniugare ‘conoscenza e solidarietà’ è la tematica scelta per questo XIX Dossier
Statistico sull’immigrazione. Tale tematica ha trovato ispirazione, in modo particolare,
nella terza enciclica di Benedetto XVI: Caritas in veritate. Nell’oggi si sta sempre più
affermando la convinzione che i problemi planetari – la povertà, la fame, l’ingiustizia, la
guerra, la società multietnica – non richiedano impegno duro e faticoso per raggiungere
soluzioni reali, ma sia preferibile rimuoverli, allontanarli da noi, seppellirli altrove. È
necessario riflettere sul significato che può avere all’interno delle nostre società il contatto
di persone dotate di cultura, mentalità e comportamenti differenti. Da tempo le nostre
comunità e i nostri territori sono privi di omogeneità, tanto che le attività economiche, in
quasi tutti i settori, sopravvivono ormai solo grazie all’apporto imprescindibile della mano
d’opera straniera. In ogni caso, sicurezza e immigrazione rimangono due problemi
distinti. Oggi ad ostacolare un autentico clima di pace e sicurezza sociale è l’eccessiva
disuguaglianza nei diritti e doveri delle persone che vivono e lavorano insieme, piuttosto
che il mancato riconoscimento delle relative identità culturali. Si tratta pertanto di
collocare le nostre società dentro una prospettiva che garantisca a tutte le persone, oltre la
sicurezza e la legalità, eguale dignità di vita e di speranza. Non si può pensare di alzare
‘muri’ per impedire l’ondata migratoria, quando nel cuore dell’Africa si muore: è naturale
che chi fugge non tema nessun ostacolo. L’impressione è quella di trovarci di fronte ad
una grande povertà culturale incapace di cogliere che gli immigrati per noi sono sì una
‘scomodità’. Ma una scomodità che fa crescere. Pertanto non c’è affatto bisogno di
organizzare alcuni contro qualcuno ma c’è bisogno di organizzarci in tanti a favore di tutti,
a favore di una convivenza corresponsabile, partecipata, costruttiva, giusta, fraterna e
solidale.
Anche l’Agenzia europea per i diritti fondamentali, nel suo ultimo, rapporto ha
sottolineato che la disinformazione e la scarsa consapevolezza sono fattori che fanno
crescere facilmente il razzismo. Mi pare opportuno ricordare qui la realizzazione delle
Prime Giornate Sociali dei Cattolici Europei (29 Paesi rappresentati) a Danzica l’8-11
ottobre scorso. In quelle giornate la Conferenza episcopale italiana con Caritas Italiana e
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con il Parroco di Lampedusa ha riproposto a Jean Barrot, Vicepresidente della
Commissione dell’Unione Europea la necessità di un maggior impegno dell’Europa sul
tema dell’immigrazione. Barrot ha risposto che con l’entrata in vigore del Trattato di
Lisbona ciò sarà più facile.
Quest’anno il Dossier Statistico Immigrazione viene presentato, in contemporanea
con Roma, in altre 27 città in Italia. Tra queste anche ad Avezzano, nei pressi de L’Aquila.
Nell’aquilano, su 308 vittime del terremoto, 19 sono di origine straniera. In Abruzzo gli
immigrati macedoni, albanesi, romeni e di altre nazionalità incidono per il 4,5% sulla
popolazione residente, ma sono stati il 6,1% delle vittime. Questo sta ad indicare che gli
immigrati sono persone che partecipano in pieno alla vita del nostro paese anche nei
momenti di lutto, come questo, o in altre fasi della vita del Paese che comportano notevole
sacrificio.
Questo può aiutare a mantenere viva la memoria degli italiani come popolo di
migranti. Qualche settimana fa abbiamo presentato il volume “America Latina-Italia.
Vecchi e nuovi migranti”, dove i vecchi migranti siamo stati gli italiani, con milioni di
connazionali sbarcati in quel continente e accolti dai vari paese nonostante gli
inconvenienti inizialmente posti. Ricordo che in quel periodo si emigrava da tutto il Nord:
dal Friuli Venezia Giulia al Trentino, dal Veneto all’Emilia Romagna, dal Piemonte alla
Liguria e anche dalla Lombardia, una regione questa che ancora oggi conta 275 mila
lombardi sparsi nel mondo.
Caritas e Migrantes ogni anno rivolgono l’invito a non sottacere gli aspetti
problematici che questo grande fenomeno sociale, culturale e religioso, quale è
l’immigrazione, comporta, avendo però l’accortezza di non concentrarsi e chiudersi solo
sugli aspetti negativi. Se ogni aspetto viene inserito opportunamente e realisticamente in
un quadro d’insieme, si può arrivare a una visione equilibrata della realtà e, pur con
l’avvertenza di raddrizzare ciò che non va bene, si matura un senso di riconoscenza nei
confronti di persone che hanno lasciato il loro paese e spesso anche le loro famiglie, per
cercare futuro attraverso il lavoro come collaboratrici nelle nostre famiglie o come
lavoratori e lavoratrici nelle campagne, nell’edilizia, negli uffici e nelle fabbriche, dove noi
italiani non bastiamo più.
Come giustamente gli italiani si attendono dagli immigrati disponibilità e
riconoscenza, così gli immigrati attendono da noi un’accoglienza dal volto umano, un
clima relazionale costruttivo che consenta agli adulti e ai loro figli di crescere in contesti di
vita armoniosa e di diventare, al più presto, i nuovi cittadini d’Italia.
Chiudendo questo saluto, è doveroso e realistico affermare che una molteplicità di
azioni fatte di incontro, relazione e conoscenza possono creare e promuovere maggiore
solidarietà ed integrazione. Ecco perché abbiamo scelto, per il XIX Rapporto
Caritas/Migrantes sull’immigrazione, lo slogan “Immigrazione: conoscenza e
solidarietà”.
Caritas Migrantes 2009/01_Pittau.pdf
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L’immigrazione nel XIX Rapporto Caritas/Migrantes
Franco Pittau, Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes
Roma,Teatro Orione, 28 ottobre 2009
Presentare il Dossier Caritas/Migrantes significa sintetizzarlo. Tre sono i punti in grado di
riassumere i nuovi numeri: inquadrare gli immigrati come regolari e non come clandestini;
inquadrarli come lavoratori e non come delinquenti; inquadrarli come cittadini e non come stranieri.
Da irregolari a regolari
Se, come attesta l’Istat, gli immigrati regolarmente residenti in Italia sono quasi quattro
milioni, e anche di più secondo la stima del Dossier Caritas/Migrantes, è fuorviante continuare a
inquadrare il fenomeno nell’ottica degli sbarchi irregolari, prendendo una parte per il tutto e
dipingendo negativamente la situazione.
Il Dossier 2009, ispirandosi allo slogan “Immigrazione: conoscenza e solidarietà”, fornisce
gli strumenti per rovesciare questa falsa immagine, non tanto sulla base delle motivazioni pastorali
di Caritas e Migrantes (peraltro apprezzabili), bensì sulla base dei dati, che da due decenni
continuano a essere forniti con accuratezza e con completezza. Il Dossier è un sussidio a
disposizione di quanti vogliono farsi carico di una seria opera d’informazione, per certi aspetti
anche di controinformazione.
Questi sono alcuni aspetti sui quali concentrare l’attenzione:
- i 4 milioni e 330 mila cittadini stranieri presenti regolarmente, pari al 7,2% della
popolazione italiana;
- i 2 milioni di lavoratori, che concorrono alla creazione della ricchezza del “sistema Italia” e
aumentano ogni anno per supplire alle carenze della forza lavoro;
- gli 862 mila minori figli di genitori stranieri, ormai un decimo della popolazione minorile,
nella maggior parte dei casi nati in Italia, che giustamente considerano la loro terra;
- le 629 mila presenze a scuola in rappresentanza di tanti paesi, un vero e proprio mondo in
classe;
- le oltre 100 mila persone che vengono ogni anno per ricongiungimento familiare nell’ottica
di un insediamento stabile;
- i 72 mila nuovi nati in Italia nel corso dell’anno, che costituiscono un supporto
indispensabile al nostro sbilanciato andamento demografico;
- le 40 mila persone che acquisiscono annualmente la cittadinanza italiana, a seguito di
matrimonio o di anzianità di residenza, mostrando un forte attaccamento al nostro Paese;
- i 24 mila matrimoni misti tra italiani e immigrati, che costituiscono una frontiera complessa,
suggestiva e promettente della convivenza tra persone di diverse tradizioni culturali e
religiose;
- i circa 6 mila studenti stranieri che si laureano annualmente in Italia, in buona parte destinati
a diventare la classe dirigente nel Paese di origine.
Se noi non troveremo un altro modo di parlare dell’immigrazione diverso dai discorsi sugli
sbarchi e sull’irregolarità, resteremo incapaci di gestire responsabilmente l’Italia che si va
costruendo, nella quale già adesso 1 ogni 14 abitanti è un cittadino straniero regolarmente
soggiornante.
Gli sbarchi, che ci ostiniamo a utilizzare come un bollino nero da apporre sul fenomeno
migratorio, coinvolgono un numero di persone pari nemmeno all’1% delle presenze regolari, senza
contare poi che oltre la metà delle persone sbarcate sono richiedenti asilo, quindi persone meritevoli
di protezione secondo le convenzioni internazionali e la Costituzione italiana.
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Intanto l’immigrazione, che continua ad aumentare a ritmi serrati con 300/400 mila unità
l’anno, mostra di essere connaturale alla crescita del nostro Paese. La vera emergenza, stando alle
statistiche, è il catastrofismo migratorio, l’incapacità di prendere atto del ruolo assunto
dall’immigrazione nello sviluppo del nostro Paese
Da delinquenti a lavoratori
Quando si parla degli immigrati residenti, le indagini indicano che 6 italiani su 10
considerano gli stranieri più inclini a delinquere degli italiani. Questo atteggiamento è diffuso in
molti ambienti, anche in ambito ecclesiale: non stiamo qui a discutere se su questo risultato abbiano
influito di più i politici o i media,o gli studiosi, ma cerchiamo di dimostrare che, per quanto diffuso,
si tratta di un pregiudizio, la cui infondatezza è stata confermata in una ricerca condotta dal Dossier
e dall’agenzia Redattore sociale, attraverso questi passaggi:
- non esiste in Italia una emergenza criminalità, perché non ci distinguiamo in negativo in un
confronto europeo e nel contesto italiano le denunce penali da alcuni anni sono in
diminuzione e il livello attuale (poco più di 2 milioni e mezzo di denunce) è pari a quello dei
primi anni ’90 quando iniziava l’immigrazione di massa;
- l’aumento delle denunce contro i cittadini stranieri regolari risulta inferiore all’aumento
della popolazione straniera e, ad esempio, nel periodo 2001-2005 le denunce sono aumentate
del 46% e gli stranieri residenti del 101%;
- gli immigrati regolari, a conclusione di un confronto per classi di età con gli italiani,
mostrano di avere un tasso di criminalità simile, ma con maggiori attenuanti;
- gli immigrati irregolari, a loro volta, non sono da stigmatizzare come inclini alla criminalità,
ma va considerata la loro esposizione alle necessità materiali, l’esclusione sociale, le spire
della criminalità organizzata, anche in conseguenza degli scarsi spazi di ingresso e
soggiorno regolare previsti dall’attuale normativa, che perciò andrebbero resi più agibili per
evitare che continuino a essere una tra le occasioni più ricorrenti di infrazione penale.
Se la normativa sugli stranieri fosse del tutto funzionale, non ci sarebbe stato bisogno di
offrire la possibilità di regolarizzazione, nello scorso mese di settembre, a 300 mila collaboratrici
familiari e badanti non comunitarie, che si aggiungono ai 2 milioni di immigrati regolarizzati in
precedenza: questo significa che più della metà della popolazione straniera è passata per le vie
dell’irregolarità.
Queste considerazioni ci portano a passare dall’immagine dell’ “immigrato criminale” a
quella dell’ “immigrato lavoratore” e a considerare la valenza positiva di queste nuove presenze.
Anche a questo riguardo alcuni dati sono eloquenti:
- un tasso di attività di 12 punti più elevato degli italiani;
- una accentuata canalizzazione, nonostante il loro elevato livello di studio, nei settori e nelle
mansioni che gli italiani non prediligono (ad esempio, oltre 100 mila in agricoltura, oltre 300
mila nel settore edile, mentre nel settore della collaborazione familiare la stima corrente di
circa 1 milione è nettamente superiore al numero delle persone effettivamente registrate);
- una maggiore esposizione al rischio, con 143.651 infortuni, dei quali 176 mortali;
- un maggior bisogno di tutela, come attesta la massiccia iscrizione a Cgil, Cis, Uil e Ugl
(quasi un milione di sindacalizzati), sia quando sono regolarmente assunti, sia ancor di più
quando sono costretti a lavorare nel sommerso.
Questi lavoratori umili e tenaci, non appena possibile diventano essi stessi creatori di posti
di lavoro. I titolari d’impresa con cittadinanza straniera, aumentati del 10% anche in questa fase di
crisi, sono attualmente 187 mila. Se ad essi aggiungiamo un numero quasi uguale di soci e
amministratori e circa 200 mila dipendenti, arriviamo a una realtà occupazionale di mezzo milione
di persone, come è stato evidenziato nel rapporto Immigratimprenditori, realizzato dalla Fondazione
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Ethnoland con il Dossier Caritas/Migrantes. Questa interessante realtà imprenditoriale, se
adeguatamente aiutata, potrebbe raddoppiare la sua consistenza nel volgere di un decennio.
Perciò, restando su un piano di concretezza, sembra necessario proporre una serie di misure
di buon senso, meritevoli di essere condivise da tutti gli schieramenti politici:
- rendere più agevoli i meccanismi di inserimento dei lavoratori immigrati nel nostro mercato
occupazionale;
- eliminare le discriminazione nei loro confronti (qualifiche, trattamento retributivo e altri
benefici contrattuali), incentivarne la formazione professionale e garantire pari opportunità;
- promuovere l’imprenditorialità degli immigrati non solo nella fase iniziale ma anche in
quella successiva, nella quale gli immigrati come gli italiani possono incontrare delle
difficoltà.
Da lavoratori a cittadini
“Da lavoratori a cittadini”: questo obiettivo fondamentale è il titolo di un convegno
promosso lo scorso anno dal Dossier e dall’Ambasciata tedesca per riflettere sulle politiche
migratorie condotte in Germania e in Italia, La riflessione sull’immigrazione resta incompleta se
limitata all’utilità dei lavoratori immigrati e va estesa alla sua considerazione come nuovi cittadini.
Una buona metà di essi si trova in Italia da più di 5 anni e ha già ottenuto o sta per ottenere il
permesso CE per lungoresidenti (la ex carta di soggiorno), con la prospettiva quindi di una
permanenza a tempo indeterminato. In realtà, insediamento duraturo ed estraneità sociale non sono
due impostazioni che si possano conciliare, per giunta ritenendole un’accortezza necessaria per
salvare l’Italia.
Quando alla base si cerca di far maturare questa convinzione, ci si scontra con due riserve,
una di natura finanziaria e l’altra di natura culturale, sollevate spesso in buona fede ma da ritenere
non motivate .
La riserva di natura finanziaria consiste nell’eccepire che accoglienza, inserimento,
integrazione sono prospettive finanziariamente costose e gli immigrati non devono pesare
ulteriormente sul bilancio dello Stato e degli Enti Locali.
Secondo i dati disponibili questa riserva non è fondata. Se gli immigrati incidono per il 7%
sulla popolazione residente e per il 10% sulla creazione della ricchezza nazionale, ciò significa che
la loro presenza non costituisce una perdita per il sistema Italia, così come non lo è per gli
immigrati stessi e per i Paesi di origine, ai quali i migranti inviano dall’Italia 6,4 miliardi di euro
come rimesse, un aiuto molto concreto al loro sviluppo a fronte delle promesse non mantenute a
livello di politica internazionale).
Gli immigrati, al pari degli italiani, hanno anch’essi bisogno di misure di supporto dal
sistema di welfare nazionale, ma assicurano i mezzi perché questo possa essere fatto.
Pagano annualmente 7 miliardi di contributi previdenziali, ma a essere pensionati sono in
poche migliaia. Tra gli italiani, invece, vi è attualmente un pensionato ogni 5 residenti, mentre tra
gli immigrati, tra 10 anni, vi sarà un pensionato ogni 25 residenti, con notevoli vantaggi per il
nostro sistema previdenziale.
Gli immigrati pagano annualmente almeno 4 miliardi di euro di tasse ma incidono, secondo
una stima della Banca d’Italia, solo per il 2,5% sulle spese per istruzione, pensione, sanità e
sostegno al reddito, all’incirca la metà di quello che assicurano in termini di gettito
La riserva di natura socio-culturale-religiosa è più insidiosa e porta ad aver paura degli
immigrati perché si ritiene che essi inquinino la società con le diverse tradizioni culturali di cui sono
portatori e contrastino l’attaccamento alla nostra religione.
Le indagini sul campo, in sintonia con la conoscenza diretta che ha maturato la rete Caritas e
Migrantes, attestano che la maggior parte degli immigrati mostra apprezzamento per l’Italia, la sua
storia, la sua arte, il suo clima e la sua gente. Esprimono lo stesso apprezzamento anche per la
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comunità cattolica, che è stata fin dall’inizio al loro fianco per aiutarli a far valere le loro
aspettative. Su questo aspetto il magistero ecclesiale è stato netto, condannando chi fa riferimento a
Dio per andare contro i fratelli, anche se di altra fede, e invitando alla convivenza multireligiosa e
alla collaborazione sociale.
In conclusione, il Dossier non afferma che l’immigrazione non presenti aspetti problematici
ma, attraverso i numeri, ci orienta verso una sua visione realistica e più positiva. Ciò comporta da
parte di ciascuno di noi una messa a punto dell’atteggiamento personale, liberandolo dai pregiudizi,
e da parte dei politici una maggiore apertura in materia di cittadinanza e di partecipazione, come
anche la messa a disposizione di maggiori risorse. Infatti, la vera emergenza in Italia migratoria è la
mancanza di un consistente “pacchetto integrazione” che prepari allo scenario di metà secolo,
quando saremo chiamati a convivere con 12 milioni di immigrati, la cui presenza sarà necessaria per
il funzionamento del Paese.
Caritas Migrantes 2009/02_Makaping.pdf
DOSSIER STATISTICO IMMIGRAZIONE CARITAS/MIGRANTES 2009
IMMIGRAZIONE: CONOSCENZA E SOLIDARIETÀ
Relazione di Geneviève Makaping
Dal Titolo: L’Altro da Sé “Com-Preso”
Roma,Teatro Orione, 28 ottobre 2009
Mi chiamo Geneviève Makaping, sono nata nel Camerun 51 anni fa e vivo in Italia da oltre 25
anni. Sono diventata cittadina italiana dopo diciotto anni di soggiorno e l’iter per l’acquisizione di
questo bramato riconoscimento non è stato facile. Non ero sposata, e per mia dignità ma anche
onestà intellettuale, non ero disposta a bypassare l’ostacolo facendo un matrimonio bianco, cioè
dichiarare il falso, pur di raggiungere il mio desiderio. Diventare cittadina italiana, mi avrebbe in
qualche modo facilitato il lavoro per la realizzazione delle mie ambizioni, sarebbe dire diventare
giornalista e/o docente di Antropologia culturale all’Università.
Non sto a descrivervi la tanta fatica, i sacrifici che, come molte persone immigrate, ho dovuto
affrontare. Allo stesso tempo, non posso negare la gioia, la fierezza della lotta pacifica per
l’acquisizione degli strumenti di riscatto di me stessa. La soddisfazione per un percorso che mi ha
portata fino a questo luogo oggi; di fronte a tutti voi, in mezzo ad altissime personalità; accanto
all’Onorevole Gianfranco Fini, Presidente della Camera dei Deputati e vicina a Sua Eccellenza,
Monsignore Bruno Schettino, Presidente della Commissione Episcopale Migrazioni e Migrantes, ai
quali porgo i miei più sinceri saluti, estesi a tutte quelle persone che mi hanno com-presa e con me
sono state solidali.
Dall’anno 2000 sono Italiana - Camerunese. E spesse volte mi chiedono perché premetto la mia
nazionalità italiana a quella camerunese. Rispondo semplicemente che, mentre quella camerunese è
naturale e non l’ho chiesto pur amandola tantissimo, quella italiana è stata acquisita, ci tengo a
dirlo, per merito. A dimostrazione che, le identità così come le culture non sono statiche ma
dinamiche. Le identità e le culture non sono rinchiudibili in compartimenti stagni. L’essere, per
tutti, è l’essere in divenire. Meglio detto, non esistono né identità pure ne tantomeno culture pure. E
ogni volta che le appartenenze s’incagliano sul concetto di “purezza” nascono dei conflitti la cui
gestione porta quasi sempre alla disintegrazione dell’uomo stesso. Uomo nella sua accezione
universale.
Giusto una breve parentesi, il giorno di giuramento della mia fedeltà alla Repubblica Italiana, alla
Sua Costituzione e alle Sue Leggi, c’era mio cugino in Italia per studiare, ma soprattutto c’era un
intero paese, c’erano gli amici del mio nuovo paesino che si chiama Rose in provincia di Cosenza.
Sì, sono calabrese. Ci fu una grande festa, i miei nuovi concittadini cucinarono i piatti regionali e io
cucinai la polente camerunese. Arrivarono anche i giornalisti. Televisione e carta stampata
titolarono: In un paesino del cosentino c’è un modello di integrazione.
E sono grata allo staff di Dossier Caritas/Migrantes per avermi oggi dato l’opportunità di portare la
mia testimonianza che riassume proprio il titolo del Dossier Statistico 2009: CONOSCENZA E
SOLIDARIETÀ. In altri termini, la Calabria ed i calabresi vollero conoscermi e con me, furono
solidali. Ed anch’io credo di aver fatto la mia modesta parte.
Geneviève Makaping L’Altro da sé “Com-Preso” Geneviève Makaping
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Del DOSSIER STATISTICO IMMIGRAZIONE 2009. IMMIGRAZIONE: CONOSCENZA E
SOLIDARIETÀ, in questo contesto si può fare solo una sintesi.
Credo che, per CONOSCENZA, si voglia evidenziare la determinazione del singolo o della
collettività ad aprirsi all’altro da sé. La conoscenza implica la volontà di abbattere le barriere; quelle
barriere che spesso appaiono insormontabili e causano diffidenze. Scegliere di conoscere l’altro da
sé vuol dire non essere più disposti a procedere nelle relazioni sociali solo in termini di stereotipi
che spesse volte, generano pregiudizi. “Conoscenza” dunque è un concetto ed una pratica
fondamentale, perché ci previene dagli stereotipi ed i pregiudizi che immancabilmente generano il
razzismo, la xenofobia, il disordine sociale, la sfiducia, il malessere. CONOSCENZA è anche
accedere agli strumenti per l’accorciamento delle distanze tra le persone. CONOSCENZA è
SOLIDARIETÀ.
In Antropologia culturale nonché sociale, per SOLIDARIETÀ si “indica la tendenza degli individui di
una comunità ad unirsi e cooperare, e costituisce il primo livello di integrazione tra individui di una
stessa famiglia e di una comunità”1. Intenderei per famiglia, quella umana. Alcuni direbbero “razza
umana”, termine che non utilizzo, visti i guasti causati dai vari razzismi, legittimati appunto dalla
assunzione della esistenza della “razza” come qualcosa di significativo. SOLIDARIETÀ dunque
come primo livello di INTEGRAZIONE. E come lo ha ricordato poc’anzi il Direttore di Caritas
Italiana, Vittorio Nozza, per tre anni, ho diretto il quotidiano d’informazione italiano La Provincia
Cosentina. Incarico affidatomi da un editore illuminato, l’Ingegnere Rolando Manna, avendo
coniugato, sono sicura, CONOSCENZA, SOLIDARIETÀ e FIDUCIA. Ovviamente ricambiato.
CONOSCENZA e SOLIDARIETÀ non significa la negazione delle diversità alle quali dovremo
guardare come momento di crescita. L’accoglienza è anche volontà di fare solidarietà, allo stesso
tempo è anche scelta di crescita, e tutto ciò precostituisce scenari di pace, speriamo!
Ma chi sono questi “altri da noi” che avrebbero bisogno della nostra CONOSCENZA e
SOLIDARIETÀ? Sono gli immigrati. Non sono solo e soltanto dei numeri da leggere e declinare in
termini delinquenza, minaccia alla sicurezza, ladri di lavoro; ma sono delle persone, degli individui
da comprendere (cum-prendere: prendere insieme – contenere in se) nella loro nella loro unicità;
sono delle unità che fanno rima con umanità. Questi immigrati, sono quella umanità di cui il
mondo, l’Occidente compreso, ha bisogno, per il tipo di contributo che possono fornire in termini di
beni materiali ed immateriali. Questi immigrati, e forse soprattutto quelli che arrivano in barchette
che spesse volte s’inabissano nel Mare Mediterraneo, migrano alla ricerca della sopravvivenza
perché lasciano dietro di sé la sottovivenza. Certo è che, fino a che al livello globale non ci sarà una
politica della solidarietà, una politica al centro della cui attenzione ci sarà l’Uomo, questi immigrati
arriveranno. Fino a che non ci sarà un’equa distribuzione delle risorse al livello globale, arriveranno
al costo di morire, arriveranno al costo di non giungere a destinazione. Venderanno i loro pochi
averi che per loro sono tutto pur di tentare di arrivare. Al costo della vita stessa. Perché, sapete,
nella totale disperazione, la peggior morte non è solo quella fisica ma quella sociale che è più
temibile. E se le cose continueranno a stare così, il Mediterraneo che per la storia è il Mare che
unisce l’Europa all’Africa e al Medio Oriente, diventerà sempre di più la tomba di coloro che mai
otterranno degni funerali, perché non sono mai arrivati a destinazione. Queste persone sono donne
1 Dizionario di Antropologia, Etnologia, Antropologia Culturale, antropologia Sociale, Ugo Fabietti e
Francesco Remotti (a cura di), pagina 699, Zanichelli Editore, Bologna, 2001.
Geneviève Makaping L’Altro da sé “Com-Preso” Geneviève Makaping
3 (coloro che rappresentano la continuità della specie umana, riproduzione dunque), bambini (che
rappresentano il futuro, la speranza), giovani uomini (che rappresentano la forza lavoro, il presente),
nella rigida lettura ovviamente. Prova è che, e cito il Dossier Statistico Immigrazione 2009 che
scrive: “Anche nello scenario di crisi economica e occupazionale, delineatosi alla fine del 2008 e
rafforzatosi nel corso del 2009, l’immigrazione non ha arrestato la sua crescita”. Apprendiamo che i
cittadini stranieri residenti in Italia, includendo le presenze regolari non ancora registrate incidono
tra il 6,5% e il 7,2% sulla intera popolazione. E vorremo la conferma, che già c’è, che questi
immigrati incidono in maniera benefica sul Prodotto Interno Lordo, proprio per il loro apporto alla
crescita del sistema paese in termini di ricchezza, di beni materiali ed immateriali.
CONCLUDO. Opportuno dunque lavorare e sviluppare delle politiche sociali che possano in qualche
modo arginare il diffuso senso di insicurezza in Italia. È proprio questa paura della criminalità che
alimenta tra gli italiani il senso di insicurezza, a impedire loro di considerare gli immigrati come
una risorsa. Non è neanche che, etichettando una intera nazione come “razzista”, si risolva il
problema della accoglienza dell’altro da sé. Certo è anche che gli immigrati che delinquono (seppur
un sparuta minoranza) non fanno bene al mondo della migrazione. Moltissimi sono gli immigrati
che rispettano le leggi italiane e contribuiscono alla sicurezza di sé e degli altri. Insomma non
delinquere fa bene a tutti. Servono anche delle politiche sociali per non finire nelle maglie delle
associazioni a delinquere di qualsiasi tipo siano. Presidente Onorevole Fini, Presidente Sua
Eccellenza Monsignor Schettini, questa occasione mi è cara, ghiotta direi se non unica, per
sottoporvi un problema che è anche il paradigma di quanto detto finora sul concetto del “noi” e
degli “altri”. Nella mia Calabria, c’è la Strada Statale 106, detta anche strada della morte, la strada
maledetta. Su quella via, ogni mese, per non dire ogni fine settimana, giovani uomini e donne
muoiono di incidente. E, loro sono il futuro della Calabria, dell’Italia. Su quella stessa, ci sono
giovani donne, alcune giovanissime che non si prostituiscono, ammesso l’abbiamo scelto, ma che
dei venditori di pelle e dell’anima umana fanno prostituire. Quelle donne arrivano dall’Est Europa e
dall’Africa. Donne immigrate alle quali è stata tolta la dignità prim’ancorché l’opportunità di
emanciparsi. Io presi consapevolezza di me stessa, quando quel giorno, nel 1988, mi sedetti sui
banchi dell’Università della Calabria, ero matricola e avevo trenta anni.
Ringrazio Dossier Statistico Caritas/Migrantes per avermi concesso in questo luogo l’opportunità
di parola, ma soprattutto ringrazio le Istituzioni per quanto stanno facendo e per quello che sapranno
fare per restituire dignità alle persone immigrate e serenità agli autoctoni. E, nel principio della
reciprocità, serve un nuovo umanesimo, per il bene di tutti, e non è buonismo ma una opportunità da
non lasciarsi sfuggire. Anche in questo senso i media, che sono in assoluto gli attori più importanti
per imprimere il marchio nel sociale, dovrebbero cooperare alla serenità delle persone, siano esse
autoctone o migranti. L’appartenenza ad una comunità è un fatto e concetto antropologico, per
nessuno escluso. Geneviève Makaping, Italiana/Camerunese e non extracomunitaria.
Grazie a tutti per l’ascolto.
Caritas Migrantes 2009/03_Schettino.pdf
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L’immigrazione oggi: il punto di vista del mondo ecclesiale
Mons. Bruno Schettino, Presidente della Commissione Episcopale Migrazioni e Migrantes
Roma, 28 ottobre 2009, Presentazione del Dossier Statistico Immigrazione 2009 Caritas/Migrantes
La presentazione del Dossier Caritas/Migrantes offre ogni anno l’occasione per fare il punto
sulla posizione della Chiesa cattolica italiana sul fenomeno migratorio. Si tratta di riflettere sulle
prese di posizione ufficiali espresse dalla Presidenza e dalla Segreteria della Conferenza Episcopale
Italiana e, in questa occasione, dalla Commissione Episcopale per le Migrazioni (CEMI) della quale
sono Presidente.
I vescovi, naturalmente, si ispirano in primo luogo al contenuto della fede cristiana ma
ritengono pure di interpretare il pensiero sull’immigrazione dell’intera comunità dei fedeli e, in
particolare, quella degli operatori pastorali impegnati nel settore. Le sensibilità possono essere
differenziate, così come lo sono le scelte politiche, però rimane identico per tutti l’ancoraggio ai
valori della convivenza fondati sul vangelo di Gesù Cristo e ribaditi dalla dottrina sociale della
chiesa, ai quali tutti i cattolici devono attenersi
Non va, poi, trascurato il grande insegnamento del Concilio Vaticano II secondo il quale,
specialmente sulle grandi questioni, i vescovi, la Migrantes, la Caritas, gli operatori pastorali -
insomma, la chiesa nel suo complesso - devono restare in ascolto della società, delle sue
preoccupazioni e delle sue aspettative, cercando di costruire insieme a tutte le persone di buona
volontà una convivenza più solidale. È proprio in forza di questa capacità di ascolto che alla chiesa
viene riservato un grande credito, anche sul tema dell’immigrazione, credito che è nostra cura
rafforzare tramite orientamenti e comportamenti ispirati congiuntamente alla prudenza, al coraggio
e all’apertura.
Fatta questa breve premessa, mi atterrò nelle mie riflessioni al classico metodo pastorale del
discernimento, strutturato nelle tre fasi “Vedere – Giudicare – Agire”. Seguendo questi tre punti
inviterò a ragionare con serenità e in profondità, senza trascurare quella che è la vera posta in gioco
dell’immigrazione, a livello personale e sociale, sollecitando, anzi, a prestare attenzione anche ad
aspetti non sempre presi in considerazione, con la fiducia che si possa pervenire a una impostazione
maggiormente condivisa, come del resto è già avvenuto in altri paesi di immigrazione.
Sarà questa la mia maniera di commentare il motto del nuovo Dossier “Immigrazione:
conoscenza e solidarietà”, motto che si ispira alle encicliche di Papa Benedetto XVI.
Vedere: prendere atto dell’immigrazione come nuovo segno della società
Il Dossier Caritas/Migrantes dall’anno scorso è diventato maggiorenne e quest’anno ha
compiuto 19 anni di vita. Il rapporto si presenta come un osservatorio che considera sua funzione
essenziale quella di pubblicare e commentare le statistiche sull’immigrazione, mettendole a
disposizione degli operatori pastorali e dell’intera società.
Sappiamo tutti che la conoscenza è un prerequisito essenziale dell’azione. A questa esigenza
risponde l’impegno per la raccolta dei dati sull’immigrazione, che la Caritas e la Fondazione
Migrantes svolgono fin dal 1991. È, infatti, nostra convinzione che gli interventi in materia
migratoria vadano preparati con una serena riflessione sulle statistiche, confrontandosi cioè da
vicino con la realtà e cercando di riflettere su di essa, mentre una diversa impostazione sarebbe di
grave pregiudizio alla crescita dei cittadini, dei politici e dell’intera società.
Non è mio compito riproporvi i dati esposti nel Dossier 2009, che ciascuno può consultare
direttamente, ma voglio solo soffermarmi sull’idea di fondo che li lega.
L’immigrazione è una dimensione strutturale della società italiana. Nel recente passato le
cose non stavano affatto così e l’Italia era un paese di emigrati all’estero. La presenza all’estero è
rimasta, ma nel frattempo siamo diventati anche un grande paese di immigrazione e le due
popolazioni pressoché si equivalgono: 4 milioni di cittadini italiani all’estero e 4 milioni di cittadini
stranieri in Italia. Nel 1970 vi era un cittadino straniero ogni 400 residenti, nel 1990 uno ogni 100;
2
oggi è di origine straniera 1 ogni 14 abitanti e nel 2050 secondo le previsioni dell’Istat lo sarà 1
ogni 6 abitanti. Questa forte progressione non può non colpire. I flussi in entrata stanno diventando
più consistenti di quelli in uscita dall’Italia dopo la seconda guerra mondiale, quando in centinaia di
migliaia ogni anno ci trasferivamo all’estero. Attualmente non c’è altro paese al mondo, se non la
Spagna, che stia sperimentando un ritmo di crescita così elevato della popolazione immigrata.
Tutti gli indicatori statistici sono concordi nel presentare il futuro dell’Italia come sempre
più caratterizzato dall’immigrazione. Questo fenomeno sociale non è passeggero, come certe prese
di posizione farebbero pensare, ma al contrario è contrassegnato da caratteri di stabilità sempre più
marcati. Il Dossier si sofferma ripetutamente su questi aspetti come, ad esempio, l’equilibrio tra i
due sessi, la prevalenza del carattere familiare dell’insediamento, l’aumento dei figli degli
immigrati e la loro rilevante presenza nelle scuole, la consistente crescita di quanti sono nati in
Italia (le seconde generazioni superano già il mezzo milione di unità), l’incidenza crescente nel
mondo del lavoro, la fortissima presenza delle collaboratrici familiari nelle nostre famiglie, il
radicamento nella società attestato dall’acquisto delle case, e, per farla breve, dal desiderio di
partecipazione a livello culturale e sociale.
Possiamo concludere questo primo punto, dicendo a ragione che l’immigrazione è un aspetto
rilevante della società italiana di oggi.
Giudicare: capire le ragioni della crescita dell’immigrazione
In questo secondo punto siamo chiamati a giudicare questa realtà di fatto, a pronunciarci sul
suo aspetto qualitativo. Non sono pochi i cittadini, e anche i fedeli, che in buona fede inquadrano
l’immigrazione come un fattore che ha contribuito a peggiorare l’andamento dell’Italia. Cito alcuni
degli addebiti negativi più ricorrenti sollevati nei confronti degli stranieri: non condividono i valori
del nostro passato storico-culturale-religioso, non mostrano interesse a integrarsi, pregiudicano la
stabilità della nostra occupazione, con la loro delinquenza e il loro modo di comportarsi rendono le
nostre città più insicure, pretendono solo la concessione di sempre nuovi diritti senza volersi fare
carico dei doveri. La lista potrebbe continuare, ma tanto basta per fare qualche precisazione.
Se una realtà produce in prevalenza effetti negativi e si può evitare, penso che tutti possiamo
concordare sul dovere di rimuoverla dalla società o, quanto meno, di ridimensionarne la portata. Le
cose però non stanno così. Parlando di immigrazione prevalgono, infatti, di gran lunga i benefici
che essa arreca sugli inconvenienti che comporta. Inoltre, non si tratta di un fenomeno eliminabile a
piacere, anche perché la presenza immigrata è funzionale allo sviluppo del Paese, essendo un
puntello al nostro malandato andamento demografico e alle carenze del mercato occupazionale.
Dagli anni ’90 l’Italia sta registrando un andamento demografico negativo, in quanto il
numero dei decessi supera quelli dei nuovi nati. La popolazione italiana diminuirà con un ritmo
accentuato, ma fortunatamente questo impatto negativo è temperato dalla popolazione immigrata,
che è più giovane e ha un tasso di natalità più elevato.
Un ragionamento analogo va fatto per la necessità di forza lavoro aggiuntiva. Un’esigenza
che spiega perché i lavoratori immigrati abbiano raggiunto la quota di due milioni, concentrandosi
specialmente in alcuni settori, come quello della collaborazione familiare, dell’edilizia o
dell’agricoltura.
Queste stesse ragioni spiegano perché gli immigrati, che attualmente sono 4 milioni, saranno
6 milioni nel 2017, pari al 10% della popolazione residente, e nel 2050 diventeranno 12,3 milioni,
pari al 18% dei residenti secondo le previsioni dell’Istat.
In un contesto così caratterizzato bisogna fare di necessità virtù, non perché lo dicono la
Caritas e la Migrantes o si debba essere buonisti per forza, ma per essere realisti, capire il senso
della storia e le esigenze del Paese. In un mondo globalizzato, che avvicina tutte le aree del mondo,
le migrazioni sono quei vasi comunicanti che permettono di effettuare uno scambio fruttuoso, a
nostro beneficio sotto l’aspetto demografico e internazionale, a beneficio dei Paesi di origine per
quanto riguarda le speranze di sviluppo. Rispetto ai grandi temi irrisolti dalla politica
internazionale, quali sviluppo disuguale, la povertà, la divisione equa della ricchezza, gli immigrati
sono un fattore equilibratore, una delle non molte ragioni di speranza.
3
Questo non vuol dire che il fenomeno migratorio non ponga anche dei problemi, cosa
assolutamente impossibile anche in considerazione delle rilevanti dimensioni assunte dai flussi
migratori; tra l’altro, i problemi dei quali spesso ci lamentiamo, sono in buona parte favoriti dalle
nostre carenti politiche di integrazione, aspetto sul quale mi voglio soffermare nell’ultimo punto. Se
ci sforziamo con il Dossier di procedere a un calcolo del dare e dell’avere, il vantaggio per l’Italia è
innegabile e rafforza la convinzione che, se gli attuali immigrati venissero a mancare e cessassero i
flussi, si assisterebbe a un vero e proprio disastro.
Agire: senza un “pacchetto integrazione” non c’è una vera politica migratoria
Da più di un anno sentiamo parlare del “pacchetto sicurezza” che, con la sua insistenza, ha
rafforzato il malinteso che sia fondato equiparare gli immigrati ai delinquenti. Poco, invece, si è
sentito parlare del “pacchetto integrazione”, di un’impostazione più equilibrata che non trascura gli
aspetti relativi alla sicurezza ma li contempera con la necessità di considerare gli immigrati come
nuovi cittadini portandoli a e essere soggetti attivi e partecipi nella società che li ha accolti. La
Conferenza Episcopale Italiana, con toni meditati ma fermi e ripetuti, ha avuto modo di sottolineare
che senza integrazione non c’è politica migratoria. Alla 58.a Assemblea generale della Conferenza
Episcopale Italiana (giugno 2009), il card. Bagnasco ha ribadito che per governare l’immigrazione
non basta concentrarsi sulle sole esigenze di ordine pubblico. La vera sicurezza nasce
dall’integrazione.
Su questa impostazione ha influito l’esperienza maturata dalla Chiesa italiana in un secolo e
mezzo di servizio agli emigrati italiani all’estero, quando essi rischiavano di essere considerati
unicamente come braccia da lavoro. Ancor più alla radice, su questa impostazione ha influito la
concezione del migrante come persona portatrice di diritti fondamentali inalienabili, concezione
collegata direttamente con la fede in Dio Padre di tutti. Le decisioni politiche trovano un limite nel
rispetto della dignità delle persone.
È sulla base di queste motivazioni che l’eccessiva enfasi posta sul “pacchetto sicurezza” ha
visto perplessa e contrariata la comunità ecclesiale, ai vertici e alla base, specialmente tra le
migliaia di operatori pastorali impegnati nel campo dell’immigrazione. È eccessiva la
sperequazione tra l’interesse a difenderci da eventuali problemi connessi con l’immigrazione e il
dovere di accoglierla. Molto opportunamente il Dossier di quest’anno, ridimensionando l’allarme
criminalità, sottolinea che il cliché dell’immigrato-delinquente non trova riscontro nei dati statistici
e che inizia a vacillare anche il cliché “italiani brava gente” a seguito dei ricorrenti atti di razzismo e
intolleranza nei confronti degli immigrati.
Con serenità, possiamo affermare che bisogna cambiare e favorire condizioni di vita più
serene per noi stessi e per gli immigrati. A questo fine dobbiamo impegnarci per raggiungere una
maggiore funzionalità della pubblica amministrazione negli adempimenti che regolano la vita degli
immigrati. Dobbiamo favorire un loro inserimento nella società, che certamente comporta da parte
degli immigrati l’osservanza dei doveri di cittadini ma anche, da parte nostra, una loro maggiore
accettazione a tutti i livelli: di inserimento lavorativo (come si è fatto con l’ultima
regolarizzazione), di cittadinanza (come è stato fatto con una recente proposta di legge), religioso
(evitando che Dio venga invocato per contrapporci gli uni gli altri), politico (con maggiori aperture
a livello di voto amministrativo).
A questo punto le conclusioni mi paiono scontate. Abituiamoci a inquadrare con maggiore
equilibrio il fenomeno delle migrazioni, accettandone la necessità. Cerchiamo di essere vicini agli
immigrati, aiutandoli concretamente a conciliare le loro differenze – religiose, socio-culturali,
linguistiche – con il nostro sistema normativo. Preveniamo gli inconvenienti, che non mancano, ma
apprezziamo anche il loro apporto per la crescita del Paese. Raccogliamo la sollecitazione del Papa
a impegnarci “in prima persona”, con la condivisione dei bisogni e delle sofferenze degli altri, e
spingiamo anche i politici in questa direzione, perché solo così la società italiana ne uscirà
rafforzata. Lungo le vie del futuro, non servono tanto i divieti quanto la condivisone di obiettivi
comuni.
4
Su questa base ritengo necessario proporre a tutte le persone di buona volontà queste sei
piste di impegno:
1. Riconsiderare il fenomeno migratoria in una visione storico-antropologica sul futuro
prossimo della nostra società italiana, sempre più multiculturale e a tal fine occorrono lo
studio e la ricerca di possibili forme di integrazione tra culture.
2. Rivedere i flussi migratori, superando, senza essere superficiali, i rallentamenti della
burocrazia.
3. Dare maggiore risalto alla conoscenza della lingua italiana e delle tradizioni.
4. Pervenire al riconoscimento del diritto di cittadinanza.
5. Considerare maggiormente i motivi umanitari per concedere i permessi di soggiorno.
6. Ricreare una coscienza collettiva, nell’ambito di un processo educativo integrale, per
superare le paure nei confronti delle nuove generazioni.
Le piste sono fruttuose: ricorriamo a tutta la buona volontà che ci è possibile. Grazie!
Caritas Migrantes 2009/04_Scheda_sintesi.pdf
1
X I X R a p p o r t o
s u l l ’ i m m i g r a z i o n e
CARITAS/MIGRANTES
Immigrazione
Dossier Statistico 2009
Immigrazione:
conoscenza e
solidarietà
IDOS - Centro Studi e Ricerche
Redazione Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes
Via Aurelia 796 - 00165 Roma
Tel. 06.66514345 – Fax 06.66540087
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I NUOVI DATI: OLTRE 4 MILIONI DI IMMIGRATI IN ITALIA
Anche nello scenario di crisi economica e occupazionale,
delineatosi alla fine del 2008 e rafforzatosi nel corso del
2009, l’immigrazione non ha arrestato la sua crescita. L’au-
mento annuo di 250 mila unità, considerato nelle previsioni
dell’Istat come scenario alto, è risultato inferiore a quanto
effettivamente avvenuto (+458.644 residenti nel 2008,
+13,4% rispetto all’anno precedente).
I cittadini stranieri residenti erano 2.670.514 nel 2005 e
sono risultati 3.891.295 alla fine del 2008, ma si arriva a circa
4.330.000 includendo anche le presenze regolari non anco-
ra registrate in anagrafe. Incidono, quindi, tra il 6,5% (resi-
denti) e il 7,2% (totale presenze regolari) sull’intera popola-
zione; ma il dato arriva al 10% se si fa riferimento alla sola
classe dei più giovani (minori e giovani fino ai 39 anni). Se
poi si tiene conto che la regolarizzazione di settembre 2009,
pur in tempo di crisi, ha coinvolto quasi 300 mila persone nel
solo settore della collaborazione familiare, l’Italia oltrepassa
abbondantemente i 4,5 milioni di presenze: siamo sulla scia
della Spagna (oltre 5 milioni) e non tanto distanti dalla Ger-
mania (circa 7 milioni).
Il 2008 è stato il primo anno in cui l’Italia, per incidenza
degli stranieri residenti sul totale della popolazione, si è collo-
cata al di sopra della media europea e, seppure ancora lonta-
na dalla Germania e specialmente dalla Spagna (con inciden-
ze rispettivamente dell’8,2% e dell’11,7%), ha superato la
Gran Bretagna (6,3%). Nei Paesi di più antica tradizione
migratoria, però, è molto più elevato il numero di cittadini
nazionali di origine immigrata, essendo più agevole la nor-
mativa sull’accesso alla cittadinanza: in Francia il 23% della
popolazione ha genitori o nonni di origine immigrata; in Ger-
mania, mentre i cittadini stranieri sono scesi a circa l’8%,
quelli con un passato migratorio raggiungono ben il 18%. In
Italia, dove questa distinzione non è statisticamente agevole,
nel 2008 si è giunti a quasi 40 mila casi di acquisizione di cit-
tadinanza a seguito di matrimonio o di anzianità di residenza.
Continua a prevalere la presenza di origine europea
(53,6%, per più della metà da Paesi comunitari). Seguono gli
africani (22,4%), gli asiatici (15,8%) e gli americani (8,1%).
Risulta fortemente attenuato il policentrismo delle prove-
nienze, che per molti anni è stato una spiccata caratteristica
dell’immigrazione italiana: le prime 5 collettività superano la
metà dell’intera presenza (800 mila romeni, 440 mila albane-
si, 400 mila marocchini, 170 mila cinesi e 150 mila ucraini).
A livello territoriale il Centro (25,1%) e il Meridione
(12,8%) sono molto distanziati dal Nord quanto a numero di
residenti stranieri (62,1%), così come il Lazio (11,6%) lo è
dalla Lombardia (23,3%), tra l’altro preceduto, seppure di
poco, dal Veneto (11,7%).
Il dinamismo della popolazione straniera è da ricondurre
principalmente alla sua evoluzione demografica da una parte
e alla domanda di occupazione del Paese dall’altra, mentre
influiscono in misura veramente minima le poche decine di
2
migliaia di sbarchi, pari a meno dell’1% della presenza rego-
lare.
Nel 2008 sono state 36.951 le persone sbarcate sulle coste
italiane, 17.880 i rimpatri forzati, 10.539 gli stranieri transitati
nei centri di identificazione ed espulsione e 6.358 quelli
respinti alle frontiere. Non si tratta neppure di un cinquante-
simo rispetto alla presenza di immigrati regolari in Italia,
eppure il contrasto dei flussi irregolari ha monopolizzato l’at-
tenzione dell’opinione pubblica e le decisioni politiche; tanto
più che il rapporto tra allontanati e intercettati è di 34 ogni
100 (il più basso dal 2004) e si registra una crescente confu-
sione tra immigrati “clandestini”, irregolari, richiedenti asilo e
persone aventi diritto alla protezione umanitaria.
SOTTOSVILUPPO, MIGRAZIONI E UNIONE EUROPEA
La popolazione mondiale a fine 2008 è arrivata a 6 miliar-
di e 829 milioni e il ritmo di crescita, seppure rallentato
rispetto al passato, non si è interrotto. Nel 2025 gli abitanti
della Terra raggiungeranno gli 8 miliardi e incrementeranno
la loro concentrazione nelle città, specialmente nei Paesi in
via di sviluppo (Pvs), dove un terzo della popolazione vive in
baraccopoli. Nei Paesi a sviluppo avanzato (Psa) rimarrà solo
un quinto della forza lavoro mondiale: basti pensare che, alla
stessa data, in Europa è prevista una diminuzione di 38 milio-
ni di persone e in Africa l’aumento di un miliardo.
Le migrazioni si collocano nel contesto di un mondo ingiu-
sto e inducono a prendere in considerazione le ragioni dei
Paesi di origine. La ricchezza mondiale è tale da poter assi-
curare a ogni abitante i mezzi per vivere dignitosamente (a
parità di potere d’acquisto, il PIL pro capite è di 10.206 dolla-
ri): una finalità attualmente impossibile a causa della sua ine-
guale distribuzione. I Pvs, dove vive l’85% della popolazione,
non hanno a disposizione neppure la metà della ricchezza
mondiale (46,1%) e si attestano su un reddito medio pro
capite di 5.500 dollari, contro i 36.000 dollari dei Psa. Le
condizioni dei singoli Paesi sono molto differenziate e ancora
troppe persone vivono in condizioni di povertà strutturale,
concentrate specialmente in Africa e in Asia. Le pesone che
soffrono la fame sono aumentate e arrivano a un miliardo.
Alla fine del 2008 sono state 42 milioni le persone costrette
alla fuga da guerre e persecuzioni. Vi sono milioni di persone
che non dispongono neppure di 1 dollaro al giorno, e altre,
nei Paesi ricchi, che in media ne hanno a disposizione 100 al
giorno.
Si ripete lo slogan di “aiutare gli immigrati a casa loro”,
con l’intento di far passare per sagge politiche restrittive alle
quali corrisponde il disimpegno sul piano degli aiuti. I “gran-
di della Terra”, nei loro incontri, rinnovano le promesse di
intervento, ma si tratta degli stessi impegni presi nel passato
e finora non mantenuti. Molti Psa, e in particolare l’Italia,
sono ben lontani dal devolvere per lo sviluppo lo 0,7% del
Prodotto interno lordo, stabilito come obiettivo minimo a
livello internazionale. È vero che l’Italia è un Paese con molti
problemi (povertà, usura, stipendi bassi, questione del Mez-
zogiorno ecc.), ma ciò non giustifica il disimpegno rispetto al
problema dello sviluppo mondiale e neppure la chiusura nei
confronti dell’immigrazione.
Piccole economie, come quella della Moldavia, ricevono
dalle rimesse più di un quarto del Pil nazionale: si può imma-
ginare cosa capiterebbe se, in cambio di un improbabile
aiuto in loco, venisse meno il contriuto degli emigrati di quel
Paese.
Lo stesso si può dire di molti altri Stati, per i quali gli emi-
grati sono una diffusa fonte di sostegno e di speranza. Tra i
200 milioni di migranti nel mondo, si contano ben 12,3
milioni di vittime di sfruttamento lavorativo e 1,4 milioni di
vittime di sfruttamento sessuale, con una vasta area di irrego-
larità che di per sé espone più facilmente alla precarietà e ai
soprusi.
In questo scenario l’Europa si conferma come l’area di
maggiore presenza, ospitando circa un terzo del totale dei
migranti. Nell’UE a 27 gli immigrati sono 38,1 milioni, con
un’incidenza del 6,2% sui residenti: più di un terzo proviene
da altri Stati membri (36,7%), ma ormai si rischia di conside-
rare “stranieri” anche i comunitari, dei quali gli italiani costi-
tuiscono in diversi paesi una parte cospicua. L’immigrazione
continua a essere uno dei temi caldi e gli organismi dell’U-
nione Europea si sono occupati in prevalenza del controllo
dei flussi e dei rimpatri, mentre è rimasto in sordina l’obietti-
vo della convivenza nella diversità.
In quest’ultimo decennio la Spagna e l’Italia sono stati, nel-
l’Unione, i Paesi maggiormente interessati dall’immigrazione
e in essi ha trovato sbocco la maggior parte dei flussi: nei due
Paesi sono stati superati, rispettivamente, i 5 e i 4 milioni di
immigrati (5.262.000 e 4.330.000), con un aumento decen-
nale di cinque e di tre volte. Gli Stati mediterranei sono
entrati a far parte, così, dei grandi Paesi di immigrazione. Nel
2008 la popolazione straniera nell’Unione a 27 è aumentata
di circa 1,5 milioni, un buon quarto dei quali da attribuire
all’Italia, lo Stato membro in cui la presenza straniera è mag-
giormente cresciuta in termini assoluti. Questo primato com-
porta un ruolo di maggiore responsabilità e c’è da chiedersi
se esso sia stato adeguatamente esercitato.
DEMOGRAFIA, MINORI E SCUOLA
In Italia, 1 abitante su 14 (7,2%) è di cittadinanza straniera.
L’incidenza è maggiore tra i minori e i giovani adulti (18-44
anni), con conseguente maggiore visibilità a scuola e nel
mercato del lavoro.
Più di un quinto della popolazione straniera è costituito da
minori (862.453), 5 punti percentuali in più rispetto a quan-
to avviene tra gli italiani (22% contro 16,7%). I nuovi nati da
entrambi i genitori stranieri (72.472) hanno inciso nel 2008
per il 12,6% sulle nascite totali registrate in Italia, ma il loro
apporto è pari a un sesto se si considerano anche i figli di un
solo genitore straniero. Ad essi si sono aggiunti altri 40.000
minori venuti a seguito di ricongiungimento. Tra nati in Italia
e ricongiunti, il 2008 è stato l’anno in cui i minori, per la
prima volta, sono aumentati di oltre 100 mila unità. A chie-
dere il ricongiungimento il più delle volte (65,6%) è una per-
sona sola; negli altri casi l’interessato vive con uno o più indi-
vidui, a testimonianza di un processo di inserimento sempre
più avanzato.
L’età media degli stranieri è di 31 anni, contro i 43 degli
italiani. Tra i cittadini stranieri gli ultrasessantacinquenni sono
solo il 2%. L’immigrazione è dunque anche una ricchezza
demografica per la popolazione italiana, che va incontro al
futuro con un tasso di invecchiamento accentuato; e lo è
specialmente per i Comuni con meno di 5.000 abitanti,
molti dei quali senza questo supporto sarebbero in prospetti-
va a rischio di spopolamento.
Gli alunni figli di genitori stranieri, nell’anno scolastico
2008/2009, sono saliti a 628.937 su un totale di 8.943.796
iscritti, per un’incidenza del 7%. L’aumento annuale è stato
di 54.800 unità, pari a circa il 10%. L’incidenza più elevata si
registra nelle scuole elementari (8,3%) e, a livello regionale,
in Emilia Romagna e in Umbria, dove viene superato il 12%,
mentre si scende al 2% al Sud e nelle Isole. Di questi studen-
ti, 1 ogni 6 è romeno, 1 ogni 7 albanese e 1 ogni 8 maroc-
chino, ma si rileva di fatto una miriade di nazionalità, vera-
mente un “mondo in classe”, come mettono in evidenza i
progetti interculturali.
Si tratta di alunni “stranieri” per modo di dire, perché
quasi 4 su 10 (37%) sono nati in Italia e di questo Paese si
considerano cittadini; e il rapporto sale a ben 7 su 10 tra gli
iscritti alla scuola dell’infanzia. Per costoro la lingua, spesso
invocata come motivo di separazione, non costituisce un
ostacolo; e così potrebbe essere anche per i ragazzi ricon-
giunti nel corso dell’anno, a condizione di potenziare le
misure di sostegno per l’apprendimento dell’italiano.
Questi giovani condividono con i coetanei italiani compor-
tamenti, gusti, consumi, incertezze esistenziali. Soprattutto le
ragazze puntano all’emancipazione economica e individuale,
spesso con conseguenti strappi con la famiglia e le tradizioni
di origine. Differenze si riscontrano, invece, nel percorso sco-
lastico, a causa di problemi di ritardo, dispersione, insucces-
so, specialmente nella scuola secondaria superiore: ragionan-
do in termini di sistema per il futuro del Paese, bisognerà
ridurre questo svantaggio, dotando la scuola dei mezzi e del
personale necessari.
Nelle università italiane, a differenza di quanto avviene
nelle scuole e anche a differenza di quanto si riscontra nei
grandi Paesi europei, la presenza internazionale è ridotta ed è
straniero (o perché venuto appositamente dall’estero o per-
ché figlio di genitori stranieri residenti in Italia) solo 1 ogni 35
iscritti, con concentrazioni particolarmente elevate negli ate-
nei di Roma “La Sapienza”, Bologna, Torino, Firenze e Pado-
va. I 51.803 universitari esteri, dei quali 11.500 immatricolati
nell’ultimo anno, si orientano maggiormente verso le facoltà
di economia e di medicina. A laurearsi nel 2007 sono stati in
5.842 ed è probabile che la maggioranza ritornerà nei Paesi
di origine.
IMMIGRATI E MONDO DEL LAVORO
Anche in un anno di crisi incipiente, come è stato il 2008,
l’apporto degli immigrati è risultato così necessario da far
aumentare il loro numero tra gli occupati di 200 mila unità.
Del resto, nel mercato occupazionale italiano l’internaziona-
lizzazione è in corso da tempo e i lavoratori nati all’estero
sono il 15,5% del totale. Tra di essi non mancano gli italiani
di ritorno (a testimonianza degli oltre 4 milioni di emigrati
italiani residenti all’estero), ma la stragrande maggioranza è
costituita da lavoratori stranieri, il cui afflusso si è incrementa-
to specialmente nell’ultimo decennio.
I lavoratori stranieri in senso stretto sono quasi un decimo
degli occupati e contribuiscono per una analoga quota alla
creazione della ricchezza del Paese, come posto in risalto,
rispettivamente, dalle indagini trimestrali dell’Istat sulla forza
lavoro e dalle ricerche di Unioncamere. Come risaputo, i
motivi di lavoro sono, insieme ai motivi familiari, quelli che
attestano il carattere di insediamento stabile dell’immigrazio-
ne. Si tratta di persone spesso inserite da molti anni sul posto
di lavoro e che, superando difficili condizioni di partenza,
oggi presentano queste caratteristiche:
• un tasso di attività di 11 punti più elevato rispetto alla
media (73,3 vs 62,3);
• estrema motivazione a riuscire, per il fatto che per loro la
migrazione rappresenta una scelta esistenziale forte;
• disponibilità a svolgere un’ampia gamma di lavori, da cui
deriva anche la loro alta concentrazione nei settori meno
appetibili per gli italiani;
• esposizione a maggiori condizioni di rischio sul lavoro
(143.651 infortuni nel 2008, dei quali 176 mortali);
• scarso grado di gratificazione (soprattutto per via del
mancato riconoscimento delle qualifiche e dell’inserimen-
to in posti occupazionali di basso livello);
• necessità di sostenere i familiari rimasti in patria (ai quali
nel 2008 hanno inviato 6,4 miliardi di € con le rimesse);
• sottoposizione ad atteggiamenti di diffidenza e, da ulti-
mo, anche di ostilità, con ricorrenti atti di vero e proprio
razzismo.
Di questi circa 2 milioni di lavoratori immigrati, quasi 1
milione si è iscritto ai sindacati, mostrando così la volontà di
tutelare la dignità del proprio lavoro e prefigurando altresì
quanto potrà avvenire nei circoli culturali, in quelli sportivi,
negli uffici e in altre strutture aggregative a seguito della loro
progressiva partecipazione. 1 milione sono anche, secondo
stime, le donne immigrate che si prendono cura delle nostre
famiglie. La regolarizzazione realizzatasi a settembre 2009 e
chiusasi con 294.744 domande di assunzione di lavoratori
non comunitari come collaboratori familiari o badanti (que-
ste ultime pari a un terzo del totale), seppure tempestata di
polemiche nella fase di approvazione, ha evidenziato ancora
una volta la complementarità tra esigenze della popolazione
italiana e disponibilità di quella immigrata; inoltre, con alcu-
ne ulteriori accortezze, il provvedimento avrebbe consentito
l’emersione di un numero maggiore di persone, con benefici
innegabili non solo per esse stesse e per le famiglie da assiste-
re, ma anche per lo Stato: l’operazione ha fruttato, infatti,
154 milioni di euro in contributi arretrati e marche, mentre
nel periodo 2010-2012 farà entrare nelle casse dell’Inps 1,3
miliardi di euro supplementari.
Anche il settore del lavoro imprenditoriale, nonostante le
difficoltà della fase congiunturale, è riuscito a mantenere un
certo dinamismo: attualmente si contano 187.466 cittadini
stranieri titolari di impresa, in prevalenza a carattere artigia-
no, che garantiscono il lavoro a loro stessi e anche a diversi
dipendenti (attorno ai 200 mila, secondo la stima riportata
nel libro ImmigratImprenditori della Fondazione Ethnoland).
Questo settore, tenendo anche conto dei soci e delle persone
coinvolte in altri ruoli, movimenta mezzo milione di persone,
un aspetto non trascurabile in un momento in cui l’econo-
mia ha bisogno di traino, tanto più che nel caso degli immi-
grati è stata finora realizzata solo la metà delle loro effettive
potenzialità nel mondo dell’imprenditoria.
3
Nel clima di grande commozione che ha suscitato il terre-
moto de L’Aquila del 6 aprile 2009, merita sottolineare come
presenza, lavoro e convivenza tra italiani e immigrati vadano
sempre più strettamente intrecciandosi, sia nelle giornate
normali come in quelle della disgrazia. Su 291 vittime del ter-
remoto, 19 nominativi sono stranieri, quasi il 7% delle vitti-
me identificate, al di sopra dell’incidenza dei cittadini stranie-
ri in Abruzzo che è del 4,5%. Anche in questo triste evento,
il contributo degli immigrati è molto elevato, ruolo del resto
comprensibile se si tiene conto che nella zona dell’aquilano vi
sono molti immigrati dediti alla pastorizia e ai lavori agricoli,
specialmente macedoni, albanesi e romeni (quest’ultimi a
lungo stigmatizzati come una collettività “canaglia”).
Gli immigrati, associati in maniera ricorrente alla crimina-
lità, evidenziano invece il basso tasso di legalità del nostro
Paese, come dimostrano le assunzioni in nero, il ricorso al
caporalato, l’evasione contributiva, l’inosservanza delle
norme contrattuali, il mancato riconoscimento delle qualifi-
che. Per questi motivi, l’azione svolta per liberare le donne
vittime della tratta è stata allargata anche alle vittime di
sfruttamento lavorativo e, dal 2000, in media ogni anno
sono state assistitite 1.200 persone con progetti finanziati dal
Dipartimento delle Pari Opportunità.
APPROFONDIMENTI SU CRIMINALITÀ
E APPORTO FINANZIARIO
Dei diversi approfondimenti condotti dal Dossier segnalia-
mo quelli riguardanti il rapporto tra immigrazione e crimina-
lità e quello sul loro apporto contributivo fiscale.
Tra gli italiani intervistati di recente, 6 su 10 attribuiscono
agli stranieri un tasso di criminalità più alto e, perciò, è
necessario approfondire i dati statistici disponibili e risponde-
re in maniera argomentata a tre questioni: è quanto ha cer-
cato di fare il Dossier con l’agenzia “Redattore Sociale”.
Prima questione: se l’aumento della criminalità sia dovuto
in maniera più che proporzionale all’aumento della popola-
zione residente. La risposta è negativa. Nel periodo 2001-
2005 l’aumento degli stranieri residenti è stato del 101% e
l’aumento delle denunce presentate contro stranieri del
46%. Alla stessa conclusione è giunta la Banca d’Italia in una
ricerca imperniata sui dati relativi al periodo 1990-2003.
Seconda questione: se gli stranieri regolari siano caratteriz-
zati da un tasso di criminalità superiore a quello degli italiani.
A prima vista sembrerebbe proprio così: nel 2005 l’incidenza
degli stranieri sulla popolazione residente è stata del 4,5% e
l’incidenza sulle denunce penali con autore noto del 23,7%
(130.131 su 550.590). In realtà, solo nel 28,9% dei casi sono
implicati stranieri legalmente presenti e ciò abbassa il loro
tasso di criminalità, che scende ulteriormente ipotizzando
che anche gli italiani che delinquono siano per il 92,5% con-
centrati tra i ventenni e i trentenni (come accade tra gli stra-
nieri) e considerando che il confronto non tiene conto dei
reati contro la normativa sull’immigrazione: alla fine, il tasso
di criminalità risulta essere analogo per italiani e stranieri.
Terza questione: se gli stranieri irregolari si caratterizzino
per i loro comportamenti delittuosi. È vero che, in proporzio-
ne, sono più elevate le denunce a loro carico, da riferire in
parte al loro stato di maggiore precarietà e in parte anche al
loro coinvolgimento nelle spire della criminalità organizzata.
Tuttavia, risulta infondata l’equiparazione tra irregolare e
delinquente, come dimostra il fatto che la metà degli attuali
quattro milioni di residenti sono stati irregolari, come lo
erano, fino al mese di agosto 2009, le 300 mila collaboratrici
familiari prima della domanda di emersione.
Il boom della criminalità era già avvenuto in Italia all’inizio
degli anni ’90 e, rispetto ad allora, il livello delle denunce è
rimasto lo stesso. Certamente anche gli immigrati possono
delinquere e su questo bisogna vigilare, senza tuttavia tra-
sformarli in un capro espiatorio del nostro disagio sociale.
Sul piano economico i dati relativi al 2007 evidenziano,
innanzi tutto, il consistente apporto degli immigrati all’e-
conomia italiana: si tratta, secondo Unioncamere, di 134
miliardi di euro, pari al 9,5% del prodotto interno lordo.
I versamenti contributivi effettuati all’Inps sono stati sti-
mati dal Dossier pari a oltre 7 miliardi di euro, dei quali
oltre 2,4 miliardi pagati direttamente dai lavoratori stranieri
e la restante quota dai datori di lavoro. Invece, la stima del
gettito fiscale, includendo le tasse più rilevanti, è di oltre
3,2 miliardi di euro.
Ne deriva che, direttamente dalle buste paga dei lavora-
tori immigrati, provengono in totale 5,6 miliardi di euro
(ma secondo la Cgia anche di più). Pur nella difficoltà di
calcolare l’incidenza degli immigrati sulla spesa sociale,
non mancano i tentativi in tal senso e la Banca d’Italia
stima che agli immigrati vada il 2,5% di tutte le spese di
istruzione, pensione, sanità e prestazioni di sostegno al red-
dito, all’incirca la metà di quello che assicurano in termini
di gettito.
SOCIETÀ E CONVIVENZA
Sono consistenti gli indicatori di un intreccio sempre più
stretto tra i nuovi venuti e la società che li ha accolti, che
vanno oltre il piano lavorativo.
Le acquisizioni di cittadinanza (39.484 nel 2008) sono
quadruplicate rispetto al 2000 e più che quintuplicate
(53.696) se si tiene conto anche delle cittadinanze ricono-
sciute direttamente dai Comuni. Neppure la rigidità della
normativa costituisce un freno al dinamismo dell’integrazio-
ne e ormai in 4 casi su 10 l’acquisizione della cittadinanza
viene concessa a seguito della residenza previamente matu-
rata. Nonostante ciò l’Italia resta nettamente distanziata dagli
altri Paesi europei per numero di concessioni (solo settima in
graduatoria), proprio in conseguenza di un impianto norma-
tivo restrittivo.
Un altro indicatore significativo sono i matrimoni misti. In
12 anni (1995-2007) sono stati celebrati 222.521 matrimoni
misti, dei quali 23.560 nell’ultimo anno, pari a circa un deci-
mo del totale. Questi matrimoni sono una frontiera avvincen-
te ma a volte difficile da presidiare: non mancano, infatti, i
fallimenti (il 6,7% delle separazioni e il 5,7% dei divorzi
riguardano queste coppie), anche perché spesso manca,
oltre che la preparazione individuale a un’approccio intercul-
turale della relazione, anche un humus sociale che la sosten-
ga. In ogni caso, considerando che separazioni e divorzi inci-
dono nella stessa misura della popolazione straniera su quella
complessiva e, soprattutto, in misura inferiore a quella dei
matrimoni misti sul totale dei matrimoni celebrati in un
anno, il dato non costituisce una particolare anomalia.
4
5
Anche la volontà di acquistare casa nel Paese di elezione,
nonostante le previsioni rigide della normativa in caso di
disoccupazione, si sta affermando sempre più: oltre un
decimo della popolazione immigrata, infatti, è diventata
proprietaria di un appartamento. La crisi congiunturale e la
difficoltà di accesso al credito non potevano non causare
una diminuzione delle compravendite di case da parte
degli immigrati, per giunta con l’importo medio delle
transazioni sceso a 113.000 euro.
Sono dunque concordi gli indicatori statistici su questa
voglia di integrazione, a cui purtroppo sembra corrispon-
dere, da parte di molti italiani, l’impulso a contrastarla.
Sono state migliaia le segnalazioni all’Unar, delle quali
511 riconducibili a qualche forma di discriminazione, in 4
casi su 10 riguardanti immigrati africani, segnatamente
maghrebini. Il lavoro e la casa sono gli ambiti più proble-
matici per quanto riguarda le pari opportunità, come pure
il rapporto con gli enti pubblici, nei cui confronti si sono
sollevate lamentele nel 13% delle segnalazioni. La gravità
delle condizioni lavorative e abitative è confermata dai dati
dei Centri d’ascolto della rete Caritas (372 centri, in rap-
presentanza di 137 diocesi, ai quali si sono rivolte 80.041
persone nel 2008), i quali attestano che, rispetto agli italia-
ni, gli immigrati si presentano molto più raramente per
richiedere un aiuto economico (7% contro 21%).
A turbare molti, per una malintesa volontà di difesa della
religione cristiana, è il panorama multireligioso: in realtà
oltre la metà degli immigrati è cristiana, i musulmani sono
un terzo, le religioni delle tradizioni orientali meno di un
decimo e poi, in misura più ridotta, seguono altre apparte-
nenze. Secondo l’Agenzia europea per i diritti fondamenta-
li, l’Italia è tra gli Stati membri più intolleranti nei confronti
dei musulmani: 1 intervistato su 3 ha dichiarato di aver
subìto un atto discriminatorio negli ultimi 12 mesi. Più
positiva è l’esperienza che si sta facendo con gli ortodossi, i
cui preti celebrano il rito liturgico nelle chiese cattoliche.
Senza confusioni e sincretismi, questo nuovo scenario
dovrebbe aiutare a far riscoprire il senso religioso, a lavora-
re insieme per le opere di pace e il benessere della società e
a non usare Dio come un’arma contro i fedeli di altre reli-
gioni. Vissuta così, la presenza multireligiosa può costituire
un’opportunità di crescita individuale e collettiva, con
riflessi positivi anche sui Paesi di origine.
Le remore da parte degli italiani, a livello sociale, cultura-
le e religioso, hanno trovato una sponda nel cosiddetto
“pacchetto sicurezza” (legge 94/2009), che si è occupato
dell’immigrazione solo con misure di carattere restrittivo,
così che, anche a prescindere dal merito delle misure previ-
ste, è proprio questa unilateralità che lascia insoddisfatti.
Tra i provvedimenti, del resto, si segnalano l’introduzione
di un versamento di 200 euro a carico di chi richiede la cit-
tadinanza o il rilascio/rinnovo del permesso di soggiorno,
come anche la previsione di un permesso di soggiorno a
punti, che qualcuno ha paragonato a una patente a punti
che di fatto è solo a perdere.
PREDISPORSI A UNO SCAMBIO POSITIVO
Per la Caritas e per la Migrantes è fondamentale ricono-
scere la verità nella carità e unire, perciò, la conoscenza alla
solidarietà, secondo l’insegnamento biblico ripreso da Papa
Benedetto XVI nelle sue recenti encicliche e dalla Conferenza
Episcopale Italiana con l’indicazione che “la vera sicurezza
nasce dall’integrazione”.
L’Italia fa sempre più parte integrante dello scenario mon-
diale e, del resto, è dall’estero che ricaviamo circa la metà
della nostra ricchezza. I 4 milioni di cittadini stranieri in Italia,
come i 4 milioni di cittadini italiani all’estero, ricordano la
necessità di inquadrare le questioni nazionali in un’ottica più
ampia.
I dati del Dossier 2009 sottolineano che gli stranieri non
sono persone dal tasso di delinquenza più alto, non stanno
dando luogo a una invasione di carattere religioso, non con-
sumano risorse pubbliche più di quanto versino con tasse e
contributi, non sono disaffezionati al Paese che li ha accolti e,
al contrario, sono un efficace ammortizzatore demografico e
occupazionale. I “grandi numeri” esposti nel XIX rapporto
sull’immigrazione Caritas/Migrantes rivestono anche un valo-
re qualitativo rilevante ai fini della convivenza sociale.
Continuiamo a considerare stranieri gli immigrati e a trat-
tarli come tali, anche se lo sono giuridicamente ma non nei
fatti. Invece, per prepararsi alla società di metà secolo, quan-
do secondo le previsioni un terzo della popolazione italiana
avrà superato i 65 anni, gli immigrati sono una ricchezza
indispensabile ed è in questa prospettiva che sono auspicabili
politiche sociali e familiari più incisive, superando la tentazio-
ne dell’estraneità e favorendo l’inserimento, anche con la
partecipazione al voto amministrativo e la revisione della nor-
mativa sulla cittadinanza, troppo rigida non solo per i bambi-
ni nati in Italia ma anche per i loro genitori insediati stabil-
mente.
A causa del nostro atteggiamento chiuso, i giovani immi-
grati si sentono più cittadini del mondo che italiani (35%
contro 24% delle risposte nell’indagine dell’Università Bocco-
ni): parlano più lingue, ma paradossalmente rischiano di
essere emarginati.
Nel dibattito pubblico non manca chi sostiene che nella
nostra società è accettabile una presenza multietnica ma non
multiculturale, e tanto meno interculturale, dunque una sorta
di mera presenza fisica in assenza di scambi, intrecci e fusioni,
secondo un’impostazione di separatezza. Viene così ripropo-
sta la concezione dei “lavoratori ospiti”, che la Germania ha
definitivamente superato puntando, invece, sull’integrazione
che, seppure attualmente eclissata da un’eccessiva insistenza
sulla sicurezza, è la chiave che permette di gestire adeguata-
mente quanto sta avvenendo e quanto avverrà in futuro.
La scelta da parte di Caritas e Migrantes dello slogan
“conoscenza e solidarietà” è un invito a soffermarsi sull’im-
patto che l’immigrazione può esercitare sul piano della convi-
venza. Nell’attuale situazione, segnata da un tasso di natalità
ancora molto basso, questo innesto va gestito e non contra-
stato per principio, portando gli immigrati a sentirsi inseriti
nella società, a rispettarne le leggi, a coglierne le possibilità di
partecipazione e a dare tutto il loro apporto per la crescita
del Paese. L’auspicio di Caritas e Migrantes è che, come molti
Paesi nel mondo hanno costruito il loro sviluppo con l’appor-
to degli italiani, così anche l’Italia sappia costruire il suo futu-
ro con l’apporto degli immigrati. Il nostro futuro, infatti, ha
sempre più bisogno di uno scambio positivo tra la popolazio-
ne autoctona e quella di origine immigrata.
6
ITALIA. Stranieri residenti per cittadinanza e sesso (31.12.2008)*
Paesi di provenienza Totale % % incidenza donne Paesi di provenienza Totale % % incidenza donne
Romania 796.477 20,5 53,1 Rep. Ceca 5.801 0,1 80,8
Albania 441.396 11,3 45,2 Venezuela 5.339 0,1 67,6
Marocco 403.592 10,4 42,1 Portogallo 5.219 0,1 56,5
Cina 170.265 4,4 47,8 Bielorussia 5.062 0,1 80,3
Ucraina 153.998 4,0 79,9 Capo Verde 4.569 0,1 71,9
Filippine 113.686 2,9 58,1 Thailandia 4.388 0,1 89,9
Tunisia 100.112 2,6 35,9 Montenegro 4.243 0,1 45,0
Polonia 99.389 2,6 70,0 Corea del Sud 4.066 0,1 51,6
India 91.855 2,4 40,9 Libano 3.779 0,1 37,3
Moldavia 89.424 2,3 66,4 Togo 3.777 0,1 34,0
Macedonia 89.066 2,3 43,0 Siria 3.701 0,1 37,3
Ecuador 80.070 2,1 59,4 Cile 3.641 0,1 57,4
Perù 77.629 2,0 60,2 Lituania 3.640 0,1 79,1
Egitto 74.599 1,9 30,3 Messico 3.620 0,1 67,3
Sri Lanka 68.738 1,8 44,5 Congo 3.591 0,1 48,8
Senegal 67.510 1,7 21,3 Svezia 3.496 0,1 67,5
Bangladesh 65.529 1,7 33,3 Congo Rep. Dem. 3.400 0,1 49,6
Serbia 57.826 1,5 45,2 Slovenia 3.101 0,1 47,3
Pakistan 55.371 1,4 31,0 Irlanda 2.912 0,1 53,5
Nigeria 44.544 1,1 55,9 Giordania 2.692 0,1 37,5
Ghana 42.327 1,1 43,4 Guinea 2.679 0,1 36,4
Germania 41.476 1,1 61,5 Canada 2.492 0,1 56,8
Brasile 41.476 1,1 67,6 Sudan 2.395 0,1 15,4
Bulgaria 40.880 1,1 60,1 Israele 2.385 0,1 38,4
Francia 32.079 0,8 60,7 Danimarca 2.302 0,1 63,0
Bosnia-Erzegovina 30.124 0,8 43,3 Benin 2.287 0,1 41,0
Regno Unito 28.174 0,7 55,4 Afghanistan 2.198 0,1 6,0
Algeria 24.387 0,6 32,6 Iraq 2.158 0,1 30,0
Russia 23.201 0,6 80,9 Liberia 2.100 0,1 14,2
Croazia 21.511 0,6 48,2 Australia 2.078 0,1 60,6
Dominicana Rep. 20.583 0,5 65,9 Finlandia 1.784 0,0 78,4
Costa d'Avorio 19.408 0,5 44,6 Lettonia 1.782 0,0 83,7
Colombia 18.615 0,5 64,1 Angola 1.686 0,0 46,9
Spagna 18.258 0,5 72,0 Uruguay 1.676 0,0 59,3
Turchia 16.225 0,4 41,1 San Marino 1.541 0,0 41,5
Cuba 15.883 0,4 76,4 Indonesia 1.533 0,0 78,0
Stati Uniti 15.324 0,4 54,3 Georgia 1.482 0,0 74,4
Eritrea 11.911 0,3 46,4 Libia 1.471 0,0 38,8
Argentina 11.842 0,3 55,6 Kenia 1.383 0,0 59,1
Burkina Faso 10.493 0,3 35,3 Sierra Leone 1.239 0,0 40,0
Svizzera 9.736 0,3 56,5 Uzbekistan 1.193 0,0 79,0
Maurizio 9.188 0,2 54,7 Niger 1.113 0,0 54,3
Paesi Bassi 8.521 0,2 56,4 Vietnam 1.079 0,0 58,8
Slovacchia 8.091 0,2 65,7 Madagascar 1.053 0,0 73,5
Camerun 7.994 0,2 47,2 Paraguay 1.053 0,0 69,9
Etiopia 7.978 0,2 59,3 Norvegia 1.009 0,0 62,8
Kosovo 7.625 0,2 39,9 Kazakistan 999 0,0 79,6
Giappone 7.296 0,2 65,6 Mali 992 0,0 40,0
Grecia 7.285 0,2 45,9 Dominica 984 0,0 68,8
Iran 6.983 0,2 44,5 Malta 849 0,0 68,7
Bolivia 6.796 0,2 63,2 Estonia 838 0,0 89,6
Austria 6.769 0,2 68,2 Gambia 825 0,0 28,4
Somalia 6.663 0,2 50,9 Tanzania 773 0,0 54,7
El Salvador 6.552 0,2 63,3 Apolidi 793 0,0 45,5
Ungheria 6.171 0,2 71,8 Altri 14.145 - -
Belgio 6.008 0,2 58,7 TOTALE 3.891.295 100,0 50,8
* Secondo la stima del Dossier Caritas/Migrantes la presenza regolare complessiva degli stranieri è pari a 4.329.000 persone
FONTE: Dossier Statistico immigrazione Caritas/Migrantes. Elaborazioni su dati Istat
7
ITALIA. Stranieri residenti per provincia e regione (31.12.2008)*
Provincia Totale % vert. % donne Provincia Totale % vert. % donne
Aosta 7.509 0,2 53,5 Toscana 309.651 8,0 51,6
Valle d'Aosta 7.509 0,2 53,5 Ancona 38.587 1,0 51,0
Alessandria 36.666 0,9 51,5 Ascoli Piceno 27.696 0,7 52,3
Asti 21.034 0,5 49,6 Macerata 31.796 0,8 49,9
Biella 10.031 0,3 53,9 Pesaro 32.954 0,8 50,3
Cuneo 48.676 1,3 50,0 Marche 131.033 3,4 50,9
Novara 29.182 0,7 49,6 Perugia 67.296 1,7 53,0
Torino 185.073 4,8 51,4 Terni 18.651 0,5 55,4
Verbania 8.382 0,2 56,1 Umbria 85.947 2,2 53,5
Vercelli 12.068 0,3 51,2 Frosinone 19.144 0,5 52,3
Piemonte 351.112 9,0 51,1 Latina 30.892 0,8 49,9
Bergamo 102.117 2,6 45,2 Rieti 9.912 0,3 54,6
Brescia 149.753 3,8 45,5 Roma 366.360 9,4 53,8
Como 40.495 1,0 49,8 Viterbo 23.843 0,6 51,9
Cremona 34.596 0,9 47,8 Lazio 450.151 11,6 53,4
Lecco 23.812 0,6 47,6 Chieti 16.964 0,4 53,3
Lodi 21.728 0,6 48,3 L'Aquila 19.079 0,5 51,2
Mantova 46.883 1,2 47,2 Pescara 12.676 0,3 55,1
Milano 371.670 9,6 49,4 Teramo 20.922 0,5 52,5
Pavia 44.223 1,1 49,9 Abruzzo 69.641 1,8 52,8
Sondrio 7.002 0,2 52,5 Avellino 9.516 0,2 60,9
Varese 62.537 1,6 49,8 Benevento 4.818 0,1 61,0
Lombardia 904.816 23,3 48,1 Caserta 25.889 0,7 53,3
Genova 54.917 1,4 53,6 Napoli 61.169 1,6 60,6
Imperia 17.632 0,5 52,0 Salerno 29.943 0,8 57,6
La Spezia 13.405 0,3 53,3 Campania 131.335 3,4 58,5
Savona 18.747 0,5 51,2 Campobasso 5.358 0,1 57,5
Liguria 104.701 2,7 52,9 Isernia 1.951 0,1 54,8
Bolzano 36.284 0,9 51,4 Molise 7.309 0,2 56,8
Trento 42.577 1,1 50,7 Matera 5.478 0,1 51,7
Trentino A. A. 78.861 2,0 51,0 Potenza 6.048 0,2 59,7
Belluno 12.728 0,3 53,8 Basilicata 11.526 0,3 55,9
Padova 79.878 2,1 49,6 Bari 31.023 0,8 50,5
Rovigo 15.470 0,4 51,6 Brindisi 5.905 0,2 54,0
Treviso 96.127 2,5 47,3 Foggia 16.933 0,4 52,5
Venezia 63.520 1,6 50,7 Lecce 13.911 0,4 54,3
Verona 96.309 2,5 48,1 Taranto 6.076 0,2 54,0
Vicenza 90.421 2,3 47,1 Puglia 73.848 1,9 52,2
Veneto 454.453 11,7 48,6 Catanzaro 10.481 0,3 54,0
Gorizia 9.688 0,2 44,0 Cosenza 18.120 0,5 57,6
Pordenone 33.172 0,9 48,6 Crotone 5.078 0,1 53,9
Trieste 16.528 0,4 48,9 Reggio Calabria 20.361 0,5 54,1
Udine 35.588 0,9 50,7 Vibo Valentia 4.735 0,1 56,2
Friuli V. G. 94.976 2,4 49,0 Calabria 58.775 1,5 55,3
Bologna 86.701 2,2 51,3 Agrigento 8.482 0,2 51,9
Ferrara 21.985 0,6 54,1 Caltanissetta 4.516 0,1 53,5
Forlì 35.001 0,9 49,3 Catania 20.550 0,5 55,9
Modena 76.281 2,0 48,8 Enna 2.256 0,1 62,0
Parma 45.991 1,2 50,5 Messina 18.882 0,5 55,2
Piacenza 33.141 0,9 48,8 Palermo 23.812 0,6 57,7
Ravenna 36.799 0,9 49,0 Ragusa 16.414 0,4 40,8
Reggio Emilia 59.432 1,5 48,9 Siracusa 9.688 0,2 47,7
Rimini 26.151 0,7 52,5 Trapani 10.032 0,3 50,3
Emilia Romagna 421.482 10,8 50,1 Sicilia 114.632 2,9 52,6
Arezzo 33.072 0,8 51,5 Cagliari 9.999 0,3 52,9
Firenze 94.038 2,4 51,5 Carbonia Iglesias 1.069 0,0 59,0
Grosseto 17.188 0,4 53,5 Medio Campidano 654 0,0 54,9
Livorno 19.832 0,5 54,3 Nuoro 2.394 0,1 51,3
Lucca 24.162 0,6 52,4 Ogliastra 682 0,0 55,9
Massa Carrara 11.758 0,3 49,7 Olbia Tempio 8.119 0,2 52,2
Pisa 30.524 0,8 49,5 Oristano 1.720 0,0 63,4
Pistoia 24.463 0,6 54,2 Sassari 4.900 0,1 59,3
Prato 28.971 0,7 48,4 Sardegna 29.537 0,8 54,6
Siena 25.643 0,7 52,6 Totale 3.891.295 100,0 50,8
* Secondo la stima del Dossier Caritas/Migrantes la presenza regolare complessiva degli stranieri è pari a 4.329.000 persone
FONTE: Dossier Statistico immigrazione Caritas/Migrantes. Elaborazioni su dati Istat
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CARITAS / MIGRANTES: XIX Rapporto sull’immigrazione