Introduzione
La formazione professionale qualifica in modo originale la scuola dei Salesiani fino ad assurgere a criterio di riconoscimento di essi e delle loro opere (Viganò, 1978). La Federazione Nazionale CNOS-FAP è la struttura associativa che in Italia attualizza l’esperienza di don Bosco e dei suoi fi-gli in quest’area.
La Federazione CNOS-FAP è dotata di un proprio Statuto e ispirato ad una cultura associativa e a scelte istituzionali che fanno riferimento all’Ente Promotore denominato “Centro Nazionale Opere Salesiane – CNOS”. Sulle motivazioni di questa scelta, le origini e gli sviluppi del CNOS ha scritto don Pasquale Ransenigo al quale rimandiamo per un approfondimento (CNOS-FAP, 2012, pp. 9-25).
Nostro compito è di presentarne sinteticamente i primi 40 anni di storia . Il periodo di tempo da illustrare è notevole e l’intreccio degli avvenimenti risulta molto complesso.
Abbiamo cercato pertanto di concentrare l’attenzione su quattro fasi:
- il primo decennio di attività tra la fine degli anni ’70 e della prima decade ’80;
- la realizzazione del Centro di Formazione Professionale (CFP) polifunzionale nella prima metà del ’90;
- la costruzione di un sistema maturo ma disomogeneo di Formazione Professionale (FP) nella prima decade agli inizi del terzo Millennio;
- la resilienza della FP e del CNOS-FAP negli anni della grande crisi.
Inoltre, abbiamo inquadrato l’evoluzione della Federazione all’interno delle dinamiche sociali che le hanno fatto da sfondo durante questi 40 anni e, a conclusione di questa breve storia, ne abbiamo tracciato un bilancio.
In questa breve introduzione non poteva mancare un richiamo alla riflessione e all’esperienza sa-lesiana in campo professionale. Ci serviamo delle parole di uno dei nostri maggiori esperti in materia, José Manuel Prellezo: «Nel lungo e laborioso cammino percorso dai laboratori di Valdocco alle scuole tecnico-professionali salesiane sono riscontrabili tappe differenziate nelle quali, pur con qualche ombra o incertezza, emerge sempre più chiaramente l’impegno per i giovani operai come aspetto essenziale della missione dei figli di don Bosco. […]
I laboratori e le scuole professionali hanno consentito ai Salesiani di attuare in modo privilegiato la loro missione giovanile e popolare, attirando le simpatie anche degli ambienti laici. Specialmente in momenti di depressione economica e di scarsa attenzione pubblica all’istruzione professionale, i laboratori e le scuole tecnico-professionali salesiane hanno offerto a numerosi ragazzi/e dei ceti meno agiati un mezzo di promozione sociale. In sintonia con lo spirito delle origini, i documenti più recenti e autorevoli ribadiscono con forza la proposta di mettere i ‘centri d’insegnamento professionale in funzione dei più bisognosi’.
Nella lunga strada - 150 anni ca. - dell’impegno a favore del mondo giovanile per il mondo del lavoro non sono mancati momenti di arresto, situazioni di incertezza, scarsità di personale qualifica-to, offerte meno adeguate alle urgenze nuove del sistema produttivo in trasformazione. Ma neppure sono mancate, d’altro canto, spinte al superamento di tale stato di cose. Dagli studiosi e dagli stessi vertici della Società Salesiana è stato caldeggiato l’invito a sviluppare la creatività e lo spirito di in-ventiva e a puntare sulle professioni ‘più favorite sul mercato del lavoro’. Tale invito è stato sinte-tizzato felicemente, all’inizio del nostro secolo, con l’espressione: ‘coi tempi e con don Bosco’» (Prellezo, 1997, 50-51; Prellezo, 2013).
In sintesi, si può affermare che l’originalità dell’apporto della Congregazione Salesiana e del suo Fondatore in questo campo consiste:
- nella intenzionalità educativa che punta allo sviluppo integrale della personalità del giovane ap-prendista;
- nella concezione promozionale che mira alla sua professionalità;
- nella maturazione etica e socio-politica in vista della formazione dell’“onesto cittadino” (Viganò, 1988).
1. La nascita del CNOS-FAP e il primo decennio di attività
È il momento dell’inizio formale e del periodo di consolidamento della Federazione. Ab-biamo collocato ambedue gli eventi nel trapasso socio-culturale ed economico che si è verificato fra gli Anni ‘70 e ‘80.
1.1. Tra due culture dello sviluppo formativo
Un segno della profonda trasformazione che si è compiuta tra le due Decadi, ‘70 e ‘80, è of-ferto dal ricorso alla categoria della complessità che a partire dagli Anni ‘80 è divenuto sempre più frequente da parte dei sociologi per qualificare globalmente la situazione dei sistemi dei paesi occi-dentali (Malizia - Frisanco, 1991). Essa sta ad indicare la numerosità e la varietà delle componenti sociali, la forza del dinamismo che le muove e le rinnova, le incongruenze non superabili che carat-terizzano le loro relazioni. Sul piano macrostrutturale il referente è dato dalla presenza talmente ab-bondante e diversificata di rapporti che rende impossibile, o quasi, tracciare il quadro unitario di una società, mentre sul micro si sottolinea la distanza che separa le capacità di conoscenza, di scelta e di controllo del singolo da quelle del sistema. I principi d'azione si qualificano per la loro natura settoriale in quanto sono finalizzati al conseguimento degli obiettivi temporanei e specifici dei singoli sottosistemi. Riguardo a questa raffigurazione della società alcuni tendono a evidenziare la moltiplicazione delle possibilità e delle opportunità e l’ampliamento dell’organizzazione, mentre altri sottolineano la graduale ingovernabilità dei sistemi, l’assenza di un centro organizzatore e l’aumento della entropia sociale.
La progressiva terziarizzazione del mondo economico e soprattutto l'intreccio terziario delle culture, che stavano portando l'Italia verso una fase di sviluppo post-industriale, implicavano una trasformazione culturale e sociale di vaste proporzioni, in quanto significavano una razionalizza-zione dei comportamenti, una ristrutturazione dei processi decisionali, un allargamento delle ca-pacità conoscitive. Il trend in questione poneva tra l'altro l'esigenza di un'alfabetizzazione informa-tica dei giovani e delle generazioni adulte e di un apprendimento attraverso le nuove tecnologie, ed era destinato a far lievitare le nuove offerte formative a fianco e in concorrenza alla scuola. Inol-tre, dopo il raggiungimento del traguardo di una soddisfazione diffusa dei bisogni primari, il paese viaggiava verso la qualità sofisticata e non era pensabile che le istituzioni formative potessero con-tinuare a limitare la loro attenzione alle sole problematiche di ordine quantitativo, pena la pro-gressiva emarginazione dalle dinamiche sociali.
Nonostante i segni di crescita e di sviluppo enumerati sopra, non sono mancate problemati-che gravi rappresentate in particolare dai seguenti fenomeni: il mantenimento di forme tradizionali di povertà, anche quantitativamente appariscenti, e l'emergerne di nuove; il permanere di tassi ele-vati di disoccupazione, soprattutto giovanile; l'affermarsi di una competitività sfrenata e di un indi-vidualismo esasperato; una società polarizzata tra una forza lavoro ristretta, impegnata in attività di spessore culturale particolarmente gratificanti, e una porzione quantitativamente molto consistente di persone che svolgono mansioni ripetitive di scarso contenuto culturale.
Nel 1983 il Rapporto Censis sulla situazione sociale del paese faceva notare che il sistema scolastico e di FP si trovava in una situazione di transizione fra due culture dello sviluppo formativo. Negli Anni ‘50-‘70 era prevalso «una sorta di modello lineare e semplice di sviluppo [...], basato su presupposti di quantità, unicità, centralizzazione» (Censis, 1983, 164; Malizia, 1988). Durante il periodo accennato si è assistito a un'esplosione quantitativa della domanda di scolarizzazione, si è passati da una scuola elitaria a una di massa, lo Stato si è sforzato di adeguare il sistema formativo alla domanda sociale, dando priorità alle fasce giovanili, senza però riuscire a soddisfare pienamente e in modo tempestivo le esigenze emergenti. Educazione e scuola risultavano identificate secondo la logica di una società semplice mentre il servizio statale e l'impegno finanziario del Ministero della Pubblica Istruzione occupavano un ruolo centrale rispetto alla formazione organizzata da altri enti pubblici e dai privati. L'offerta formativa si qualificava inoltre per l'uniformità in risposta ad esi-genze comuni e per il prevalere di una situazione di stabilità.
Le nuove tendenze che stavano emergendo sembrano puntare verso «una specie di modello (o meglio di spunti per un modello) complesso [...] basato su presupposti di qualità, di differenziazio-ne e personalizzazione dei servizi, di molteplicità di risorse formative, di decentramento» (Censis, 1983, 164). Mentre l'offerta pubblica continua a restare agganciata ai bisogni tradizionali, la do-manda sociale pur non rinunciando al minimo garantito dallo Stato si orientava decisamente verso la qualità e l'individualizzazione dei percorsi formativi. L'eguaglianza non veniva più ricercata nell'uniformità, ma nel rispetto delle esigenze personali; si affermava la prospettiva della mobilità, della transizione, del passaggio. Emergeva l'alternanza studio-lavoro soprattutto nella fase di primo inserimento professionale in cui si venivano a intrecciare attività lavorative e di formazione, mentre l'utenza potenziale si estendeva agli adulti. Diminuiva il monopolio della scuola sull'educazione, si allargava l'offerta formativa al di là dell'istruzione formale e crescevano i soggetti che offrivano formazione oltre lo Stato. Si sentiva la necessità di superare la contrapposizione fra centralizzazione e decentramento in un'ipotesi di governo dell'istruzione che prevedeva un coordinamento e un controllo centrali accanto a un forte potere locale d'iniziativa.
La formazione non poteva più essere identificata con l'azione dello Stato, ma andava considerata come un sistema allargato e diversificato che abbracciava, oltre all'intervento statale, tutto un complesso di risorse e di agenzie che agivano nell'area dell'educazione. Il “sistema formativo allar-gato” verrebbe ad includere: una pluralità di soggetti che intervengono nel settore della formazione (lo Stato, le Regioni, gli Enti locali, altri enti e privati) tra i quali realizzare ipotesi di coordi-namento, integrazione o almeno interdipendenza; iter formativi differenziati in risposta alle esi-genze di personalizzazione dei percorsi; obiettivi diversificati di apprendimento che dovrebbero essere determinati esplicitamente, valutati con mezzi idonei e certificati con modalità nuove; colle-gamenti diversificati con gli altri sistemi confinanti con il formativo (famiglia, lavoro e tempo li-bero). In tale prospettiva il compito del potere pubblico non veniva annullato, ma trasformato in un ruolo di stimolo, valutazione e supporto.
Quanto in particolare alla FP, con l’approvazione nel 1978 della legge quadro n. 845/78 si concludeva una lunga evoluzione che iniziatasi negli Anni ‘50 aveva gradualmente innalzato la fi-nalità educativa globale del settore dalla prevalenza dell’addestramento alla trasmissione di una cul-tura professionale (Ghergo, 2009a). Il sistema di FP delineato dalla normativa appena richiamata «appare organico e strutturato. Esso fa riferimento ad una rete di CFP, dotati di una notevole libertà di iniziativa nel territorio di riferimento, in stretta relazione con le imprese. Il sistema di FP è inteso in senso alternativo alla scuola, (per questo motivo è stato denominato in modo forse un po’ spre-giativo ‘scuola di serie B’), volto ad offrire alla gran parte degli adolescenti e dei giovani quelli che non proseguivano gli studi dopo la terza media un’opportunità di ‘elevazione culturale’ e di qualificazione professionale, in modo da posticipare l’ingresso nel mondo del lavoro e da garantire loro una migliore dotazione umana e professionale. Dal punto di vista strategico tale impostazione conduce alla delineazione di un sistema regolato come il sistema d’istruzione ma parallelo ad esso, con tipologie formative e ordinamenti didattici definiti, ma che in un secondo tempo sono divenuti in certa parte sostanzialmente rigidi e iterativi, tanto da dare vita ad una componente di CFP a carat-tere para-scolastico» (Gandini - Nicoli, 1999, 270-271; Ghergo, 2009a).
La FP di base, destinata cioè ai giovani con o senza licenza media e con bassa qualifica, aveva registrato negli anni successivi una crescita costante che però si era interrotta nel 1985-86 quando si era verificato un calo significativo degli iscritti; al contrario risultava in aumento la do-manda di corsi professionalizzanti da parte dei diplomati, degli adulti, della forza lavoro in ricon-versione, del grande pubblico (Malizia - Chistolini - Pieroni, 1990). Comunque, dopo la crisi quan-titativa della metà degli Anni ‘80 alla fine della decade (1988-89) si osserva un aumento nel dato globale che però premia i corsi di 2° livello e quelli di formazione sul lavoro, mentre quelli di 1° li-vello presentano una ripresa che, tuttavia, non li riporta sui valori degli inizi del decennio.
Al di là delle problematiche di ordine quantitativo il sottosistema pubblico – Stato, Regioni ed Enti convenzionati – denotava difficoltà di slancio. Le cause erano varie: le carenze del quadro legislativo quali lo stallo della riforma della secondaria superiore che manteneva in una condizione di grave incertezza le sorti della FP di base; il prestigio non molto elevato di cui godeva la FP re-gionale, come di una scuola di serie B; l’inadeguatezza a rispondere ai bisogni del mercato di lavoro, per cui non infrequentemente la decisione sui corsi era condizionata dall’offerta più che dalla domanda; una burocratizzazione pervasiva che si manifestava tra l’altro nella trasformazione ten-denziale delle convenzioni da atto contrattuale ad atto autoritativo, nella standardizzazione soffo-cante di interventi e costi, nell’eccessivo garantismo e nella scarsa flessibilità della politica del per-sonale; la conoscenza insufficiente dei dati della spesa e la mancanza di meccanismi di controllo dei risultati reali (Relazione del Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, 1987).
Indubbiamente a monte incidevano le connotazioni del nuovo ciclo economico accennato sopra quali la progressiva terziarizzazione dei processi produttivi, lo sviluppo impressionante della scienza e della tecnologia, l’internazionalizzazione del mercato. In altre parole, la FP stava attraver-sando una fase di trasformazione caratterizzata dal passaggio da una mono-utenza tradizionale a una pluriutenza di portatori di esigenze nuove e diversificate, dall’ampliamento della gamma dei servizi, dalla crescita e dalla differenziazione delle offerte extrascolastiche, dall’introduzione di nuove tec-niche di autoformazione e di formazione personalizzata.
1.2. La nascita della Federazione Nazionale CNOS-FAP (fine Anni ’70) e il suo consolida-mento (Anni’80)
Entro il quadro di una società in profondo cambiamento, in data 9 dicembre 1977 veniva creata presso notaio la Federazione Nazionale CNOS-FAP (Centro Nazionale Opere Salesiane - Forma-zione e Aggiornamento Professionale). Contestualmente si approvava lo Statuto e si stabilivano le cariche sociali.
La Federazione era promossa dall’Ente CNOS. Questo è «un Ente con personalità giuridica ci-vilmente riconosciuta con D.P.R. 20/9/1967 n. 1016, modificato con D.P.R. 2/5/1969» (Statuto CNOS=STC, a.1) (CNOS, 1977). Il CNOS «fa parte a tutti gli effetti della Congregazione Salesia-na» che lo ha costituito per assicurare ai Salesiani la titolarità giuridica ad inserirsi nell’assetto civi-listico della società e a svolgere attività culturali, formative, educative, ricreative, assistenziali, arti-stiche e sociali, anche con finanziamenti pubblici (STC, a.2). Per conseguire le proprie finalità isti-tuzionali, il CNOS ha promosso la costituzione di Associazioni o di Federazioni settoriali a raggio nazionale, interregionale e regionale in diversi ambiti dell’attività salesiana in Italia, nelle quali esercita un’azione di guida e di controllo in ordine alla ispirazione salesiana, coinvolgendo le istitu-zioni della Congregazione che svolgono attività omogenee (STC, a 2 e 4).
Una delle Federazioni settoriali che il CNOS ha costituito per realizzare i suoi scopi istituzionali è la “Federazione Nazionale Centro Nazionale Opere Salesiane-Formazione e Aggiornamento Pro-fessionale” (CNOS-FAP) (Statuto del CNOS-FAP=StF, a.1) (CNOS-FAP, 1981). Essa persegue i seguenti scopi:
«a. coordinare le attività di formazione professionale svolte dagli Enti Associati, promuovendo eventuali associazioni;
b. promuovere iniziative di studio, ricerca e sperimentazione in rapporto ai problemi inerenti all’orientamento e alla formazione professionale […];
c. curare la formazione e l’aggiornamento del personale docente nei Centri di Formazione Pro-fessionale;
d. collaborare […] a iniziative tendenti alla formazione, qualificazione e riconversione dei lavo-ratori ad ogni livello;
e. promuovere iniziative per l’orientamento professionale e scolastico […];
f. aderire alle organizzazioni regionali, nazionali e ultranazionali che perseguano le stesse finalità […]» (StF, a. 2).
Anche la Federazione CNOS-FAP, al di là delle attività atte a conseguire i propri fini istitu-zionali, opera in prevalenza per la promozione e il coordinamento delle Sedi periferiche e lo fa principalmente attraverso le rispettive Delegazioni Regionali che assicurano alle suddette Sedi iden-tità associativa e servizi culturali e gestionali nel rispetto delle loro autonomie e responsabilità dirette (StF, a.2 e 6).
I soci sono, essenzialmente, di quattro tipi: i soci fondatori di cui all’atto costitutivo; le isti-tuzioni salesiane, le Associazioni promosse dalle stesse o dalla Federazione Nazionale CNOS-FAP che svolgono attività di FP; membri qualificati della società salesiana; istituzioni non salesiane pur-ché operanti nell’ambito della formazione professionale ispirandosi alla Proposta formativa CNOS-FAP (StF, a.9).
Organi sociali e articolazioni della Federazione sono: l’Assemblea Generale che è l’organo su-premo della Federazione; il Consiglio Direttivo Nazionale che è l’organo esecutivo delle delibera-zioni e degli indirizzi determinati dall’Assemblea Nazionale; la Giunta e la Sede Nazionale che at-traverso i propri Uffici e i relativi responsabili assicura piani annuali di attività, ricerca e sperimen-tazione a tutti i livelli; le Delegazioni Regionali; i Settori Professionali; il Collegio dei Revisori dei Conti.
All’interno, poi, della Conferenza degli Ispettori Salesiani di Italia e Medio Oriente (CISI) è con-templata la presenza di un Superiore Provinciale (Ispettore) il quale, assumendo la Presidenza della Federazione CNOS-FAP, assicura il coordinamento e la coerenza con le iniziative nazionali della Congregazione Salesiana nel campo della FP e della scuola, garantendo la fedeltà della Federazione al sistema educativo, alle metodologie e allo stile di S. Giovanni Bosco.
Nell’assetto istituzionale della Federazione è previsto un ruolo significativo per le Delegazioni Regionali a cui presiede il Delegato Regionale, chiamato a svolgere funzioni di rappresentanza della Federazione di fronte alle Amministrazioni Regionali e Locali (StF, a.9).
A livello locale sono attive le Associazioni e/o Federazioni Locali che la Federazione promuove attraverso le delegazioni. I loro compiti si riferiscono prevalentemente alla gestione del personale e delle risorse umane e strumentali dei rispettivi CFP.
Alla costituzione del CNOS-FAP hanno portato anzitutto le stesse ragioni che sono alla base del-la creazione dell’Ente CNOS e delle Associazioni da questo promosse. In particolare, hanno giocato una incidenza significativa su questa decisione: l’esigenza di legittimazione della presenza e dell’azione educativo-pastorale dei Salesiani; il bisogno di garantirsi spazi di libertà in un momento di montante statalismo; la ricerca del dialogo e del confronto con le istituzioni pubbliche, con altri enti e con le associazioni in vista di un servizio culturale ed educativo sempre più efficace alla gio-ventù; il reperimento di finanziamenti pubblici per poter esercitare l’opzione preferenziale per i più poveri (Rizzini, 1988).
Passando più nello specifico della Federazione CNOS-FAP, si possono richiamare alcune moti-vazioni particolari:
- la dipendenza da una associazione civile era necessaria al personale salesiano per operare nella FP ed essere retribuito con finanziamenti pubblici, non potendo tale personale es-sere alle dipendenze del medesimo Ente ecclesiastico di appartenenza;
- inoltre, tali finanziamenti in base alla legge quadro erano erogati mediante conven-zioni a strutture di enti che risultassero emanazione di organizzazioni specifiche o di associazioni con finalità educative sociali;
- sul piano strettamente congregazionale, si consentiva di aggregare le strutture e le iniziative locali mediante un coordinamento di livello nazionale o almeno regionale, uscendo dal settorialismo delle province religiose, o ispettorie nel linguaggio salesiano; va sottolineato che la medesima esigenza di aggregazione emergeva anche nella società civile (Viganò, 1978).
Nel mondo delle politiche della formazione e del lavoro il dialogo culturale per portare avanti le nostre proposte non poteva svolgersi solo nell’ambito del singolo CFP ma richiedeva di elevarsi a livelli più alti per essere introdotto nei punti chiave dove si gioca il futuro in particolare dei giovani. Solo una Federazione che costituisse un corpo organico, sostenuto nella sua azione anche da studi di natura scientifica quali quelli condotti dall’Università Salesiana, poteva effettuare in modo vincente il confronto con i vertici del potere decisionale o con i centri di ricerca che plasmano l’opinione pubblica di un paese. Condizione di un confronto alla pari era anche la disponibilità di un personale qualificato: pure da questo punto di vista la dimensione nazionale del CNOS-FAP offriva una gran-de opportunità positiva. La natura civilistica dell’Associazione poteva facilitare il passaggio da un CFP gestito da soli religiosi come padroni a una comunità educativa che ricerca il massimo di par-tecipazione da tutti coloro che intervengono in questo progetto di crescita umana.
La formula si dimostrò subito positiva. In cinque anni (1977-78/1981-82) gli allievi crebbero del 5% quasi, passando da 8.937 a 9.365, i formatori dell’8% da 714 a 777 e i Centri di 4 unità da 36 a 40 (cfr. Tav.1). Ma il balzo in avanti fu soprattutto qualitativo: i CFP si inserirono dinamicamente nel contesto sociale, mettendo a disposizione della comunità locale civile ed ecclesiale il loro patri-monio culturale, educativo e pastorale, corresponsabilizzando i laici e concorrendo mediante lo strumento dell’associazione del privato-sociale alla elaborazione delle politiche formative a livello locale e nazionale.
A ciò ha concorso il rapido consolidamento del CNOS-FAP che si è compiuto negli Anni ‘80 (Rizzini, 1988). Nel 1980 all’assetto previsto dallo Statuto si aggiungeva quello normativo dei Re-golamenti della Sede Nazionale e delle Delegazioni Regionali che dotava la Federazione di artico-lazioni efficaci sul piano territoriale. Nel 1982 venivano istituiti i Settori Professionali (meccanico, elettromeccanico, elettronico, grafico e le commissioni culturale e matematico-scientifica), mentre il relativo Regolamento diveniva definitivo nel 1987: con questa nuova struttura veniva potenziata la dimensione associativa del CNOS-FAP nel senso che ogni formatore in quanto membro di un set-tore professionale specifico o di una commissione contribuisce a definire le linee generali della pro-grammazione formativa e a tradurle in pratica. Nel 1984 la rivista “Rassegna CNOS” iniziava le pubblicazioni; l’intento era di offrire ai formatori e agli operatori della FP, ai centri di studi impe-gnati in questo ambito, agli amministratori e ai politici un «periodico saggio degli studi e delle ri-cerche degli esperti e l’esperienza degli operatori dei suoi 41 Centri, impegnati oggi particolarmente nella innovazione e sperimentazione della didattica e delle tecnologie formative» (Editoriale, 1984; cfr. anche Editoriale, 1993). In questo modo, si pensava di poter dare un contributo determinante a realizzare uno dei compiti, appena ricordato, che il Rettore Maggiore dei Salesiani, don Egidio Vi-ganò, aveva assegnato fin dall’inizio alla Federazione, quello cioè di realizzare un confronto rigoroso con il mondo culturale e politico a livello nazionale ed europeo sui problemi delle politiche del lavoro e della formazione (1978). Da ultimo, nel 1989 veniva elaborata la Proposta Formativa CNOS-FAP che articolava l’attività della Federazione intorno a quattro strategie fondamentali: la costruzione della comunità formativa come soggetto e ambiente di formazione; la qualificazione educativa e professionalizzante del CFP; la tensione verso una professionalità fondata su una valida e significativa cultura del lavoro ed un progetto di vita; l’offerta del servizio di orientamento profes-sionale.
Pertanto, si può senz’altro condividere il giudizio che il presidente del CNOS di allora, don Felice Rizzini, ha dato sul primo decennio del CNOS-FAP: «La consistenza della Federazione CNOS-FAP, le salde tradizioni maturate in centoquarant’anni di storia e l’assistenza prestata dagli organismi federativi, specie quelli centrali e regionali […] l’hanno resa partecipe di un forte dialogo con il Ministero e le Regioni, con gli Enti di FP, specie con quelli di ispirazione cristiana attraverso la CONFAP, e con gli altri organismi e l’hanno resa capace di esprimere una propria cultura profes-sionale e di fare scelte adeguate, conservando un certo prestigio ed autorevolezza per l’esperienza acquisita, per le ricerche di studio portate avanti con la collaborazione del laboratorio CNOS istituito presso la Facoltà di Scienze dell’Educazione dell’U.P.S., per le pubblicazioni (sussidi e rivista specializzata) e per le iniziative assunte di sperimentazione, specie sotto il profilo didattico ed a fa-vore di giovani in difficoltà e a rischio» (Rizzini, 1988, 174; cfr anche Editoriale, 1994b). In questo periodo l’attività formativa principale era quella di primo livello che però venne profondamente rinnovata nei contenuti e nell’organizzazione sulla base anche dei risultati di numerose maxisperi-mentazioni affidate dalle Regioni e dal Ministero a livello di singolo CFP. La scelta dei giovani e delle famiglie continuava a orientarsi in maniera consistente verso i Centri CNOS-FAP, anche se nel 1986-87 si notava una leggera diminuzione degli iscritti (cfr. Tav.1) anche a seguito del blocco delle iniziative in alcune Regioni, di alcuni esperimenti di pubblicizzazione del personale, della limitazione dei finanziamenti e del ricorso di alcune Regioni a forme generalizzate di aggiornamento che causarono la sospensione delle attività corsuali. Efficace fu l’attività di orientamento che i Centri di Orientamento Scolastico Professionale e Sociale (COSPES), promossi dagli Enti CNOS e CIOFS, offrivano alla Federazione, partecipando alla programmazione educativa, accompagnando gli allievi ed assistendo i formatori e i genitori. Una conferma della consistenza qualitativa e quantitativa delle attività formative poste in essere si può desumere anche dal riconoscimento della Federazione come Ente Nazionale di primo livello per poter fruire dei contributi finanziari previsti dalla legge n. 40/87.
Da ultimo non si può non sottolineare un aspetto che, però, non è specifico di questo periodo, ma che costituisce una costante dei 40 anni di attività del CNOS-FAP. Si tratta dell’impegno “a fare della formazione professionale un vero e proprio sistema”, (Rizzini, 1988, 176) a cui riconoscere parità e autonomia nei confronti del sistema scuola.
2. La Federazione CNOS-FAP durante gli anni ‘90
Agli inizi della decade ’90 l'Italia ha attraversato una fase di attesa e di stanca in cui sembrava che alla fiducia nello sviluppo ulteriore si fosse sostituito il demone della de-costruzione (Censis, 1991). In ogni caso le ombre, anche molto fosche, che gravavano sul nostro cielo, non esaurivano il quadro globale che era molto più vario e complicato: accanto alle crisi e alle sfasature che si erano imposte all'attenzione generale, non andavano dimenticate le lunghe derive positive, né gli spazi e i varchi che si stavano aprendo per rinnovare e adeguare il nostro paese. Tuttavia, nel prosieguo l’attenzione verrà concentrata sugli aspetti negativi perché consentiranno di capire meglio le pro-blematiche della FP e le risposte della Federazione CNOS-FAP.
2.1. Una società inquieta in fase di attesa
Nei primi anni ’90 il processo di sviluppo a lungo termine del nostro paese si trovava in un periodo di stasi e di blocco. Il sovraccarico dei soggetti, dei processi e dei comportamenti aveva portato a una ridondanza non regolata che creava più rigonfiamento che strategia. Al tempo stesso sembrava essere entrata in crisi la tensione ad innovare e a fare qualità: fantasia e creatività, che avevano accompagnato e, soprattutto, preceduto lo sviluppo degli ultimi decenni, apparivano deci-samente in ribasso, mentre la scena denotava una crescente presenza di ordinarietà, ripetitività e routine. Un altro trend negativo poteva essere visto nella tendenziale deresponsabilizzazione dei di-versi centri di decisione ad incominciare dalla famiglia sempre più propensa al consumo che all'investimento o al risparmio.
Una grave sfasatura era riscontrabile anche a livello di intervento pubblico che si caratteriz-zava da una parte per l'aumento incontrollabile del suo costo e dall'altra per la caduta in verticale della sua incidenza e utilità e per la situazione di frammentazione e di crisi in cui versava il sistema di rappresentanza. Ma il pericolo più serio era costituito senz'altro dal fatto che la forza del credere si era molto ridotta sia nei riguardi della politica sia entro la società civile, mentre si affermava il fenomeno, a cui si è già accennato sopra, della de-costruzione: sembrava che si volesse abbattere tutto dall'assetto costituzionale, ai partiti di massa, ai sindacati, agli ordinamenti regionali per, poi, ripartire di nuovo da zero.
Passando infine agli aspetti socio-economici della situazione del paese nella decade ’90, ci si limiterà a sottolineare i mutamenti profondi in atto nel mercato del lavoro per poterli mettere a confronto con la FP. Da una parte si riscontrava un calo delle occupazioni industriali e dei mestieri tradizionali, mentre dall'altra emergevano nuove professioni e quasi-professioni nell'industria e nel terziario: queste ultime rinviavano a paradigmi di lavoro molto diversi dai profili a cui tradizio-nalmente aveva preparato la FP (Butera, 1989). Il mercato del lavoro assumeva un carattere sem-pre più frammentato, mentre la FP si era attrezzata ad offrire formazione solo ad alcuni di questi segmenti, per cui non riusciva a soddisfare la domanda globale. Si registrava inoltre una notevole polarizzazione fra settori forti e deboli della forza lavoro e l'insorgere di una nuova stratificazione sociale; anche in questo caso storicamente la FP si era occupata quasi esclusivamente delle fasce marginali. Altri cambi nel sistema sociale ponevano problemi non semplici alla FP: l'importanza determinante della qualità della persona umana nelle aziende; l'aumento della rilevanza dell'atmo-sfera di un'organizzazione e della sua cultura; una relazione più adulta fra singolo e organizzazione; una domanda diffusa di riconversione delle proprie competenze lavorative; l'esigenza di abilità sempre più complesse; la maggiore mobilità; la richiesta di interventi in tempo reale. In ogni caso non si trattava più di formare persone che dovevano svolgere dei paradigmi di lavoro già de-finiti, ma di preparare operatori che portavano valori e capacità di innovazione, di creatività, di impegno, di qualità e di eccellenza.
Va riconosciuto che la FP aveva conseguito notevoli traguardi negli ultimi 20 anni: una defini-zione più adeguata, una corrispondenza più stretta con il sistema produttivo, un'accettazione cre-scente della sua rilevanza strategica e un riconoscimento più ampio della sua autonomia (Conferenza Nazionale sulla Formazione Professionale, 1992; Ruberto, 1992; Ghergo, 2009a). Tuttavia, il mondo della FP, pur essendosi reso conto sufficientemente dell'evoluzione in atto nella realtà formativa, stentava a tradurla nel proprio sistema in strategie efficaci e generalmente accettate. Inoltre, sebbene si fossero realizzate sperimentazioni valide, i risultati tardavano a ricadere sulle strutture non solo a causa della rigidità degli ordinamenti, ma anche di operatori contrari all'innovazione. I CFP dimostravano sufficiente dinamismo, ma trovavano un freno nella propria origine perché ritenute per lo più strutture di serie B. Le imprese si rivelavano più esigenti quanto all'efficacia controllabile degli interventi e più aperte alla collaborazione con le scuole e i CFP, ma limitavano il loro interesse alla stretta funzionalità delle azioni formative con i miglioramenti produttivi e orga-nizzativi, mentre trascuravano la formazione in vista dello sviluppo prioritario delle competenze dei lavoratori e della ricerca.
È stata anche rimproverata alla FP di quegli anni una considerazione inadeguata del rapporto tra la domanda e l’offerta formativa: infatti, da una parte si registrava un eccesso di offerta forma-tiva rispetto alla domanda sociale da cui seguivano non infrequentemente sovrapposizioni e irra-zionalità, mentre dall'altra l'offerta formativa si rivelava inadeguata nei confronti della domanda economica sia per la preparazione carente degli operatori pubblici sia per la scarsa disponibilità delle imprese ad assumere parte dei costi. Il dibattito sull'offerta tendeva a concentrarsi sul curricolo, sulle metodologie e sulle esigenze occupazionali dei formatori e degli operatori piuttosto che sulla formazione da acquisire al termine del percorso di FP; a sua volta la progettazione curricolare si dimostrava insufficiente soprattutto nel momento dell'analisi della professionalità presente nell'impresa. In aggiunta si riscontrava una eccessiva diversificazione tra le Regioni e non manca-vano aree ad alta concentrazione di condizioni problematiche per cui la situazione stava rasentando la polarizzazione. Il sistema di certificazione era assente o assolutamente inadeguato perché privo del fondamento solido di criteri oggettivi.
Nonostante ciò, il carattere strategico della FP era riconosciuto da una porzione importante di ricercatori e di operatori che la consideravano una variabile determinante della crescita socio-economica. La FP era il sottosistema formativo che nel nostro paese si qualificava per la più grande concretezza in quanto operava nello snodo tra domanda e offerta di lavoro; in particolare essa in-terveniva nella fase di raccordo fra tre gruppi di sistemi: produttivo e scolastico; lavorativo e for-mativo; della stratificazione sociale e della promozione degli strati più deboli della società. Inoltre, presentava un grado notevole di flessibilità e di apertura verso il contesto esterno, anche se non nella misura voluta. In sostanza le strutture della FP erano chiamate a costituire il perno del sistema regionale della transizione-reinserimento, in altre parole del passaggio dalla scuola alla vita attiva e della riqualificazione dei lavoratori. Cinque erano le aree di cui essa di fatto si occupava: la FP di 1° e di 2° livello, la formazione sul lavoro, i corsi speciali, i corsi di altro tipo (Isfol, 1990). Un ruolo così impegnativo esigeva cambiamenti notevoli nelle strutture di FP: emergevano nuovi compiti di integrazione e coordinamento, si richiedeva flessibilità di organizzazione, strutture e curricoli, biso-gnava rendere i CFP capaci di gestire l'innovazione.
Accanto ai problemi organizzativi, l’altra questione centrale degli inizi della decade ’90 era costituita dalla situazione degli operatori della FP che vedeva anzitutto una giustapposizione e fre-quente sostituzione o integrazione delle figure di processo (progettisti, tutor, coordinatori) alle figure di contenuto (docenti, istruttori) (Isfol, 1992). Inoltre, i compiti dei formatori tendevano a com-binarsi nelle forme più varie sia nel momento dell'assunzione che dell'organizzazione del lavoro. Si registrava anche una situazione di elevata instabilità nei ruoli per cui questi non sempre corri-spondevano alle articolazioni precedenti delle figure, né d'altra parte ne emergevano di nuovi che ottenevano un consenso generale e la loro differenziazione era talora molto forte. La struttura del mondo del lavoro in cui coesistevano modalità tradizionali e nuove e una gamma di forme interme-die esigeva dai formatori il possesso non tanto delle abilità di adattamento al cambio quanto la ca-pacità di prevenirlo e di fornire strategie adeguate di risposta.
Di qui l’esigenza di disporre di categorie anche contrattuali che affrontassero la tematica dell’innovazione dei profili professionali e del relativo inquadramento.
2.2. Il CNOS-FAP e il CFP polifunzionale
Le linee fondamentali della politica della Federazione CNOS-FAP agli inizi degli anni ’90 possono essere sintetizzate nei seguenti orientamenti assunti a livello di Assemblee Generali e di Consigli Direttivi Nazionali della Federazione medesima:
«a) un serio impegno da parte di tutti i membri della Federazione, secondo ruoli e responsabilità diversi, coinvolgendo allievi e genitori, per approfondire i valori caratterizzanti la attività formativa salesiana. […]
b) […] le iniziative assunte perché l’elevamento dell’istruzione obbligatoria dai quattordici ai sedici anni possa essere soddisfatto in una pluralità di canali, compreso quello della formazione pro-fessionale. […]
c) La qualificazione del personale, salesiano e laico impegnando: il singolo CFP a diventare fulcro della formazione permanente dello stesso; le Sedi Regionali a progettare un piano regionale adegua-to; e la Sede Nazionale ad organizzare con i Settori Professionali, corsi di qualificazione di aggior-namento, seminari di studio e convegni, ed a riservare negli incontri, previsti dagli statuti e dai regolamenti, temi formativi. A questo scopo vengono ulteriormente valorizzati: la rivista «Rassegna CNOS»; gli studi-ricerche del Laboratorio CNOS; la sperimentazione di nuovi testi e sussidi mul-timediali […].
d) il potenziamento degli organismi nazionali, regionali e locali con personale specializzato e con attrezzature aggiornate e la valorizzazione delle strutture associative, conforme allo statuto ed ai vari regolamenti» (Rizzini, 1988, 176-177).
A nostro parere e anche in relazione alla presentazione della situazione della FP sopra indi-cata, l’aspetto più innovativo dell’attività del CNOS-FAP nei primi anni ’90 va identificata nella elaborazione di un nuovo modello organizzativo del CFP. Come si è osservato sopra, i CFP erano stati raggiunti agli inizi della decade ‘90 da fenomeni di involuzione burocratica (Isfol, 1995). Infat-ti, non infrequentemente si notava una focalizzazione eccessiva sui bisogni degli operatori a scapito dei destinatari; inoltre, non mancavano casi in cui si privilegiava il controllo normativo sulle procedure rispetto alla verifica sostanziale sui risultati. In reazione a questi segnali degenerativi si andava diffondendo l'esigenza di elaborare un modello alternativo al CFP tradizionale.
A tal fine il Laboratorio “Studi e Ricerche” del CNOS-FAP ha realizzato nella prima metà de-gli anni ‘90 quattro ricerche, tre su finanziamento del Ministero del Lavoro (Malizia et al., 1991 e 1993; Malizia et al., 1996) – rispettivamente sul coordinatore progettista, su quello di setto-re/processo e sul direttore e lo staff di direzione – e una dello stesso CNOS-FAP sul coordinatore delle attività di orientamento (Pellerey - Sarti, 1991). Sulla base dei risultati di tali investigazioni è stato possibile elaborare un modello di organizzazione delle azioni di FP che si qualifica per essere al tempo stesso formativo, comunitario, progettuale, coordinato, aperto, flessibile e qualificato (Malizia et al., 1993). In sostanza si tratta del modello del CFP polifunzionale che, mentre da una parte cerca con la pluralità delle sue offerte di adeguarsi alla complessità della società odierna, dall'altra non rinuncia, anzi mira a rafforzare il suo ruolo formativo al servizio di una gamma molto ampia di destinatari. Esso si contrappone alla formula dell’agenzia formativa (Isfol, 1995) che però non sembra trovare il conforto dei dati delle ricerche menzionate sopra.
I risultati di tale impegno associativo hanno costituito il quadro di riferimento entro il quale si è collocato anche un articolo (n.7) del CCNL della formazione professionale convenzionata (1994-1997)
2.2.1. Un modello formativo e comunitario
Gli studi a medio e lungo termine coincidevano in generale su una previsione: l'avvio del terzo millennio sarebbe stato contraddistinto da una vera e propria esplosione delle conoscenze in tutti i campi (Cresson - Flynn, 1995). Nel nuovo modello di società, ricerca, sapere e formazione diventavano il fondamento del sistema sociale e non sarebbero più soltanto fattori di sviluppo: in altre parole, la formazione con la ricerca e il sapere rappresentava il fondamento stesso della società post-industriale o post-moderna.
Anche nella FP la centralità della formazione significa promozione integrale delle persone; in questo caso, tuttavia, tale finalità prioritaria viene raggiunta attraverso l'acquisizione di un ruolo professionale qualificato e di una specifica cultura che è professionale, umanistica ed inte-grale. In altre parole tale cultura deve essere focalizzata sulla condizione produttiva che, a sua volta, va inquadrata in una concezione globale dell'uomo e che ottiene la sua piena significatività nella dimensione etica e religiosa.
La formazione è opera comune, presuppone un accordo di base sulle finalità, i contenuti, le metodologie da parte di tutte le componenti della FP, giovani e adulti, animatori e operatori, geni-tori e collaboratori. La centralità della formazione esige la costruzione di una comunità che sia allo stesso tempo soggetto e ambiente di educazione. I dati delle ricerche evidenziano la convergenza delle opinioni degli operatori della FP sulla centralità della formazione (e di una formazione di qualità) e sul modello comunitario (Malizia et al., 1991 e 1993).
È chiaro che la centralità della formazione e la costruzione di una comunità sono esigenze che si impongono in ogni Centro. Esse vanno realizzate in qualsiasi tipo di CFP, qualunque sia la sua dimensione o il contenuto della sua offerta. Né la complessità delle azioni intraprese dal Centro, né la presenza o la preponderanza di corsi mirati a un pubblico adulto possono indurre a pensare che il CFP si sia trasformato in un'azienda o in un'agenzia. Il CFP rimane un'istituzione formativa e la sua riorganizzazione, pur necessaria ed urgente, resta al servizio della scelta educativa e comunitaria la quale conserva il primato anche nella FP. Ed è questa logica di fondo che distingue principalmente il CFP polifunzionale del CNOS-FAP da certe concezioni agenziali della FP.
2.2.2. Un modello progettuale
In quegli anni si era andato delineando un consenso generale sulla necessità di rinnovare il modello organizzativo delle istituzioni formative, in quanto appariva del tutto superato rispetto alle esigenze attuali della società. La strategia principale di azione andava ricercata nella crescita e nella diffusione di un'adeguata cultura organizzativa che significava fondamentalmente sviluppo della capacità di avviare prassi progettuali di sistema. In altre parole, bisognava anzitutto passare da un approccio organizzativo individualistico e disintegrato ad uno integrato che si traducesse in proposte unitarie e qualificanti di Centro e di corso. In secondo luogo la dimensione progettuale non poteva essere solo una caratteristica dell'azione del singolo formatore, ma doveva connotare l'attività di tutto il sistema. Inoltre, la progettazione doveva includere come componente imprescindibile il controllo; altrimenti i risultati dell'azione organizzativa avrebbero continuato a presentarsi come casuali.
In ogni caso dalle ricerche più volte menzionate emerge chiara ed inequivocabile la do-manda degli operatori di introdurre nella FP la funzione/figura del coordinatore di progetto che viene inteso come un'articolazione della funzione del formatore (Isfol, 1992; Malizia et al., 1991). In altre parole si fa strada una impostazione di natura educativa che parte dal presupposto che il CFP sia principalmente una comunità formativa e più specificamente una comunità di formatori. Ne segue che la progettazione degli interventi impegna la corresponsabilità di tutti e diventa strumento prezioso attraverso cui la comunità formativa si crea e si sviluppa: infatti, tale azione consente alla comunità del CFP di identificare la domanda sociale di formazione, di fissare gli obiettivi dei propri interventi in relazione alle esigenze del contesto, di elaborare strategie educative valide in risposta al territorio, di valutare la propria attività in rapporto alle mete che ci si è posti. In altre parole la progettazione è il cemento che unifica la comunità formatrice e il dinamismo che la fa crescere.
2.2.3. Un modello al servizio della persona
La promozione integrale della persona significa che l'educando occupa il centro del sistema formativo e che pertanto questo deve fare dell'oggetto dell'educazione il soggetto della sua propria educazione. A ogni persona va assicurato il diritto ad educarsi scegliendo liberamente il proprio percorso tra una molteplicità di vie, strutture, contenuti, metodi e tempi; in sostanza, è il sistema formativo che deve adattarsi all'educando e non viceversa.
Indubbiamente, tutti gli operatori, i formatori, l'intero CFP e la FP nel suo complesso sono primariamente impegnati a promuovere lo sviluppo integrale della personalità degli allievi. Tra le nuove funzioni/figure che emergono dalle nostre ricerche, una che è chiamata a svolgere partico-larmente tale servizio è senz'altro quella del coordinatore delle attività di orientamento (Pellerey - Sarti, 1991).
Negli ultimi anni si era passati progressivamente dalla considerazione dell'orientamento come un insieme di servizi, spesso esterni alle istituzioni formative o almeno autonomi da esse, ad una in cui l'orientamento si presentava come un processo educativo, continuo, finalizzato a far acquisire e a far utilizzare alla persona le conoscenze, le abilità e gli atteggiamenti necessari per rispondere adeguatamente alle scelte che continuamente era chiamata ad operare, soprattutto in re-lazione all'attività professionale. Per ottimizzare, armonizzare, sincronizzare le attività formative e didattiche con valenza orientante dei diversi operatori e del Centro nel suo complesso, si è ritenu-to necessario individuare una persona, il coordinatore delle attività di orientamento, che, pur con-tinuando a far parte del corpo docente, in modo particolare si facesse carico della realizzazione coordinata e finalizzata di questo insieme di attività.
2.2.4. Un modello coordinato e integrato
Nella FP era in atto un processo di differenziazione e di moltiplicazione delle funzioni, un tempo accentrate nelle figure del direttore e del formatore anche a motivo della prevalenza di strut-ture semplici, fondate su attività generalmente consolidate (Nicoli, 1991a,b,c). Queste dinamiche di riarticolazione si manifestavano con particolare chiarezza a livello di personale formativo dove sempre più si richiedevano precise specializzazioni di ruoli e funzioni. Esse a loro volta rinviavano alla introduzione di forme nuove di integrazione attraverso la creazione di figure di raccordo quali i coordinatori, in particolare di settore/processo.
A sua volta l’indagine del Laboratorio “Studi e Ricerche” del CNOS-FAP sul direttore aveva messo in risalto una diffusa insoddisfazione nei confronti dell'articolazione dei suoi compiti quale delineata nel CCNL-FP (Malizia et al., 1996). Sembrava necessario un riaccorpamento e una semplificazione di quell’elenco frammentato di mansioni in un disegno sintetico ed essenziale di grandi funzioni. In particolare, sulla base dei risultati dell'indagine si sono proposte le seguenti sei: responsabilità della gestione del CFP nei confronti dell'Ente locale o di formazione; leadership della comunità degli operatori, in particolare attraverso la presidenza dell'organo collegiale dei formatori e la responsabilità della gestione del personale; motivazione del personale e cura del suo aggiornamento; direzione e coordinamento delle attività; coordinamento delle attività progettuali; innovazione dell'organizzazione del CFP.
La stessa indagine ha messo in risalto anche l’emergere di un altro organismo, lo staff di direzione. In proposito, la funzione che viene indicata al primo posto è quella relativa al collegamento tra il CFP e il sistema delle imprese presenti sul territorio. A questa si aggiungono il coordinamento tra le varie attività promosse all'interno del CFP, la preparazione delle principali decisioni da prendere, la pianificazione e l'organizzazione delle attività del CFP in vista del raggiungimento degli obiettivi formativi. Lo staff non è pensato come un contraltare al direttore, ma come un sostegno al ruolo direttivo e una compartecipazione alle attività di conduzione del CFP. Dovrà svolgere consulenza al direttore, presentargli proposte, partecipare alle decisioni, eseguire le iniziative promosse e decise dal direttore, verificare le azioni formative.
2.2.5. Un modello aperto
Nel campo delle istituzioni formative un impatto decisivo è stato esercitato dal nuovo mo-dello di sviluppo, l'educazione permanente: in proposito si possono ricordare due dei suoi assunti principali (Malizia, 1988). Anzitutto, lo sviluppo integrale della persona umana e in particolare, l'educazione di ogni persona, di tutta la persona, per tutta la vita, richiede il coinvolgimento lungo l'intero arco dell'esistenza, oltre che della scuola, di tutte le agenzie educative in una posizione di pari dignità formativa, anche se ciascuna di esse interverrà in tempi e forme diverse secondo la propria natura, la propria metodologia e i propri mezzi (policentricità formativa). In secondo luogo, l'educazione è una responsabilità della società intera, comunità e singoli, che sono chiamati a gestire democraticamente le iniziative formative (società educante).
L'esigenza dell'apertura al contesto attraversa tutte le figure/funzioni della FP. I compiti del coordinatore di progetto convergono in questa direzione: si tratta di individuare la domanda sociale di formazione, di fissare gli obiettivi degli interventi formativi in relazione alle esigenze del con-testo, di elaborare strategie educative valide in risposta al territorio (Malizia et al., 1991). A sua volta il coordinatore di settore/processo costituisce uno snodo tra il CFP, le aziende e i singoli for-matori (Malizia et al., 1993). La funzione del coordinatore delle attività di orientamento è finalizzata tra l'altro a mantenere il coordinamento e il collegamento fra la struttura formativa e i soggetti istituzionali e sociali, il sistema scolastico e formativo, nonché gli eventuali specialisti e Centri specifici di orientamento (Pellerey - Sarti, 1991). Da ultimo, il direttore è chiamato ad assumersi la responsabilità della gestione del CFP nei confronti dell'Ente locale o di formazione.
2.2.6. Un modello flessibile
La flessibilità rappresenta una caratteristica che è connessa strettamente con la nozione di si-stema aperto. Con tale aspetto si è inteso riferirsi ai problemi di sede, di organico di appartenenza, di status. Ciò che si vuole sottolineare è che il sistema del CNOS-FAP è a “geometria variabile”: la sua realizzazione può essere la più varia, tutto dipende dalle particolari condizioni di ogni Centro per cui si può andare da un'attuazione molto elementare alla più complessa; quello che va assicurato in ogni caso è la presenza in ciascun CFP delle funzioni e non delle figure e, nel contesto territoriale, delle necessarie unità specialistiche di supporto (CFP complessi, sede regionale di Ente, servizi territoriali regionali).
2.2.7. Un modello qualificato
Con il termine qualificazione si è voluto significare il tipo di formazione necessario per l'e-secuzione dei vari compiti. La ricerca in questo caso fornisce indicazioni in relazione al coordinatore di progetto, al coordinatore di processo/settore, al coordinatore delle attività di orientamento e al direttore, indicando per ognuno conoscenze e competenze.
Quanto ai requisiti per l'accesso alle quattro funzioni/figure, si riscontra un accordo generale su un’esperienza previa di docenza (e di managerialità per il direttore) e su un corso di formazione in servizio finalizzata. Gli operatori, però, si dividono sulla laurea che per il momento non poteva essere imposta a tutti, ma che dovrà essere introdotta in futuro in relazione anche con la generale elevazione dei livelli culturali di base per l'insegnamento.
3. Agli inizi del terzo millennio: verso un sistema maturo ma disomogeneo di FP
Secondo il Libro Bianco su istruzione e formazione della Commissione europea, nella seconda metà degli anni 90 «la società europea è entrata in una fase di transizione verso una nuova forma di società», la società della conoscenza (Cresson - Flynn, 1995, 22). Tutto ciò significa che la colloca-zione di ogni individuo nella società dipenderà fondamentalmente dalle conoscenze che egli possie-de. «La società del futuro sarà quindi una società che saprà investire nell’intelligenza, una società in cui si insegna e si apprende, in cui ciascun individuo potrà costruire la propria qualifica. In altri termini una società conoscitiva» (Ibidem, 5).
3.1. L’avvento della società della conoscenza
Le nuove tecnologie della comunicazione, informatiche e telematiche, hanno provocato nell’ultimo decennio uno scenario di radicale transizione sociale verso nuove forme di vita e di or-ganizzazione sociale che ha fatto parlare di “società della conoscenza” (Malizia - Nanni, 2010a e bibliografia ivi citata; Cresson - Flynn, 1995; Margiotta, 1997; Nanni, 2000). I micro-processori stanno inducendo sotto i nostri occhi una “rivoluzione globale” dagli esiti non ancora chiari e scon-tati. Ciò si estende non solo alla produzione e alla comunicazione sociale, ma anche ai modi di vita e dell’esistenza individuale, familiare, sociale, mondiale. Si sono accresciute enormemente le op-portunità di accedere all’informazione e al sapere, ma d’altra parte si richiedono adattamenti e competenze nuove che, se mancano, possono provocare emarginazione ed esclusione sociale.
3.1.1. I fattori strutturali
Semplificando al massimo il discorso, si può probabilmente affermare che sul piano econo-mico lo scenario appare dominato da sei dinamiche principali: il passaggio graduale da un'economia di scala ad una della flessibilità, la progressiva terziarizzazione dei processi, l'avvento delle nuove tecnologie, la globalizzazione dei processi, l'emergere del concetto di qualità totale, la transizione da un modello meccanico di organizzazione e di gestione ad uno organico (Giovine, 1998; Malizia - Nanni, 2010a).
In particolare, l'economia della flessibilità ha attribuito il primato al mercato rispetto alla produzione: la riduzione dei costi di produzione conserva la sua rilevanza, ma diviene prioritaria la capacità di risposta alla domanda del mercato nel momento, nel luogo e nel modo appropriato. L'or-ganizzazione del lavoro si contraddistingue di conseguenza per la flessibilità delle tecnologie e delle strutture, per il primato del conseguimento dei risultati sulla esecuzione fedele di prescrizioni e per l'importanza assunta dal piccolo e dal decentramento.
In questo contesto i servizi finali o per la produzione si espandono dando vita ad aziende e amministrazioni specializzate (terziarizzazione esterna) o a strutture specializzate entro la grande impresa (terziarizzazione interna). Il fenomeno è connesso con due altri "trends", uno alla differen-ziazione strutturale e un altro alla integrazione. Il dato di partenza consiste nel fatto che tra i prodotti assumono rilevanza sempre maggiore i servizi immateriali ad alta tecnologia intellettuale.
Il terzo fattore è dato dall'avvento delle nuove tecnologie dell'informazione. Queste sono nuove perché muta l'oggetto che non è più la produ¬zione di un pezzo o la scrittura a macchina di una lettera, ma sono operazioni di natura più intellettuale, come il controllo di processo o l'innovazione. Esse creano problemi per le occupazioni tradizionali in quanto tendono ad assumerne i compiti e perché restringono le possibilità di lavoro. Inoltre, il quasi monopolio che viene esercitato sulle nuove tecnologie dell’informazione dalle grandi potenze o, peggio, da gruppi particolari di interesse, attribuisce a questi ultimi un reale potere culturale e politico su ampi strati dell’opinione pubblica mondiale, soprattutto quelli che sono sprovvisti di sufficienti capacità di interpretare e criticare le informazioni ricevute; non solo, ma anche opera come un fattore potente di omologazione culturale che tende ad annullare le specificità delle varie entità nazionali e dei differenti gruppi.
La libera circolazione mondiale delle immagini e delle parole costituisce tra l’altro uno dei grandi acceleratori della mondializzazione. Più in generale, lo sviluppo im¬pressionante della scienza e della tecnologia, che sta rivoluzio¬nando le nostre società, si caratterizza anche per la globalizzazione dei processi che non si limita alle multinazionali. Di fatto, si estende la cooperazione tra aree geografiche e si sta sviluppando l'integrazione nelle produzioni, nei mercati e negli stili di consumo. Per effetto della deregolamentazione e dell’apertura dei mercati finanziari tutte le economie sono largamente condizionate dai movimenti di masse enormi di capitali che passano con grande velocità da un luogo all’altro, attratti dalle differenze nei tassi di interesse e dalle anticipazioni speculative, e che sembrano imporre le loro esigenze persino ai governi nazionali. Al tempo stesso non si può non riconoscere che l’espansione del commercio mondiale ha esercitato un influsso positivo su vari paesi e che la crescita mondiale è stata fortemente stimolata dalle esportazioni.
L'affermarsi della qualità totale significa che è quest'ul¬tima, intesa come soddisfazione del cliente, e non il profitto, a occupare il primo posto nelle finalità di un'impresa: in altre parole diviene decisiva la qualità percepita dal cliente. A monte dell'emergere di tale concezione vi sarebbe la riscoperta della finalizzazione del processo produttivo all'uomo, che tornerebbe a occupare di nuovo il centro della scena. Le conseguenze sono molto rilevanti anzitutto nei rapporti con l'esterno, in quanto diviene centrale l'impegno per identificare la domanda del clien¬te.
Pertanto, in ambienti complessi, turbolenti, dinamici, incerti, imprevedibili come gli attuali, il modello organizzativo non può più essere centrato sulle procedure della dipendenza e dell'esecu-zione e sugli aspetti formali e strutturali dell'organizzazione, per cui tutto è razionalmente e scienti-ficamente predefinito attraverso una dettagliata descrizione dei sistemi di divisione e controllo del lavoro. Nel nuovo modello si vengono a richiedere alle persone capacità di innovazione, di governo dell'imprevisto e delle varianze, competenze di problem solving, abilità comunicative e relazionali. Non vi sono organizzazioni, attività professionali, competenze "al sicuro''. A tutti i diversi attori è richiesta una grande capacità, quella di governare l'incertezza, di affrontare attivamente il cambia-mento. Adattarsi, anticipare, innovare, rischiare diventano abilità "trasversali", attrezzi culturali di sopravvivenza di soggetti e organizzazioni. Questo contesto più mutevole ed incerto, se da una parte è fonte di minacce, apre dall’altra la via verso nuove opportunità.
In altre parole, si sta compiendo il passaggio da un modello industriale di economia ad uno post-industriale. Il primo pone l'accento su una concezione quantitativa della crescita (“trarre più dal più”), sul volume della produzione, su una impostazione lineare, atomistica, gerarchica, dualistica e manipolativa del lavoro e della sua organizzazione. Il secondo sottolinea la qualità e l'intensità dello sviluppo (“ottenere più dal meno”), il valore della produzione, la natura simbolica, interattiva, conte-stuale, partecipativa, autonoma e intellettuale dell'attività occupazionale e della sua strutturazione. Il mondo delle aziende è dominato da imprese piccole, flessibili, dinamicizzate dalla risorsa “conoscenza”, capaci di produrre una vasta gamma di beni e servizi che sono molto spesso immateriali.
Ciò comporta, “negativamente”, che le grandi imprese riducano le loro attività: le funzioni produttive di base sono conservate, mentre i servizi di supporto vengono affidati a ditte o persone esterne. Per questa via, la grande industria è riuscita a ridurre la forza lavoro in maniera anche molto drastica. Il passaggio al post-industriale si accompagna anche ad un aumento dei fenomeni di precarizzazione e di de-regolazione del lavoro che mettono in crisi il tradizionale sistema di relazioni sociali. Nel contempo la globalizzazione e la informatizzazione contribuiscono ad aumentare la disoccupazione o sotto-occupazione che, a differenza della prima e della seconda “rivoluzione industriale” del passato, non riesce più ad essere interamente assorbita dai settori emergenti (il co-siddetto “quaternario”). Ciò spinge ad un aumento delle diseguaglianze e della forbice delle profes-sionalità, tra una ristretta élite di “ingegneri della conoscenza” e una massa di persone destinate a lavori dequalificati. Sembra quasi che i nostri sistemi sociali non riescano ad assicurare a tutti un accesso equo alla prosperità, a modalità decisionali democratiche e allo sviluppo socio-culturale personale (Consiglio dell'Unione Europea, 2001). In questo contesto tra i gruppi più vulnerabili vanno senz'altro annoverate le persone che presentano specifici problemi di apprendimento e in ge-nere le fasce più deboli della popolazione (disabili, donne, giovani, popolazione rurale, ecc…).
Ritornando ora alla questione occupazionale, si può dire in sintesi che il passaggio alla so-cietà della conoscenza trasforma il senso e il modo di lavorare: nascono nuove professioni, vecchi mestieri cambiano “pelle”, altri scompaiono definitivamente. Si diversificano i lavori, e prima an-cora le tipologie e le forme giuridiche dei rapporti di lavoro. C’è un’indubbia “intellettualizzazione” del lavoro. È richiesta la flessibilità e la mobilità occupazionale e la polivalenza della cultura professionale.
Per rispondere al meglio a queste esigenze del mondo dell'occupazione si dovrà pensare a una nuova figura di lavoratore che non solo possieda i necessari requisiti tecnici, ma anche nuovi saperi di base (informatica-informazione, inglese, economia, organizzazione), capacità personali (comunicazione e relazione, lavoro cooperativo, apprendimento continuo) e anche vere e proprie virtù del lavoro (affrontare l'incertezza, risolvere problemi, sviluppare soluzioni creative).
3.1.2. Le dinamiche culturali
La cultura della società della conoscenza risulta forte¬mente segnata dalla rivoluzione silen-ziosa dei microprocessori (Malizia - Nanni, 2010a; Nanni - Rivoltella, 2006; Botta, 2003; Malizia, 2006). L'avvento delle nuove tecnologie dell'informazione origina spinte contrastanti: moltiplicazione delle opportunità di informazione e di formazione e creazione di nuove forme di analfabetismo e di nuove marginalità; elevazione dei livelli di Cultura Generale e di competenze per l’accesso al mondo del lavoro e parcellizzazione che ostacola ogni tentativo di sintesi; poten¬zialmente personalizzante e al tempo stesso generatrice di consu¬mo passivo da parte soprattutto degli strati più deboli della popolazione; fattore di pluralismo, ma anche all’origine del relativismo etico.
In altre parole i giovani portano nella scuola e nella FP la cultura del frammento che, se ha il merito di aver contribuito a mettere in crisi il dogmatismo delle grandi ideologie, pone gravi proble-mi al sistema educativo. Infatti, la cultura di quest’ultimo presenta caratteristiche opposte: tende a trasmettere una visione sistematica e organica della realtà, vorrebbe offrire ad ogni allievo gli stru-menti per costruire un proprio progetto di vita, radicato nel passato e aperto al futuro, intende aiutar-lo ad elaborare un quadro di riferimento unitario, organico, coerente, trasmette il meglio delle con-quiste della storia in continuità con il passato, forma all'impegno per il bene comune e al rispet¬to dei diritti umani che considera valori perenni da approfondire e da ampliare, ma non da ribaltare.
Sul piano culturale le grandi narrazioni “metafisiche”, i grandi miti dell’Occidente – come ha scritto Lyotard – non riescono più a difendere le loro pretese di assolutezza, di unicità ed egemonia veritativa, cioè di guida vera e ideale per tutti (Lyotard, 1981).
Ad un pensiero prevalentemente analitico, logico, dimostrativo si viene a contrapporre (o a preferire) un pensiero più narrativo, più espositivo; alle concettualizzazioni generali si controbilan-ciano le molte forme dell’autobiografia, del saggio esplorativo attento alle sfumature, alle contami-nazioni cognitive, ai giochi linguistici, alle ibridazioni dei punti di vista. L’assolutezza della scienza lascia il passo a modi di vedere e di esprimersi più “ermeneutici”(cioè insieme più soggettivi, più interpretativi, più comprensivi). Si parlò per questo, negli anni ottanta del secolo scorso di “pensiero debole” (Vattimo - Rovatti, 1983). Alle grandi ideologie, sulla scena delle idee di moda, sono succedute i molti racconti, le più disparate offerte di conoscenza e di saperi. La perdita delle totalità significative spesso diventa definitiva. Frequentemente il frammento non si compone ulteriormente e scade nella frammentazione irrelata (Pera, 1994; Mari, 1995).
La secolarizzazione religiosa (cioè una vita sociale senza religione), più che come “logica conseguenza” del trionfo della scienza e dello sviluppo tecnologico, si è attuata a livello pratico, vale a dire nel senso che le menti e i cuori della gente si sono rivolti più che altro al consumismo, al benessere e al divertimento ma, d’altro canto, ha provocato o comunque è stata controbilanciata da un ritorno di fiamma del sacro, della magia, dei riti, di nuove forme di religiosità e da quella diffusa tendenza ad una religiosità soggettivistica e cosmica, che nelle società del soprasviluppo o comun-que in via di sviluppo ha avuto la sua classica espressione nei movimenti della New Age. Si è parlato in Occidente di neopaganesimo e di politeismo post-cristiano, ma anche di mercato del sacro, di fiera dei misteri, di nuovi percorsi di religiosità e di mistica e di nuove denominazioni religiose (Volli, 1992; Terrin, 1992).
Ciò non ha solo posto problemi alle religioni ufficiali, ma dice quanto l’attenzione alla buona qualità della vita, al mondo delle emozioni e dell’affettività chiede di essere presa in considerazione poiché non esaudita né dalle agenzie tradizionali di senso (chiese, partiti, politica, scienza, tecnica), né da quella che è stata detta la “speranza tecnologica” (Nanni, 2000).
Certamente lo statuto del sapere e del conoscere si è trasformato. Agli studi della mente e della logica c’è da affiancare quelli sull’intelligenza emotiva, dei bisogni, del desiderio. In questo clima si comprende come la coscienza della parzialità di ogni affermazione e della sua inevitabile configurazione storica e culturale vada bilanciata con la irriducibile pretesa di verità e certezza che ognuno viene ad avere quando fa un percorso conoscitivo. Il problema dell’identità va “composto” con quello della molteplicità, del pluralismo, della complessità, senza per forza avere la sensazione teorica e pratica di cadute nel relativismo, nell’incertezza e nella confusione “babelica” (a cui segue solo lo scetticismo) o nella perdita dell’identità personale e etnico-culturale (Morin, 1995; Nanni, 2000; Malizia - Nanni, 2004).
Questi andamenti dei processi storici dell’Occidente vengono a combinarsi e a scontrarsi con gli spostamenti delle popolazioni per i motivi più svariati, da quelli di tipo economico a quelli di tipo politico, culturale, turistico, dando luogo al fenomeno della multicultura. Questa viene a ca-ratterizzare sempre più la vita interna delle nazioni e il quadro internazionale. A livello di cultura ciò tende ad esaltare il fenomeno del pluralismo a tutti i livelli; e inoltre mette in crisi i tradizionali modelli di uomo, di cultura e di sviluppo.
Tutto ciò non è senza riflessi sull’istruzione e sulla formazione.
3.2. Un decennio di riforme
Entro questo quadro, a partire dalla prima decade ’90 si è andata diffondendo nell'opinione pubblica la convinzione che non bastasse intervenire sull'uno o l'altro dei livelli del sistema educativo per risolvere i problemi alla radice, ma che si dovesse procedere a una ridefinizione dell'intera struttura (Malizia - Nanni, 2010a e bibliografia ivi citata; Malizia - Nanni, 2010b; Ghergo, 2009a). Più in particolare, l'esigenza di una nuova architettura nasceva anzitutto dalla riflessione sulle tra-sformazioni della società. Il contesto di accelerazione del cambiamento e gli effetti conseguenti dell'obsolescenza delle professioni e della disoccupazione rendevano urgente sostituire il modello tradizionale focalizzato sulla trasmissione delle conoscenze con uno centrato sull'acquisizione di competenze e di metodi. Al tempo stesso, si dimostrava altrettanto necessario rafforzare la forma-zione culturale generale in modo da abilitare la persona a gestire situazioni complesse dagli sviluppi imprevedibili. Inoltre, appariva urgente che il sistema educativo uscisse dalla autoreferenzialità ed entrasse in relazione con il mondo della produzione. La riforma della scuola rispondeva anche a esigenze di tipo personalistico e socio-politico, nella linea della Costituzione che disegna una co-munità nazionale fatta di membri al contempo persone, cittadini, lavoratori.
Sulla domanda di riforma globale incideva la considerazione delle criticità del sistema edu-cativo esistente. Infatti, si trattava di superare la discontinuità esistente tra i diversi livelli della sco-larizzazione, di togliere l’eccessiva parcellizzazione degli indirizzi della scuola superiore e la loro eccessiva rigidità, di raccordarsi non solo con l’università e il mondo del lavoro, ma anche con i di-versi vissuti culturali delle persone, che si muovono tra i poli opposti dell’analfabetismo di ritorno e l’esigenza di una sempre più incisiva educazione permanente, fra divari non solo economici ma globalmente vitali fra Nord e Sud, fra una generazione e l’altra, fra sviluppo crescente e nuove po-vertà, fra faticosi e lenti processi di integrazione e rinnovate forme di esclusione e disagio.
Il decennio delle riforme inizia con la riforma Berlinguer, legge n. 30/00 . Per quanto ri-guarda la secondaria superiore, questa aveva conservato la tradizionale durata quinquennale. Era cambiata, però, l'età minima dell'entrata, che era ormai di 13 anni in seguito alla fusione tra elemen-tare e media nella scuola di base e la riduzione a 7 anni da 8 della durata complessiva. Il percorso successivo prevedeva sia uno sbocco al termine dei primi due anni per l'assolvimento dell'obbligo formativo in altri sottosistemi - anche tramite forme di integrazione con la FP - sia un'altra uscita alla fine dei cinque verso l'istruzione universitaria o verso quella non universitaria, come la FP di secondo livello, e l'istruzione e formazione tecnica superiore. Il curricolo si articolava in aree: classico-umanistica, scientifica, tecnica e tecnologica, artistica e musicale; ciascuna di queste a sua volta era ripartita in indirizzi (tendenzialmente in numero inferiore agli attuali). Pertanto, le finalità venivano ripensate in funzione di questo complesso quadro di riferimento: da una parte si rinunciava a ogni pretesa di preparazione specialistica e si aboliva qualsiasi strutturazione gerarchica tra i differenti tipi di formazione; dall'altra si decideva di puntare a una diffusione più larga e qualificata di livelli di formazione generale, con l’intenzione di assicurare a tutti i fondamenti culturali della professione futura.
Tutto questo però era previsto all’interno di un modello fortemente scuolacentrico. Infatti, né la legge n. 30/00 né il successivo piano quinquennale di attuazione traducevano in termini concreti la reciprocità e la necessaria integrazione tra scuola e FP; e non era reso operativo il principio secondo cui non è sostenibile, né culturalmente, né socialmente, l’idea di un sistema educativo composto unicamente da scuole. Sicché si continuava a mantenere la FP in una posizione di fondamentale marginalità e di subalternità rispetto alla sostanziale unicità del percorso scolastico. E ciò, mentre nella gran parte dei paesi dell'Unione Europea la FP veniva riconosciuta come parte legittima e non sussidiaria dell'offerta formativa, come canale percorribile di pari dignità con la scuola e come un ampliamento reale del diritto alla formazione.
La riforma Berlinguer aveva confermato l’istituzione dell’obbligo formativo fino a 18 anni, introdotto dalla legge n.144/99 in base al quale per gli studenti che avevano assolto l’obbligo di istruzione si profilavano tre possibili percorsi che era possibile realizzare anche in forma integrata: proseguire gli studi nella scuola secondaria superiore; frequentare la FP ai fini del conseguimento di una qualifica professionale; iniziare il percorso di apprendistato, caratterizzato dalla alternanza for-mazione/lavoro. La successiva riforma Moratti, legge n. 53/03, compie in proposito un ulteriore salto di qualità, assicurando a ognuno il diritto all'istruzione e alla formazione, per almeno 12 anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica professionale entro il diciottesimo anno di età.
Secondo la riforma appena citata, il sistema educativo si articola nella scuola dell'infanzia (3-6 anni), in un primo ciclo che comprende la scuola primaria (6-11) e la scuola secondaria di primo grado (11-14) , e in un secondo ciclo di cui fanno parte il sistema dei licei (14-19) e quello dell'istruzione e della formazione professionale (14-21). Quanto ai licei, sono confermati gli assi culturali tradizionali, classico, scientifico e artistico; al tempo stesso ne nascono dei nuovi, econo-mico, tecnologico, musicale, linguistico, delle scienze umane. Essi hanno durata quinquennale: l'at-tività didattica si sviluppa in due periodi biennali e in un quinto anno che prioritariamente completa il percorso disciplinare e prevede inoltre l'approfondimento delle conoscenze e delle abilità caratte-rizzanti il profilo educativo, culturale e professionale del corso di studi. Si concludono con un esame di Stato il cui superamento rappresenta titolo necessario per l'accesso all'università.
Ferma restando la competenza regionale, il sistema dell'istruzione e della formazione profes-sionale (IeFP) realizza profili educativi, culturali e professionali ai quali conseguono titoli e qualifi-che professionali di differente livello, valevoli su tutto il territorio nazionale se rispondenti ai livelli essenziali di prestazione definiti su base nazionale. Inoltre, i giovani che seguono questi percorsi non soltanto si vedono garantita anno dopo anno una passerella per trasferirsi nei licei, ma hanno anche modo di proseguire dopo i quattro anni per un quinto, un sesto e un settimo anno, così da acquisire una qualifica professionale superiore. Potranno altresì disporre di un quinto anno per affrontare l'e-same di Stato per l'iscrizione all'università.
L’introduzione di un percorso graduale e continuo di istruzione e formazione professionale parallelo a quello scolastico e universitario dai 14 ai 21 anni è in piena linea con le tendenze più diffuse e avanzate del nostro continente. Infatti, la FP non viene più concepita nella gran parte dei paesi europei come un addestramento finalizzato esclusivamente all'insegnamento di destrezze ma-nuali, ma rappresenta un principio pedagogico capace di rispondere alle esigenze del pieno sviluppo della persona secondo un approccio specifico fondato sull'esperienza reale e sulla riflessione in or-dine alla prassi che permette di intervenire nel processo di costruzione dell'identità personale.
L’Accordo Stato-Regioni su istruzione e formazione del 2003 ha consentito di avviare già da quell’anno la sperimentazione dei percorsi triennali di istruzione e di formazione previsti dalla ri-forma Moratti. Questa offerta ha ottenuto un grande successo tra i giovani e le famiglie. Infatti, tra il 2003-04 e il 2008-09, cioè in appena 6 anni, il numero degli iscritti ha registrato un vero balzo in avanti in quanto si è quintuplicato raggiungendo la cifra di 150.489 (Isfol, 2009, 80).
In discontinuità con i suoi predecessori il Ministro della Pubblica Istruzione, on. Fioroni, del governo di centro-sinistra decideva di non elaborare un’altra riforma complessiva del sistema e ha adottato un metodo diverso più pragmatico. Lo stesso approccio, anche se con finalità, contenuti e strategie differenti, è stato assunto dalla on. Gelmini che l’ha sostituito nel 2008 quando il centro-destra è tornato al governo: ma sull’azione di quest’ultima ritorneremo nella sezione successiva quando presenteremo in generale i nuovi regolamenti relativi alla secondaria di 2° grado.
Con la legge n. 296/06 e il decreto 22 agosto 2007, n. 139 l’obbligo di istruzione è stato ele-vato a 16 anni, come anche l’età minima per l’ingresso nel mercato del lavoro. In proposito, va su-bito precisato che, sebbene rappresenti un passaggio necessario nella carriera formativa di un ragaz-zo, esso non possiede una natura terminale perché rientra nell’ambito del diritto-dovere di istruzione e di formazione e pertanto non è una fase di un percorso che si conclude con il conseguimento di un titolo di studio. Inoltre, esso non deve essere confuso con l’obbligo scolastico, perché può essere adempiuto anche frequentando percorsi di istruzione e formazione professionale
Un altro aspetto importante dell’azione del Ministro Fioroni è stato la revisione del secondo ciclo. In particolare, sono stati reintrodotti gli istituti tecnici e professionali e al tempo stesso sono stati aboliti il liceo tecnologico ed economico, con il pericolo però di una ulteriore emarginazione della FP dato il carattere professionalizzante degli istituti, soprattutto di quelli professionali. È pur vero che il titolo che potranno conferire di norma è il diploma di istruzione secondaria superiore, ma è anche previsto che in via sussidiaria e su domanda delle Regioni questi ultimi potranno rilasciare anche qualifiche professionali. C’è da dire, in positivo, che sono attribuiti alla competenza delle Regioni le qualifiche e i diplomi professionali, inclusi in uno specifico repertorio nazionale.
Con l’approvazione il 4 febbraio 2010 in seconda e definitiva lettura da parte del Consiglio dei Ministri di tre Regolamenti, uno per i licei (DPR n. 89/10), uno per gli istituti tecnici (DPR n. 88/10) e uno per quelli professionali (DPR n. 87/10), il ministro Gelmini ha avviato il completamento del progetto di riorganizzazione del sistema educativo italiano di istruzione e di formazione riguardo al suo segmento da più lungo tempo non riformato, quello dell’istruzione secondaria superiore (Tonini - Malizia, 2010; Cicatelli, 2010c).
Prima di passare al loro esame, procediamo a una contestualizzazione (Malizia - Nanni, 2010a; Malizia - Nanni, 2010b). I dati mettono in evidenza che la mobilità sociale in Italia è limitata e che la scuola tende a svolgere una funzione riproduttiva delle diseguaglianze piuttosto che una funzione di lotta alle disparità sociali.
Da sempre si va affermando che una strategia per affrontare questo nodo problematico con-siste nell’assicurare a tutti gli studenti i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali in tema di istruzione e di formazione. In concreto, a fronte dell’elevarsi della complessità, tipica della società globalizzata e della conoscenza, si punta su interventi a favore dell’innalzamento della preparazione di base a livello di diritto-dovere di istruzione e di formazione e di obbligo di istruzione; al tempo stesso si cerca di evitare lo spezzettamento dei saperi.
Un’altra strategia fa capo alla personalizzazione del processo di insegnamento-apprendimento. Infatti, l'eguaglianza delle opportunità nell'istruzione non significa eguaglianza di trattamento, ma eguale possibilità di essere trattati in maniera diversa per poter realizzare le proprie capacità. Pertanto, il processo formativo va organizzato in modo che ciascun alunno possa procedere nell'apprendimento secondo il ritmo che gli è più congeniale.
In questa linea si può leggere l’azione del Ministro Gelmini circa la revisione del secondo ciclo del sistema educativo. La finalità da lei proclamata è stata quella di elevare tutta l’offerta alla “serie A”. Piuttosto che prolungare in maniera indefinita il dibattito sulla precocità o meno della scelta a 14 anni tra secondaria di 2° grado da una parte e istruzione e formazione professionale dall’altra, il Ministro ha inteso evitare le contrapposizioni ideologiche e misurarsi in maniera con-vergente con la sfida di elaborare percorsi capaci di aiutare tutti gli studenti a trovare la strada più adeguata. “L’indifferenziazione dei percorsi, la pretesa di uccidere le propensioni individuali per pretendere, ope legis, che ogni adolescente percorra la stessa strada è la traiettoria più sicura verso gli abbandoni e le dispersioni. Diamo ad ogni persona la sua scuola, e ogni persona troverà nella sua scuola le ragioni per frequentarla con profitto” (Gelmini, 2008, 14). Ovviamente, si dovrà mantenere sempre aperta la possibilità di ripensare la propria scelta e questo per l’intero arco dell’esistenza, assicurando un sistema efficace di apprendimento per tutta la vita.
Tale orientamento del ministro ha trovato da subito un’attuazione importante. Uno dei suoi primi interventi è consistito nella conferma della presenza di un canale di istruzione e formazione professionale nel nuovo obbligo di istruzione già elevato dal Ministro Fioroni a 16 anni (cfr. art. 64 della legge n. 113/08). Più articolata è la valutazione dei tre Regolamenti citati anche per la com-plessità della materia.
Entrando nel merito, mentre la riforma Berlinguer aveva adottato una impostazione unitaria (tutti Licei) e quella Moratti una formula binaria (i sottosistemi dei licei e dell’istruzione e forma-zione professionale), il Ministro Gelmini in continuità con il suo predecessore, l’on. Fioroni, sembra aver optato per un modello a tre poli: i licei; gli istituti tecnici e gli istituti professionali; l’istruzione e la formazione professionale. Come ha affermato S. Cicatelli, la proposta dei Regolamenti costituisce «un riassetto operato su un impianto sostanzialmente confermativo dell’ordinamento da sempre vigente nella scuola italiana. Nessuna ‘riforma Gelmini’, dunque. E ormai anche addio alla ‘riforma Moratti’» (Cicatelli, 2010c, 1). In altre parole, si tratta di una pura e semplice razionalizzazione e modernizzazione dell’esistente sulla base del modello tradizionale della nostro secondo ciclo, con l’aggravante che i percorsi di istruzione e formazione professionale regionale tornano ad essere l’offerta per i “falliti” dei tre percorsi delle scuole statali (licei, istituti tecnici e istituti professionali), ammesso che le Regioni non decidano di affidarli agli istituti professionali.
Detto questo non si può neppure non essere d’accordo con quanto Giuseppe Bertagna evi-denzia di positivo in questi Regolamenti, sempre che il Ministro Gelmini intervenga decisamente per rendere i percorsi di IeFP un canale nazionale e stabile. Riportiamo alla lettera le sue affermazioni: «Cosicché oggi si può dire che entri in vigore la ‘Morfiormini (Moratti, Fioroni, Gelmini)’, davvero la prima riforma dell’impianto degli studi secondari a partire dal ministro De Vecchi (1936) in poi. Non è perfetta. Si poteva fare meglio e forse in maniera anche più strategica. Ma il risultato ‘epoca-le’, viste le abitudini per lo più verbose della nostra classe politica e sindacale, è che finalmente c’è ed entra in vigore. E che fra tre anni il parlamento ha chiesto una seria verifica della sua applicazione. C’è da augurarsi che questa sia condotta coinvolgendo maggioranza ed opposizione, stato e regioni, governo e parti sociali perché al di là delle esasperazioni ideologiche tipiche della lotta politica contingente, la scuola è una cosa troppo seria per essere lasciata al pendolo della maggioranza e agli interessi corporativi» (Bertagna, 2010, 10).
Una valutazione che fa sintesi tra queste posizioni è possibile trovarla nell’analisi di P. Fer-ratini. A suo parere la politica scolastica del ministro Gelmini consiste in un tentativo serio di ripen-sare il nostro sistema educativo sulla base di una ideologia tradizional-moderata che potrebbe essere espressa nello slogan del ritorno alla scuola del tempo che fu con la correzione apportata dai tre “i”, internet, inglese, impresa. Nello stesso tempo non si può contestare il traguardo raggiunto di aver concluso il decennio delle riforme e il sessantennio delle attese deluse introducendo un punto fermo da cui ripartire. In ogni caso, la salvezza del sistema italiano di istruzione e di formazione va cercata fondamentalmente in un ritorno al passato, in un ieri da ripristinare e in recupero della scuola di prima. Nelle parole del Ministro «Autorevolezza, autorità, gerarchia, insegnamento, studio, fatica, merito. Sono queste le parole chiave che vogliamo ricostruire, smantellando quella costruzione ideologica di vuoto pedagogismo che dal 1968 ha infettato come un virus la scuola italiana» (Ferra-tini, 2009, 725). Si tratta di richiami che hanno esercitato finora una forte efficacia di persuasione nei confronti della opinione pubblica, riducendo di molto l’incidenza delle critiche ed evitando che confluissero in un rilevante dissenso sociale.
Non solo i licei e gli istituti tecnici e professionali, ma anche il sottosistema di IeFP è stato raggiunto da un processo parallelo di cambiamento. Esso si è realizzato in una forma più graduale e maggiormente attraverso lo strumento degli Accordi in Conferenza Stato-Regioni piuttosto che me-diante il ricorso ad interventi legislativi (Malizia - Nanni, 2010b; Tonini - Malizia, 2010; D’Agostino, 2010; Frisanco, 2010; Gaudio - Governatori, 2010; Poggi, 2010; Salerno, 2010). Il primo passo è stato compiuto con l’Accordo Stato-Regioni su istruzione e formazione del 2003 (a cui si è già accennato sopra) che, senza attendere lo specifico decreto legislativo, ha consentito l’attivazione in via sperimentale dei corsi di istruzione e di formazione professionale, rivolti alle ragazze e ai ragazzi che, concluso il primo ciclo di studi, manifestano la volontà di accedervi preferendoli all’offerta della secondaria di 2° grado. L’Accordo ha stabilito che i percorsi formativi debbano avere una durata almeno triennale, anche allo scopo di agevolare i passaggi fra sottosistemi, attraverso il riconoscimento di crediti formativi acquisiti non solo negli itinerari appena ricordati, ma anche nell’apprendistato. Ha inoltre deciso di attivare un percorso articolato di partenariato istituzionale a livello nazionale in raccordo con il livello regionale.
La cooperazione tra Stato, Regioni e autonomie locali ha permesso di definire nel 2004 gli standard formativi minimi relativi alle competenze di base; i dispositivi di certificazione finale e in-termedia; e le modalità per riconoscimento dei crediti formativi ai fini dei passaggi tra i sistemi. Nel 2006 sono stati approvati gli standard formativi minimi delle competenze tecnico-professionali rela-tivi a 14 figure in uscita dai percorsi sperimentali.
A sua volta, come si è ricordato sopra, con la legge n. 113/08 il Ministro Gelmini ha ricono-sciuto definitivamente la possibilità di adempiere il nuovo obbligo di istruzione, già elevato dal mi-nistro Fioroni a 16 anni, nei percorsi triennali sperimentali di IeFP.
Infine, l’accordo Stato-Regioni del 2010 ha approvato il primo Repertorio nazionale che comprende 21 figure professionali come sbocco dei corsi triennali e 21 al termine di quattro anni. Esso, inoltre, sancisce la possibilità di ottenere qualifiche e diplomi professionali utilizzabili a livello nazionale e corrispondenti al terzo e quarto livello europeo.
Ma ciò che sembra degno di rilievo è il fatto che – oltre all’evoluzione realizzata sul piano ordinamentale – la IeFP sia riuscita anche a predisporre un modello formativo proprio e avanzato. I capisaldi sono da una parte la definizione di una chiara strategia d’azione focalizzata sulla conce-zione della “persona competente” e dall’altra l’affermazione della centralità dell’“esperienza reale” nei processi di apprendimento. La prima ha permesso di superare ogni forma di giustapposizione tra istruzione e formazione professionale mediante la messa a punto di un’offerta unitaria dal valore pienamente educativo, culturale, sociale e professionale. La seconda ha consentito di costruire un processo di apprendimento su compiti reali, basati sui principi della personalizzazione, della parte-cipazione degli allievi, del compito reale, della comunità di apprendimento, del coinvolgimento della società civile.
Nel complesso si può affermare che l’introduzione dei percorsi sperimentali triennali e qua-driennali ha innovato e migliorato in misura significativa il sottosistema dell’IeFP. Essi «sono di-venuti, infatti, un efficace strumento di prevenzione della dispersione scolastica e di acquisizione di una professionalità competente, accogliendo circa 150.000 giovani (Isfol, 2009); hanno un costo in-feriore rispetto al parallelo percorso scolastico statale triennale (cfr. Rapporto sul futuro della for-mazione in Italia, 2009); si sono rivelati un efficace strumento di promozione della occupabili-tà/occupazione dei giovani (cfr. i monitoraggi regionali)» (Tonini - Malizia, 2010, 16). L’offerta, inoltre, dimostra una evidente natura popolare in quanto gli iscritti provengono in prevalenza dalle classi sociali meno abbienti, da famiglie immigrate e da condizioni disagiate. Del resto, essa non si presenta come concorrenziale rispetto alla secondaria di 2° grado, ma piuttosto come complementa-re: in quanto, in caso di assenza, non verrebbe supplita da alcuna modalità scolastica.
C’è purtroppo da dire che i percorsi di IeFP sono attuati a macchia di leopardo: non si ri-scontrano in tutte le Regioni e solo nel Nord vi è una copertura soddisfacente, mentre la situazione è molto carente nel Centro e nel Sud, tranne che nel Lazio e nella Sicilia. Un discorso simile va ripe-tuto per le risorse che si sono dimostrate inadeguate rispetto alla domanda dei giovani e che oltre tutto sono state oggetto negli ultimi anni di notevoli tagli.
Del tutto diversa da quella sostanzialmente positiva dei percorsi sperimentali dell’IeFP è la valutazione della situazione dell’apprendistato per i minori in vista dell’adempimento del diritto-dovere all’istruzione e alla formazione (Tonini - Malizia, 2010; D’Agostino, 2010; CNOS-FAP, 2010). Infatti, esso è sempre meno utilizzato dalle imprese ed è in crisi sotto l’aspetto formativo: statistiche di fonte regionale parlano di appena 36.905 minori assunti con contratto di apprendistato e di un numero intorno ai 6.500 – che è anche in calo nel tempo – di soggetti che nel 2007 hanno frequentato attività di formazione esterna rispetto ai 125.853 adolescenti tra i 14 e i 17 anni che sono fuori dei percorsi scolastici e formativi (CNOS-FAP, 2010, 2-4). Peraltro, la stessa normativa sull’apprendistato trova problemi di implementazione anche a causa della mancanza della intesa in-teristituzionale tra Ministeri (Lavoro e Istruzione) e Regioni. Certamente, un rilancio potrebbe venire dall’approvazione del Disegno di legge 3 marzo 2010, n. 1167B, che consente l’assolvimento dell’obbligo d’istruzione anche nei percorsi di apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere all’istruzione e alla formazione. Tuttavia, a nostro parere, tale provvedimento potrà raggiungere ri-sultati positivi solo a condizione che sia riorganizzata la dimensione formativa, migliorata la prepa-razione dei formatori e valorizzato l’apporto della IeFP.
3.3. Il cammino della Federazione CNOS-FAP
In questo contesto l’azione della Federazione non poteva limitarsi a semplici ritocchi anche se numerosi, o concentrarsi su determinati ambiti particolarmente carenti. Al ripensamento dell’architettura del sistema educativo di istruzione e di formazione doveva corrispondere un rinno-vamento profondo della FP del CNOS-FAP. È quanto è stato avviato con coraggio e lungimiranza dalla Federazione e che non è ancora compiuto, anche se sono state poste solide fondamenta. Prima di parlare delle grandi linee di intervento del disegno complessivo è opportuno ricordare l’impegno del CNOS-FAP per una riforma del sistema educativo di istruzione e di formazione che mettesse al centro gli allievi, soprattutto quelli più marginali.
3.3.1. La promozione della Formazione Professionale Iniziale (FPI) nella riforma
Una delle direttrici dell’azione del CNOS-FAP è stata quella di opporsi alla legge n.9/99 sull'elevazione dell'obbligo scolastico nelle disposizioni che collocavano la FP in una condizione di marginalità e di subalternità rispetto alla scuola. Al contrario la posizione della Federazione era che tale innalzamento doveva essere realizzato in strutture distinte, ma formativamente equipollenti e interagenti, quelle cioè della scuola e della FP accreditata. In altre parole bisognava prevedere un sistema di offerte plurime con una collaborazione istituzionalizzata tra il sottosistema scolastico e regionale e una mobilità orizzontale garantita tramite crediti didattici certificati. L'elevazione andava attuata sulla base dei principi della diversificazione delle opzioni, della individualizzazione e della personalizzazione dei percorsi, della flessibilità dei modelli di intervento, della continuità dei livelli del sistema formativo, della integrazione delle offerte. Inoltre, ai giovani che, dopo il soddisfa-cimento dell'obbligo, non intendevano continuare gli studi nella secondaria superiore, doveva essere garantito il diritto alla formazione fino al diciottesimo anno di età, prevedendo offerte atte a consen-tire il conseguimento almeno di una qualifica professionale. E alla fine di una lunga battaglia la Fe-derazione è riuscita ad ottenere l’abrogazione della legge.
Una presa di posizione analoga è stata assunta, successivamente, dalla Federazione CNOS-FAP nei confronti del Governo Prodi II, 2006-08 che aveva, tra i suoi punti programmatici, l’innalzamento dell’obbligo scolastico a 16 anni. Si riproponeva, ancora una volta, la tesi che solo la scuola era il luogo idoneo per l’istruzione obbligatoria: quindi, obbligo da assolvere a scuola fino a 16 anni e solo dopo tale data era proposta agli allievi la facoltà di scegliere la Formazione Profes-sionale Iniziale. Le proposte elaborate dalla Federazione CNOS-FAP in sintonia con gli Enti ade-renti a CONFAP e a FORMA hanno portato ad una soluzione condivisa. La sintesi normativa è sta-ta, infatti, l’obbligo di istruzione fino a 16 anni e non l’obbligo scolastico in quanto la “nuova istru-zione” poteva essere assolta anche nei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale (Nicoli, 2006, 47).
Intorno agli anni duemila il CNOS-FAP è stato uno degli ispiratori dell’introduzione dell’obbligo formativo che ha consentito di estendere il diritto alla formazione a complessivi dodici anni per tutti i giovani tra i 6 e i 18 anni. Sull'esempio di altri paesi dell'UE, questa è la strada da percorrere se si vuole veramente assicurare ai giovani quell'ampia formazione di base idonea a promuovere la crescita personale, l'orientamento, la prosecuzione degli studi, l'inseri¬mento nell'atti-vità lavorativa e la partecipazione responsabile alla vita democratica. L’introduzione dell’obbligo formativo può essere considerato il momento del rilancio della FPI intesa come sistema e con finan-ziamento proprio. Solo dopo questa legge, infatti, è stato avviato in Italia il rilancio della FPI anche dal punto di vista normativo.
La Federazione non ha mancato di riconoscere anche gli altri progressi significativi che si sono fatti con la legge n. 30/00 e con gli altri interventi del governo dell’Ulivo. In proposito si pos-sono ricordare la Formazione Integrata Superiore (FIS) e il potenziamento dell'apprendistato e dei tirocini. Nonostante ciò, l’azione del governo rimaneva lontana dal riconoscimento di una piena pa-rità tra scuola e FP.
A ciò si giunge con la riforma Moratti almeno in linea di principio. Infatti, come si è già os-servato sopra, questa configura la FP come percorso alternativo alla scuola, al pari di questa capace di accompagnare gli allievi verso il conseguimento di obiettivi educativo-formativi. A partire dai 14 anni i ragazzi possono inserirsi nel sotto-sistema di istruzione e formazione professionale e, dopo tre anni, acquisiscono una “qualifica professionale”, dopo quattro un “diploma professionale” e at-traverso corsi triennali di formazione superiore, possono ottenere un “diploma professionale supe-riore”, in una prospettiva di crescita professionale verso ruoli tecnici di responsabilità.
Dopo un decennio di acceso dibattito e di aspre contrapposizione (Campione - Ferratini - Ribolzi, 2005) riportato anche nei paragrafi precedenti, oggi, la normativa vigente stabilisce che i giovani assolvono il diritto–dovere all’istruzione e alla formazione almeno fino al conseguimento di una qualifica professionale entro il 18° anno di età, titolo professionalizzante che si consegue presso strutture formative accreditate dalle Regioni (i CFP), nel rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni definiti dalle norme generali dello Stato (legge n. 53/03; D. Lgs. n. 76/05; D. Lgs. n. 226/05, capo III). Leggi ulteriori hanno precisato il secondo ciclo che oggi risulta composto dal (sotto)sistema dell’istruzione secondaria superiore, articolato in licei, istituti tecnici e istituti professionali e dal (sotto)sistema dell’istruzione e formazione professionale, di competenza delle Regioni, nel quale i giovani possono assolvere l’obbligo di istruzione fino al sedicesimo anno di età e il diritto-dovere all’istruzione e alla formazione fino al diciottesimo anno di età (legge n. 296/06, legge n. 40/07, legge n. 133/08).
Il quadro legislativo, sommariamente richiamato, recepisce molte delle istanze espresse nei documenti prodotti e socializzati dalla Federazione CNOS-FAP e condivisi anche in quelli di CONFAP e di FORMA. Questo quadro, pur ancora incompleto, presenta, a giudizio della Federa-zione CNOS-FAP, elementi strutturali positivi.
La Federazione CNOS-FAP ha giudicato positivamente, in primo luogo, la possibilità offerta ai giovani di scegliere la FPI all’età di 14 anni. Si tratta di una tappa, ormai, profondamente assimi-lata dai giovani e dalle famiglie come “età idonea per una prima scelta”; collocare la scelta della FPI accanto a quella scolastica a questa età appare ragionevole perché permette di prevenire, tra l’altro, la prassi di riservare alla FPI solo i giovani che ripiegano dopo un fallimento scolastico. La normativa, sotto questo aspetto, ha recepito le istanze degli Enti di FP aderenti a CONFAP e FORMA superando le posizioni di quanti volevano riservare il prolungamento dell’istruzione obbligatoria alla sola istituzione scolastica. L’obbligo scolastico, pur storicamente meritevole, oggi appare insufficiente ad indicare il conseguimento di un livello di istruzione e di formazione adeguato ai bi-sogni di una persona che vive consapevolmente nella nostra società.
La normativa vigente sulla FPI va, in secondo luogo, nella direzione della “diversificazione e dell’ampliamento dell’offerta formativa”, una via sempre sottolineata dalla Federazione CNOS-FAP e dagli Enti di Formazione Professionale aderenti a CONFAP e FORMA, una via peraltro europea, necessaria anche in Italia sia perché la scuola italiana deve affrontare il problema della dispersione scolastica che è collocata in modo particolare nei “bienni” dei percorsi del sistema dell’istruzione secondaria superiore sia perché, nell’attuale società, la scuola in generale «deve proporre sempre meno modelli omologanti e sempre più rispondere alle sfide della differenziazione, dinanzi ad un destinatario sempre più disomogeneo e ad una utenza caratterizzata, da qualche anno, dalla crescente presenza di stranieri» (Campione - Ferratini - Ribolzi, 2005, 69; Ghergo 2009a). Assumere la FPI come parte dell’intera offerta del secondo ciclo è, senza ombra di dubbio, l’esito più complesso ma anche tra i più positivi del cammino percorso in questi decenni per l’affermazione del successo formativo.
Il riferimento ai soggetti che erogano la FPI rimanda, in terzo luogo, al nodo della “sussidia-rietà orizzontale”. L’introduzione del principio di sussidiarietà in tutto l’ordinamento politico e amministrativo dell’Italia, soprattutto a livello regionale, è una questione importante e, a giudizio di molti, anche decisiva. Se non si riconosce il valore pubblico delle iniziative personali e sociali, infatti, si rischia di indebolire la responsabilità dei cittadini e di rendere sempre più inefficiente il servizio pubblico. È alla luce di questa riflessione che la Federazione CNOS-FAP giudica positivo il co-involgimento degli Enti di FP nello svolgere le attività di FPI a favore dei giovani. Si tratta di una scelta che va nella direzione della valorizzazione degli organismi della società civile senza replicare a livello regionale nuove forme di centralismo. Questo risultato è il frutto di un cammino piuttosto difficile e lungo. Negli anni Ottanta del secolo scorso, infatti, la FPI era stata ricondotta all’interno delle politiche attive del lavoro; era dunque una formazione fuori del sistema scolastico ma poteva essere realizzata, oltre che direttamente dalla Regione, anche da Enti che potevano essere emana-zione delle organizzazioni democratiche dei lavoratori o associazioni con finalità formative e sociali (Legge 845/78, art. 5, comma b). Nel decennio successivo si era registrata una proposta dell’on. Mezzapesa che prevedeva che anche il sistema di FP potesse contribuire all’assolvimento dell’obbligo scolastico, allora ipotizzato fino a 16 anni. Ma la proposta non fu accolta. Negli anni duemila, il Ministro Berlinguer, dopo un obbligo scolastico innalzato fino a 15 anni, introdusse un obbligo formativo extra scolastico fino a 18 anni. La riforma complessiva, però, fu bloccata; nelle Regioni si avviò, in maniera differenziata, solo l’obbligo formativo, in molti casi svolto da una isti-tuzione scolastica che integrava il percorso con moduli di formazione professionale (i c.d. percorsi integrati). Nel periodo successivo, il Ministro Moratti, riformulando l’obbligo scolastico e l’obbligo formativo nel diritto-dovere, coinvolse anche le istituzioni formative nell’assolvimento di tale diritto-dovere. Ma anche questa proposta fu rivista nella legislatura successiva e le Regioni reagirono in modo molto differenziato, avviando modelli diversi di percorso formativo. Con il Ministro Fioroni si ripropose il dilemma tra innalzamento dell’obbligo scolastico e l’allungamento dell’istruzione obbligatoria. La soluzione fu a favore di quest’ultima, ma inquadrata in una fase temporanea. Il Ministro Gelmini, intervenendo ancora una volta sulla materia con la Legge 133/2008, ha stabilito che l’obbligo di istruzione si assolve anche nei percorsi di istruzione e formazione professionale, e sino alla completa messa a regime delle disposizioni contenute nel capo III del D.Lgs. n. 226/05, anche nei percorsi sperimentali di istruzione e formazione professionale. Le istituzioni formative, emanazione delle organizzazioni democratiche dei lavoratori o associazioni con finalità formative e sociali possono concorrere, con la FPI, all’assolvimento del diritto-dovere all’istruzione e formazione fino al diciottesimo anno di età. Questo punto di arrivo, che la Federazione CNOS-FAP giudica positivamente, è aperto ad una nuova sfida, la riforma federale dello Stato. A giudizio della Federazione CNOS-FAP la riforma si giocherà anche su questo aspetto, cioè nel progressivo supe-ramento delle differenze che esistono fra le Regioni in fatto di applicazione del principio di sussi-diarietà orizzontale al campo della FPI. Solo così si avrà un “pluralismo” anche dal punto di vista istituzionale.
Non è esagerato affermare che la Federazione CNOS-FAP ha potuto dare il proprio apporto originale e qualificato soprattutto nell’organizzazione dell’offerta formativa. Ha dato le “ali” al per-corso formativo, qualificandolo sia dal punto di vista pedagogico che metodologico e didattico. La Federazione CNOS-FAP, attiva all’interno di FORMA, da subito, ha contribuito ad elaborare un PROGETTO PILOTA, un idealtipo di percorso caratterizzato da specifici obiettivi da raggiungere, da un preciso modello formativo, da standard professionali e formativi e da una peculiare metodo-logia formativa (FORMA, 2002). La sperimentazione, poi, avviata in molte Regioni, è stata segnata da una notevole documentazione che attesta la vitalità della Federazione CNOS-FAP e degli Enti dove, o come protagonisti o sotto la regia regionale, hanno partecipato attivamente al monitoraggio e alla innovazione del percorso formativo progettato. Si riportano, per offrire al lettore la vastità e la varietà delle tematiche affrontate, i titoli delle principali pubblicazioni prodotte durante la sperimen-tazione. Molte di esse sono state realizzate a livello nazionale e offerte alla Federazione come stru-mento di lavoro o di formazione, altre sono sorte nelle Regioni soprattutto come documentazione del monitoraggio effettuato.
3.3.2. L’aggiornamento del CFP polifunzionale
All’inizio del 1999, la Sede Nazionale CNOS-FAP ha affidato all'Istituto di Sociologia FSE-UPS la realizzazione di un’indagine mirata alla rilevazione di elementi della situazione dei Centri del-la Federazione in riferimento ai requisiti richiesti dal regolamento attuativo della legge 196/97, art. 17, e in vista della individuazione di indicatori di qualità per un CFP polifunzionale (Malizia - Pieroni, 1999). La Federazione avvertiva infatti l'esigenza di individuare nuove forme di aiuto e di supporto soprattutto al direttore e alle figure di staff presenti nei CFP o nella Sede Regionale (impe-gnate in attività di orientamento, coordinamento, analisi, progettazione e valutazione dei fabbiso-gni), essendo questi i ruoli più coinvolti nel processo di cambiamento/rinnovamento. Più in partico-lare, avendo presente un modello organizzativo di CFP dinamico, orientato al sistema qualità e ri-spondente alla logica dell'accreditamento, si intendeva elaborare, con la collaborazione di un gruppo di esperti, un progetto di fattibilità inteso a predisporre un processo permanente di monitoraggio e valutazione delle attività della FP CNOS-FAP.
Dall’indagine emerge che se molto è stato attuato in questi ultimi anni e l'obiettivo della po-lifunzionalità si è rivelato una realtà per molti Centri, la fase di completamento di certi obiettivi ri-chiede ancora ulteriori sforzi e nuove strategie d'intervento. Pertanto, stando ai risultati ottenuti at-traverso il rilevamento, si suggeriscono i seguenti passi da intraprendere, ai fini di una più completa realizzazione del modello CNOS-FAP di CFP polifunzionale.
1) Una prima proposta riguarda il conseguimento della “certificazione” del “sistema qualità”, con tutti requisiti che tale obiettivo comporta.
2) Tra essi va indubbiamente annoverata la introduzione di nuove figure: oltre a quelle che già esi-stono nella più parte dei Centri vanno previsti (meglio ancora se come figure di sistema nello staff) il responsabile dei servizi di sicurezza ed il responsabile della qualità; non ci si nasconde però che saranno sempre più richieste in un immediato futuro anche quella del responsabile delle reti informatiche e del coordinatore delle attività di integrazione (in vista di una FP indirizzata a vantaggio delle fasce deboli, sempre più ampie ed attuali in una società in rapida trasformazione tecnologica), coerentemente anche all'esigenza (avvertita in oltre la metà dei Centri e spe-rimentata in una parte degli stessi) di potenziare l'orientamento e le azioni formative a favore di questi soggetti.
3) Un altro passo da compiere in tempi brevi è quello di una sempre più decisa apertura del CFP al territorio così da assumere una piena posizione di collaborazione, concertazione, integrazione con le varie realtà di riferimento.
4) Continuare, come era stato fatto egregiamente fino a quel momento, nell'organizzazione di corsi di formazione per i formatori nelle due principali direttrici:
a. corsi per tutti, mirati cioè al costante aggiornamento della formazione delle varie figure di formatori;
b. corsi "ad hoc" per la preparazione di figure specialistiche, con particolare riferimento a quelle da introdurre ex-novo.
5) Effettuare un costante monitoraggio sulla “qualità” della formazione erogata nei CFP della Fe-derazione, sulla base di un modello aggiornato di CFP polifunzionale e di standard minimi di qualità e nel rispetto della giusta autonomia di ogni Centro.
6) Creare una rete informatizzata, in grado di collegare tutti i Centri, così da realizzare una infor-mazione in tempo reale su problematiche emergenti e da socializzare innovazioni e sperimenta-zioni in atto.
7) Ampliare e/o rendere accessibile a un maggior numero possibile di Centri la partecipazione a progetti/programmi multiregionali e transnazionali.
Sulla base dei risultati di questa ricerca la Federazione ha ritenuto opportuno orientare lo sforzo di rinnovamento soprattutto in tre direzioni: il potenziamento della formazione dei formatori, l’attuazione dell’obbligo formativo e del diritto-dovere all’istruzione e formazione e la realizzazione di un modello organizzativo di qualità.
3.3.3. Il potenziamento della formazione dei formatori
Anche in questo caso si è partiti con una ricerca che è stata realizzata dalla Sede Nazionale del CNOS-FAP nel gennaio-giugno 2000 con lo scopo sia di approfondire la conoscenza della si-tuazione della formazione del personale del CNOS-FAP, sia di elaborare la proposta di un sistema di qualità per una preparazione più adeguata degli operatori, sia di predisporre un'ipotesi di standard formatori (Malizia - Pieroni - Salatin, 2001). L’indagine evidenzia un posizionamento professionale medio attuale più che buono degli operatori CNOS-FAP (in rapporto ad altri enti italiani), ma se-gnala più o meno indirettamente alcune criticità del sistema organizzativo:
- una situazione con significative eterogeneità tra gli operatori, sia a livello di percezione che di situazioni professionale (es. tra Nord e Sud, tra generazioni e tra salesiani e non salesiani);
- un sistema ancora non adeguatamente orientato all’utenza e al territorio: abituato ad aspettare gli utenti più che ad andare verso di loro (forse perché non ha mai avuto gravi problemi di do-manda e di risorse), non particolarmente preoccupato di ascoltare (non a caso risultano sottodi-mensionate le competenze marketing e valutazione);
- un sistema non molto aperto e tendenzialmente autoreferenziale, che collabora ancora poco con altri soggetti nel territorio; ciò può essere un limite nella prospettiva del “fare rete”;
- un sistema non adeguatamente differenziato nei suoi servizi e funzioni: molto focalizzato sulla erogazione formativa tradizionale con ancora debole presenza di altri servizi (orientamento, ac-compagnamento, counselling, …) e un po’ indietro sulle nuove tecnologie didattiche e sulla FAD.
Circa il dispositivo formativo proposto, sono condivisibili le indicazioni della ricerca con un impianto flessibile basato su:
- formazione d’ingresso: corso formatori (master di primo ciclo o di secondo ciclo per i livelli più alti);
- formazione in servizio: interventi ricorrenti con attenzione all’identità dell’Ente e alla formazione comportamentale (in presenza); sviluppo delle formule a distanza (moduli FAD) e degli stage all’estero.
I dati della ricerca non vanno letti solo in sé, ma anche in rapporto ai trend osservabili a li-vello nazionale. A questo livello e in particolare in rapporto allo scenario dell’accreditamento degli operatori:
- il livello generale degli operatori appare in grado di reggere la copertura delle funzioni previste e dei relativi standard (c’è anche di più rispetto agli standard minimi);
- ci sono segnali incoraggianti di apertura all’innovazione, visto il rilievo dato all’analisi della nuova domanda di formazione implicito nelle risposte relative alla figura del direttore;
- il modello organizzativo può reggere un orientamento alla qualità senza enormi rivoluzioni;
- è possibile rilevare inoltre una complementarità tra il rilievo delle competenze “salesiane” (si-stema preventivo, carisma pedagogico...) collegate alla “mission” e le competenze professionali richieste.
Sulla base di questi dati è stato elaborato un piano con una prospettiva poliennale. Esso s'in-serisce nella missione di servizio della Federazione CNOS-FAP Nazionale alle sedi locali e do-vrebbe integrarsi agli eventuali piani formativi di CFP, ai piani formativi regionali e ai piani formativi individuali, anche in funzione della implementazione delle nuove normative in materia di formazione continua e dello sviluppo della contrattazione collettiva di comparto.
Dal punto di vista degli obiettivi, il piano ha carattere strategico e si propone di sistematizza-re un dispositivo di formazione iniziale degli operatori, in grado di equilibrare le componenti valoriali e professionali, di fornire le linee guida per il consolidamento di un dispositivo di formazione per-manente in servizio, compatibile e coerente con i processi d'accreditamento interno ed esterno in atto, e fornire delle proposte di percorsi per l’acquisizione e/o lo sviluppo delle competenze indivi-duate più necessarie dalla ricerca e/o segnalate dai responsabili dell’Ente.
Il piano assume come criteri di base metodologici la distinzione tra la formazione di ingresso e quella in servizio, di base e specialistica, il principio di interazione tra formazione e attività professionale e la pluralità dei modi di formazione (presenziali e non presenziali). Esso muove inoltre dalla consapevolezza della triplice articolazione degli interventi a livello nazionale, regionale e locale, pur sviluppando solo le proposte relative al livello nazionale.
Per facilitare la traduzione operativa del piano, si è ritenuto opportuno predisporre un cata-logo che contenga una offerta formativa permanente e sistematica per gli operatori, basata sulle buone prassi in atto presso le singole sedi. Più specificamente esso è finalizzato ai seguenti obiettivi:
- «sistematizzare la formazione iniziale degli operatori, in modo da equilibrare le componenti va-loriali e professionali, soprattutto attraverso la proposta di moduli ‘comportamentali’;
- fornire le linee guida per il consolidamento della formazione permanente in servizio, compatibile e coerente con i processi di accreditamento interno ed esterno in atto;
- fornire delle proposte di percorsi per l’acquisizione e/o lo sviluppo delle competenze più neces-sarie individuate dalla ricerca e/o segnalate dai responsabili dell’Ente;
- mettere a sistema la formazione in atto e quella in fase di progettazione e facilitare l’accesso alle informazioni disponibili per quanto riguarda le opportunità di crescita professionale» (CNOS-FAP - CePOF, 2003, 8).
Pertanto, la formazione dei formatori ha raggiunto una metodologia ed una strutturazione sufficientemente stabile. Vengono proposte attività corsuali residenziali nazionali legate soprattutto alla crescita dei settori professionali, attività residenziali locali connesse in particolare ai bisogni delle varie Delegazioni regionali, attività di formazione per il personale direttivo, attività di formazione a distanza per tutti gli operatori. Il catalogo, nella sua globalità, copre tutti i settori, dall’area pedago-gico-salesiana, a quella della dottrina sociale della Chiesa, a quella metodologico-didattica, a quella tecnologica.
3.3.4. La sperimentazione dell’obbligo formativo e del diritto-dovere
Si è trattato di una ricerca-azione che intendeva contribuire allo sviluppo della FP conte-stualmente e in sinergia con la riforma in corso del sistema educativo di istruzione e di formazione (Malizia - Nicoli - Pieroni, 2002). Più specificamente, l’innovazione, a cui l’indagine si è collegata dal momento del suo avvio nel 2000, è costituita dall’introduzione dell’obbligo formativo fino a 18 anni di età, che ha riconosciuto la possibilità (attraverso la Legge 144/99, art. 68) di assolvere tale obbligo in percorsi anche integrati di istruzione e formazione:
1) nel sistema di istruzione scolastica;
2) nel sistema di formazione professionale di competenza regionale;
3) nell’esercizio dell’apprendistato.
Sulla base delle indicazioni legislative, il CNOS-FAP e il CIOFS/FP hanno dato vita ad un progetto sperimentale a carattere nazionale che ha occupato 2 anni, il 2000-01 e il 2001-02. Di se-guito, alcune delle dimensioni più significative.
Anzitutto, l’impostazione seguita integra le esigenze professionali con le culturali e con le educative. In secondo luogo, va sottolineata l’articolazione del modello formativo in saperi (insieme di nozioni strutturate in una materia/disciplina o area culturale), competenze (un saper agire o reagire riconosciuto) e capacità personali (il complesso delle caratteristiche, quali tratti, disposizioni, vo-cazione e attitudini, che il soggetto mette in atto in diverse situazioni e che ne connotano la persona-lità) (Nicoli, 2000). Questa impostazione tiene conto degli aspetti più validi dei modelli dell’IFSOL e della Tecnostruttura delle Regioni e al tempo stesso li supera perché considera i saperi di base, trasforma correttamente le competenze trasversali in capacità personali, arricchisce il gruppo delle competenze professionali e distingue al suo interno un ambito specifico e uno trasversale. In terzo luogo, viene riconosciuta una rilevanza centrale alle istanze della personalizzazione attraverso i moduli dell’orientamento, dell’accoglienza e dell’ac-compagnamento.
I Centri dell’inizio della sperimentazione sono 73 in tutto e si distribuiscono quasi alla pari tra CNOS-FAP e CIOFS/FP, 41.1% l'uno e 38.4% l'altro, mentre i Centri di Formazione Professionale degli altri Enti costituiscono un quinto del totale (20.5%).
Tra il 2000-01 e il 2001-02, gli iscritti al 1° anno della sperimentazione sono cresciuti di 234, pari all’8%, passando da 2.915 a 3.149: il dato attesta del successo dell’iniziativa. Nel 2001-02 van-no aggiunti gli allievi del secondo anno, 1.918, per cui a regime si raggiunge la cifra di 5.067.
Sia nel 2000-01 che nel 2001-02, la grande maggioranza degli iscritti al 1° anno della speri-mentazione (70,1% e 68,1%) si trova in una situazione di difficoltà dal punto di vista scolastico in quanto semplicemente “prosciolti dall'obbligo”: non hanno cioè conseguito la promozione al secondo anno della scuola secondaria superiore e si sono potuti iscrivere alla FP Iniziale perché al com-pimento del quindicesimo anno di età hanno dimostrato di aver osservato per almeno 9 anni le nor-me sull'obbligo scolastico. Il dato evidenzia ancora una volta i gravi limiti della legge n.9/99 sull’elevazione dell’obbligo scolastico, in quanto i ragazzi che volevano iscriversi alla FP erano co-stretti a un anno di parcheggio nella scuola secondaria superiore, senza conseguire nessun risultato utile per il loro percorso formativo neppure quello del passaggio al secondo anno della secondaria.
Passando ad esaminare i flussi degli allievi, si nota che il vero abbandono è inferiore al 10% dei casi, nel 1° anno, e al 5%, nel 2° anno. Le cifre non sono drammatiche, ma rimangono significative e devono spingere a trovare le strategie per rendere solo fisiologiche le uscite prima della conclusione. In ogni caso, l’andamento complessivo dei flussi, in particolare per quanto riguarda il rapporto allievi ritirati/aggiunti, permette di attribuire alla sperimentazione un indubitabile successo in quanto le perdite, a lungo andare, si sono ridotte già a partire dal 2° anno.
Nel 2001-02, i formatori coinvolti nella FPI sperimentale sono 553 e si ripartono tra 398 del CNOS-FAP (72%) e 155 del CIOFS/FP (28%).
Il gradimento degli allievi relativamente al sperimentazione dell’obbligo formativo si situa globalmente sull’“abbastanza” e, in un certo numero di casi, è andato pure oltre (anche se non si ar-riva al “molto”, ci si avvicina ad esso in modo sostanziale).
A sua volta, la soddisfazione dei formatori, si colloca complessivamente sull’ “abbastanza” e, in un certo numero di casi, si è spinta oltre.
In generale, appare una buona predisposizione degli organismi formativi verso una prospet-tiva pedagogica orientata alla personalizzazione dei percorsi formativi, con un approccio che privi-legia la valorizzazione delle modalità attive quali il laboratorio, i compiti reali e non raramente le simulazioni ed i casi di studio. Soprattutto l’analisi delle prassi pedagogiche e didattiche rivela una ricchezza di intenti ed una concentrazione di risorse in direzione di una metodologia completa, or-ganica, ancorata ad un’impostazione educativa, culturale e professionale esplicita. Questo significa che gli organismi indagati – appartenenti alla tradizione “educativo-professionale” – si sono trovati molto a loro agio nel cogliere l’opportunità dell’obbligo formativo al fine di rilanciare la loro pro-posta formativa.
Emerge anche un notevole investimento degli Enti e dei Centri in tema di metodologie di-dattiche (dopo anni di scarsa applicazione in tale ambito), segno di una tendenza profonda che può portare a frutti importanti per l’intero settore. Nasce in tal senso l’esigenza di delineare una modalità di valorizzazione stabile di tale produzione, sotto forma di un “Centro risorse educative per l’apprendimento” (CREA), ovvero una struttura di supporto alla didattica (d’aula, alternativa all’aula, mista), che può essere presente in ogni CFP, e nel contempo inserita in una rete nazionale, nella quale concentrare le risorse che consentono di dare vita a processi di formazione basati su una strategia attiva. In proposito la Federazione ha avviato subito un apposito progetto a livello naziona-le.
Gli esiti della rilevazione consentono di evidenziare alcuni punti chiave dell’impegno dei Centri indagati:
a) l’esigenza del rispetto dell’età evolutiva degli alunni nella fase dell’obbligo formativo;
b) l’attenzione alla continuità tra i cicli, che favorisca il superamento della dispersione, e la necessità di una corretta impostazione dell’orientamento;
c) l’esigenza di predisporre le condizioni per un’effettiva scelta, da parte degli alunni, dei percorsi di scuola o di FP, che abbiano pari dignità culturale, educativa e professionale, a partire dal termine della scuola secondaria di I grado, con inizio dal 14° anno di età, analogamente a quanto avviene in quasi tutti i paesi europei.
In conclusione, la ricerca ribadisce l’importanza della FP come percorso alternativo alla scuola, al pari di questa capace di accompagnare gli allievi verso il conseguimento di obiettivi educativo-formativi e, quindi, all’acquisizione di una “Qualifica professionale” e di un “Diploma professionale” e, attraverso corsi triennali di formazione tecnica superiore, un “Diploma professionale superiore”. La riforma Moratti accoglie questa istanza. Dopo la sperimentazione dell’obbligo formativo la Federazione CNOS-FAP si è impegnata nel monitoraggio della sperimentazione dei percorsi trien-nali e quadriennali di qualifica e di diploma professionale i cui esiti sono documentati nel paragrafo precedente, il 3.3.1.
4. Gli anni della grande crisi: la resilienza della FP e del CNOS-FAP
Come negli altri Paesi Occidentali, l’Italia ha vissuto tra il 2008 e il 2016 un periodo di profonda recessione economica. Il Rapporto Censis del 2012 ne fa una descrizione che ci sembra degna di essere riportata alla lettera perché ci fa entrare a fondo nella situazione: «La realtà si è rivelata diversa da quella che ci aspettavamo, più complicata che nelle crisi precedenti e così “perfida” da imporci una radicale rottura di schema anche interpretativo (prima ancora che decisionale e operativo). Ci siamo infatti trovati dentro fenomeni e processi non padroneggiabili, e in parte neppure comprensibili. […]
‒ sono entrati in gioco “fenomeni enormi” per dimensione e complessità fuori della nostra portata intellettuale e politica (la speculazione internazionale, la crisi dell’euro, la impotenza dell’apparato europeo, la modifica degli assetti geopolitici e altro ancora);
‒ ci sono piovuti addosso “eventi estremi” quasi con caratteristiche di catastrofi naturali (basterebbe pensare a come abbiamo vissuto la dinamica dello spread e il pericolo di default […];
‒ e soprattutto ci siamo ritrovati nella progressiva crisi della sovranità, a tutti i livelli, visto che nessuno, in Italia e altrove, è stato in grado di esercitare un’adeguata reattività decisionale» (p. XII; Malizia - Nanni, 2015).
4.1. Elementi di scenario e le principali riforme
Nonostante le gravi problematiche accennate sopra, la IeFP in generale e soprattutto quella del CNOS-FAP hanno dimostrato una notevole capacità di affrontare con successo le sfide della crisi. Citiamo solo due dati per tutti: tra il 2008-09 e il 2015-16 la prima ha aumentato i propri iscritti nel triennio da 150.489 a 300.328, ossia del doppio quasi, anche se il picco è stato raggiunto nel 2014-15 con 316.599 (e la leggera diminuzione tra il 2014-15 e il 2015-16 è del tutto comprensibile dopo 12 anni di continua crescita) (Crispolti - D’Arcangelo, 2010; Istituto Nazionale per l'Analisi delle Politiche Pubbliche-Inapp, 2017); a sua volta, gli allievi della seconda sono saliti da 18.779 nel 2008-09 a 26.472 nel 2016-17 (l’anno del 40.mo), cioè del 30% circa (Cnos-Fap - Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, 2017). Nelle due sezioni in cui si articolerà questa parte del testo si preciseranno le difficoltà del periodo e le dimensioni della relisienza della IeFP del CNOS-FAP.
4.1.1. I nodi problematici della situazione sociale
Il Rapporto annuale dell’Istat mette a disposizione del Parlamento e dei cittadini i risultati dell’analisi che l’Istituto effettua ogni anno riguardo alla condizione sociale ed economica dell’Italia. Il volume del 2017 offre una sintesi delle dinamiche sociali del periodo della crisi eco-nomica non solo in retrospettiva, ma anche con uno sguardo all’attualità e alle prospettive, non sul piano delle criticità, ma anche degli aspetti positivi (Istat, 2017; Malizia et al., 2017b). I nuclei te-matici principali su cui si concentra l’esame sono sostanzialmente due: la struttura sociale interpretata attraverso i gruppi sociali in cui si distribuisce; la situazione del sistema Paese. Tale impostazione costituirà l’articolazione di base della sezione che segue.
4.1.1.1. Nove gruppi per analizzare il sistema sociale
Per descrivere i gruppi in cui si distribuisce la società italiana, l’Istat ha adottato un metodo nuovo incentrato sulle famiglie piuttosto che ricorrere all’approccio tradizionale delle classi. Infatti, quest’ultimo ha perso gran parte della sua efficacia originaria a motivo della frammentazione del tessuto sociale e i suoi criteri principali di riferimento, titolo di studio, occupazione e reddito, non sembrano in grado di cogliere in maniera soddisfacente la complessità della situazione attuale. Il concetto di famiglia, invece, consente di far entrare in gioco altri criteri in aggiunta a quelli già citati e anch’essi importanti come: la dimensione familiare, l’età, il genere, la presenza di uno straniero, la disponibilità di un’abitazione.
La classificazione seguita colloca nel gradino inferiore quattro tipi di famiglie: a basso red-dito con stranieri e di soli italiani, tradizionali della provincia e, infine, anziane sole e giovani di-soccupati. Esse sono tutte in condizioni economiche difficili.
Le famiglie a basso reddito con stranieri ammontano a 2 milioni quasi (il 7,1% del totale) e comprendono 4,7 milioni di persone (7,8%). Le loro caratteristiche più rilevanti sarebbero le se-guenti: la presenza di almeno un componente straniero; la maggiore povertà; l’età più giovane della persona di riferimento (il principale percettore di reddito); la composizione media di 2,6 persone con un numero consistente di individui soli; la prevalenza di occupazioni non qualificate; il possesso da parte della persona di riferimento di un titolo di secondaria superiore; la residenza nel Centro-nord.
Il secondo tipo di famiglie è costituito da quelle di basso reddito di soli italiani il cui numero è sostanzialmente pari a quello delle precedenti (2 milioni circa o il 7,5%), mentre i componenti sono di più (oltre 8 milioni o il 13,6%) perché includono più membri. Si contraddistinguono per: il reddito basso; l’età relativamente giovane; la composizione media di 4,3 persone; la titolarità di un contratto a tempo indeterminato e l’inquadramento come operai o addetti a operazioni manuali; il possesso di licenza media inferiore; la residenza al Sud.
Il gruppo meno numeroso sia di famiglie (850 mila e 3,3%) che di membri (3,6 milioni e 6%) è rappresentato dalle famiglie tradizionali della provincia. Si differenziano per le seguenti ca-ratteristiche: l’età più avanzata; la prevalenza del modello tradizionale di capofamiglia maschio; la composizione media elevata; la predominanza di commercianti e artigiani; il possesso al massimo di licenza media inferiore; la residenza nel Meridione e nei comuni fino 50 mila abitanti. La presenza contemporanea di un titolo di studio basso e di un numero elevato di membri si riflette negativa-mente sul reddito, abbassandolo in maniera significativa.
Il raggruppamento delle anziane sole e dei giovani disoccupati include 3,5 milioni di famiglie (13,8%) e 5,4 milioni di persone (8,9%). Venendo a ciò che lo specifica, si può dire che: l’età media della persona di riferimento è elevata, 65,6 anni, la sua condizione professionale si caratterizza per l’inattività e in qualche caso per la disoccupazione e il titolo di studio è basso; l’esposizione al pericolo di povertà è notevole, anche perché, oltre ai motivi appena accennati, nel 60% dei casi si tratta di persone sole.
Due dei gruppi si collocano a metà della classifica, nel senso che si possono definire a reddito medio. In concreto, si tratta dei giovani blue-collar e delle famiglie degli operai in pensione.
Il primo raggruppamento comprende 3 milioni circa di famiglie e 6,2 milioni di membri, cifre che tradotte in percentuali corrispondono all’11,3% e al 10,2%. Le loro caratteristiche più rilevanti sarebbero le seguenti: l’età relativamente giovane; una ridotta esposizione al pericolo della povertà; la composizione media di appena 2,1 persone; la titolarità di un contratto a tempo indeterminato e l’inquadramento come operai o addetti a operazioni manuali; il possesso di una licenza di scuola media o di un diploma di secondaria superiore; la residenza in abitazioni in affitto.
A loro volta le famiglie di operai in pensione costituiscono il gruppo più numeroso a livello di famiglie (6 milioni o il 22,7%), ma non in termini di persone (10,5 milioni o il 17,3%). L’età media della persona di riferimento è alta, 72 anni, il reddito raggiunge quasi la cifra media a livello na-zionale, si tratta in prevalenza di persone sole o di coppie senza figli, il capofamiglia risulta nella più gran parte dei casi in pensione e possiede al massimo una licenza media.
La classificazione dei gruppi sociali ne colloca tre nei gradini più alti. In concreto si tratta delle famiglie di impiegati, delle pensioni d’argento e della classe dirigente. Tutte e tre vengono qualificate come benestanti.
Le famiglie di impiegati rappresentano il raggruppamento più numeroso quanto alle persone che lo compongono (oltre 12,2 milioni o il 20% circa), ma non in termini di famiglie (intorno a 4,6 milioni o il 17,8%). Le caratteristiche principali sarebbero le seguenti: l’età relativamente giovane della persona di riferimento che in quattro casi su dieci è una donna; la sua posizione professionale di carattere impiegatizio o di lavoratore autonomo e le buone condizioni di vita della famiglia; la prevalenza di coppie con figli e una composizione media di 2,7 persone; il possesso di almeno un diploma di secondaria superiore.
Il raggruppamento indicato come pensioni d’argento include 2,4 milioni di famiglie (9,3%) e oltre 5 milioni di persone (8,6%). Si contraddistinguono per: il reddito elevato; l’età alta; la com-posizione contenuta di 2,2 persone; la condizione di pensionato; il possesso almeno di un diploma della secondaria superiore.
La classe dirigente abbraccia 2 milioni circa di famiglie (7,2%) e 4,6 milioni di persone. (7,5%). Si differenziano per le seguenti caratteristiche: l’età media di 56,2 anni; la composizione di 2,5 membri; il reddito più alto con il vantaggio del 70% circa rispetto alla media e una maggioranza relativa di dirigenti e di quadri; il possesso generalizzato di un titolo universitario.
Il Rapporto ha cercato di approfondire anche il tema delle diseguaglianze di reddito. In pro-posito, una precisazione da fare consiste nel distinguere due tipi di disparità: quelle tra i gruppi e quelle interne ai gruppi.
Riguardo alle prime, va osservato che, se le percentuali della popolazione presenti in ciascun gruppo e le relative quote di reddito coincidessero, tutti i gruppi disporrebbero del medesimo reddi-to medio e non ci sarebbero disparità fra i gruppi, ma questo non si registra per esempio tra i gruppi che si collocano agli estremi della ripartizione dei redditi che, pertanto, sperimentano i benefici maggiori nel primo caso e gli svantaggi più rilevanti nel secondo. In particolare, la percentuale delle famiglie a basso reddito di soli italiani o con stranieri nella popolazione è significativamente supe-riore alla porzione di reddito che spetta loro. L’andamento è invece opposto per la classe dirigente, le pensioni d’argento e gli impiegati. In relazione all’anno di inizio della crisi, il 2008, lo svantaggio delle famiglie a basso reddito con stranieri cresce per cui esse sono il gruppo che più ha sofferto per la recessione, mentre la situazione di svantaggio delle famiglie a basso reddito di soli italiani è ri-masta la stessa nel tempo e quella delle famiglie di operai in pensione è in parte migliorata.
Passando alle disparità nei gruppi, unicamente le anziane sole e i giovani disoccupati pre-sentano una variabilità notevole all’interno; al contrario le famiglie degli impiegati e degli operai in pensione evidenziano il livello più basso di differenze. Globalmente si può dire che nel 2015 le di-seguaglianze nei redditi dipendono per l’80% da fattori interni ai gruppi e per il 20% da disparità fra i gruppi.
4.1.1.2. La situazione economica e sociale del 2016
A livello demografico, l’invecchiamento della popolazione è l’andamento che caratterizza l’Italia nel contesto internazionale. Le nascite diminuiscono e nel 2016 si è raggiunto il record nega-tivo di sole 474 mila all’anno, il numero delle morti (608 mila) è alto in linea con l’invecchiamento, il saldo naturale si presenta negativo (-134.000), il secondo peggiore di sempre, e il saldo migratorio non colma le diminuzioni. Di conseguenza, si riscontra un calo nella popolazione residente che si riduce a 60,6 milioni.
In un contesto mondiale in sviluppo sul piano economico, anche se con una lieve decelera-zione nel 2016 (+3,1% rispetto al +3,4% dell’anno precedente), la ripresa del nostro Paese, avviata nel 2015, si consolida, registrando un aumento dello 0,9% del Pil; anche quest’anno tale andamento è da attribuire alla domanda interna che sale dell’1,4%. Nonostante ciò, il trend positivo trova diffi-coltà ad affermarsi pienamente a motivo della elevata volatilità dei principali indicatori congiunturali e della disomogeneità dei dati provenienti dal comparto dei servizi, non sempre favorevoli; pure la sostanziale stabilità dell’inflazione negli ultimi tre anni non è un segnale confortante perché indica una stasi del mercato per cui, tra l’altro, la notizia dei primi mesi del 2017 su una risalita dell’inflazione va vista con favore. Inoltre, la ripresa non riesce a raggiungere nella stessa misura tutti i gruppi sociali e l’indice di grave deprivazione materiale sale dall’11,5% del 2015 all’11,9% del 2016 e incide in maniera più negativa sulla situazione dei genitori soli, in particolare con figli minori, e dei residenti nel Sud.
Un segnale certamente positivo è la crescita degli investimenti fissi lordi in continuità con il 2015. In aggiunta, le importazioni di beni e servizi sono aumentate in volume più delle esportazioni, benché l’interscambio commerciale in valore sia caratterizzato da un andamento opposto. Pertanto. la quota delle esportazioni di merci italiane è aumentata rispetto a quelle mondiali, dimostrando che la capacità delle imprese italiane di competere sui mercati internazionali si sta rafforzando.
Come si sa, le difficoltà dell’economia italiana sono dipese in misura considerevole anche dalla prolungata stagnazione della produttività che si è accumulata tra il 2000 e il 2014. In questo momento è in atto un lento recupero che, però, rimane fragile in quanto è da attribuire maggiormente al rinnovamento esogeno della tecnologia produttiva e meno a cause endogene connesse a un mi-glioramento delle strategie delle imprese. Tuttavia, dato che secondo le previsioni del Fondo Mone-tario Internazionale il mercato mondiale registra un’accelerazione del prodotto e del commercio che è da collegarsi con il miglioramento delle prospettive dei Paesi sviluppati, si può ragionevolmente ipotizzare sulla base degli attuali indicatori qualitativi dell’Italia che quest’ultima sia destinata a sperimentare una fase di crescita benché a tassi moderati.
Le dinamiche a livello internazionale sono positive anche a livello occupazionale. Negli ultimi tre anni l’UE ha registrato in proposito un aumento costante e nel 2016 sono stati superati i tassi pre-crisi. Pure l’Italia ha partecipato a questo trend positivo, anche se in misura inferiore alla media. Il tasso di occupazione registra un aumento pure nel 2016 (+0,9%), raggiungendo la cifra del 57,2% che, però, è più bassa di quella dell’UE (66,6%), soprattutto riguardo alle donne (-13,3%). Venendo ai particolari, la crescita riguarda tutti i gruppi di età anche quello dei più giovani (15-34 anni); al tempo stesso, va tenuto presente che sono i 50enni ed oltre ad averne beneficiato maggiormente. Le donne hanno registrato l’aumento più elevato (+1,5%), ma il dato globale le vede al 48,1% rispetto agli uomini che si collocano al 66,5%. Inoltre, questa dinamica positiva coinvolge particolarmente i gradi elevati di istruzione e principalmente i laureati confermando che la formazione costituisce un fattore protettivo nel mondo del lavoro. A livello territoriale questa volta è il Sud a fare meglio delle altre circoscrizioni a riguardo alla crescita del tasso di occupazione, anche se il dato globale lo svantaggia rispetto al Centro-nord.
Non ci sono differenze significative tra le percentuali di crescita degli occupati permanenti e a termine, mentre la quota del lavoro indipendente risulta leggermente in diminuzione: in ogni caso si riduce l’aumento del lavoro dipendente a termine. Diminuisce anche il tasso di disoccupazione dello 0,2% e si colloca all’11,7% e il numero dei giovani non occupati e non in formazione (Neet) continua a scendere, attestandosi a 2,2 milioni, e tra loro prevalgono quanti intendono lavorare. Inoltre, il tasso di inattività diminuisce del 2,9% e di conseguenza aumenta quello di attività. Rima-ne il problema di una situazione che colloca il nostro Paese negli ultimi posti delle classifiche UE.
Il Rapporto termina con delle osservazioni di sintesi e delle indicazioni di prospettiva di cui si riportano le più rilevanti. Anzitutto, si fa notare che i gruppi sociali, emersi dalla disamina iniziale, presentano una natura strutturale e tendono a conservarsi sostanzialmente immutati nel tempo: queste loro caratteristiche spiegano come mai la nostra società non possa definirsi liquida, ma al contrario si rivela molecolare e circolare. Tali caratteristiche sono alla base di uno dei nodi proble-matici che sperimenta il nostro Paese e che consiste nella difficoltà del sistema sociale di raggiungere con i meccanismi redistributivi i settori più emarginati della popolazione come per esempio le famiglie a basso reddito con uno straniero, mentre le imposte e i contributi ricadono soprattutto sulle fasce più svantaggiate. Per affrontare questa sfida, il Rapporto richiama l’attenzione delle pubbliche autorità soprattutto su tre tipi di intervento: sarà necessario potenziare l’innovazione tecnologica, economica e sociale e modernizzare le istituzioni; si tratta anche di investire in misura adeguata nell’istruzione e nella formazione del capitale umano in quanto è una strategia di primaria importanza per realizzare la promozione sociale; altro campo di azione sono le politiche attive del lavoro perché è soprattutto nel mondo del lavoro che si riscontrano gli ostacoli maggiori allo sviluppo, in particolare per i più giovani.
4.1.2. La riforma della “Buona Scuola” e i decreti attuativi
Il tema è molto ampio e sotto vari aspetti fuoriesce dagli obiettivi del presente studio. Per-tanto focalizzeremo l’attenzione sulle tematiche che interessano l’IeFP; tuttavia, all’inizio si pre-senterà brevemente la situazione della istruzione e della formazione nella quale si inseriscono i provvedimenti sotto esame.
4.1.2.1. Il sistema educativo di istruzione e di formazione: andamenti quantitativi
La prima considerazione da fare riguarda i livelli di scolarizzazione degli italiani che conti-nuano ad aumentare; sul piano meno positivo va evidenziato che l’andamento in crescita si caratte-rizza per dei ritmi ancora lenti e soprattutto che il 50,9% della popolazione di 15 anni e oltre – e non si tratta solo di persone in età più avanzata – è senza titolo o ha ottenuto al massimo quello di licenza media; complessivamente la percentuale appena citata è diminuita tra il 2015 e il 2016 dello 0,4% (Censis, 2017; Istituto Giuseppe Toniolo, 2017; Malizia, 2018). Sul lato favorevole i diplomati e i qualificati della secondaria di 2° grado e della IeFP si collocano al 35,7%, guadagnando lo 0,1%, e i laureati al 13,3% con un aumento dello 0,2%. Se si fa riferimento a questi ultimi, la loro quota sale al 24,8% nella coorte 15-29 anni e tra le donne si raggiunge il 30,8% ‒ sempre nel medesimo gruppo di età. Su questa stessa linea la ripartizione degli occupati per livello d’istruzione evidenzia una modesta crescita – l’unica importante da segnalare – dei lavoratori in possesso di una laurea dal 21% al 21,3% tra il 2015 e il 2016 e che, comunque, dipende unicamente dalle donne con il loro 27,2%. Malgrado questo andamento, tuttavia le laureate sono sovrarappresentate nelle occupazioni intermedie e impiegatizie, mentre sono sottorappresentate tra quelle dirigenziali: in proposito il dato positivo è che la loro porzione tra queste ultime risulta in aumento nel tempo, anche se di poco.
Prosegue il trend della riduzione degli iscritti al sistema educativo di istruzione e di forma-zione che tra il 2015-16 e il 2016-17 registra globalmente un calo dell’1%; esso, però, è inferiore nelle scuole statali dove si ferma allo 0,6% per effetto principalmente dell’aumento degli studenti della secondaria di 2° grado. La diminuzione più cospicua si riscontra nella scuola dell’infanzia e la relativa percentuale è del 4%: tale andamento va attribuito alla riduzione della natalità che in questi ultimi anni sta caratterizzando le dinamiche demografiche dell’Italia come pure al decremento del tasso di scolarizzazione nell’educazione prescolastica dal 99,9% del 2012-13 al 96,5% del 2016-17. Inoltre, a questo livello del sistema di istruzione e di formazione si registra anche un abbassamento dell’1% nel numero degli iscritti con cittadinanza non italiana che, però, costituisce una eccezione rispetto agli altri ordini e gradi di scuola i quali evidenziano ciascuno una crescita, per cui global-mente gli studenti stranieri guadagnano l’1,4% tra il 2015-16 e il 2016-17. Da ultimo, va segnalato che gli iscritti al primo anno della secondaria di 2° grado registrano nel complesso una sostanziale stabilità in quanto il loro calo si ferma allo 0,6%; anche nel 2016-17 quest’ultimo colpisce gli istituti tecnici (-0,8%) e in particolare quelli professionali (-6,5%), mentre il liceo classico segnala un in-cremento dell’1,8% per cui prosegue il processo di licealizzazione con il liceo classico, scientifico e delle scienze umane al 45,8% dei neoiscritti (a cui bisogna unire il 4,2% dell’istruzione artistica) rispetto al 32,1% degli istituti tecnici e al 17,9% dei professionali.
Ben diverso rispetto a questi ultimi è il trend della IeFP (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche-Inapp, 2017; Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Direzione Generale per le Politiche Attive, i Servizi per il Lavoro e la Formazione, febbraio 2016; Malizia et al., 2016; Crispolti - D’Arcangelo, 2010). È bene ricordare che la IeFP è nata in via sperimentale nel 2003 ed è stata riconosciuta come ordinamentale solo nel 2011. In pratica si è partiti quasi da zero e nel 2015-16 si è raggiunta nel complesso dei quattro anni la cifra di 322.322 allievi in una crescita continua che solo nell’ultimo anno ha registrato una diminuzione del 2,1% che, però, si è concentrata tutta nella tipologia della sussidiarietà integrativa (realizzata presso gli istituti professionali di Stato quinquennali) mentre i CFP accreditati (o istituzioni formative = IF) guadagnano in percentuale.
Le ragioni del grande successo della IeFP tra le famiglie e i giovani, vanno ricercate anzitutto nella passione educativa e nelle metodologie formative partecipative, dei formatori. Un altro motivo può essere visto nell’efficacia della IeFP nella lotta all’abbandono scolastico; in aggiunta va anche richiamata la rilevante capacità inclusiva della IeFP nei confronti degli allievi stranieri e dei disabili, di molto superiore a quella del sottosistema dell’istruzione secondaria Pure gli esiti occupazionali della IeFP sono lusinghieri.
Nel 2015-16 prosegue anche il ridimensionamento del livello universitario che vede un calo dei corsi, dei docenti di ruolo e non e degli iscritti; al tempo stesso, però, continuano ad emergere segnali in senso opposto quali la crescita delle immatricolazioni e soprattutto dei laureati che rag-giungono il numero più elevato degli ultimi tre anni, come anche quella della produttività universi-taria (Censis, 2017; Istituto Giuseppe Toniolo, 2017; Malizia, 2018). Significativo è pure l’aumento degli studenti stranieri e degli iscritti alle università telematiche e a quelle non statali.
Nel 2016 riprende a salire la frequenza a iniziative di apprendimento permanente degli adulti del gruppo di età 25-64 che si colloca all’8,3%, al di sopra cioè della percentuale più elevata degli ultimi anni. Si confermano gli andamenti recenti che evidenziano dati più positivi tra le donne, i re-sidenti al Centro-Nord e gli occupati, mentre coloro che non hanno lavoro sono meno coinvolti, sebbene ne abbiano maggiore bisogno.
Tra i Neet, i giovani di 15-29 anni che non studiano né lavorano, si rafforza il trend alla ri-duzione che registra ancora un calo tra il 2015 e il 2016 in quanto si scende dal 25,7% al 24,3%. Il decremento si registra in tutte le Regioni tranne che nel Piemonte e nel Molise. Sul lato negativo va segnalato che 5 Regioni del Sud si collocano oltre il 30% e che l’Italia continua ad occupare il primo posto nella UE con una quota superiore al 20% rispetto alla media, 14,2%.
Proseguendo il paragone a livello internazionale, la situazione si colloca sul negativo anche riguardo al possesso di un diploma di secondaria di 2° grado. Infatti, in Italia la relativa quota sul gruppo di età 25-64 raggiungeva nel 2015-16 appena il 60,1% rispetto alla media Ocse del 77,6%: peggio di noi fanno solo la Spagna, il Portogallo e la Turchia. Sul lato positivo va, però, notato che, se si guarda ai gruppi età più giovani, i divari evidenziano un trend a diminuire.
Tra il 2015 e il 2016 gli investimenti in istruzione del nostro Paese sono rimasti stabili sia in percentuale del Pil (3,5%) che come quota della spesa complessiva delle pubbliche amministrazioni per consumi finali (18,5%). Il paragone con l’UE a 28 Stati è possibile solo per il 2015 e vede l’Italia al di sotto delle medie (3,8% e 18,6%), anche se di poco riguardo al secondo valore.
Un aumento si registra invece riguardo alla spesa in ricerca scientifica e sviluppo (R&S) che tra il 2011 e il 2015 è cresciuta dall’1,21% del Pil all’1,33%. Nonostante questo andamento positivo, l’Italia si colloca lontano dalla media dell’UE a 28 (2,02%) e soprattutto dai dati di Paesi comparabili come Germania (2,87%) e Francia (2,23%).
Dopo aver trattato degli andamenti quantitativi del sistema educativo di istruzione e di for-mazione, passiamo a quelli qualitativi che, però, saranno concentrati sulla IeFP come è stato preci-sato sopra. Le sezioni sono due, una sulla “Buona Scuola” e l’altra sul decreto legislativo n. 61/2016 che regolamenta la revisione dei percorsi dell’istruzione professionale.
4.1.2.2. La riforma della “Buona Scuola” e la IeFP
Il testo originario non conteneva riferimenti alla IeFP. Tuttavia, nell’approvazione definitiva si è riusciti in parte ad ovviare a questa grave carenza e la legge n. 107/2015 ha accolto i contenuti di 3 dei 4 emendamenti di Forma che erano stato introdotti in prima lettura proprio alla Camera e poi mantenuti al Senato (Malizia et alii, 2015; Malizia - Nanni, 2015; Forma, 2015; Fidae 2015; Cisl Scuola, 18.07.2015; Diesse, 09.07.217; Flc Cgil, 14.07.2015; Guida alla nuova scuola, 10.07.2015; Tuttoscuola, agosto 2015; Falanga - Pruneri - Rivoltella - Santerini, 2014).
Anzitutto, si è ottenuta la soppressione di un comma secondo il quale tutte le scuole secon-darie di 2° grado (inclusi i licei) potevano permettere ai loro studenti di conseguire in apprendistato qualifiche e diplomi professionali. Infatti, la norma non teneva conto che esse hanno un ordinamento del tutto diverso da quello dei percorsi di IeFP per obiettivi, struttura, durata, impianto pedagogico e risultati di apprendimento, e quindi non erano idonee per ottenere i titoli appena menzionati; inoltre, secondo il Titolo V della Costituzione le materie relative all’apprendistato e ai percorsi di IeFP sono di esclusiva competenza delle regioni.
Nell'attuale comma 44 sono stati sostanzialmente accolti altri due emendamenti che riguar-dano le tematiche più rilevanti per l’IeFP e in particolare il riconoscimento della parità con il sotto-sistema della istruzione secondaria di 2° grado: «Nell'ambito del sistema nazionale di istruzione e formazione e nel rispetto delle competenze delle regioni, al potenziamento e alla valorizzazione delle conoscenze e delle competenze degli studenti del secondo ciclo nonché alla trasparenza e alla qualità dei relativi servizi possono concorrere anche le istituzioni formative accreditate dalle regioni per la realizzazione di percorsi di istruzione e formazione professionale, finalizzati all'assolvimento del diritto-dovere all'istruzione e alla formazione. L'offerta formativa dei percorsi di cui al presente comma è definita, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. Al fine di garantire agli allievi iscritti ai percorsi di cui al presente comma pari opportunità rispetto agli studenti delle scuole statali di istruzione secondaria di secondo grado, si tiene conto, nel rispetto delle competenze delle regioni, delle disposizioni di cui alla presente legge. All'attuazione del presente comma si provvede nell'ambito delle risorse finanziarie disponibili a le-gislazione vigente e della dotazione organica dell'autonomia e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica».
Non è stato invece recepito il quarto emendamento ed è stata una grave carenza. Secondo la proposta di Forma si sarebbe dovuto cogliere l’opportunità della legge su “La Buona Scuola” per innovare complessivamente l'attuale modello di organizzazione dell'istruzione tecnico professionale, in corrispondenza con i settori che contraddistinguono il mondo produttivo del XXI secolo (la tecnologia, l'economia e la finanza, i servizi alla persona e al territorio), abolendo l'anacronistica di-stinzione tra i percorsi scolastici di istruzione tecnica e professionale e le sovrapposizioni con quelli di IeFP. Tuttavia, di questo non si trova traccia nella riforma.
4.1.2.3. La revisione dei percorsi dell’istruzione professionale e il raccordo con l’IeFP
Il riordino in questione trova la sua ragion d’essere nell’esigenza di garantire una identità precisa al settore dell’istruzione professionale attraverso una differente strutturazione delle offerte formative, una loro articolazione più soddisfacente e il riconoscimento di un’autonomia che non sia solo formale, ma anche reale (Decreto Legislativo 13 aprile 2017, n. 61; Relazione illustrativa dello schema di decreto legislativo recante revisione dei percorsi dell’istruzione professionale…, febbraio 2017; Malizia et al., 2017a; Miur, aprile 2017; Rete Imprese Italia, marzo, 2017; Commento della CISL Scuola, maggio 2017; Decreti attuativi della legge 107/15. Non fidarsi è meglio, maggio 2017). Di conseguenza, le finalità più rilevanti del relativo provvedimento possono essere indivi-duate nelle seguenti: ovviare alle sovrapposizioni dell’istruzione professionale con l’istruzione tec-nica e i percorsi della IeFP; contemplare la possibilità per gli istituti professionali di allargare l’offerta formativa anche attraverso la realizzazione dei percorsi della IeFP, purché congruente con la programmazione regionale; potenziare gli indirizzi di studio quinquennali dell’istruzione profes-sionale e delle figure nazionali di riferimento per le qualifiche e i diplomi di IeFP in rapporto ad at-tività economiche in crescita o nuove; garantire la presenza sull’intero territorio nazionale di un si-stema di istruzione professionale e di IeFP che si estenda fino al livello terziario attraverso la realiz-zazione di una rete nazionale.
Entro questo ampio quadro di finalità il decreto legislativo concentra l’attenzione su due obiettivi. Nel riordino dell’offerta dell’istruzione professionale si dovrà puntare alla revisione degli indirizzi e al rafforzamento delle attività didattiche laboratoriali in maniera coerente con i percorsi della IeFP. In secondo luogo, bisognerà preparare gli studenti ad arti, mestieri e professioni deter-minanti per lo sviluppo del sistema produttivo in vista di un saper fare di qualità, definito sintetica-mente come “made in Italy” e al tempo stesso assicurare che le competenze apprese facilitino il pas-saggio al mondo del lavoro.
Per raggiungere le finalità e gli obiettivi appena menzionati, il testo in esame prevede nuovi indirizzi di studio che, di conseguenza, aumentano da 6 a 11: essi riguardano attività economiche di rilevanza nazionale, referenziate ai codici statistici ATECO (ATtività ECOnomiche) quelli, cioè, che vengono utilizzati dall’Istat per le sue indagini. Ogni istituto potrà adattarli alle necessità del contesto, tenendo conto in ogni caso delle priorità stabilite dalle Regioni. Pur confermando la strut-tura quinquennale dell’offerta, il decreto legislativo ne regolamenta una nuova articolazione, sia ri-guardo alla gestione complessiva degli orari che a quella di gruppi classe, modificando in misura notevole l’assetto organizzativo attuale che, al contrario, riproduce in gran parte il percorso ordinario della secondaria di 2° grado. Da un lato, si assume il modello dell’istruzione degli adulti, con-traddistinto da una notevole flessibilità gestionale, adeguandolo alle caratteristiche proprie dell’istruzione professionale; dall’altra, si abbandona la distribuzione dei “due bienni più uno” e si cambia adottando il biennio e il triennio unico per cui nel biennio si adempirà l’obbligo di istruzione, mentre al triennio specialistico viene riservata una impostazione più professionalizzante.
Venendo ai particolari, il biennio può contare su complessive 2.112 ore, distribuite tra 1.188 di attività e insegnamenti di istruzione generale aggregati in assi culturali – di cui si parlerà più am-piamente dopo – e 924 di attività e di insegnamenti di indirizzo che includeranno il tempo da dedi-care al rafforzamento dei laboratori; all’interno del totale delle ore, una porzione che, però, deve ri-manere entro le 264 ore, è dedicata alla personalizzazione degli apprendimenti e alla realizzazione del Progetto Formativo Individuale. Inoltre, a ogni anno del triennio sono destinate 1.056 ore, ripar-tite tra 462 di attività e di insegnamenti di istruzione generale e 594 di attività e di insegnamenti di indirizzo, nel quadro di una forte caratterizzazione laboratoriale e lavorativa. Da ultimo, agli istituti professionali è permesso di organizzare in via sussidiaria percorsi di IeFP ai fini del conseguimento della qualifica e del diploma professionale purché vengano osservati i parametri stabiliti da ogni Regione.
Novità sono state introdotte anche riguardo all’assetto didattico. Ricordiamo in particolare: la personalizzazione del percorso di apprendimento; la definizione di un Progetto Formativo Indivi-duale, per cui il dirigente scolastico, sentito il parere del consiglio di classe, identificherà l’insegnante che svolgerà il ruolo di tutor per sostenere gli studenti nella realizzazione del proprio Progetto; il ricorso a metodologie induttive; l’analisi e la soluzione dei problemi attraverso laboratori e in situazioni operative; il lavoro cooperativo per progetti; la gestione dei processi in contesti or-ganizzati. Di particolare rilevanza è anche l’opportunità stabilita dal decreto di avviare l’alternanza scuola-lavoro e l’apprendistato a partire dal secondo anno del biennio. Inoltre, come è stato accen-nato sopra, sempre nel biennio sono previsti gli assi culturali e cioè l’asse dei linguaggi, matematico, storico-sociale e scienze motorie: in pratica essi consistono in aggregazioni di insegnamenti tra loro omogenei che dovrebbero facilitare l’apprendimento delle competenze chiave di cittadinanza che sono incluse nell’obbligo scolastico.
Ai fini della piena realizzazione delle finalità formative dell’istruzione professionale, ciascun istituto dispone di vari strumenti per l’attuazione dell’autonomia. Anzitutto, le scuole possono fare ricorso, entro l’organico dell’autonomia, alla quota del 20%, cosiddetta “dell’autonomia”, tanto nel biennio che nel triennio per perseguire gli obiettivi di apprendimento relativi ai profili in uscita di ciascun indirizzo e per rafforzare gli insegnamenti obbligatori con speciale riferimento alle attività laboratoriali; inoltre, nel triennio è loro consentito di utilizzare gli spazi di flessibilità, intesa come possibilità di articolare gli indirizzi del triennio in profili formativi, con riguardo al 40% dell’orario complessivo fissato per il terzo, il quarto e il quinto anno. Altri strumenti sono: stipulare contratti d’opera con persone del mondo del lavoro e delle professioni; avviare partenariati territoriali; istituire dipartimenti come articolazioni funzionali del collegio dei docenti; creare un comitato tecnico-scientifico; utilizzare gli spazi dell’autonomia per realizzare collegamenti con il sistema della IeFP.
Il decreto stabilisce per la prima volta che gli istituti professionali e i CFP accreditati con-vergano all’interno di una Rete nazionale delle scuole professionali, collegandosi tra di loro in forma stabile e organizzata. La finalità è di promuovere l’innovazione e di rafforzare il raccordo con il sistema produttivo. In aggiunta, è prevista la creazione della “Rete nazionale dei servizi per le poli-tiche del lavoro” che è destinata a riunire le medesime istituzioni, menzionate sopra, con lo scopo di potenziare gli interventi di supporto alla transizione verso un’occupazione.
Dalla nuova normativa sono disciplinati pure i passaggi tra l’istruzione professionale e la IeFP. La finalità è quella di consentire agli studenti di seguire un percorso personale di apprendi-mento, di orientamento graduale e di sviluppo, congruente con le proprie capacità, attitudini e inte-ressi. Più precisamente, si è inteso assicurare a quanti dispongono di una qualifica triennale il pas-saggio al quarto anno della istruzione professionale o della IeFP, sia presso le istituzioni scolastiche che quelle formative accreditate, in modo da ottenere un diploma professionale di tecnico.
Infine, viene creato un sistema di monitoraggio dell’offerta dell’istruzione professionale per valutarne la validità e aggiornare i percorsi almeno ogni cinque anni. Tale finalità viene perseguita mediante l’istituzione di un tavolo, coordinato dal Miur, con la partecipazione degli Enti locali, delle Parti sociali e degli altri Ministeri interessati, facendo ricorso anche all’assistenza di diversi orga-nismi di natura tecnica.
Venendo poi a una valutazione complessiva del decreto delegato, si può in primo luogo af-fermare che la normativa in esso contenuta risulta congruente con la nostra Costituzione e in specie con la ripartizione delle competenze tra lo Stato e le Regioni (Salerno, febbraio, 2017;Malizia et al., 2017a;Testi delle audizioni, marzo 2017; Forma, 31.01.2017 e 31.03.2017; Malizia - Nanni, 2017). In aggiunta, all’interno del diritto-dovere all’istruzione e alla formazione è attribuito agli studenti un diritto soggettivo di scelta, al termine della secondaria di I grado, tra l’offerta dei diplomi quin-quennali dell’istruzione professionale e quella triennale e quadriennale della IeFP. La revisione ha notevolmente approssimato l’istruzione professionale alla IeFP rispetto all’assetto organizzativo, didattico e curricolare, introducendo nella prima gli assi culturali, le unità di apprendimento per co-noscenze, abilità e competenze, le metodologie didattiche e laboratoriali, la certificazione delle competenze, l’articolazione dei profili in uscita in termini di competenze, abilità e conoscenze, il rafforzamento dell’alternanza e dell’apprendistato: la nuova impostazione segna sicuramento un miglioramento a paragone con il modello precedente caratterizzato dalla priorità attribuita alle di-scipline, al trasferimento delle conoscenze e allo studio rispetto alle esperienze lavorative, determi-nando un parallelismo tra i due sottosistemi e permettendo all’istruzione professionale di situarsi accanto alla IeFP in una posizione di eguale dignità. Certamente positiva è la creazione della Rete nazionale delle scuole professionali che, istituita sulla base di un accordo tra Stato e Regioni, do-vrebbe assicurare l’aggiornamento dei percorsi, la definizione di un fondamento comune di riferi-mento dei profili, il conseguente riconoscimento delle figure professionali della IeFP su tutto il ter-ritorio nazionale e il confronto sistematico tra le parti interessate.
È invece negativo che nel passaggio dallo schema di decreto al testo definitivo non si trovino più né il principio secondo il quale l’offerta formativa dell’istruzione professionale e quella della IeFP dovevano essere unitarie, articolate e integrate e, quindi, complementari e non concorrenziali o sostitutive, né la previsione nell’istruzione professionale di un apposito terzo anno in classi distinte per ottenere le qualifiche della IeFP: sono cambiamenti che potrebbero essere interpretati nel senso che, nonostante la revisione della normativa operata dal decreto delegato, resta la sussidiarietà inte-grativa e, quindi, sostitutiva dell’istruzione professionale nei confronti della IeFP. In aggiunta, non sono state accolte le proposte di Forma di ripristinare le classi distinte, di introdurre i livelli essenziali delle prestazioni dei percorsi di IeFP in modo che essi risultino disponibili su tutto il territorio nazionale, di procedere a una ridefinizione degli standard formativi e del repertorio dei percorsi del-la IeFP. In ogni caso, anche se si fossero risolte le problematiche appena ricordate, non si sarebbe superato il nodo fondamentale, menzionato nella sezione precedente, quello cioè di rimuovere alla radice l'anacronistica distinzione tra i percorsi scolastici di istruzione tecnica e professionale e le sovrapposizioni con quelli di IeFP; in altre parole e più radicalmente – a nostro giudizio – si sarebbe dovuto ripristinare la proposta della riforma Moratti che articolava il secondo ciclo unicamente in due canali, i licei e la IeFP.
4.1.3. La riforma del mercato del lavoro e il potenziamento della formazione professionale
Oltre alla riforma della scuola, durante la XVII legislatura è stato affrontato anche la riforma del “mercato del lavoro” caratterizzato, in questo periodo, soprattutto da profonde divisioni interne tra garantiti, precari ed esclusi (Ichino, 2011; Ichino, 2015; Nicoli, 2015) e da profonde modifiche nelle mappe geografiche del lavoro a livello globale (Bentivogli – Castelvecchi 2016, Passerini 2017, De Biase 2018, Assolombarda, 2018).
Dovendo restringere la vasta problematica, in questa sede ci concentriamo solo su tre aspetti.
Innanzitutto presentiamo le linee essenziali della riforma del lavoro denominata Jobs Act; in secondo luogo illustriamo la sperimentazione del sistema duale, una proposta avanzata dal MLPS (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali) nel 2015; da ultimo affrontiamo la tematica emergente del rapporto tra formazione professionale e politiche passive/attive del lavoro.
4.1.3.1. La riforma del mercato del lavoro: il Jobs Act
Il provvedimento più noto della XVII legislatura in materia di lavoro è certamente quello denominato Jobs Act. Appare utile richiamare alcuni aspetti della riforma, soprattutto quelli che hanno avuto dei riflessi sul sistema della formazione professionale .
Il Jobs Act è, secondo vari esperti, una riforma strutturale, i cui effetti si possono vedere solo dopo alcuni anni. Tre sono, a loro giudizio, le parole che caratterizzano la riforma: flexicurity, em-ployability, europeizzazione. In estrema sintesi, la riforma punta ad aumentare la flessibilità alle im-prese affinché queste possano avvantaggiarsi di ogni opportunità per svilupparsi, combinandola, pe-rò, con la sicurezza, le tutele e i diritti per i lavoratori. Il Jobs Act interviene, innanzitutto, sul con-tratto di lavoro a tempo indeterminato rimuovendone le rigidità e incentivando le assunzioni. Avvia, in secondo luogo, la riforma dei servizi al lavoro e delle politiche attive con la finalità di spostare l’asse della spesa pubblica dalle politiche passive a quelle di attivazione delle persone disoccupate. Rimodula, infine, i vari istituti contrattuali alla luce della flessibilità, razionalizzandone la quantità ed eliminando quelli più precarizzanti (De Cesari – Pizzi – Prioschi, 2015; Studio Tirifò & Partners, 2015).
Delle riforme della scuola e del lavoro si sono formulati giudizi positivi e critici. Dal nostro punto di vista possiamo riportare le posizioni nella scheda formulata da Guglielmo Malizia in uno degli Editoriali di Rassegna CNOS il quale, dopo aver illustrato il nuovo modello di stato sociale che si sta affermando in Europa, ispirato ai paradigmi dell’investimento sociale e del welfare attivo, conclude:
«Se si tenta un confronto tra il paradigma dell’investimento sociale presentato sopra e le politiche del Governo Renzi riguardo al lavoro e al sistema di istruzione e di formazione (Jobs Act e Buona Scuola), si possono mettere in risalto aspetti in cui si nota una concordanza e punti in cui si registrano diversità.
Tra i primi va segnalato il potenziamento del segmento 0-6 anni, il rafforzamento delle competenze trasversali e generali, il miglioramento dell’alternanza scuola-mondo del lavoro, il consolidamento dell’autonomia, l’introduzione della flexicurity e l’attenzione accresciuta alla riconciliazione tra la vita familiare e il mondo del lavoro.
Tra i secondi, suscita ancora qualche interrogativo una certa deriva di scuola-centricità e stato-centricità; un altro limite può essere visto nel modesto sviluppo in Italia delle strategie del life-long learning; in aggiunta, si nota una eccessiva fiducia nelle politiche attive del lavoro e nell’offerta di lavoro; mentre si tende a trascurare le misure di protezione sociale passiva e la necessità di sostenere la domanda di lavoro da parte delle imprese; da ultimo va evidenziata la debole attenzione alla Formazione Professionale» (Malizia et al., 2015, 25-32).
4.1.3.2. La sperimentazione del sistema duale promossa dal MLPS
Le riforme del mercato del lavoro e della scuola hanno introdotto anche in Italia il sistema duale, un modello formativo integrato tra scuola e lavoro mutuato dalla Germania e già applicato con successo in molti Paesi del Nord Europa.
Nel sistema della formazione professionale italiano, mentre fino ad ora il rapporto con l’azienda era legato soprattutto a stage o tirocini, con questa riforma il rapporto formativo con l’impresa diviene più consistente e continuativo. Sotto questo aspetto le due riforme richiamate so-pra, il Jobs Act e la “Buona Scuola”, hanno introdotto in tutto il sistema educativo di istruzione e formazione una modalità strutturale di raccordo tra mondo formativo e mondo produttivo. Gli stru-menti più riformati sono stati l’apprendistato e l’alternanza scuola-lavoro. Va precisato, comunque, che il sistema duale non rimanda solo ad uno o alcuni interventi specifici, ma ad un approccio ge-nerale verso le politiche di transizione tra scuola e lavoro, che mira a consentire ai giovani, ancora inseriti nel percorso del diritto/dovere all’istruzione e formazione, di orientarsi nel mercato del lavo-ro, acquisire competenze spendibili e accorciare i tempi del passaggio dalla formazione all’inserimento lavorativo.
Nel dettaglio, soprattutto tre sono gli strumenti introdotti dalle riforme:
- l’alternanza scuola-lavoro nell’ambito del secondo ciclo di istruzione, resa obbligatoria in ogni tipo di indirizzo;
- l’impresa formativa simulata che consente di sperimentare modalità didattiche strettamente legate al funzionamento aziendale e implica il rapporto con un’impresa partner;
- l’apprendistato che diventa, in questo quadro, la forma privilegiata di inserimento dei giovani nel mercato del lavoro poiché consente, da un lato, il conseguimento di un titolo di studio e, dall’altro, l’esperienza professionale diretta.
Per incoraggiare il ricorso a tali strumenti contrattuali, le due riforme hanno introdotto van-taggi consistenti anche per le imprese.
Con il messaggio / slogan “Imparare lavorando. In Italia si può”, il MLPS, nel 2015, ha lanciato la proposta di una sperimentazione nel sistema della IeFP. Ha dato gambe a questa speri-mentazione l’Accordo Stato-Regioni del 24 settembre 2015. In estrema sintesi, la proposta prevede da una parte lo sviluppo e il rafforzamento dei sistemi di placement dei CFP e dall’altra il sostegno dei percorsi di IeFP pensati e realizzati nella modalità duale.
La proposta ministeriale, nella sua globalità, ha previsto anche uno specifico piano di comu-nicazione, come la realizzazione di un evento di lancio della sperimentazione, l’elaborazione di un vademecum per le imprese sull’apprendistato di primo livello da veicolare mediante mezzi di stampa nazionale, l’organizzazione di un Roadshow sull’intero territorio nazionale, in collaborazione con Unioncamere, una campagna pubblicitaria con un sito dedicato , materiali cartacei, video, ecc.).
Rapporti dell’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Attive-INAPP (ex Isfol) hanno documentato la potenzialità della proposta in termini sia quantitativi (oltre 20 mila allievi in un solo anno di sperimentazione, coinvolgimento della maggior parte delle Regioni, crescita quantitativa del ricorso all’istituto dell’apprendistato di 1° livello) che qualitativi (l’avvio di un rapporto strutturato ed organico con il mondo del lavoro, il potenziamento della dimensione formativa dell’impresa).
L’aspetto più critico della sperimentazione, invece, è, a giudizio di molti, la persistenza della disomogeneità del sistema di Istruzione e Formazione Professionale. In altre parole, nelle Regioni dove il sistema di IeFP non c’è o + debole, anche la sperimentazione del sistema duale ha stentato a decollare.
4.1.3.3. Rapporto fra sistema della formazione professionale e politiche attive del lavoro
È soprattutto la riforma dei servizi al lavoro e delle politiche attive a far emergere una que-stione nuova ma anche strutturale per l’Italia, quella del rapporto stretto fra politiche della forma-zione e politiche attive.
All’origine di questo rapporto, oltre a quanto legiferato in Italia (D. Lgs. n. 150/2015, Di-sposizioni per il riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive), c’è la politica dell’Unione Europea. Le politiche comunitarie, infatti, nell’attuale programmazione 2014-20, hanno affiancato al tradizionale obiettivo della occupabilità delle persone – politica che negli anni ha sostenuto una offerta formativa finalizzata allo sviluppo delle competenze professionali – il nuovo obiettivo dell’occupazione, finalizzato all’inserimento e al reinserimento occupazionale, attraverso misure di politica attiva del lavoro. Di qui la spinta a mettere in sinergia politiche formative e politiche attive del lavoro. In tale contesto, il programma europeo Garanzia Giovani, attuato anche in Italia attraverso un programma nazionale gestito dal Ministero del Lavoro in stretto raccordo con le Regioni che hanno svolto il ruolo di Organismi Intermedi, ha rappresentato un ter-reno preparatorio che, forte di linee di finanziamento significative, ha reso necessario per le istitu-zioni centrali e regionali la definizione degli elementi base di un sistema di politiche attive. Tra questi, la declinazione dei servizi e le misure da erogare ai beneficiari, la dorsale del flusso dei dati amministrativi e di monitoraggio dell’avanzamento del programma, la costituzione di una rete di soggetti accreditati ai servizi al lavoro, il rapporto tra i servizi pubblici del lavoro ed i servizi privati accreditati.
L’esito del referendum costituzionale, svolto nel mese di dicembre 2016, ha influenzato la strutturazione delle politiche attive del lavoro e, di riflesso, quelle della formazione professionale. Il testo di riforma costituzionale, bocciato dal responso delle urne, prevedeva un trasferimento allo Stato delle competenze in materia di politiche attive del lavoro. Il D.lgs. n. 150/2015, anticipando la prevista ricentralizzazione, aveva definito un sistema in larga parte centralizzato, dando un ruolo centrale nella governance al Ministero del Lavoro e ad Anpal, la nuova Agenzia nazionale dedicata alle politiche attive, con uno stretto coordinamento dell’azione regionale. Dopo l’esito del referen-dum costituzionale si è quindi venuta a creare una situazione per cui da un lato le competenze sulle politiche attive sono rimaste alle Regioni, mentre il quadro della normativa nazionale riconosceva un ruolo centrale allo Stato. Ciò ha avuto l’effetto di indebolire la possibilità per il livello statale di coordinare l’azione regionale e ha determinato la necessità di trovare puntuali Accordi tra Regioni e Stato sui diversi e numerosi decreti attuativi del sistema delle politiche attive italiane. Solo a dicem-bre 2017 è stata raggiunta un’Intesa istituzionale tra Stato e Regioni che intende costituire un ele-mento di raccordo tra tutti i fondi che a diverso titolo insistono sulle politiche attive, allo scopo di razionalizzare la strategia complessiva ed individuare gli interventi sui singoli target.
Anche le risorse comunitarie per il sostegno delle politiche del lavoro sono destinate, in parte al livello regionale che definisce gli interventi da finanziare e l’ammontare delle risorse da destinare a ciascun obiettivo attraverso i Programmi Operativi Regionali (POR) ed in parte al livello ministeriale con i Programmi Operativi Nazionali (PON). Ciò determina azioni autonome dello Stato e delle Regioni nell’attivazione di misure, che in diversi casi si sovrappongono e sono in concorrenza.
Una ricerca recentissima, realizzata dal CNOS-FAP in collaborazione con Noviter, ha fatto emergere, tra l’altro, spunti interessanti e utili per ogni decisore politico, quali la prevalenza delle risorse destinate alle politiche attive del lavoro rispetto a quelle della formazione, la scelta politica per la c.d. formazione professionale “ordinamentale” rispetto a quella non ordinamentale, l’estrema parcellizzazione delle politiche attive del lavoro.
«È ipotizzabile, concludono i curatori del Rapporto, che le iniziative di politica attiva del la-voro si struttureranno in un quadro più organico nel prossimo futuro, a partire da alcuni punti di riferimento comuni, quali la recente approvazione dei Livelli Essenziali delle Pre-stazioni da garantire ai cittadini, l’avvio a regime dell’Assegno di ricollocazione ed il con-seguente previsto raccordo tra le policy nazionali e regionali» (Cnos-Fap – Noviter, 2018, p. 9).
Il 23 marzo 2018 è iniziata la XVIII legislatura della Repubblica Italiana. Il primo Governo, il Governo Conte, è in carica a partire dal 1º giugno 2018. Si tratta di un governo di coalizione nato da un accordo tra Movimento 5 Stelle e Lega dopo le elezioni politiche italiane del 2018; l'accordo è stato trovato sulla base di un programma comune denominato "Contratto per il governo del cam-biamento" (maggio 2018). Di questo contratto riportiamo quanto scritto in materia di scuola e lavo-ro, per cercarne le principali linee di tendenza nelle materie che ci riguardano:
22. SCUOLA
La scuola italiana ha vissuto in questi anni momenti di grave difficoltà. Dopo le politiche dei tagli lineari e del risparmio, l’istruzione deve tornare al centro del nostro sistema Paese. La buona qualità dell’insegnamento, fin dai primi anni, rappresenta una condizione indispensa-bile per la corretta formazione dei nostri ragazzi. La nostra scuola dovrà essere in grado di fornire gli strumenti adeguati per affrontare il futuro con fiducia. Per far ciò occorre ripartire innanzitutto dai nostri docenti. In questi anni le riforme che hanno coinvolto il mondo della scuola si sono mostrate insufficienti e spesso inadeguate, come la c.d. “Buona Scuola”, ed è per questo che intendiamo superarle con urgenza per consentire un necessario cambio di rotta, intervenendo sul fenomeno delle cd. “classi pollaio”, dell’edilizia scolastica, delle gra-duatorie e titoli per l’insegnamento. Particolare attenzione dovrà essere posta alla questione dei diplomati magistrali e, in generale, al problema del precariato nella scuola dell’infanzia e nella primaria. Una delle componenti essenziali per il corretto funzionamento del sistema di istruzione è rappresentata dal personale scolastico. L’eccessiva precarizzazione e la continua frustrazione delle aspettative dei nostri insegnanti rappresentano punti fondamentali da affrontare per un reale rilancio della nostra scuola. Sarà necessario assicurare, pertanto, anche attraverso una fase transitoria, una revisione del sistema di reclutamento dei docenti, per garantire da un lato il superamento delle criticità che in questi anni hanno condotto ad un cronico precariato e dall’altro un efficace sistema di formazione. Saranno introdotti nuovi strumenti che tengano conto del legame dei docenti con il loro territorio, affrontando all’origine il problema dei trasferimenti (ormai a livelli record), che non consentono un’adeguata continuità didattica. Un altro dei fallimenti della c.d. “Buona Scuola” è stato determinato dalla possibilità della “chiamata diretta” dei docenti da parte del dirigente scolastico. Intendiamo superare questo strumento tanto inutile quanto dannoso. Una scuola che funzioni realmente ha bisogno di strumenti efficaci che assicurino e garantiscano l’inclusione per tutti gli alunni, con maggiore attenzione a coloro che presentano disabilità più o meno gravi, ai quali va garantito lo stesso insegnante per l’intero ciclo. Una scuola inclusiva è, inoltre, una scuola in grado di limitare la dispersione scolastica che in alcune regioni raggiunge percentuali non più accettabili. A tutti gli studenti deve essere consentito l’accesso agli studi, nel rispetto del principio di uguaglianza di tutti i cittadini. La cultura rappresenta un mondo in continua evoluzione. È necessario che anche i nostri studenti rimangano sempre al passo con le evoluzioni culturali e scientifiche, per una formazione che rappresenti uno strumento essenziale ad affrontare con fiducia il domani. Per consentire tutto ciò garantiremo ai nostri docenti una formazione continua. Intendiamo garantire la presenza all’interno delle nostre scuole di docenti preparati ai processi educativi e formativi specifici, assicurando loro la possibilità di implementare adeguate competenze nella gestione degli alunni con disabilità e difficoltà di apprendimento. La c.d. “Buona Scuola” ha ampliato in maniera considerevole le ore obbligatorie di alternanza scuola-lavoro. Tuttavia, quello che avrebbe dovuto rappresentare un efficace strumento di formazione dello studente si è presto trasformato in un sistema inefficace, con studenti impegnati in attività che nulla hanno a che fare con l’apprendimento. Uno strumento così delicato che non preveda alcun controllo né sulla qualità delle attività svolte né sull’attitudine che queste hanno con il ciclo di studi dello studente, non può che considerarsi dannoso.
14. LAVORO
Sul tema del lavoro appare di primaria importanza garantire una retribuzione equa al lavo-ratore in modo da assicurargli una vita e un lavoro dignitosi, in condizioni di libertà, equità, sicurezza e dignità, in attuazione dei principi sanciti dall'articolo 36 della Costituzione. A tal fine si ritiene necessaria l'introduzione di una legge salario minimo orario che, per tutte le categorie di lavoratori e settori produttivi in cui la retribuzione minima non sia fissata dalla contrattazione collettiva, stabilisca che ogni ora del lavoratore non possa essere retribuita al di sotto di una certa cifra. Similmente non potranno essere più gratuiti gli apprendistati per le libere professioni. Al fine di favorire una pronta ripresa dell'occupazione e liberare le imprese dal peso di oneri, spesso inutili e gravosi, occorre porre in essere da un lato una riduzione strutturale del cuneo fiscale e dall'altro una semplificazione, razionalizzazione e riduzione, anche attraverso la digitalizzazione, degli adempimenti burocratici connessi alla gestione amministrativa dei rapporti di lavoro che incidono pesantemente sul costo del lavoro in termini di tempo, efficienza e risorse dedicate. La cancellazione totale dei voucher ha creato non pochi disagi ai tanti settori per i quali questo mezzo di pagamento rappresentava, invece, uno strumento indispensabile. La sua sostituzione con il c.d. «libretto famiglia» e con il «contratto di prestazione occasionale» ha soltanto reso più complesso il ricorso al lavoro accessorio, col rischio di un aumento del lavoro sommerso. Occorre pertanto porre in essere una riforma complessiva della normativa vigente volta ad introdurre un apposito strumento, chiaro e semplice, che non si presti ad abusi, attivabile per via telematica attraverso un'apposita piattaforma digitale, per la gestione dei rapporti di lavoro accessorio. Al fine di tutelare la sicurezza occupazionale e sociale, è importante lo sviluppo e il rafforzamento di politiche attive che facilitino l’occupazione, la ricollocazione ed adeguate misure di sostegno al reddito e di protezione sociale. Ciò potrà essere attuato anzitutto procedendo ad una profonda riforma e ad un potenziamento dei centri per l'impiego. Particolare attenzione sarà rivolta al contrasto della precarietà, causata anche dal “jobs act”, per costruire rapporti di lavoro più stabili e consentire alle famiglie una programmazione più serena del loro futuro. Favorire gli investimenti in imprese giovani, innovative e tecnologiche, significa scommettere sul futuro e valorizzare il merito e la ricerca. A tal fine appare necessaria anzitutto una profonda riorganizzazione della formazione finalizzata all’effettivo impiego e di qualità, che guardi non solo alla realtà odierna ma che investa sui settori del futuro al fine di adeguare il lavoro ai cambiamenti tecnologici e di offerta, attraverso processi di formazione continua dei lavoratori. Si dovrà inoltre favorire, nell'ambito delle scuole secondarie di secondo grado e dell'università, la nascita di nuove figure professionali idonee alle competenze richieste dalla quarta rivoluzione industriale ed in possesso degli opportuni profili, nonché prevedere misure di sostegno alle micro e piccole imprese nel rinnovamento dei loro processi produttivi, quale presupposto per lo sviluppo di una strategia che miri alla più ampia diffusione delle tecnologie avanzate. È necessario inoltre introdurre misure volte a garantire un’adeguata formazione secondaria superiore di tipo tecnico professionale, capace di assicurare ai nostri giovani l’accesso al mondo del lavoro e delle professioni manuali, tecniche e artigianali.
La Federazione CNOS-FAP ha elaborato una prima valutazione del programma soprattutto attraverso la Rivista Rassegna CNOS (Malizia et al., 2018; Malizia et al. in corso di pubblicazione).
Al di là dei molteplici giudizi già apparsi sulla stampa, un aspetto emerge con chiarezza: la “discontinuità” rispetto al cammino percorso soprattutto in fatto di politiche formative e del lavoro.
Non c’è traccia, infatti, del sistema duale che da sperimentale è divenuto ordinamentale con la legge di Bilancio 2018 (Legge 27 dicembre 2017, n. 205), mentre c’è la volontà dichiarata di intervenire sull’Alternanza Scuola – Lavoro, sul Jobs Act e su altri provvedimenti per correggerli. Al momento in cui scriviamo questo documento è prematura ogni valutazione.
Di fronte a questo scenario così articolato e complesso come sta agendo/reagendo la Federa-zione CNOS-FAP?
4.2. Il cammino della Federazione CNOS-FAP
La grave crisi degli anni 2008-16 non ha fermato lo sviluppo della IeFP del CNOS-FAP; anzi le difficoltà incontrate hanno offerto l’opportunità di un ripensamento e di una revisione che hanno finito per rafforzare la Federazione. E che queste affermazioni non sono solo parole emergerà con chiarezza nella presentazione delle iniziative del quarto periodo della storia del CNOS-FAP.
4.2.1. Gli apporti di tre sperimentazioni
A fronte di uno scenario così complesso, ricco di punti di forza ma connotato anche da nu-merose criticità, oltre che dal cambio di legislatura, la Federazione CNOS-FAPè riuscita a scrivere un’altra pagina, giudicata da più parti “positiva” sulla formazione professionale rendendosi prota-gonista soprattutto di tre sperimentazioni i cui risultati possono diventare patrimonio per il cammino futuro:
- la sperimentazione del sistema duale;
- la sperimentazione di un modello di valutazione per la IeFP;
- l’introduzione delle tecnologie mobili nella didattica della IeFP.
4.2.1.1. La via duale: “Imparare lavorando. In Italia si può”
La Federazione CNOS-FAP ha promosso e svolto, congiuntamente a CONFAP e FORMA, la sperimentazione del sistema duale. Si tratta di una iniziativa ancora aperta a sviluppi e approfon-dimenti. Al momento della stesura del presente documento ci limitiamo a fare riferimento alle prin-cipali iniziative, soprattutto alla elaborazione di strumenti e monitoraggi (Forma-Confap, 2017; Cnos-Fap, 2017; Nicoli 2018 in corso di stampa).
Rispetto ai 148 CFP della rete FORMA, 26 sono i CFP coinvolti dalla Federazione CNOS-FAP, 50 i percorsi svolti nella modalità duale (20 sono di durata triennale e 30 di 4° anno) e 10 le Regioni coinvolte (Abruzzo, Emilia Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Piemonte, Sicilia, Umbria, Veneto, Puglia) anche se le attività formative nella modalità duale si sono svolte soprattutto nelle Regioni del Nord.
Dei 737 allievi del CNOS-FAP iscritti ai percorsi nella modalità duale, il 22% risulta essere in apprendistato, il 56% in alternanza rafforzata e il 22% in impresa formativa simulata. Una situazione davvero lusinghiera (si tratta del primo anno) dal momento che «il dato nazionale per gli apprendisti, registrato da INAPP, si attesta al 7%» (Forma, 2017, p. 5).
Per una valutazione complessiva, pur legata solo al 1° anno della sperimentazione, è utile ri-portare le prime conclusioni contenute nei vari Report citati:
- Un non scontato positivo riscontro
L’esperienza del primo anno dei percorsi della sperimentazione, nonostante i timori iniziali e le dif-ficoltà incontrate, ha registrato un non scontato positivo riscontro da parte degli operatori dei CFP, così come delle imprese, degli allievi e delle loro famiglie.
- La proposta della stabilizzazione della modalità duale
Le difficoltà del primo anno, legate soprattutto alla scarsa conoscenza dello strumento contrattuale, rafforzano il giudizio sulla opportunità di proseguire lungo il sentiero tracciato dalla sperimentazione stabilizzandola, in modo da garantire la continuità dell’intervento e il suo progressivo consoli-damento, anche rispetto alla metodologia formativa condivisa con le imprese.
Su questo aspetto si fa presente che con la legge di Bilancio 2018 ‒ Legge, 27/12/2017 n. 205, G.U. 29/12/2017 ‒ la stabilizzazione è stata sancita. Ora si è in attesa di quanto intende compiere il primo Governo della XVIII Legislatura.
- Proposte di miglioramento per le Istituzioni, le Associazioni di categoria e gli Enti di FP
Per quanto riguarda l’azione istituzionale di Ministero e Regioni, andrebbe opportunamente valoriz-zato il carattere nazionale dell’iniziativa, anche attraverso l’attivazione della cabina di regia prevista dall’Accordo Stato-Regioni, con una maggior convergenza di modelli di intervento e di scelte di ge-stione operative per ridurre le disfunzioni e gli inutili aggravi burocratici. Un chiaro dato che emerge dal monitoraggio, a conferma di quanto affermato anche dall’INAPP, è la frammentazione del sistema IeFP italiano, che si ritrova anche nella sperimentazione del sistema duale.
Sarebbe inoltre auspicabile un intervento capillare ed organico da parte delle Associazioni di cate-goria e dei sistemi camerali, per fornire alle imprese massima conoscenza e supporto per le questioni di natura giuslavoristica e amministrativa, sia direttamente, sia indirettamente. Si dovrebbe convergere verso l’obiettivo comune di rafforzare la diffusione del contratto di apprendistato forma-tivo e contrastare il pregiudizio che vuole si tratti di un contratto difficile da gestire.
Infine, il lavoro congiunto degli Enti di Formazione Professionale è un evidente valore innanzitutto per i CFP stessi, grazie alla possibilità di condividere e costruire insieme una comune visione e strumenti operativi. Inoltre, il lavoro rappresenta un valore anche per le istituzioni centrali e regionali per una duplice ragione: da un lato è importante l’esperienza e la percezione degli Enti di formazione professionale che realizzano concretamente le policy nazionali e regionali e quindi possono dare riscontri per il miglioramento delle stesse, e dall’altro perché è nei CFP che spesso si raggiunge una capacità di visione concreta dell’evoluzione dei sistemi, dei bisogni degli allievi e delle imprese. In tal senso è emblematico come l’esperienza del sistema duale, nel suo essere al crocevia tra i percorsi IeFP e le politiche del lavoro, abbia rafforzato la capacità dei CFP di aprirsi alle politiche del lavoro ed al rapporto tra servizi di inserimento lavorativo e formazione. Se da un lato i CFP hanno mostrato una significativa intraprendenza nell’attivare collaborazioni con il territorio (aziende, associazioni di categoria, soggetti pubblici, ecc.), seppur con differenze regionali basate sul livello di sviluppo del sistema IeFP di riferimento, dall’altro lato, la sperimentazione ha messo in atto anche un processo di trasformazione interna volta a trovare nuove modalità organizzative e didattiche. Ad esempio dall’indagine emerge come l’introduzione del sistema duale abbia incentivato un ripensamento in termini di raccordo tra formazione e servizi al lavoro. Nello specifico, è stata messa in risalto la necessità di definire e sviluppare un rapporto con l’area dedita alle Politiche Attive del lavoro. Attualmente dai CFP campione si evince la centralità del tutor formativo nello stabilire un contatto ed un rapporto fiduciario con le imprese anziché la presenza di un servizio strutturato.
- Verso una nuova identità del CFP
Ciò apre una riflessione che è organizzativa, ma che riguarda anche l’identità del CFP, in conside-razione del suo crescente ruolo di snodo tra allievi ed imprese, tra formazione e lavoro.
In tal senso l’esperienza della sperimentazione duale pone nuove ed ulteriori sfide in relazione alla transizione tra scuola e lavoro (Garanzia Giovani), alle risposte da dare ai lavoratori in cerca di oc-cupazione (Politiche attive nazionali e regionali), all’impatto sul lavoro della quarta rivoluzione in-dustriale (Formazione per tutto l’arco della vita). In tal senso, il CFP sempre più può considerarsi non solo luogo di formazione dei giovani, ma partner strategico delle imprese per la cura e lo svi-luppo del capitale umano.
- Dalle prime incertezze alla soddisfazione generale
A completamento di tutti questi aspetti che raccontano l’impegno profuso e le difficoltà affrontante dai CFP, il dato sulla elevata soddisfazione e sui risultati positivi è probabilmente il più forte ele-mento d’interesse, soprattutto in un contesto di sperimentazione che è per sua natura esplorativo, ricco di incognite e per certi versi può rappresentare il modo e la capacità dei soggetti coinvolti di affrontare il cambiamento. Da questo punto di vista la sperimentazione del sistema duale si presenta agli Enti di formazione professionale come momento di opportunità di crescita e di orientamento strategici.
In conclusione, anche i soli pochi dati riportati sopra permettono di affermare che l’assunzione della modalità duale ha permesso alla Federazione CNOS-FAP, innanzitutto, di au-mentare l’attività formativa (soprattutto con i quarti anni) oltre a quella esistente e di avviarla o raf-forzarla anche in Regioni fino ad oggi piuttosto resistenti. In secondo luogo ha permesso agli opera-tori di capitalizzare una esperienza per molti aspetti “nuova” (il rapporto con le imprese, la “co-progettazione” formativa con esse, la familiarizzazione con la contrattualistica dell’apprendistato, l’impatto sull’organizzazione del CFP …) che la costringerà a ripensare e ad aggiornare anche il proprio modello organizzativo su molti aspetti.
4.2.1.2. La valutazione della IeFP: il progetto sperimentale VALEFP
Dopo l’avvio del nuovo Sistema Nazionale di Valutazione (SNV), istituito con il DPR. n. 80 del 28 marzo 2013 e con l’emanazione del relativo Regolamento (settembre 2014), i processi e le procedure di autovalutazione di istituto ‒ previsti inizialmente per le scuole statali e paritarie – hanno affrontato in via sperimentale, e anche su stimolo della Federazione CNOS-FAP, le Istituzioni formative accreditate.
Con questa sperimentazione la Federazione CNOS-FAP ha cercato di giocare d’anticipo: proporre alle Istituzioni competenti che devono adottare apposite linee guida per il sistema di IeFP un modello di valutazione sperimentato. Così, infatti, recita il comma 4 dell’art. 2 del DPR. n. 80/2013 “Regolamento sul sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione”:
«4. Con riferimento al sistema di istruzione e formazione professionale previsto dal Capo III del decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, e ferme restando le competenze dell'Invalsi di cui all'articolo 22 di detto decreto legislativo, le priorità strategiche e le modalità di valutazione ai sensi dell'articolo 6 sono definite secondo i principi del presente regolamento dal Ministro con linee guida adottate d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 9 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, previo concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali».
Per affrontare concretamente la problematica il CNOS-FAP, insieme al CIOFS/FP, nel 2015 ha sottoscritto con l’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI) un protocollo di Intesa per definire le modalità tecniche di accesso al Si-stema Nazionale di Valutazione (SNV) e per sperimentare un modello peculiare di valutazione in grado di mettere in evidenza gli aspetti specifici della IeFP e, nello stesso tempo, comparare questo modello con quello scolastico.
Due sono state le questioni affrontate nella sperimentazione: la valutazione degli apprendi-menti basata su prove standardizzate per gli allievi della IeFP; l’impostazione dell’autovaluzione del CFP (la realizzazione di un modello “RAV” specifico per la IeFP).
Il progetto sperimentale ha coinvolto, da subito, varie Istituzioni, oltre all’INVALSI: il Coordinamento Tecnico delle Regioni, la IX Commissione, l’INAPP (ex ISFOL), il MIUR, il per-sonale degli Enti di FP (sia per la scrittura delle prove con 12 formatori del CNOS-FAP e del CIOFS/FP ‒ 6 formatori per le prove di Italiano e 6 formatori per la matematica ‒ che per la speri-mentazione del modello RAV) e i vari Enti di FP per la sperimentazione.
La sperimentazione della valutazione degli apprendimenti degli allievi nel contesto della IeFP è stata voluta dagli Enti per verificare la possibilità di prevedere prove specifiche per la IeFP rispetto a quelle proposte da INVALSI per le scuole. Dunque si sono adottati esercizi più adeguati al target dei destinatari, il cui contesto culturale, gli interessi e l’approccio apprenditivo trovano più possibilità con applicazioni concrete in rapporto a competenze di tipo professionale. Non si tratta di prove più facili rispetto alla esigenza di misurazione degli obiettivi richiesti, ma della ricerca di prove equivalenti realizzate in contesti vicini al mondo e agli interessi pratici dei destinatari della IeFP.
In questa prospettiva, nella somministrazione delle prove nel maggio 2016, gli stessi allievi sono stati sottoposti ad una doppia modalità: una con prove tradizionali, la seconda, dopo 10 giorni dalla prima, con prove CBT costruite con criteri di maggiore concretezza e applicabilità. L’ambiente laboratoriale quotidiano ha reso più familiare e disinvolta la partecipazione degli allievi e più possibi-lista l’utilizzo dal punto di vista educativo da parte dei formatori attestato anche dalla curiosa, accolta e dialogata restituzione dei risultati agli allievi. La seconda modalità di realizzazione e applicazione delle prove ha consentito all’INVALSI di verificare una possibilità equivalente di misurare le competenze base di matematica e italiano per allievi che non sono a loro agio in situazioni di apprendimento prevalentemente, se non esclusivamente verbali.
La prima fase della sperimentazione è stata condotta su 50 CFP con 92 percorsi formativi di 2° anno e circa 1700 allievi (anno 2016). La seconda fase – con le prose esclusivamente in CBT – ha coinvolto 105 CFP, 293 percorsi formativi di 2° anno e 5.190 allievi (Anno 2017).
Si è trattato, secondo i coordinatori della sperimentazione, di una sfida sotto molti punti di vista. Per i formatori, innanzitutto, che si sono misurati con una modalità di accertamento delle competenze e dei saperi standardizzata e con uno strumento di misurazione costruito con gli stessi criteri previsti dal Quadro di riferimento nazionale, adottato per la costruzione delle prove destinate ai Licei, agli Istituti Tecnici e agli Istituti Professionali. Per le direzioni, poi, che hanno, con la loro adesione alla sperimentazione, scelto di mettersi alla prova all’interno di un sistema di comparazione nazionale e di autovalutazione decisamente strutturato e impegnativo. Per gli allievi della IeFP, ancora, che si sono misurati, per la prima volta, con strumenti di valutazione esterni al loro mondo. Per le Istituzioni, infine, che hanno scommesso su questo progetto superando il pregiudizio che la proposta nascondeva la volontà di creare per la IeFP solo prove più semplici.
Il progetto sperimentale non è concluso. Restano ancora azioni da compiere. Ad elencarle è Arduino Salatin:
- relativamente al cantiere delle prove standardizzate sarà prevista anche la prova della lingua in-glese, oltre a quelle di italiano e di matematica;
- relativamente al cantiere dell’autovalutazione si prevede la stesura di linee guida per la compi-lazione del Rapporto di Autovaluzione (RAV) e la relativa formazione, una restituzione pubblica dei dati raccolti ed elaborati, l’accesso al database del MIUR per la compilazione del RAV via web;
- relativamente alla messa a regime del progetto occorre l’azione del MIUR per la compilazione dell’anagrafe nazionale dei CFP e l’impegno delle Istituzioni (Stato e Regioni) ad adottare il modello, come previsto dal comma 4 dell’art. 2 citato sopra.
Il progetto ha riscontrato nelle Istituzioni da subito interesse per la sua novità. Il Presidente dell’Invalsi, Anna Maria Ajello, ne richiama soprattutto due:
«In primo luogo rappresenta il tentativo di predisporre e realizzare prove che siano adatte a una po-polazione scolastica abituata a curricoli diversi da quelli realizzati nelle scuole ordinamentali; ciò non vuol dire semplificare o ridurre le difficoltà per una popolazione studentesca nel senso meno provvista sul piano accademico, ma di riconoscere una specificità cognitiva, contestuale e culturale che richiede da parte di chi vuole condurre valutazioni realmente efficaci, uno sforzo di ideazione di prove che colgano quelle specificità. L’efficacia delle valutazioni, infatti, si connette alla possibilità di utilizzarne gli esiti perché coerenti e in linea con le possibilità di interventi ulteriori.
In secondo luogo, la possibilità di predisporre prove diversificate smentisce le tesi di quanti ritengono rigidamente codificate le prove standardizzate e pertanto non adeguabili, che nel caso in questione invece, appaiono curvate alla necessità della popolazione studentesca di riferimento, senza venir meno ai criteri generali che presiedono alla costruzione di prove metodologicamente corrette e affidabili. In tal senso, perciò, la messa a punto di prove così articolate rappresenta anche una interessante pista di ricerca per l’INVALSI che, rispondendo ad una richiesta istituzionale di valuta-zione di sistema – in questo caso riferita potenzialmente a quello della Formazione Professionale – vede dischiudersi direzioni di ricerca innovative e più largamente rispondenti ad una popolazione studentesca la cui diversità – culturale e cognitiva – va progressivamente ampliandosi. Su un piano analogo, anche se diverso, si pone la predisposizione del Format del Rapporto di l’Autovalutazione (RAV) specificamente costruito per gli istituti di Istruzione e Formazione Professionale. L’adattamento del RAV per consentire una più perspicua riflessione a coloro che devono compilarlo, rispetto alle caratteristiche delle loro attività, rappresenta un modo ulteriore di venire incontro alla specificità dell’agire formativo nella prospettiva di servire davvero a indurre promozione di ri-flessività e a promuovere cambiamenti positivi» (Forma, 2017, pp. 5-6; Salatin, 2016, pp. 155-165).
La Federazione CNOS-FAP si augura che il progetto possa trovare la necessaria conclusione e, perché il lavoro degli operatori e degli Enti di Formazione Professionale non sia vanificato, anche l’adozione del modello sperimentato da parte delle istituzioni competenti.
4.2.1.3. L’introduzione delle tecnologie mobili nella didattica della IeFP
Nel 1964 usciva un saggio di Umberto Eco destinato a diventare celebre, Apocalittici e Inte-grati, in cui l’autore definiva, in relazione alle “comunicazioni di massa” e alle “teorie della cultura di massa”, i due tipi di atteggiamento che l’intellettuale tendeva alternativamente ad assumere. Gli “integrati” erano coloro che valorizzavano gli aspetti positivi della nuova realtà mentre gli “apoca-littici” evidenziavano i risvolti negati di tali novità. Noi pensiamo che si possa affermare che, in questi anni, rispetto ai cosiddetti “new media” (computer, tablet, smarphone, internet, social net-work) si sia definita un’analoga polarizzazione.
Il mondo salesiano impegnato nella scuola e nella formazione professionale ha raccolto la sfida senza pregiudizi, avviando due sperimentazioni (una con la scuola salesiana e una con i CFP del CNOS-FAP) di durata triennale, supportate da consulenti e da un notevole investimento tecno-logico. Le sperimentazioni sono state arricchite dall’approccio a documenti mirati e ad esperienze all’estero:
- lo studio del volume Flip your classroom di Sams e Bergmann;
- Ørestad Gymnasioum di Copenaghen;
- visita alla Future Tech Studio School di Warrington, Manchester.
È stato costituito, allo scopo, anche un Comitato tecnico-scientifico, il cui compito è stato quello di mettere in atto una serie di interventi di supporto e di monitorare l’iter della sperimentazione. Di seguito, in maniera molto sintetica, si riportano le iniziative e gli orientamenti principali.
Il supporto tecnico – scientifico alla sperimentazione
Il Comitato tecnico - scientifico ha garantito in modo continuo ed estensivo un servizio di supporto per le problematiche tecnologiche, ivi compresa la consulenza sulle infrastrutture di rete e la predi-sposizione di un sito wiki per la scuola e la formazione professionale salesiana per condividere le riflessioni e le esperienze, insieme alla puntuale diffusione di news riguardanti l’individuazione di nuove App potenzialmente utili per la didattica e alla promozione di una banca-dati dove poter scambiare esperienze significative tra Scuole e CFP (esempi di UdA, prodotti significativi degli studenti e degli allievi, e-book, video a potenziale emulativo, etc.).
- La declinazione della dimensione pedagogica nella sperimentazione.
I membri del Comitato tecnico-scientifico hanno svolto interventi formativi nelle scuole paritarie e nei singoli CFP o aree territoriali onde discutere eventuali problematiche di carattere pedagogico e didattico (esempio: effettiva possibilità di cambiare elementi organizzativi, resistenze e vincoli, problematiche pedagogiche, come ad esempio la congruenza tra le UdA, le modalità didattiche e gli standard nazionali, cambiamento nella modalità di valutazione, etc.). Infine, i membri del Comitato tecnico-scientifico, d’intesa con i referenti delle scuole paritarie e dei Centri di Formazione Profes-sionale, hanno, fissato in modo condiviso alcuni indicatori, utili a scandire tappe di progressiva at-tuazione del progetto.
Questi obiettivi minimi riguardavano sia elementi di carattere tecnologico (introduzione di metodologie di condivisione dei documenti, utilizzo di sistemi di Mobile Device Management) che di carattere organizzativo e pedagogico (definizione di un regolamento sull’uso del tablet, produ-zione di ebook sia da parte dei docenti e formatori che da parte degli allievi, introduzione di propo-ste innovative nella definizione degli orari e dello spazio scolastico/formativo, rilancio della biblio-teca come luogo dove gli allievi possono rintracciare materiali utili alla costruzione e condivisione di conoscenze, ecc.).
Gli indicatori così delineati dovevano servire ad una progressiva valutazione di efficacia di un progetto del quale si intravedevano le potenzialità, ma anche le difficoltà che un’istituzione seco-lare come quella scolastica incontra quando affronta temi di innovazione didattica, cioè tra paura di cambiamento e incertezza sugli esiti. Ci si augurava così di poter analizzare compiutamente vantaggi e limiti della pad-agogia, per analogia con studi similari, che in realtà avevano già evidenziato il positivo impatto dell’introduzione del tablet sugli stili di apprendimento e sulle competenze dei no-stri allievi.
a. Sperimentazione nel mondo scolastico salesiano
I risultati della sperimentazione nel mondo scolastico, coordinati dal prof. Michele Pellerey, sono stati documentati nella pubblicazione del 2015 dal titolo: “La valorizzazione delle tecnologie mobili nella pratica gestionale e didattica dell’Istruzione e Formazione a livello di secondo ciclo”.
La ricerca ha sviluppato, a un adeguato livello di profondità di analisi e di plausibilità delle conclusioni operative, uno studio attento delle potenzialità, e dei limiti, che queste tecnologie offro-no a livello di apprendimento scolastico, soprattutto per il secondo ciclo di istruzione e formazione. È stata esaminata la documentazione disponibile sia italiana, sia straniera, in merito a una possibile valorizzazione delle tecnologie mobili nella pratica gestionale e didattica della scuola. Sono state prese in considerazione le politiche europee in merito, le politiche scolastiche italiane, la valorizza-zione delle tecnologie digitali mobili nella vita scolastica a partire dall’esperienza italiana e da quella internazionale, la gestione dei processi di apprendimento tramite tecnologie mobili, tenendo conto dell’esperienza italiana e di quella internazionale, le tecnologie digitali e la loro valorizzazione nei differenti insegnamenti scolastici, sempre considerando il quadro che si evidenzia in Italia e all’estero. È stata accompagnata dalla sperimentazione dell’uso didattico delle tecnologie mobili nelle scuole salesiane coinvolte.
L’autore, al termine dell’indagine e della sperimentazione condotta in numerose scuole sale-siane, ha formulato alcuni suggerimenti:
«A conclusione della nostra indagine sembra emergere come decisiva la necessità di invertire la prospettiva di analisi da molti adottata: partire dalla considerazione delle tecnologie digitali, in par-ticolare mobili, e dalle opportunità, affordance, che esse offrono, per esaminare le problematiche relative al loro inserimento nei percorsi istruttivi e formativi del secondo ciclo del sistema d’educazione italiano. Si ritiene, invece, necessario tener conto in primo luogo delle finalità fonda-mentali e degli obiettivi di apprendimento essenziali che li caratterizzano, riletti, certo, nel contesto culturale, tecnologico e comunicativo attuale, per rimanere fedeli all’identità propria dell’istituzione educativa nella quale ci si trova ad operare. […]
In tale contesto, tenendo conto della letteratura esaminata e delle esperienze prese in considerazione, emerge come prospettiva essenziale ai fini di una integrazione valida e feconda di tali tecnologie nel contesto scolastico o formativo l’attività di progettazione educativa e didattica che ai vari livelli, ma soprattutto a livello di singoli curricoli d’apprendimento, l’istituzione formativa deve tenere conto: delle finalità educative e formative dell’istituzione stessa; degli obiettivi generali e specifici che la normativa vigente indica per i vari canali istruttivi e formativi; delle caratteristiche peculiari degli studenti convolti e del loro effettivo stato di preparazione in vista del raggiungimento di tali obiettivi; delle risorse disponibili in termini di spazi, tempi, strumenti comunicativi effettivamente disponibili; delle competenze metodologiche, che i docenti sono in grado di attivare nella quotidia-nità del loro lavoro.
L’esplorazione sistematica condotta nel corso di questa indagine ha portato quindi a individuare come elemento centrale della problematica derivante dall’impatto delle tecnologie digitali mobili nei processi educativi scolastici e formativi proprio l’azione progettuale di dirigenti e docenti. Come principio di riferimento è stato poi individuato quello di promuovere più che una radicale trasfor-mazione della realtà educativa a causa della loro presenza, quello di sviluppare una valida e feconda integrazione di tali strumenti nel progetto formativo proprio dell’istituzione ai suoi vari livelli di at-tuazione»” (Pellerey, 2015, pp. 163-164).
b. Sperimentazione nel mondo formativo salesiano
A curare la sperimentazione dei CFP salesiani è stato Roberto Franchini, il quale, oltre che coordinare la sperimentazione, ha scritto anche il Report finale pubblicato nel 2016: “L’apprendimento mobile attivo in presenza di tecnologie digitali. Rapporto finale della sperimen-tazione iCNOS del CNOS-FAP”.
L’idea della sperimentazione era nata al termine di un’indagine svolta nel corso dell’anno 2012 sull’utilizzo dei dispositivi didattici nei CFP del CNOS-FAP. Quella ricerca si era posta come obiettivo la verifica della congruenza tra gli strumenti didattici allora in uso nella Federazione (con particolare riferimento ai sussidi – libri, software, etc. - e ai mediatori - es. Lavagna Interattiva Mul-timediale o altro) con il paradigma pedagogico proprio della didattica costruttivista e con la descri-zione dei traguardi di apprendimento del Quadro Europeo delle Qualifiche (ed in generale degli standard in vigore nei percorsi formativi di durata triennale). In questo modo si aveva l’intenzione di esplicitare il cosiddetto hidden curriculum (curriculum nascosto) dei formatori e dei CFP in generale, attraverso un percorso induttivo che, al posto di presupporre la pedagogia delle competenze, per immaginarne le ricadute didattiche, esplora le pratiche didattiche in essere, per mettere in evidenza i loro presupposti impliciti.
Tra gli innumerevoli aspetti di pratica educativa, dal punto di vista metodologico, l’analisi ha operato nella direzione di una rassegna ragionata dei sussidi e ausili in uso nei percorsi triennali, attraverso la costruzione e la distribuzione di un questionario, volto a indagare quali sussidi/ausili erano di uso più frequente, e in quali ambiti e la raccolta mirata di evidenze (libri, software, etc.) e la loro analisi di contenuto, alla luce dei descrittori del Quadro Europeo delle Qualifiche (livello di complessità nelle conoscenze, abilità e competenze coinvolte).
I risultati della ricerca evidenziarono un uso consistente dei libri di testo, come strumento utilizzato in modo pervasivo sia nel lavoro a scuola che nello studio a casa. Il libro di testo sembrava essere risorsa in qualche modo esclusiva: infatti, la biblioteca, presente in un certo numero di Centri di Formazione Professionale, non risultava utilizzata come luogo di ricerca e di apprendimento. Anche dal punto di vista dei media didattici si ottenne una conferma di un impianto didattico tradizionale prevalente, basato su strumenti di “presentazione” frontale, o nella forma classica (la-vagna) o nella forma più evoluta (PC con videoproiettore, LIM). La ricerca aveva raccolto inoltre una rassegna dei libri di testo più adottati nei CFP nell’ambito dell’insegnamento degli assi culturali ed era stata fatta un’analisi qualitativa sulla loro congruenza rispetto all’insegnamento di tali assi.
A seguito di questa analisi, e dei suoi risvolti critici in qualche modo scioccanti, in un am-biente come quello salesiano, da anni impegnato nel movimento per le competenze, è nato l’interesse alla promozione della cosiddetta classe digitale, vale a dire di un’aula ove le nuove tecnologie (con particolare riferimento ai Tablet e alle applicazioni multimediali che essi hanno in dotazione) potenziano elementi di interattività, interazione e costruzione dei saperi e delle competenze.
L’ipotesi, tutta da verificare, era che l’impiego estensivo del tablet potesse facilitare la didat-tica per competenze e motivare, quindi, gli allievi dal punto di vista dell’apprendimento, modellan-dosi intorno ad alcune caratteristiche:
- trasformazione del ruolo del formatore, da fornitore di conoscenze a educatore, oltre che a faci-litatore di processi di ricerca e di interazione significativa;
- ricerca e utilizzo attivo di risorse disponibili (conoscenze distribuite) in funzione di mandati di lavoro complessi e interdisciplinari;
- produzione di oggetti multimediali che reticolano conoscenze di vari ambiti disciplinari, rappor-tandole a scopi comunicativi e costruttivi;
- valutazione intesa come stima di compiti reali.
L’intento progettuale consisteva dunque in una modifica profonda nell’approccio al rapporto tra insegnamento e apprendimento, spostando il baricentro dall’insegnante all’allievo, dalla parola all’azione, dall’ascolto alla collaborazione e alla negoziazione. La sperimentazione è stata accom-pagnata anche da un notevole investimento tecnologico (tablet) oltre che da supporti consulenziali.
Riassumendo la storia della sperimentazione si possono richiamare tre fasi.
Al termine del primo anno, che nel Report viene definita la «fase pioneristica», i curatori della sperimentazione scrivono: «In sintesi, l’esperienza del primo anno ha dimostrato che il tablet, all’interno di un uso semplicemente migliorativo, se da una parte migliora il piacere di stare in classe, dall’altra ha un impatto dubbio, se non addirittura peggiorativo, sull’apprendimento degli allievi. Occorreva dunque riflettere e fare un passo in avanti, alla ricerca delle condizioni organizzative, prima che didattiche, che potessero consentire un uso efficace dello strumento».
Durante il secondo anno, la «fase di stallo», riscontrata l’insufficienza di misure semplice-mente formative (aggiornamento, confronto periodico, ecc.), si andò alla ricerca di uno strumento che potesse costituire una leva di cambiamento organizzativo, responsabilizzando direttori e coordi-natori didattici intorno ad obiettivi comuni: «In questo scenario, nacque l’idea di elaborare una Li-nea Guida sull’uso del tablet nelle organizzazioni formative, un testo concreto che rappresentasse il consenso della comunità educativa salesiana intorno agli elementi essenziali della nuova didattica. Il gruppo di progetto stese la prima bozza, che fu in seguito sottoposta ad una capillare azione di modifica, correzione e integrazione da parte dei responsabili di tutti i centri coinvolti, e infine ap-provata unanimemente» (Franchini 2016, p. 23).
Il terzo anno di sperimentazione, l’anno della «ripartenza», partì dunque sotto l’egida dell’adozione delle Linee Guida, e dunque sotto un accordo sostanziale di scenario e di obiettivi concreti. Parallelamente, mentre l’adesione dei Centri di FP aumentava a macchia d’olio, cresceva la sensazione di trovarsi di fronte non semplicemente ad un miglioramento tecnologico o all’impiego di una nuova metodologia didattica, ma ad un vero e proprio cambiamento di paradigma, un terremoto paragonabile a quello provocato nel Seicento dall’invenzione della stampa. In questo scenario, si generò un nuovo slancio che, pur facendo i conti con i retaggi e i limiti delle attuali organizzazioni, contribuì a creare una rete di contatti, iniziative formative, azioni di sistema ed esperimenti organizzativi, naturalmente a densità variabile. Come supporto, in questo anno, si decise anche di consegnare ai Centri di FP coinvolti un ulteriore strumento di verifica, consistente in una check-list sulle raccomandazioni e le indicazioni operative delle Linee Guida, al fine di agevolare il confronto e l’analisi organizzativa continua dei CFP. Volendo tracciare un bilancio di questo terzo anno, si può affermare che è cresciuta sensibilmente l’adesione dei formatori, attenuando o persino annullando la divaricazione tra entusiasti e critici riscontrata all’inizio del secondo anno; parallelamente, sembra rimanere oggettivamente debole il ruolo dei direttori/coordinatori, non tanto al riguardo della loro adesione al progetto, quanto alla loro effettiva possibilità (o capacità) di indurre e strutturare il cambiamento, trasformandosi in leader educativi, oltre che responsabili organizzativi ed amministrativi. «L’impressione, si legge nella conclusione del Report, è che la rotta sia oramai tracciata, e che la forza educativa del carisma salesiano, l’iniziativa delle persone che se ne lasciano contagiare e l’effetto dirompente delle nuove tecnologie alla fine prevarranno, a disegnare, prima sperimentalmente e poi istituzionalmente, un nuovo paradigma formativo, capace di esaltare la dimensione laboratoriale, la creatività, il senso critico e la collaborazione, nel solco della vitalità della scuola salesiana e cristiana in Italia e nel mondo. In questo modo, la scuola delle competenze per la vita cesserà definitivamente di rappresentare una semplice parenetica pedagogica, per diventare lo scenario per la crescita di buoni cristiani e onesti cittadini» (Franchini, 2016, p. 25).
Le due sperimentazioni hanno prodotto una vera ricchezza di stimoli, suggestioni e indica-zioni operative per continuare a innovare la scuola e la formazione professionale dei Salesiani.
4.2.2. La formazione dei formatori: i risultati di un’indagine nazionale
Poiché l’ultima ricerca sui formatori risaliva a più di dieci anni prima (Malizia, Pieroni e Sa-latin, 2001), nel 2014 è parso necessario e urgente avviare uno studio su di loro, non tanto su tutti gli aspetti del loro complesso ruolo, quanto su ciò che ne rende possibile l’esercizio efficace, e cioè la formazione specialmente in servizio (Malizia - Piccini - Cicatelli, 2015).
Gli obiettivi sono riassumibili nei seguenti tre:
1) descrivere lo stato dell’arte della formazione dei formatori e, in connessione, di tutto il personale del CNOS-FAP, senza tralasciare di considerare con attenzione anche quelli che non partecipano alle offerte di corsi, per determinarne la consistenza quantitativa, la distribuzione territoriale e per settori, le motivazioni e i giudizi;
2) valutare l’adeguatezza, l’efficienza e l’efficacia dell’offerta di formazione dei formatori e, in connessione, di tutto il personale, utilizzando una molteplicità di referenti come per esempio gli stessi formatori e gli altri operatori, i docenti dei corsi di aggiornamento, i Direttori dei CFP, i Segretari nazionali dei settori, i Delegati regionali; questa valutazione dovrebbe mettere in rilievo i punti di forza (eccellenze) e i quelli deboli del sistema di formazione dei formatori CNOS-FAP;
3) sulla base dei risultati delle analisi quantitative e qualitative e tenendo conto delle suggestioni dei referenti principali, elaborare una serie di proposte per correggere le possibili criticità, per adeguare la formazione dei formatori e degli altri operatori alle attuali esigenze, per introdurre le necessarie innovazioni e per potenziare l’efficienza e l’efficacia (Ghergo, 2009b 2011; Cssc…, 2006 e 2008; Cavalli - Argentin, 2010).
Quanto al disegno di analisi, la ricerca ha utilizzato una pluralità di strumenti in relazione ai diversi referenti. In questa maniera si è pensato di poter assicurare un’analisi in profondità e una sufficiente oggettività nelle valutazioni. In particolare sono stati elaborati i risultati delle schede di gradimento che vengono applicate al termine di ogni corso. Allo scopo di costruire il database di tutti i frequentanti i corsi di formazione e di quelli che non hanno mai partecipato, si sono analizzati l’Archivio dei dipendenti, l’Elenco dei corsi e dei Seminari dei settori professionali. Inoltre, si sono raccolti mediante un questionario i giudizi di operatori che occupano indubbiamente un posto cen-trale dal lato dell’offerta di formazione e cioè, i Delegati regionali, i Direttori dei Centri e i Segretari nazionali dei settori e delle aree professionali. Attraverso dei focus group si è realizzato uno studio di casi con cui si sono raccolte le opinioni delle componenti principali dei CFP.
La presentazione della ricerca si articolerà in due parti, una dedicata ai risultati e l’altra alle proposte. Inoltre, si concentrerà l’attenzione sugli aspetti qualitativi, mentre per quelli quantitativi rimandiamo per i dati essenziali sui formatori alla sezione n. 5.1.
4.2.2.1. La formazione in servizio nel CNOS-FAP: qualità e gradimento
I dati sono attinti principalmente da tre indagini: il sondaggio tra i Delegati regionali, i Di-rettori dei Centri e i Segretari dei settori professionali, le schede di gradimento applicate al termine dei corsi e i focus group tenuti in 12 CFP rappresentativi della totalità.
a. La prospettiva di referenti significativi sulla qualità della partecipazione
Da un punto di vista complessivo, i corsi di formazione appaiono secondo le valutazioni dei focus group come un’esperienza importante e ricorrente nella vita dei formatori e sono percepiti come un appuntamento qualificante, sia per la sistematicità del loro svolgimento, sia per i risultati attesi e raggiunti.
Per quanto riguarda i soggetti coinvolti, in genere sembra di poter dire che l’offerta di corsi riesca a raggiungere un po’ tutto il personale e che rimanga fuori solo chi proprio non vuole lasciarsi coinvolgere.
La maggior parte degli intervistati è decisamente soddisfatta di questa esperienza, anche perché con l’andare del tempo, una volta sperimentata l’opportunità formativa, si partecipa volentieri e si vorrebbero avere ancora più occasioni di formazione.
Nonostante il dato positivo sia il più frequente, sia quantitativamente che qualitativamente, rimane l’impressione di una partecipazione piuttosto disuguale: da una parte qualcuno rimane un po’ isolato e non vuole o non riesce a partecipare; dall’altra si nota un atteggiamento di sufficienza per cui i corsi sono frequentati più per dovere che per piacere o per interesse personale, salvo poi ricredersi a cose fatte.
Sui corsi organizzati in modalità FAD il giudizio degli intervistati è pressoché unanimemente negativo: sono poco funzionali, di fatto inutili; qualcuno addirittura non ricorda nemmeno l’argomento del corso scelto e in genere parzialmente frequentato; la frequenza è piuttosto distratta e la qualità dei materiali formativi sembra essere talvolta scadente.
Per rimanere all’interno degli strumenti di comunicazione a distanza, un po’ diverso è il giu-dizio sulla Newsletter Cnos, che è invece ritenuta utile, anche se talvolta contiene troppe informa-zioni e finisce per essere consultata superficialmente (si segnalano parecchi disguidi nella ricezione per posta elettronica). I più attenti utilizzano anche la rivista cartacea Rassegna Cnos, alla quale viene riconosciuto un alto livello di qualità, anche se pochi la usano come materiale di studio e ag-giornamento.
I corsi regionali in genere sono dedicati ad argomenti di più immediata spendibilità nell’area professionale, mentre quelli di livello nazionale trattano tematiche più trasversali e generiche. I primi sono forse più apprezzati e partecipati in quanto rispondono ad esigenze immediate di aggior-namento ed offrono una facile trasferibilità dei contenuti appresi nella quotidiana attività d’aula.
I corsi nazionali sono in genere considerati di maggior valore, sia per l’impegno che richie-dono, sia per il numero ristretto di partecipanti ammessi. I corsi di Cultura Generale o di formazione pedagogica hanno inevitabilmente una ricaduta a più lunga distanza e talvolta se ne scopre la validità e la stessa utilità solo a posteriori.
Sul piano della socializzazione, i corsi nazionali sono ovviamente quelli che offrono maggiori occasioni di incontro e di scambio e sono quindi apprezzati anche per la rete di relazioni che consentono di stabilire o di rafforzare. I corsi regionali rispondono di più a esigenze pratiche locali e di aggiornamento tecnico, consentono l’incontro di operatori che probabilmente già si conoscono e sembrano essere più concentrati sul compito.
Se si fa riferimento ai destinatari, i corsi per i direttori sembrano essere quelli di maggior successo: la partecipazione è ampia e regolare e, nonostante il ricordo di qualche isolato disguido organizzativo, assicurano una buona socializzazione tra persone che svolgono la stessa funzione in contesti e condizioni diverse. Spesso risultano aver partecipato non solo i direttori ma anche i coor-dinatori.
Tra le categorie coinvolte viene lamentata la apparentemente scarsa attenzione alle cosiddette figure di sistema, cui si vorrebbe venissero dedicati specifici corsi almeno ogni certo numero di anni.
I corsi per i formatori sono invece la maggioranza e devono affrontare un’ampia varietà di argomenti e competenze. Accanto ai corsi di carattere tecnico, che vengono apprezzati ma limitata-mente all’aggiornamento che producono, la domanda principale che viene dai partecipanti è quella di fornire strumenti per affrontare le situazioni di emergenza quasi quotidiana che si trovano a vivere con gli allievi.
I corsi per formatori lasciano spesso fuori gli amministrativi, che trovano soddisfazione alle loro esigenze solo in corsi specifici.
I corsi sono in genere rivolti al personale in servizio e ciò lascia emergere come fattore di-scriminante la durata del contratto di coloro che hanno un rapporto di lavoro a tempo determinato e che, quindi, possono restare esclusi se il corso cade in un periodo che non rientra nella vigenza del contratto.
È generalmente apprezzata la possibilità di avere un coinvolgimento nella progettazione dei corsi, cosa che incide positivamente sui livelli di partecipazione. Come è ovvio, non è sempre pos-sibile far decidere alla base tutte le tematiche da affrontare, anche perché occorre mediare tra opi-nioni ed esigenze diverse, ma rimane il dato positivo della consultazione allargata. E quanto più è partecipata la decisione, tanto più è avvertito come un limite il numero ristretto di partecipanti, che può lasciare fuori qualcuno ancora sinceramente interessato.
Una sintesi di queste posizioni, ma più critica, si può trovare nei risultati del questionario applicato ai Direttori dei Centri, ai Delegati regionali e ai Segretari nazionali dei settori e delle aree professionali, che costituiscono l’universo di quanti svolgono un ruolo di leadership nella organiz-zazione e nella gestione dell’Ente.
La prima constatazione è che in nessuna delle offerte di Formazione in servizio promosse dalla Sede Nazionale la qualità della partecipazione viene ritenuta dagli intervistati molto soddisfa-cente o quasi.
Tuttavia, la frequenza di un gruppo consistente di iniziative riceve una valutazione più che abbastanza positiva: si tratta dei corsi residenziali regionali/locali, del contributo dell’apporto tecno-logico e formativo delle imprese ai settori/aree, dei seminari per il personale direttivo, di quelli tec-nici per i formatori e dei corsi nazionali nell’area delle competenze tecnico professionali.
La qualità della partecipazione è considerata abbastanza soddisfacente nel caso dei corsi re-sidenziali nazionali nell’area delle competenze di base, nei progetti internazionali e nelle attività formative con Fonder e si avvicina a tale livello nei seminari tematici legati ad eventi esterni e nei convegni promossi dalla CISI.
La valutazione scende a poco soddisfacente riguardo ai corsi FAD.
Un indicatore significativo dell’utilità delle offerte di Formazione in servizio promosse dal CNOS-FAP può essere identificato nella valorizzazione che gli operatori riservano alle risorse messe a disposizione a tale scopo dalla Sede Nazionale; in particolare, si tratta della Rassegna CNOS, delle Newsletter, delle pubblicazioni/ricerche, del Sito del CNOS-FAP, della ricerca sul successo formativo degli allievi del CNOS-FAP e del Concorso nazionale dei capolavori dei settori profes-sionali. Anche in questo caso la valutazione dei Delegati, dei Direttori e dei Segretari risulta più cri-tica di quella dei partecipanti ai focus. In sintesi, le risorse messe a disposizione dalla Sede Nazio-nale per la Formazione in servizio vengono utilizzate tra abbastanza e poco oppure poco. La ragione principale di questa situazione va ricercata in una criticità esterna alle risorse, cioè nella inadeguata socializzazione all’interno dei CFP. In secondo luogo pesa anche una carenza intrinseca ad esse e cioè il fatto che non aiutano a risolvere i problemi dei Centri. Al tempo stesso, va segnalato che in generale non sono eccessivamente teoriche o di livello troppo elevato se non la Rassegna CNOS e le pubblicazioni/ricerche e, comunque, non si possono considerare poco aggiornate. La ricerca sul successo formativo e il Concorso dei capolavori sono le risorse che presentano maggiori forme di valorizzazione e la Rassegna CNOS e le Newsletter quelle che ne hanno di meno. Il Nord è più po-sitivo del Centro e del Sud, i laici dei salesiani, i diplomati dei laureati, i Segretari dei Delegati, i più anziani dei più giovani e i più esperti dei meno.
b. Il gradimento delle attività di formazione in servizio del CNOS-FAP
Da quando ha ottenuto la certificazione, la Sede Nazionale CNOS-FAP provvede alla som-ministrazione di questionari di soddisfazione al termine degli interventi di Formazione in servizio, al fine di ottenere suggerimenti e indicazioni utili per le azioni future. I questionari vengono proposti agli operatori a conclusione delle diverse iniziative (corsi residenziali nazionali e regionali, seminari dei settori professionali e corsi per il personale direttivo) e, nel caso dei corsi residenziali nazionali e regionali, dall’anno 2012, una versione modificata del questionario viene proposta anche ai docenti responsabili della conduzione delle iniziative stesse. In estrema sintesi, analizzando i risultati della rilevazione sistematica del livello di soddisfazione per le attività di Formazione in servizio offerte dal CNOS-FAP ai suoi operatori, si individua una ampia area di soddisfazione, soprattutto per quanto concerne gli aspetti legati ai principali soggetti coinvolti, ossia la qualità della docenza e il coinvolgimento dei partecipanti, ma anche l’interesse e l’approfondimento dei temi affrontati. Qualche criticità relativa, anche se in termini molto contenuti, si riscontra riguardo all’approfondimento dei temi trattati, ai materiali didattici e alla funzionalità di aule e di luoghi; la Sede nazionale è già intervenuta per ovviare ai primi due problemi, limitando le problematiche da proporre nelle attività di formazione e impegnandosi a migliorare i materiali messi a disposizione.
Queste indicazioni sono sostanzialmente coerenti con quanto riscontrato attraverso il que-stionario somministrato, a distanza di tempo, a Direttori, Delegati e Segretari a cui si è accennato sopra. In particolare, nel caso dei rispondenti a quest’ultimo questionario l’area della soddisfazione ammonta complessivamente all’89,9% (con un giudizio medio che si colloca fra “abbastanza” e “molto soddisfatto”). Al tempo stesso va segnalato che la maggioranza assoluta dei giudizi favore-voli si concentra sulla sufficienza, mentre solo poco più di un terzo dà una valutazione molto positi-va. Pertanto, la Sede Nazionale dovrà impegnarsi nei prossimi anni a invertire l’attuale rapporto tra abbastanza e molto soddisfacente.
E, nel dettaglio, risultano essere prevalentemente motivo di soddisfazione, anche in questo caso, aspetti dell’attività formativa, quali la significatività dei contenuti proposti nelle diverse attivi-tà, l’idoneità della docenza, la trasferibilità nei CFP e il conseguimento degli obiettivi formativi.
c. Punti di forza e di debolezza della formazione in servizio del CNOS-FAP
Secondo i partecipanti ai focus group, i punti di forza della offerta della Sede nazionale del CNOS-FAP possono essere divisi in due categorie: da una parte ci sono le varie e numerosissime dichiarazioni che insistono sulla dimensione relazionale e sui contatti umani che accompagnano la frequenza di ogni corso; dall’altra ci si sofferma sui contenuti dei corsi e anche su alcuni aspetti par-ticolari non facilmente classificabili in maniera unitaria.
Per quanto riguarda la prima categoria, gli intervistati sono pressoché unanimi nell’indicare come principale punto di forza l’occasione offerta di confrontarsi di persona e di scambiarsi espe-rienze. I corsi di formazione offrono inevitabilmente l’occasione di: incontrare nuove persone, rive-dere vecchi colleghi, stabilire relazioni interessanti e visitare nuovi luoghi.
Un aspetto decisivo è infine rappresentato dai contenuti dei corsi, in relazione ai quali i giu-dizi sono ampiamente positivi. Si va da chi dice che i temi proposti costituiscono «una carta vincen-te» a chi giudica i «contenuti veramente di alto livello». Ma c’è anche chi trova che, al di là delle occasioni di incontro e della validità formativa per le persone che vi partecipano, la ricaduta è piut-tosto scarsa. Rimane quindi il dubbio se l’offerta di formazione sia correttamente tarata sulle esi-genze dei formatori – e indirettamente degli allievi – o se talvolta si raggiungano solo obiettivi di buona socializzazione. È probabile che sia oggettivamente difficile raggiungere una posizione una-nime, quanto meno per il numero dei formatori che partecipano ai corsi, ma in genere si ha l’impressione di una diffusa efficacia delle iniziative formative e che i casi di delusione rimangano un po’ isolati.
Tra i punti di forza sono anche presenti alcuni aspetti particolari che è difficile raggruppare organicamente. Un primo elemento positivo può essere costituito dalla metodologia coinvolgente. Dalle parole di alcuni intervistati emerge un particolare gradimento per corsi di carattere laborato-riale, in cui si sperimenta la possibilità di mettersi concretamente alla prova in situazioni di lavoro. Un ulteriore motivo di apprezzamento viene dalla certificazione delle competenze acquisite a fine corso. Un caratteristico punto di forza è poi costituito dal concorso dei capolavori, un’iniziativa ti-picamente salesiana, che viene giudicata «una bella vetrina per il mondo Cnos». Non è solo il con-corso in sé a valere, quanto «tutto quello che ci sta dietro», dato che il concorso nazionale mobilita una grande quantità di energie nel corso dell’intero anno.
Esaurito l’esame dei punti di forza è necessario passare ai punti di debolezza, cioè ai problemi e alle difficoltà che caratterizzano i corsi, su cui ci soffermeremo più a lungo per offrire alla Sede nazionale elementi precisi su cui basare il proprio impegno migliorativo.
Alla dimensione logistico-organizzativa possono riferirsi tutte le critiche mosse circa le date e i luoghi dei corsi, gli aspetti burocratici, le disfunzioni comunicative, gli squilibri nella composizione dei gruppi di corsisti, le difficoltà dei CFP a sostituire i formatori inviati ai corsi. L’aspetto che appare assumere maggiore rilevanza è la collocazione spazio-temporale dei corsi: ci sono infatti problemi di calendario e di collocazione geografica, che sono ovvi ma non per questo meno impor-tanti.
Innanzitutto la collocazione temporale costituisce un problema pressoché insolubile, poiché è osservazione quasi unanime che non si possa trovare il periodo ideale per svolgere i corsi. Ma si ha l’impressione che l’insolubilità del problema derivi anche dalla varietà delle persone, che hanno esigenze diverse o vivono in contesti diversi ed è quindi impossibile riuscire a conciliare tutte le loro pur legittime pretese. Soprattutto per i corsi di carattere nazionale è inevitabile dover mediare tra situazioni diversissime e chiedere perciò un minimo di adattamento e sacrificio ad ognuno.
Se i corsi si svolgono in luglio, alla fine delle lezioni, ci si arriva con la stanchezza di un intero anno di lavoro, «quando – come dice un formatore – uno è scarico, soprattutto di forze psicologiche perché ha dato tutto quello che poteva dare». Inoltre, finito il corso si va in ferie e si rischia di dimenticare buona parte di quello che si è appreso, quanto meno perché non c’è la possibilità di ap-plicarlo immediatamente. La collocazione estiva spesso va anche ad interferire con le attività di chiusura dell’anno, il riordino dei laboratori, le valutazioni, e si rischia di sommare alla fatica del lavoro di un anno anche l’affanno delle incombenze finali che si sommano.
C’è poi anche il rischio della sovrapposizione con iniziative formative di tipo diverso, per cui è necessario dover decidere tra più proposte e quindi dover inevitabilmente rinunciare a qualcosa.
A queste difficoltà si aggiungono quelle dei Centri che prolungano la loro attività ordinaria per tutto il mese di luglio e quindi si trovano a non poter mandare nessun formatore ai corsi. Ricorda infatti un direttore che, come CFP «non riusciamo a ricalcare quello che è il calendario scolastico tradizionale». Ed è ovvio che in questa situazione non si può far assentare un formatore (o addirittu-ra più di uno) per un’intera settimana, quale è la durata dei corsi nazionali.
Se invece i corsi si spostano a settembre, vanno ad interferire con le attività di inizio anno; si passa dalle ferie al corso e alla normale attività formativa senza soluzione di continuità e l’affanno che veniva prima denunciato alla fine delle lezioni si trasferisce all’inizio del nuovo anno, andando a pesare su tutta l’attività didattica.
Se infine i corsi vengono distribuiti durante l’anno c’è il problema della sostituzione dei partecipanti, con il rischio di bloccare l’ordinaria attività formativa di un Centro, soprattutto se piut-tosto piccolo. A giudicare dalla quantità di osservazioni emerse nei focus group, quello delle sosti-tuzioni sembra essere il problema principale. Si tratta di una circostanza ovvia, ma non per questo meno complessa, dato che il personale inviato a frequentare un corso deve per forza essere sostituito se ci si trova nel mezzo dell’anno formativo. Non c’è solo il sovraccarico di lavoro per i colleghi che restano in sede; c’è anche il rischio di non poter assicurare il normale servizio, soprattutto se ci si trova in un CFP di piccole dimensioni. In particolare il problema si può porre nel caso dei cosiddetti richiami a ottobre: anche se di solito si tratta solo di un paio di giorni, il problema rimane ed è particolarmente avvertito perché cade proprio nel mezzo dell’attività formativa.
Più in generale c’è da dire che, al di là dell’esperienza comunque positiva di muoversi da casa e fare nuovi incontri, per molti la partecipazione a un corso comporta anche l’assenza dalla famiglia e, come osserva con una certa ironia un coordinatore, «stiamo diventando tutti un po’ grandi e abbia-mo tutti un po’ famiglia; non è che sia semplice andare via».
Alle difficoltà di collocazione temporale si possono legare anche quelle di collocazione geo-grafica, dato che anche la sede dei corsi può creare problemi. Da questo punto di vista, i corsi re-gionali sono più apprezzati perché consentono di rientrare a casa in giornata. Quelli nazionali invece implicano necessariamente un viaggio, che talvolta può essere anche piuttosto lungo. A tale pro-posito vengono denunciate quelle che agli occhi di qualcuno appaiono delle incongruenze poco comprensibili. Possiamo dirlo con le parole di un orientatore: «i corsi sia a Udine che a Bari li ho trovati tanto fuori mano», soprattutto se poi «a Bari non c’è nessun collega della Puglia» e quindi si avverte come uno spreco di risorse il trasferimento forzato (e inutile) di tanti corsisti.
Alla scelta della sede del corso si collegano infatti le spese di trasporto, che possono incidere notevolmente. Molti ad esempio lamentano le rigide regole di rimborso, che escludono talvolta di poter viaggiare in aereo anche se il biglietto aereo spesso è più conveniente di quello ferroviario. Inoltre, le stesse modalità di rimborso impongono di non acquistare i biglietti on line e di recarsi in stazione, dove qualcuno racconta di non aver più trovato posto dopo aver fatto due ore di fila. Si tratta di disfunzioni facilmente rimediabili, ma che sono avvertite sicuramente con fastidio da chi si trova ad esserne vittima. In genere le lamentele parlano genericamente di un eccesso di burocrazia di fatto legata soprattutto alle procedure di rimborso delle spese sostenute.
Completa il quadro delle difficoltà organizzative la scarsa o imperfetta comunicazione che accompagna talvolta la proposta dei corsi. Se l’informazione non circola in maniera tempestiva ed efficace, è chiaro che si creano problemi. Racconta un formatore che il direttore di un Centro «aveva 1400 mail da guardare e non le aveva guardate e non aveva avvertito nessuno». Forse c’è un po’ di esagerazione in questo episodio, ma l’abitudine ai nuovi strumenti di comunicazione elettronica può creare talvolta situazioni del genere, per cui è bene utilizzare anche canali alternativi di comu-nicazione per essere certi di raggiungere effettivamente tutti i destinatari.
Ancora sul piano organizzativo possono valere le critiche mosse alla composizione disuguale dei gruppi di corsisti. È ovvio che in un gruppo di apprendimento omogeneo si può procedere più speditamente, ma spesso, come osserva un formatore, soprattutto nei corsi di carattere più tecnico, nonostante siano precisati fin dall’inizio i requisiti di partecipazione, «viene gente che neanche ha letto quei requisiti, direttori che mandano formatori che non hanno niente a che vedere con quei re-quisiti» e allora «succede che il corso va male perché non puoi andare avanti, perché devi stare ap-presso a quelli che stanno indietro o che non sanno niente».
Il secondo ampio raggruppamento dei punti di debolezza dei corsi di formazione è caratte-rizzato da alcuni limiti progettuali, che possono avere una ricaduta significativa sulla qualità com-plessiva degli stessi corsi.
Alcuni aspetti sono già emersi sul piano organizzativo: quando per esempio si mandano a frequentare un corso formatori con competenze troppo diverse, è chiaro che si sta minando la riuscita del corso. Più in generale, però, vale qui la classica alternativa – già vista in altre circostanze – tra corsi teorici e pratici. D’altra parte, va anche ricordato che qualcuno ha lamentato l’eccessiva spe-cializzazione di alcuni corsi, che alla fine risultano poco spendibili in classe.
In vari casi ritorna inoltre l’utilità di trovarsi a frequentare il corso con un collega dello stesso CFP, perché ciò consente di discutere immediatamente l’applicazione dei contenuti appresi nel proprio contesto di lavoro. Altro difetto denunciato è la ripetitività dei corsi.
Ci son poi alcuni che hanno lamentato l’impossibilità di conciliare le situazioni diverse di ogni CFP. C’è chi dichiara di essere sempre andato a frequentare corsi nel Nord Est, «dove la situazione è decisamente migliore che non da noi» e di essersi quindi sentito «un po’ avvilito» (ma questo genere di confronti può essere anche stimolante). C’è invece chi vorrebbe che i corsi fossero «più tarati sulla realtà, non solo della FP, ma proprio del Centro stesso, perché comunque tre Centri hanno tipologie e target differenti; quindi fare un corso standard è sbagliato».
Più in generale sembra di notare una certa insofferenza per alcune modalità di conduzione dei corsi, che in qualche caso appaiono poco attente alle singole persone. Da una parte c’è la richiesta di essere maggiormente ascoltati quando si promuove una consultazione per la programmazione di un corso. Dall’altra parte c’è il problema del tempo libero, che andrebbe valorizzato di più, se è vero – come dice un formatore – che è solo negli intervalli dei corsi che si possono discutere i problemi professionali particolari, «confrontare situazioni, metodologie e modi di affrontare gli argomenti del corso, ma anche argomenti esterni». Infine, sempre in relazione alla gestione del tempo libero, che deve essere tenuto presente e valorizzato in quanto tale, c’è chi lamenta «che venga gestito come se fosse una colonia.
L’analisi dei punti di debolezza dei corsi può risultare alla fine ingenerosa, se ci si ferma a considerare la lista delle lamentele. Nel confronto con i dati positivi, sono questi a prevalere, ma non si devono sottovalutare i difetti, che possono creare malumori capaci di condizionare la stessa fruizione dei corsi.
In conclusione, se la valutazione delle varie componenti certamente non boccia la formazione in servizio, ma anzi la promuove, non si può dire che lo faccia a pieni voti. Su tutti gli aspetti menzionati c’è spazio per il miglioramento, anche se in alcuni di più e in altri di meno. Il clima e i docenti (competenza, autorevolezza e disponibilità) sembrano soddisfare maggiormente per cui in questo ambito bisogna solo avere il coraggio di mirare al massimo: gli unici punti su cui si dovrà richiedere ai docenti dei corsi un impegno maggiore riguardano l’efficacia della metodologia didat-tica, l’approfondimento degli argomenti e dei temi e, anche se in misura inferiore, la chiarezza nell’esposizione degli argomenti. I formatori non sembrano molto coinvolti nei corsi e questa situa-zione si comprende se si tiene conto che le loro attese formative sono solo abbastanza soddisfatte e gli obiettivi dei corsi risultano solo sufficientemente raggiunti: ecco altri campi in cui si richiedono miglioramenti per passare da ina valutazione discreta ad una ottimale. Pure sul piano organizzativo sono necessari potenziamenti: anzitutto riguardo all’adeguatezza delle attrezzature, delle tecnologie didattiche e dei materiali e in secondo luogo circa calendario, orari, ospitalità e luogo dei corsi.
4.2.2.2. Proposte per un potenziamento della formazione in servizio del CNOS-FAP
La soddisfazione manifestata dagli interessati nei confronti della Formazione in servizio promossa dalla Sede Nazionale è senz’altro notevole, ma la sufficienza rappresenta il voto maggio-ritario. Pertanto, la Sede Nazionale dovrà intervenire efficacemente per elevare il livello di tale va-lutazione a uno più positivo.
Un ambito di miglioramento riguarda le mete principali su cui finalizzare in futuro l’offerta della Sede Nazionale. Dalle risposte di Delegati, Direttori e Segretari emerge una visione della Formazione in servizio centrata sul sistema di FP e funzionale alla qualità del servizio, mentre ap-paiono ignorate del tutto o quasi le attese individuali, non solo di ruolo, di carriera e di guadagno ma anche di formazione spirituale, cosa questa che suona strana in un Ente di ispirazione religiosa come il CNOS-FAP. Anche in questo caso si nota una certa polarizzazione tra salesiani e laici nel senso che i primi tendono a finalizzare la Formazione in servizio al sistema di FP generale e locale e i secondi a dimensioni più significative per i singoli formatori quali l’aggiornamento professionale e la motivazione/rimotivazione. Sarà compito della Sede Nazionale trovare un giusto equilibrio tra le due istanze.
Un gruppo di suggerimenti si concentra sui contenuti e le tipologie di competenze su cui la formazione in servizio dovrebbe concentrare maggiormente le sue offerte.
Iniziamo con le proposte che si riferiscono all’allargamento del ventaglio delle conoscenze degli operatori.
Nulla o quasi è suggerito dai partecipanti ai focus group a proposito delle discipline tradi-zionali delle aree scientifica, professionale e delle scienze umane. Probabilmente la scarsità di sug-gerimenti in questo ambito dipende dall’abbondanza di corsi di aggiornamento nelle aree appena ci-tate. In questo campo i Delegati, Direttori e Segretari sono molto più espliciti. La tipologia di com-petenze su cui si dovrebbe focalizzare nei prossimi anni lo sforzo di rinnovamento è costituita dalle competenze trasversali, una indicazione che sorprende in positivo perché si tratta di competenze non sempre molto valutate dai formatori; al secondo posto e a poca distanza vengono indicate le competenze tecnico-professionali relative ai settori che, sebbene siano già una eccellenza della IeFP salesiana, tuttavia richiedono un costante sviluppo. Meno considerate sono le competenze relative allo sviluppo organizzativo e gestionale delle risorse umane e quelle riguardanti l’area formativa salesiana, ma ambedue esigerebbero una maggiore attenzione le prime perché si tratta di una tipo-logia in sviluppo e la seconda perché la proposta formativa dei Centri si ispira al carisma salesiano e bisogna riconoscere che i partecipanti ai focus group sono molto più favorevoli dei Delegati, Diret-tori e Segretari a questa proposta. Uno dei problemi più delicati e importanti che gli Enti di ispira-zione cristiana debbono affrontare è l’animazione della loro identità cristiana e carismatica sia per i formatori neoassunti che per quelli in servizio: da questo punto di vista si raccomanda di rafforzare iniziative già esistenti come i percorsi “Insieme per un nuovo progetto di formazione” ed “Etica e deontologia dell’operatore della FP” e di predisporne di nuove.
Un certo numero di partecipanti ai focus raccomanda lo sviluppo di iniziative di formazione in servizio su tematiche come la salute (in particolare la prevenzione dalla abuso delle droghe), il benessere, l’ecologia e la sicurezza.
Un altro gruppo di proposte mira a rafforzare e ad ampliare le competenze didattiche, ge-stionali e organizzative degli operatori del CNOS-FAP.
Anzitutto, va registrata la domanda di potenziare l’offerta di formazione in servizio per pre-parare figure di sistema quali orientatori, tutor, responsabili DSA (disturbi specifici di apprendimen-to), DF (diagnosi funzionale) e BES (bisogni educativi speciali).
Nella stessa linea si colloca la proposta di sviluppare i corsi per la gestione d’aula in modo da realizzare una IeFP sempre più inclusiva.
Tenuto conto del clima generale che caratterizza in questo momento il sistema educativo di istruzione e di formazione e il dibattito su “La buona Scuola” del governo Renzi, non poteva man-care la richiesta di potenziare l’offerta di aggiornamento a proposito della valutazione
Si riscontrano operatori che denunciano problemi di vario tipo nel relazionarsi con le fami-glie. La formazione in servizio del CNOS-FAP dovrebbe occuparsi più ampiamente ed efficace-mente anche di questa area. Tra l’altro, n una vera “comunità formativa”, genitori e docenti avreb-bero bisogno di fare formazione insieme, superando un certo protagonismo individuale e una certa auto-referenzialità.
Oltre che riguardo ai contenuti e alle competenze, i partecipanti ai focus group, sono state avanzate proposte circa le metodologie che la Sede nazionale dovrebbe privilegiare nella formazione in servizio.
Al primo posto viene indicata una metodologia mista articolata tra aula, formazione a di-stanza e autoformazione.
La metodologia d’aula rimane centrale e la ragione va ricercata nella «presenza in essa del rapporto umano, del gruppo di lavoro, dello scambio e dell’attività operativa». Metodologia d’aula non significa soltanto lezione frontale, anche se questa non può mancare (ma potrebbe essere anche svolta online), ma i corsi devono essere interattivi, con molte opportunità di interrelazioni, pratici e di natura laboratoriale «perché si impara facendo», «stimolanti e accattivanti». Una formula che può aiutare è quella dei corsi «dove i formatori poi realizzano il materiale didattico». Qualcuno suggeri-sce il ricorso a delle testimonianze: queste possono essere offerte non solo da competenti di livello scientifico elevato, ma anche da colleghi esperti dello stesso Centro o di altri Centri. Da questo pun-to di vista possono essere importanti i richiami alla formazione purché però non tolgano risorse e forze al Centro che manda i formatori.
Accanto a momenti di incontro fisico e di scambio diretto, dovranno essere previsti momenti di studio personale e di formazione a distanza. Non si può lasciare tutto online perché il lavoro nei Centri è molto e le scadenze sono tante e quindi si rischia di iniziare un corso e di non terminarlo più. Può servire per questi momenti fuori dall’aula la condivisione dei contenuti dei corsi e delle unità didattiche perché si tratta di vedere realizzati in pratica da colleghi i contenuti che si sono appresi nelle lezioni frontali. Un supporto significativo per attuare nel Centro ciò che si è appreso nei corsi può essere offerto da formatori dello stesso CFP che hanno partecipato alla medesima iniziativa per cui si suggerisce che la partecipazione alla formazione in servizio dovrebbe sempre coinvolgere più di un partecipante per Centro.
Una proposta che viene avanzata ancora sul piano metodologico riguarda la previsione di un esame fiale e di un attestato di qualifica. Infatti, questo potrebbe dare «più di senso a quello che uno fa» e «spingerebbe qualcuno a vivere l’esperienza del corso in maniera un po’ meno passiva». Qualcuno suggerisce che ci sia una prova di inizio per verificare il livello di competenza e una finale per valutare gli obiettivi raggiunti. Al tempo stesso bisogna dosare i contenuti per evitare di voler affrontare in un corso di 30 ore un argomento di sei mesi. In questi casi non si tratterebbe più di ri-lasciare un semplice attestato di frequenza, ma una vera certificazione di competenza.
Per la formazione in servizio degli insegnanti un ruolo determinante è rivestito dalla supervi-sione del dirigente. In prima battuta, questa va concepita come un aiuto fornito dai dirigenti agli in-segnanti allo scopo di migliorare la loro pratica nel rispetto della responsabilità primaria che essi hanno nel processo di insegnamento-apprendimento. E forse questo un ambito in cui il CNOS-FAP deve avviare un cammino di riflessione e di proposte.
Quanto ai sussidi, sarà necessario potenziare la valorizzazione delle risorse erogate dalla Sede Nazionale, aiutando Delegati, Direttori e Segretari a saperle socializzare ai formatori e agli altri operatori e rendendole più facilmente utilizzabili per risolvere i problemi dei Centri attraverso un loro ripensamento sul modello della ricerca sul successo formativo degli allievi e del Concorso nazionale dei capolavori.
Un ultimo gruppo di proposte riguarda i destinatari, cioè i formatori e più in generale gli operatori.
La prima afferma il primato delle esigenze di questi ultimi, non solo professionali e di car-riera, ma anche umane, purché funzionali alla qualità del servizio. Due sono gli aspetti su cui si concentrano le indicazioni dei partecipanti ai focus group. Uno di carattere generale insiste sulla ne-cessità da parte della dirigenza del CNOS-FAP di sviluppare in estensione e in profondità la moti-vazione alla formazione in servizio «perché il formatore non può mai dire di aver finito di imparare» e «perché con il carico di lavoro che si ha rimane ben poco tempo per l’auto-apprendimento […] per cui abbiamo la necessità di essere costantemente formati in modo da poter offrire un’informazione puntuale».
L’altra proposta è molto specifica, ma è opportuno citarla non solo in quanto riflette in modo chiaro il primato dei bisogni formativi degli operatori, ma anche per il riferimento a una istanza emersa dall’analisi quantitativa condotta riguardo ai dati dell’archivio, e cioè di una attenzione par-ticolare da prestare alle esigenze specifiche degli amministrativi e.
Una proiezione del primato delle esigenze dei destinatari a livello di tutto il Centro è la pro-posta che le iniziative di formazione in servizio siano mirate sui singoli CFP. Infatti, «un corso fatto in sede è più comodo, è più fruibile, risparmi sul tempo e l’organizzazione e lo puoi fare in contem-poranea ai corsi e alle normali attività». Ma la ragione più vera è che la formazione in servizio ha senso se i suoi effetti si fanno sentire positivamente in ciascun Centro, nei singoli corsi e su ogni formatore e allievo; altrimenti, è solo spreco di risorse. Pertanto gli obiettivi a questo livello vanno identificati nel rinnovamento della IeFP dall’interno e nel miglioramento della pratica pedagogica. Determinante per il successo della formazione in servizio nel singolo CFP è la creazione di un am-biente che stimoli e sostenga le iniziative di aggiornamento.
Inoltre, ai fini di migliorare la frequenza alla Formazione in servizio promossa dalla Sede Nazionale del CNOS-FAP bisognerà assicurare: una attenzione maggiore alla qualità della frequen-za, rendendo i contenuti più rispondenti alle esigenze dei formatori e curando meglio la loro sele-zione più mirata in relazione alle tipologie di offerta; un personale più numeroso nei CFP – ma ciò non dipende dagli Enti di formazione –; una migliore distribuzione del carico di lavoro; un calenda-rio di offerte più rispondente alle disponibilità di tempo dei formatori.
4.2.3. Il successo formativo degli allievi del CNOS-FAP
Il monitoraggio del successo formativo degli allievi del CNOS-FAP costituisce una delle evidenze più convincenti della bontà dell’offerta formativa dei CFP della Federazione. Infatti, esso consiste in una valutazione esterna che, inoltre, è molto vicina nel tempo perché è stata realizzata a partire dal 2009-10. Più precisamente si tratta di indagini che da quella data ogni anno sono state ef-fettuate sugli ex-allievi a un anno dal titolo finale di qualifica o di diploma.
Per motivi di tempo e di risorse la prima fase di questo tipo di ricerca è stata focalizzata sui qualificati nel 2008-09 dei settori meccanici auto ed elettro-elettronici della IeFP salesiana; la se-conda ha riguardato gli allievi dei percorsi biennali, triennali e quadriennali sperimentali di IeFP del Cnos-Fap, qualificati nell’anno formativo 2009-10, relativamente a 5 macro-settori (auto, elettro-elettronico, grafico, industria, turismo) più vari altri (edilizia, lavorazione artistica del legno, agri-coltura, benessere, amministrazione, punto vendita) che sono stati trattati insieme per la loro ridotta consistenza numerica (Malizia et al., 2016). La terza fase riguarda non solo gli ex-allievi che hanno ottenuto dopo un triennio di formazione una prima qualifica professionale e i macro-settori appena richiamati del 2009-10 (con l’aggiunta dell’energia nel 2011-12), ma per la prima volta anche quelli che hanno conseguito un diploma di tecnico professionale. Più precisamente, finora (ma è ancora in corso) tale fase ha incluso qualificati e diplomati negli anni formativi: 2010-11/2015-16 (Malizia e alii, 2016; Malizia e Gentile, 2016, 2017 e 2018).
Riguardo alla terza fase, facciamo notare che per motivi di opportunità, connessi allo slitta-mento temporale eccessivo del calendario dell’anno formativo in Sicilia, neppure nel 2017 come nel 2015 e nel 2016, è stato possibile far partecipare al monitoraggio i CFP dell’Associazione CNOS-FAP di tale Regione. Dato il peso notevole di quest’ultima sul totale degli ex-allievi, rappresentando essa oltre il 10% del dato nazionale, l’universo dei tre anni, appena citati, non coincide con quello degli ex-allievi della IeFP salesiana, qualificati e diplomati degli anni 2009-10/2012-13, come nei relativi monitoraggi (2011-14) (Malizia et alii, 2016).
La metodologia di ricerca è consistita nella ricostruzione dell’universo di riferimento attra-verso le segreterie dei CFP del CNOS-FAP e in un’intervista telefonica personalizzata realizzata sulla base di un questionario. Il campione di fatto raggiunto in ogni rilevazione non è statisticamente rappresentativo in senso stretto perché non sappiamo se il 10% circa degli ex-allievi che non sono stati raggiunti in ogni indagine si distribuiscano in maniera casuale; tuttavia, tenuto conto che quanti hanno risposto in tutti i sondaggi costituiscono il 90% quasi dell’universo, lo si può ritenere co-munque rappresentativo, se non statisticamente, almeno socialmente. Perciò, dai risultati è possibile trarre, con la dovuta prudenza, generalizzazioni accettabili (Frudà, 2007).
Passando poi ai risultati dei monitoraggi, ci si concentrerà sull’ultimo del 2017 in paragone con i due che sono confrontabili, del 2015 e del 2016, mentre per i precedenti ci si limiterà a consi-derare gli andamenti che si basano su dati tra loro sostanzialmente conformi e quindi consolidati (Malizia - Gentile, 2018, 2016 e 2017; Malizia et al., 2016).
Incominciamo con la distribuzione in base al sesso che registra una chiara predominanza dei maschi sulle femmine (monitoraggio del 2017 : 84,3% rispetto a 15,7%) (Malizia - Gentile, 2018). Il dato riflette la vocazione tradizionale del CNOS-FAP, nato per la preparazione dei giovani ai me-stieri cosiddetti “maschili”. In proposito, va evidenziato che l’andamento conferma sostanzialmente quanto emerso da tutti i monitoraggi precedenti.
L’80% circa (78,6%) proviene direttamente da un percorso regolare nella secondaria di 1° grado, concluso con il superamento del relativo esame di stato: il dato costituisce un balzo in avanti positivo dopo che negli ultimi due anni si era registrata una notevole riduzione da tre quarti circa a due terzi quasi in contrasto anche con l’andamento precedente. Al contrario, soltanto poco più di un quinto (20,3%) si è iscritto alla IeFP dopo aver frequentato per uno o più anni la secondaria di 2° grado (e nei due monitoraggi precedenti confrontabili con l’attuale si era arrivati a oltre un terzo) e appena l’1,0% non possiede nessun titolo. Se il primo dato evidenzia che sempre di più la IeFP sta assumendo la fisionomia di una istituzione formativa normale, il secondo attesta il ruolo di recupero che la FP continua ad assolvere nei confronti dei “rottamati” dei sistemi scolastici, ossia di quei soggetti che vanno incontro ad insuccessi scolastici e/o che si ritirano spontaneamente perché non ce la fanno ad andare avanti.
Se si passa a considerare il titolo conseguito al termine della frequenza della IeFP, il 90%quasi (89,1%) ha ottenuto la qualifica, più del 10% (10,9%) il diploma professionale e nessuno il diploma di IP (dell’istituto professionale, cioè il diploma di scuola secondaria di 2° grado a norma del DPR n. 87/2010), essendo ormai cessata la relativa sperimentazione come è stato più volte se-gnalato. Il confronto con i due monitoraggi precedenti tra loro comparabili evidenzia una sostanziale stabilità dei qualificati e una leggera crescita dei diplomati.
Gli intervistati di origine migratoria (stranieri o italiani di seconda generazione) rappresen-tano poco più del 15% (16,8%), mentre gli italiani costituiscono oltre i quattro quinti (83,2%). L’andamento è sostanzialmente stabile negli ultimi tre anni; in ogni caso, va sottolineato in positivo che i primi costituiscono più del doppio degli studenti stranieri iscritti alla secondaria di secondo grado (7% nel 2015-16) (Censis, 2017, p. 136).
La distribuzione per circoscrizioni geografiche vede al primo posto il Nord Ovest con il 60% quasi (57,1%) degli intervistati; seguono il Nord Est con il 30% circa (29,7%), il Centro con oltre il 10% (12,8%) e il Sud con appena lo 0,3% a motivo, come sappiamo, dell’assenza della Sicilia. La mancanza di queste ultime informazioni comporta ovviamente una certa distorsione dell’andamento della ripartizione territoriale; inoltre, il confronto con i monitoraggi comparabili, registra una sostanziale stabilità dei dati nel tempo.
A un anno dalla qualifica/diploma gli ex-allievi dichiarano di trovarsi nelle seguenti situazioni dal punto di vista dello studio e del lavoro:
- oltre il 50% (54,9%) ha continuato il proprio percorso nel sistema di istruzione e di formazione e più precisamente il 30,2% nella scuola e un quarto circa (24,7%) nella FP;
- un terzo quasi (32,3%) ha trovato un’occupazione;
- Intorno al 10% (10,2%) non studia né lavora:
- il 2,6% (70) è impegnato in altre attività come il servizio civile e le patenti europee.
Il confronto fra gli ultimi tre monitoraggi evidenzia un diverso andamento tra il 2017 e i due precedenti nel senso che: anzitutto cresce del 10% quasi (8,1%) la quota di chi continua gli studi e questo per effetto dell’aumento degli iscritti alla IeFP del 12% mentre si arresta la crescita del pas-saggio all’istruzione che segna una riduzione del 3,9%; in secondo luogo diminuisce del 7,5% la percentuale degli intervistati che non lavorano e non studiano. Al tempo stesso rimane sostanzial-mente stabile intorno a un terzo il dato chi ha trovato un’occupazione. Da ultimo va sottolineato che nel complesso si consolidano tre tendenze che si erano andate delineando nei monitoraggi preceden-ti: la crescita degli ex-allievi che proseguono gli studi dopo il conseguimento del titolo, la diminu-zione di quanti non studiano e non lavorano e la stabilità della percentuale di quelli che dichiarano di aver trovato un lavoro.
Per cercare di determinare i fattori che facilitano l’occupabilità, si è iniziato con l’esaminare i comparti nei quali gli ex-allievi sono riusciti a reperire un lavoro. Se i settori si considerano in se stessi, i primi due posti si situano la meccanica industriale e il turistico-alberghiero che offrono maggiori opportunità e più precisamente a un quinto circa degli intervistati (rispettivamente al 22,2% e al 19,9%); tra il 15% e il 10% si collocano l’automotive (11,6%) e l’elettrico-elettronico (10,7%); al di sotto del 10% si riscontrano “altri” comparti (9,3%), l’energia (7,2%) e il punto ven-dita (6,1%) e in percentuali inferiori al 5% si trovano il benessere (4,8%), l’agricoltura (3,5%), il grafico (2,4%), la lavorazione artistica del legno (1,5%) e l’amministrazione (0,7%).
Se i settori non si prendono in considerazione in sé stessi, ma in paragone con la ripartizione generale degli ex-allievi tra i comparti, emerge che il benessere e la lavorazione artistica del legno evidenziano una sostanziale corrispondenza tra le cifre dei comparti occupazionali e quelle della qualifica/diploma, che il turistico-alberghiero, il punto vendita, il meccanico industriale, l’energia e l’agricoltura presentano un capacità occupazionale superiore (le percentuali dei settori occupazionali sono maggiori di quelle dei comparti di qualifica/diploma) e che l’elettrico-elettronico, l’automotive, il grafico e l’amministrazione si contraddistinguono per una potenzialità minore (le percentuali dei settori occupazionali sono inferiori a quelle dei settori di qualifica/diploma). Mettendo insieme i due tipi di dati si può dire che la meccanica industriale e il turistico-alberghiero sono i comparti che possono assicurare una più grande occupabilità.
Come nelle edizioni passate, tutti gli intervistati dichiarano di aver partecipato ad una espe-rienza di stage durante la frequenza della IeFP nei Centri salesiani; inoltre, per quasi totalità degli ex-allievi (99,7%) essa era del tutto corrispondente alla qualifica professionale ottenuta nei CFP del CNOS-FAP. I tre quarti quasi (73,9%) ritiene anche di aver imparato molto da tale esperienza e circa un quarto si dichiara (24,5%) abbastanza soddisfatto; chi opta per le alternative poco (1,0%) o nulla (0,1%), è una percentuale del tutto irrilevante, mentre lo 0,6% non risponde. Al riguardo, va evidenziato in positivo che negli ultimi tre anni la percentuale di chi risponde molto è salita del 4,2%.
Un terzo quasi (33,1%) dei qualificati e dei diplomati che hanno reperito un’occupazione, si sono rivolti al Centro che frequentavano, mentre poco più di due terzi (66.8%) non l’hanno fatto e lo 0,1% non ha risposto. Siccome tra gli ultimi tre monitoraggi si riscontra una sostanziale stabilità riguardo alla prima percentuale, ci permettiamo di richiamare in sintesi le osservazioni in proposito contenute negli ultimi due articoli sull’argomento: «il numero di coloro che ricorrono al proprio CFP per reperire un’occupazione è senz’altro consistente se si tiene conto del comportamento gran-demente prevalente tra le imprese di servirsi di conoscenze dirette o di banche dati […]; tuttavia, ci si sarebbe attesa una percentuale più alta, anzi che tutti o quasi si fossero rivolti al Centro frequenta-to perché il servizio dei CFP del CNOS-FAP, cioè dei salesiani di Don Bosco, ai loro allievi non si può limitare al conseguimento del titolo e soprattutto non dovrebbe mancare in una fase così delicata della esistenza dei giovani come quella della ricerca di un’occupazione. In un’ottica migliorativa e sulla base dei riscontri avuti, in questo e nei precedenti monitoraggi, insieme con le famiglie e con gli allievi qualificati si è deciso all’interno della Federazione CNOS-FAP di avviare un progetto di supporto alla ricerca del lavoro attraverso gli sportelli dei Servizi Al Lavoro (SAL). Questi, presenti a poco a poco in un sempre maggior numero di Centri salesiani, offrono la possibilità agli ex allievi qualificati-diplomati e alle persone in cerca di una opportunità lavorativa di essere accompagnati e guidati con il supporto della figura di un operatore con competenze orientative. Il servizio erogato viene attuato attraverso una nuova metodologia di accompagnamento al lavoro che prevede un pri-mo colloquio e successive fasi di consulenza che consentono la valutazione delle competenze e delle potenzialità del candidato con lo scopo di ottimizzare e facilitare un processo di inserimento lavo-rativo che sia soddisfacente sia per le persone che per le aziende» (Malizia e Gentile, 2016, 96, 2017, 84 e 2018, 89-90).
Passando alla tipologia contrattuale di assunzione, il 40% circa (38,8%) degli ex-allievi oc-cupati lavora con un contratto atipico, oltre un terzo (34,2%) con quello di apprendistato e più di un quinto (20,3%) con uno a tempo determinato; al di sotto del 5% si collocano il tempo indeterminato (4,9%) e altre modalità contrattuali non formalizzate (1,8%). I dati del 2017 confermano quelli del 2015 e alcuni andamenti precedente, dopo i cambiamenti di direzione del 2016; si tratta cioè dell’aumento dei contratti atipici, della stabilizzazione dell’apprendistato intorno a un terzo e della diminuzione delle tipologie non formalizzate. In altre parole viene evidenziata la crescita nel tempo della instabilità contrattuale che, a sua volta, riflette la situazione di crisi economica del Paese.
La maggioranza quasi assoluta degli occupati (49,7%) dichiara di essere stata assunta entro tre mesi dalla qualifica/diploma, mentre più del 15% (17,1%) ne ha messi sei e intorno a un quarto (25,4%) un anno; altre risposte ottengono il 7,6% e lo 0,2% appena non si pronuncia. Le cifre degli ultimi tre monitoraggi risultano piuttosto oscillanti per cui non emergono tendenze chiare; rimane comunque il dato positivo che la percentuale di quanti trovano un lavoro entro i sei mesi varia nel tempo tra oltre il 60% e due terzi.
Nella parte terminale del sondaggio, alla richiesta di effettuare una valutazione complessiva della propria esperienza formativa nella IeFP del CNOS-FAP, gli ex-allievi hanno fatto registrare percentuali vicine al massimo sia nel manifestare il loro grado di soddisfazione per la formazione ricevuta, sia perché sarebbero disposti a compiere nuovamente la stessa scelta e la consiglierebbero anche ad altri. Tale andamento è stato confermato dalle poche indicazioni di miglioramenti dell’IeFP del CNOS- FAP che sono state espresse dagli intervistati.
In conclusione si può affermare che, sul piano quantitativo i risultati del 2017 si pongono in linea di continuità con quelli degli anni passati, mettendo in chiara evidenza che gli andamenti posi-tivi registrati precedentemente si sono ormai consolidati. Ricordiamo i principali esiti che più volte abbiamo evidenziato nei nostri articoli. Anzitutto, il monitoraggio del 2017 ha confermato il sorpas-so che si è compiuto negli ultimi sei anni, della scelta di continuare la formazione dopo la qualifi-ca/diploma, rispetto a quella di passare immediatamente al lavoro, la quale certamente sottolinea le potenzialità della IeFP di rimotivare allo studio giovani che a causa dei fallimenti sperimentati nei percorsi scolastici precedenti sono esposti al pericolo di abbandonare il sistema educativo. Inoltre, il monitoraggio rinsalda i risultatati favorevoli, ottenuti precedentemente a livello sia occupazionale che formativo, quali: l’incidenza positiva della IeFP sul passaggio dei giovani al lavoro nella coorte 15-25, quella cioè che si contraddistingue per le problematiche più serie nell’inserimento occupa-zionale; la quota contenuta degli inattivi; l’apporto significativo della frequenza della IeFP alla pre-parazione dei qualificati e dei diplomati; la brevità dei tempi di attesa per reperire un’occupazione; una valutazione generale molto positiva degli ex-allievi nei confronti della propria esperienza for-mativa nella IeFP del CNOS-FAP.
Non mancano certamente alcune criticità come l’aumento della precarietà di chi viene as-sunto e un ricorso al proprio CFP per trovare un lavoro ancora non molto frequente. A queste già segnalate si sono aggiunte nel monitoraggio del 2017, tre nuove criticità che, sebbene non molto ri-levanti, non vanno però trascurate: più precisamente si tratta della diminuzione della soddisfazione nei confronti dell’IeFP salesiana, del calo di quanti la rifrequenterebbero e della riduzione degli in-tervistati che consiglierebbero ad altri di fare il percorso formativo, un andamento che in ogni caso va sempre giudicato sulla base di una percentuale dell’85% e oltre di risposte positive. Comunque, si tratta di carenze limitate e che potranno essere facilmente ovviate in tempi relativamente brevi.
La possibilità di dialogare direttamente con gli ex-allievi e con le famiglie nelle interviste te-lefoniche ha consentito non solo di ascoltare le loro risposte alle domande del questionario ma anche di raccogliere il racconto del vissuto degli allievi all’interno dei CFP del CNOS-FAP in maniera informale: presentiamo qui di seguito una brevissima sintesi delle valutazioni libere date in occasione del monitoraggio del 2017. Dai giudizi emersi la frequenza del CFP è stata per gli allievi e le allieve una esperienza trasformante che ha comportato mutamenti, difficoltà, maturazioni, sacrifici e gioie. L’eco di questi cambiamenti sembra risuonare nelle parole dei genitori e degli allievi quando parlano con gratitudine dell’operato dei formatori. Potremmo dire che la formula salesiana dei CFP ha dato a molti giovani una prospettiva diversa, tutta da sperimentare. Nel CFP “l’io” molto spesso incerto e individualista nel periodo adolescenziale è diventato un “noi”, permettendo ai ragazzi e alle ragazze di identificare le loro potenzialità e di avviare il circolo virtuoso della fiducia. Molti commenti positivi hanno rafforzato le convinzioni degli operatori della Federazione sulla validità dell’offerta formativa ed educativa che caratterizza i Centri del CNOS-FAP e le criticità segnalate sono state fonte di riflessione per avviare una costante e minuziosa azione migliorativa delle attività dei CFP. Il contatto con famiglie e allievi resta in molti casi anche dopo la conclusione del percorso formativo e i ricordi degli anni vissuti presso i CFP salesiani sono pieni di affetto e riconoscenza. I giovani spesso riconoscono nei direttori, nei formatori e nei salesiani conosciuti durante l’esperienza formativa le figure attraverso le quali hanno potuto mettere a fuoco e concretizzare i propri obiettivi di vita, in un clima amicale caratterizzato da una fiducia reciproca.
4.2.4. La proposta di “Il lavoro buono”. Un manuale di educazione al lavoro per i giovani
Su questa tema ci limiteremo a focalizzare, attraverso particolari momenti della storia della Federazione CNOS-FAP, la forte attenzione dedicata all’educazione al lavoro attraverso la forma-zione professionale.
4.2.4.1. “L’educazione al lavoro” nella Proposta Formativa
Anche solo qualche cenno ad alcuni passaggi della Proposta Formativa della Federazione CNOS-FAP (1989) attestano la grande attenzione che la Federazione ha avuto riguardo a questo tema (Cnos-Fap, 2015, pp. 22-24). Si riporta, per memoria, un passaggio tratto dal capitolo “Cultura e professionalità nel CFP del CNOS-FAP”:
La prioritaria caratterizzazione formativa della Federazione CNOS-FAP motiva la proposta di un itinerario di formazione culturale professionale che mira a:
- umanizzare la formazione al lavoro e la scelta professionale;
- integrare l’esperienza lavorativa nell’insieme della vita di relazione;
- personalizzare la scelta e la pratica professionale all’interno delle strutture e delle procedure professionali e sociali;
- inserire il soggetto con competenza professionale e vitale nel mondo del lavoro e nella società civile ed ecclesiale.
Il testo prosegue riportando concreti suggerimenti di intervento:
- promuovere iniziative per far acquisire agli allievi una adeguata consapevolezza del significato della scelta professionale;
- approfondire la dimensione etico-religiosa della formazione e della scelta professionale;
- promuovere l’assunzione graduale di una concezione del lavoro inteso come spazio sociale;
- offrire opportunità per sviluppare una mentalità critica;
- promuovere la cultura della formazione permanente;
- fare esperienze di inserimento nel contesto civile, ecclesiale e lavorativo.
Si può cogliere, da subito, la visione unitaria di una cultura che è
- professionale, in quanto si focalizza sulla condizione produttiva in cui i soggetti in formazione vivono e vanno ad esercitare la loro capacità di lavoro;
- umanistica in quanto inquadra la professionalità in una concezione globale dell’uomo radical-mente capace di costruire una storia a misura d’uomo e una convivenza sociale a servizio di una vita personale e comunitaria, civile ed umanamente degna;
- integrale, in quanto la professionalità e il lavoro ottengono la loro piena significatività nella di-mensione etica e religiosa della vita, che in particolare motivano la ricerca e la solidarietà di tutti verso il bene comune e verso una storicità culturale aperta e stimolata dalla trascendenza.
Si colgono anche, da subito, significative linee operative per realizzare l’educazione al lavoro:
- far maturare la consapevolezza della scelta professionale;
- cogliere nel lavoro umano storico un fattore di elaborazione di una cultura specifica;
- sostenere una visione del lavoro inteso come spazio sociale nel quale si instaurano rapporti di conoscenza, di disponibilità e di partecipazione alla vita civile, alle istituzioni politiche, alle or-ganizzazioni sindacali e alle presenze ecclesiali.
Sin dagli inizi, dunque, la Federazione CNOS-FAP ha messo a fuoco il tema del lavoro in chiave educativa. L’attenzione specifica al «laboratorio» nel CFP e la elaborazione di una specifica collana «Problemi d’oggi» a supporto dei formatori della Cultura Generale sono state due modalità concrete – ma non le uniche - per dare attuazione a quanto auspicato dalla Proposta Formativa.
Il «laboratorio attrezzato, adeguato nelle tecnologie, organizzato» è stato sempre ritenuto il primo strumento di educazione e formazione al lavoro. Gli operatori della Federazione CNOS-FAP che hanno familiarità con la storia della formazione professionale salesiana conoscono l’attenzione di don Bosco e dei suoi successori per i laboratori:
«Non v’ha quindi dubbio che se noi Salesiani vogliamo lavorare proficuamente a vantaggio dei figli del popolo, dobbiamo anche noi muoverci e camminare col secolo, appropriandoci quello che in esso v’ha di buono, anzi precedendolo, se ci è possibile, sulla strada dei veraci progressi, per potere, autorevolmente ed efficacemente, compiere la nostra missione. Le scuole professionali debbono essere palestre di coscienza e di carattere e scuole fornite di quanto le moderne invenzioni hanno di meglio negli utensili e nei meccanismi, perché ai giovani alunni nulla manchi di quella cultura, di cui vantasi giustamente la moderna industria» […]
Le scuole professionali «devono essere palestre di coscienza e di carattere, e scuole fornite di quanto le moderne invenzioni hanno di meglio negli utensili e nei meccanismi, perché ai giovani alunni nulla manchi di quella cultura di cui vantasi giustamente la moderna industria».
È quanto afferma la prima generazione di Salesiani – siamo nel 1910 – nel presentare il Programma di Cultura Generale comune a tutti gli artigiani e i Programmi professionali per ognuno dei diversi mestieri, che voleva essere « coi tempi e con don Bosco» (Prellezo, 2013, p. 36). Gli Accordi o Intese di collaborazione con le imprese dei Settori nei quali la Federazione CNOS-FAP opera, sono il segno della volontà di continuare lungo questa strada, indicataci da don Bosco e dai suoi primi successori.
La collana «Problemi d’oggi», in secondo luogo, promossa dalla Sede Nazionale e realizzata con il coinvolgimento di numerosi formatori, ha affrontato ed organizzato, con un approccio didat-tico originale, temi di Cultura Generale, temi che dovevano essere stimoli culturali per giovani orientati verso il mondo del lavoro.
Di questa collana ci piace sottolineare, in modo particolare, la «modernità» metodologica e contenutistica. Ogni volume è stato impostato secondo il seguente impianto metodologico. Citiamo la presentazione riportata in ogni volumetto:
L’obiettivo della collana «Problemi d’oggi» è di offrire ai docenti e agli allievi dei CFP uno stimolo e un aiuto nel processo di formazione integrale aperto alle istanze dei tempi e alle nuove metodologie.
Nell’intento di creare nel giovane lavoratore la capacità critica e l’unità armonica della sua per-sonalità, il metodo di apprendimento mira a coinvolgerne, mediante il confronto con i problemi e le realtà attuali, tutta la persona, fondendo la dimensione individuale con quella sociale e comunitaria.
Nell’articolazione del testo ogni argomento viene sviluppato e approntato attraverso:
- stimoli
- informazione
- ricerca
- verifica
Il momento della verifica è facilitato e reso concreto mediante letture e documenti di attualità. Il lavoro è maturato in anni di ricerca, sperimentazione e collaborazione tra docenti e allievi. I temi presentano quindi l’impronta di concretezza e aderenza alla realità quotidiana del giovane lavora-tore
Circa l’aspetto contenutistico, nell’arco degli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, la Sede Nazionale ha curato i seguenti volumi stampati presso la Editrice LDC:
Problemi d’oggi:
1/ Il paese in cui vivi, 1986;
2/ Il mondo del lavoro, 1987;
3/ Il movimento operaio, 1988;
4/ Le ideologie politiche e la società d’oggi, 1989;
5/ Cultura oggi e società, 1991;
6/ I problemi giovanili, 1992;
7/ La famiglia, 1993;
8/ Il mio progetto di vita, 1994.
Quale sussidio per l’insegnamento della religione nelle scuole secondarie superiori e nei Centri perla Formazione Professionale veniva proposto il volume Chiesa, via della salvezza, 1997.
4.2.4.2. “Educazione al lavoro» nelle Linee Guida per i percorsi di IeFP (2003)
Un altro momento importante ci sembra legato al periodo della sperimentazione dei percorsi formativi di durata triennale, iniziata nell’anno 2003.
Questi anni sono ricordati come gli anni delle continue riforme. La riforma legata al Ministro della Pubblica Istruzione Luigi Berlinguer (Legge Quadro in materia di Riordino dei Cicli dell'Istruzione del 2000) sostituita dalla riforma del Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Letizia Moratti (Legge 28 marzo 2003 n. 53), quest’ultima preceduta dalla riforma del Ti-tolo V della Costituzione (Legge Costituzionale 3/2001). A seguire, poi, le modifiche profonde rea-lizzate dal Ministro dell’Istruzione Giuseppe Fioroni, fino al completamento della riforma comples-siva attuata dal Ministro Maria Stella Gelmini .
Questi anni sono ricordati, anche, dall’avvio e dalla sperimentazione dei percorsi formativi di durata triennale, periodo in cui anche la Federazione CNOS-FAP ha svolto un ruolo molto attivo proponendo alle Istituzioni ai vari livelli un progetto complessivo e organico contenente Linee Guida generali e Guide specifiche per l’elaborazione di piani formativi personalizzati, frutto degli apporti dell’équipe della Sede Nazionale, dei Settori Professionali e di numerosi esperti coinvolti.
Di questo lavoro ampio e qualificato ci preme sottolineare in questa sede, l’impostazione di fondo: l’attenzione alla valenza educativa del lavoro aggiornata alla nuova situazione:
«L’elemento cardine del sistema di istruzione e formazione professionale risiede nella concezione olistica ed educativa del lavoro. Questo è inteso come una realtà composita che si rivela come opera (prodotto), azione personale e sociale e pensiero dell’uomo, ovvero frutto unitario di tutta la persona e, perciò, di ogni fattore che costituisce la realtà umana in quanto cultura.
Il lavoro non è concepito come realtà esterna all’uomo, cui esso deve adeguarsi. È invece una con-dizione privilegiata attraverso cui il soggetto umano si confronta con la storia viva della civiltà, vive relazioni significative con gli altri, conosce ed esprime se stesso, agisce sulla realtà apportando ad essa un valore ed acquisendo, in tale dinamica, sempre nuove competenze. Per questo, il lavoro è concepito come occasione per l’educazione integrale della persona umana, proprio perché produrre bene, al meglio, qualsiasi cosa presuppone una persona che agisce e pensa coinvolgendo sempre tutta se stessa, l’intero della propria umanità.
L’esperienza di istruzione e formazione professionale, quindi, consiste nella possibilità di fare espe-rienza, sul piano educativo, di un lavoro nel quale sia impossibile separare la teoria dalla pratica, il corpo dalla mente, la ragione dalla volontà e dai sentimenti, l’educazione intellettuale dall’educazione manuale, affettiva, sociale, espressiva, morale, religiosa, il rapporto economico da quello etico sociale, l’insegnamento dall’esempio e dalla testimonianza, la ragione strumentale da quella finale, la soggettività autonoma dalla relazione, l’indipendenza dalla dipendenza, l’istruzione dalla formazione professionale, la cultura generale da quella specifica e specialistica professionale.
Così inteso, il lavoro è considerato, dai percorsi educativi dell’istruzione e formazione professionale, il giacimento educativo, culturale e didattico privilegiato che si propone all’allievo sotto forma di compiti-problemi che suscitano in esso il desiderio di mettersi alla prova in modo attivo e respon-sabile sapendo trovare quelle risposte che consentano di trasformare le proprie potenzialità in com-petenze che valorizzano conoscenze (sapere) e abilità (saper fare) consolidate nei saperi disciplinari e interdisciplinari, testimoniando in tal modo il contributo esclusivo, originale e creativo che ciascun essere umano porta anche quando svolge e ripete lo stesso lavoro di un altro.
Tale impostazione comporta, in primo luogo, l’obbligo di organizzare i percorsi educativi dell’istruzione e formazione professionale con un sistematico coinvolgimento in sede di progetta-zione, di svolgimento e di verifica del mondo del lavoro. Inoltre essa implica considerare il lavoro, con i suoi compiti e i suoi problemi reali, come oggetto critico di studio e verificare se, come e quanto esso consente di realizzare le finalità del “Profilo educativo, culturale e professionale” non-ché gli obiettivi generali del processo formativo e gli obiettivi specifici di apprendimento dettati nelle “Indicazioni regionali per i piani di studio”. Ancora, questa impostazione conduce a una visio-ne del lavoro come realtà viva, non formale, che cresce con la persona, dentro la complessità sociale ed economica nella quale si svolge. A causa di ciò, i percorsi dell’istruzione e formazione profes-sionale abituano a considerare mai concluso ed autosufficiente l’apprendimento di qualsiasi lavoro, e aprono alle consapevolezze dell’educazione permanente e ricorrente che deve diventare una costante per tutti nella società e nel lavoro.
Infine, quanto affermato conduce ad una visione della competenza come dimensione della persona umana sempre situata, perciò mai definibile astrattamente a priori, ma, come tale, verificabile solo a posteriori e inoltre sempre bisognosa, per essere riconosciuta, di persone competenti che la certifi-chino in azione grazie al loro giudizio» (Nicoli, 2004, pp. 13-14).
Dunque, una educazione al lavoro aggiornata al nuovo contesto ma in continuità con le scelte com-piute dalla Federazione CNOS-FAP nella Proposta formativa.
Va sottolineato che, in questo periodo, lo sforzo progettuale della Sede Nazionale, dei Setto-ri Professionali, degli esperti coinvolti è stato davvero notevole. La proposta, infatti, doveva tener conto del nuovo contesto istituzionale, normativo, organizzativo e progettuale. I temi affrontati sono stati numerosi: gli aspetti fondativi, la proposta di un modello di riferimento e di una coerente me-todologia, studio delle qualifiche professionali riorganizzate in comunità professionali, confronto con i modelli europei, ecc. I percorsi dovevano essere ripensati in un arco di tempo maggiore rispetto al passato: dai due anni dell’obbligo formativo ai tre o quattro anni della Istruzione e Formazione Professionale. Anche la formazione dei formatori doveva essere ripensata alla luce della nuova pro-posta.
4.2.4.3. La proposta di “Il lavoro buono. Un manuale di educazione al lavoro per i giovani” (2018)
Anche in tempi molto recenti la Federazione CNOS-FAP riprende il tema del lavoro, questa volta non agganciato ad una particolare sperimentazione ma dettato dalla necessità di aggiornare l’idea di educazione al lavoro alla situazione attuale.
La Federazione CNOS-FAP aveva realizzato, nel 2015, una indagine diretta da Dario Nicoli e volta a verificare la seguente tesi: se dietro alla grandissima disoccupazione giovanile, causa di una delle più grandi esclusioni delle giovani generazioni dalla vita sociale che la storia ricordi, non vi sia soltanto la crisi economica, ma un atteggiamento culturale, e di costume, di una società che ha ritenuto di sostituire al valore del lavoro – cioè della responsabilità pubblica – la prospettiva dell’estetica dei consumi, quindi dell’immagine pubblica del cittadino.
Per sondare quest’ipotesi, la Federazione CNOS-FAP, avvalendosi di consulenti, ha pro-mosso un’indagine su come il lavoro viene presentato nei libri di testo dei vari corsi di studi, sia nella prospettiva dell’educazione alla cittadinanza sia in quella della storia e dell’insegnamento tecnico.
L’indagine ha messo in evidenza come il tema “lavoro” non solo è un atteggiamento rilut-tante quasi che si tratti di un argomento di modesta rilevanza culturale, ma soprattutto una reale omissione come si riscontra nel caso di un tema ritenuto un vero e proprio tabù o un reale disvalore nella prospettiva della educazione dei giovani. L’esclusione del tema del lavoro dalla proposta for-mativa delle scuole sarebbe dipesa, secondo i curatori dell’indagine, da un pregiudizio di natura cul-turale e ideologica e dimostrerebbe che la disoccupazione giovanile attuale non è solo subita, ma perlomeno da una porzione non marginale della nostra società appare intenzionalmente perseguita nell’ottica di una vita che si considera umana solo quando viene liberata dal servaggio lavorativo.
Il risultato della ricerca ha sollecitato i curatori ad approfondire le dimensioni culturali del problema emerso. Pertanto all’indagine sui libri di testo sono stati affiancati altri temi sulla riscoperta del valore del lavoro in un’epoca di crisi. In concreto è stata analizzata la letteratura non pre-giudizialmente critica relativa ai cambiamenti che riguardano l’area delle professioni e al tempo stesso viene offerta una riflessione compiuta sulla relazione che intercorre tra il lavoro e l’identità individuale.
Un’altra sezione importante della ricerca è stata quella che approfondisce la proposta educa-tiva in alcuni Paesi di grandi tradizioni culturali: Usa, Brasile, Russia, Giappone, Cina e Turchia. In essi non solo non si riscontra l’esclusione registrata in Italia, ma si è potuto rilevare che i Paesi più attivi nella ripresa economica sono anche quelli più decisi nel proporre ai giovani il valore del lavoro come mezzo privilegiato di espressione di sé, apporto positivo al bene comune e opportunità di dare un significato profondo alla propria vita.
Dopo questo lungo iter, la ricerca ha portato alla riformulazione dell’educazione al lavoro rivolta ai giovani. Determinante in proposito è l’adozione di una concezione che lo considera una esperienza fondamentale per la piena realizzazione umana e che permette alla persona di mettersi in gioco mostrando il proprio valore distintivo in quanto soggetto capace di rispondere ai bisogni e alle esigenze proprie e degli altri mettendo in gioco le proprie prerogative soggettive così da poter essere riconosciuti non da un’immagine precaria ed evanescente, ma da un ruolo legittimato dal contributo fornito in relazione al bene di tutti. In questa prospettiva ripresa economica e rilancio del valore educativo e culturale del lavoro devono andare di pari passo se si vuole veramente combattere la scandalosa esclusione dei giovani dalla vita pubblica e avvalersi della loro energia e del loro entu-siasmo per rilanciare la nostra produzione nel mondo.
Tra la presentazione prevalentemente «negativa» del lavoro nei libri di testo in Italia e la ne-cessità di formulare una proposta rinnovata di educazione al lavoro, il passo è stato breve. Eccoci giunti, quindi, all’ultima opera dallo stimolante titolo: Il lavoro buono. Un manuale di educazione al lavoro per i giovani (2018). Ci limitiamo solo a tre sottolineature, rimandando alla lettura del volu-me.
a. La prima è di contenuto. Perché il titolo «Il lavoro buono»?
Il volume pubblicato contiene un corposo capitolo su questo particolare aspetto, importante perché fa riferimento ad una esperienza fondamentale per la piena realizzazione umana, che consente di fornire alla persona l’occasione di mettersi in gioco mostrando il proprio valore distintivo in quanto soggetto capace di rispondere ai bisogni ed alle esigenze degli altri mettendo in gioco le proprie pre-rogative soggettive, così da poter essere riconosciuti non da un’immagine precaria ed evanescente, ma da un ruolo legittimato dal contributo fornito in relazione al bene di tutti.
b. La seconda è legata al lavoro nella storia.
Dal momento che l’indagine ha messo in evidenza i forti limiti insiti nei libri di testo, la pubblica-zione ambisce ad offrire degli stimoli più corretti sul lavoro nella storia cercando di superare stereo-tipi e dimenticanze. Di qui la proposta di un consistente capitolo su «Il lavoro nella storia» che am-bisce completare, correggere e stimolare visioni più aggiornate di questo particolare tema.
c. La terza è legata ai destinatari.
A chi si rivolge questo manuale? Tra gli altri, gli studenti del secondo ciclo degli studi. Il testo, per come è formulato, può esser un testo di educazione alla responsabilità civica che, tramite un itine-rario storico, li aiuta a cogliere i dilemmi del nostro tempo e riconoscere nel “lavoro buono” una preziosa risorsa per il risveglio della nostra società; un testo di etica del lavoro per gli studenti dei percorsi tecnici e professionali, utile a coprire un grave vuoto di proposta, così che possono collocare la propria vicenda personale entro una prospettiva epica, come parte di un patrimonio comune; un testo di introduzione “alta” dei giovani alle attività di alternanza scuola-lavoro concepite come un’occasione speciale per inserirsi in modo adeguato nel reale, valorizzando le occasioni di appren-dimento e di crescita che questa propone.
Dato ai formatori della Federazione, il manuale può diventare fonte di ulteriori declinazioni soprat-tutto dal punto di vista didattico; un vero laboratorio formativo. Una proposta da sviluppare, soprat-tutto, da parte dei formatori degli «assi culturali» con i giovani della IeFP e del duale. Ma questa è una storia ancora da scrivere! Al momento è importante fare riferimento a quest’ultimo percorso formativo di educazione al lavoro (Nicoli, 2018).
4.2.5. L’adattamento dell’Insegnamento della Religione Cattolica (IRC) alle esigenze della IeFP
Anche su questo tema, il ripercorrere alcune tappe significative può essere di aiuto per guar-dare al futuro.
4.2.5.1. La “scelta” della dimensione etico-religiosa nella Proposta Formativa (1989)
Su questo particolare ambito, l’educazione religiosa, la Federazione CNOS-FAP ha compiuto una scelta di campo sin dalle origini, la scelta della dimensione etico-religiosa quale parte integrante della Cultura Generale in quanto tale dimensione aiuta a cogliere le ragioni profonde e il significato plenario dell’attività lavorativa, della vita professionale e della formazione ad esse. E ciò diventa evidente quando si va al fondo delle questioni affrontate, oltre la pura e semplice abilitazione linguistico-comunicativa o l’informazione di tipo economico-giuridico o civico-politica. Dunque un approccio non disciplinare. Questa scelta è stata resa possibile da almeno due ragioni, una legata alla tradizione salesiana e una seconda dettata dalle opportunità offerte dalla Legge quadro 845/78.
a. L’inscindibile legame con una ininterrotta tradizione di formazione professionale salesiana
La tradizione educativa e pedagogica salesiana, in Italia e all’estero, ha avuto sempre quale scelta carismatica l’azione della formazione professionale per i giovani prossimi ad entrare nel mondo del lavoro. Tale azione si è costantemente qualificata per una sostanziale attenzione di for-mazione culturale, specifica e globale, organicamente articolata ai momenti di apprendistato vero e proprio o di tirocinio pratico all’attività lavorativa. A sua volta questa stessa attenzione ha trovato il suo senso nella precisa intenzione educativa che sorregge l’azione dei Salesiani a vantaggio dei gio-vani ed adulti dei ceti popolari. Tale intenzione educativa ha condotto i Salesiani a coniugare la formazione professionale con momenti di istruzione, con attività di orientamento, con iniziative formative e ricreative, con proposte di educazione religiosa e di catechesi, pur nella distinzione degli ambiti e dei tempi di intervento.
Soggetto ultimo di questo complesso di iniziative educative sono state nel passato e sono tuttora le comunità formative che educano, non solo con l’insieme delle attività formative, ma con l’offerta di un ambiente per se stesso educativo attraverso un clima ispirato allo “spirito di famiglia salesiano” e a stili relazionali e didattici in linea con il trinomio pedagogico di don Bosco “ragione, religione, amorevolezza” nella prospettiva di formare «buoni cristiani ed onesti cittadini». Questa tradizione – afferma Carlo Nanni - si pone come “esperienza fondativa”, da cui non si può fare astrazione se si vuole intendere le posizioni attuali dei Salesiani in materia di formazione professio-nale. E nelle molteplici “questioni disputate” che si vengono ad avere e a vivere in questo campo, questa ispirazione di fondo funziona da «ragione forte» per prese di posizioni precise, identificative e distintive allo stesso tempo, nel contesto del legittimo pluralismo che la legislazione in materia permette e promuove (Nanni, 1991, pp. 89-105).
b. L’impianto metodologico della formazione professionale data dalla Legge quadro n. 845/78
Una seconda ragione è data dall’impostazione della legge quadro 845/78 in materia di for-mazione professionale, impostazione che, per molti aspetti, è rimasta inalterata fino ai decenni re-centi. Questa legge è detta “legge quadro” in quanto è a fondamento dei vari sistemi formativi re-gionali, dal momento che questa materia è stata sempre di loro competenza.
Per l’argomento che viene trattato, di questo testo legislativo evidenziamo solo due aspetti: l’oggetto della FP e il soggetto abilitato ad erogare il servizio.
L’oggetto della formazione professionale si trova formulato nell’articolo 1: «La Repubblica promuove la formazione e l’elevazione professionale in attuazione degli articoli 3, 4, 35 e 38 della Costituzione, al fine di rendere effettivo il diritto al lavoro ed alla sua libera scelta e di favorire la crescita della personalità dei lavoratori attraverso l’acquisizione di una cultura professionale».
Il testo legislativo, nel medesimo articolo, afferma che la formazione professionale è «stru-mento di politica attiva del lavoro», si svolge «nel quadro degli obiettivi della programmazione economica”, tende a favorire “l’occupazione, la produzione e l’evoluzione dell’organizzazione del lavoro in armonia con il progresso scientifico e tecnologico».
In sintesi, diritto al lavoro e alla sua libera scelta, percorsi formativi imperniati su fasce di mansioni e di funzioni professionali omogenee, crescita della personalità del lavoratore attraverso l’acquisizione di una cultura professionale, nel rispetto dell’unitarietà metodologica tra contenuti tecnologici, scientifici e culturali sono gli aspetti salienti di un progetto che, progressivamente, ha dato vita ad un sistema formativo di competenza regionale, distinto da quello della scuola seconda-ria superiore.
Circa il soggetto erogatore, la legge promuove nel sistema formativo professionale regionale il pluralismo dei soggetti basati sulle rispettive proposte formative.
All’articolo 3, infatti, la legge-quadro fissa i principi cui le regioni devono uniformarsi per esercitare la potestà legislativa in materia di orientamento e di formazione professionale: «Le regioni esercitano, ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione, la potestà legislativa in materia di orientamento e di formazione professionale in conformità ai seguenti principi: … c) organizzare il sistema di formazione professionale sviluppando le iniziative pubbliche e rispettando la molteplicità delle proposte formative».
L’articolo 7, ultimo comma, stabilisce che «I programmi, che devono fondarsi sulla poliva-lenza, la continuità e l’organicità degli interventi formativi, devono poter essere adattati alle esigenze locali ed assicurare il pieno rispetto della molteplicità degli indirizzi educativi».
I vari soggetti, quindi, erogatori del servizio della formazione professionale, hanno trovato in questa legge lo spazio per elaborare, per gli allievi che frequentavano i loro Centri di Formazione Professionale, specifiche «proposte formative» e «piani didattici» coerenti con la loro natura di Enti, rispettosi della normativa nazionale e regionale e rispondenti alla domanda formativa degli utenti.
Questo sistema, pur diverso in tanti aspetti in quanto rispondente ai vari bisogni territoriali, convergeva progressivamente su alcuni punti. Nella maggioranza delle Regioni si delineava uno specifico percorso formativo:
- Unitario-articolato in varie aree (l’area pratico/operativa, l’area tecnologica, l’area scientifica, l’area culturale, l’alternanza formazione / lavoro o stage);
- breve ed essenziale (4 cicli della durata massima di 600 ore ciascuno) e centrato su fasce profes-sionali omogenee, connotate da polivalenza, organicità e continuità;
- connesso strettamente alle politiche attive regionali del lavoro;
- certificato mediante un attestato di qualifica, utile per l’inserimento nel mondo produttivo.
Nasceva anche in Italia, secondo una suggestiva immagine di Filippo Hazon, una vera “scuola del lavoro”, alternativa e distinta dalla scuola secondaria superiore,
- connotata da interventi centrati sulla professionalità e flessibile dal punto di vista organizzativo, in quanto capace di formare a ogni tipo di lavoro;
- dotata di un itinerario didattico imperniato soprattutto sull’alternanza tra formazione e lavoro;
- caratterizzata da una metodologia fortemente induttiva;
- legata strettamente al mercato del lavoro;
- attenta, oltre che alle esigenze delle imprese, anche alle esigenze educative dei suoi utenti, ossia dei giovani che l’avrebbero frequentata (Hazon, 1986, pp. 255 e ss).
In conclusione tradizione salesiana, impianto metodologico-didattico e pluralismo degli Enti sono stati alla base della proposta formativa elaborata dalla Federazione CNOS-FAP ed anche della dimensione etico-religiosa.
4.2.5.2. La dimensione etico-religiosa nella “Guida di Cultura Generale” per i CFP (1991)
Sin dagli inizi la Federazione CNOS-FAP ha optato per l’espressione «Cultura Generale» all’interno della quale era declinata anche la dimensione etico-religiosa.
Parlando di Cultura Generale ci si riferiva al senso antropologico-pedagogico di cultura, vale a dire all'insieme di idee, valori, modelli di comportamento, tecniche espressive ed operative proprie della formazione professionale. Era detta anche “generale”, in primo luogo perché era vista con funzioni di supporto alle altre aree formative (specialmente per ciò che concerneva le abilità cono-scitive di base e le metodologie di studio e di ricerca); in secondo luogo, perché, rispetto alle altre discipline culturali, aveva assegnato, come suo oggetto specifico, l'esplorazione dell'area cosiddetta del «significato» della formazione professionale, vale a dire le idee e i valori ispiratori di fondo di tale formazione. In tal senso in alcuni luoghi si parlava anche di «area umanistica».
Posta nell'insieme del corso formativo di qualificazione professionale, la cultura generale ne riceveva una doppia specificazione:
a. anzitutto una intenzionalità formativa, vale a dire funzionale alla globalità delle problematiche attinenti la professionalità non riducibile quindi, ad esempio, ad un asettico insieme di informa-zioni socio-economiche;
b. in secondo luogo la determinazione contenutistica propria: la prospettiva culturale del lavoro, vista sia nella sua faccia oggettiva di produzione, che nella faccia soggettiva di professionalità.
Dopo l’approvazione della Legge Quadro 845/78 le Regioni hanno promosso sperimentazioni per definire il corso di formazione professionale. Di queste sperimentazioni l’area che più ha riflettuto la visione culturale del soggetto pubblico o privato è stata quella dell’area comune o uma-nistica. Una presentazione di alcune sperimentazioni, anche se solo per cenni, ne mostra le peculiarità ma anche le forti differenziazioni.
Nella sperimentazione della Regione Piemonte, ad esempio, la Cultura Generale aveva come finalità quella di «promuovere nell’allievo la comprensione del mondo del lavoro nelle sue compo-nenti fondamentali – economico-organizzativo, sindacale contrattuale, sanitario-antinfortunistico e socio-culturale – per porlo in grado di produrre comunicazioni scritte ed orali ad esso sostanzial-mente riferite e di partecipare attivamente e consapevolmente alla vita di lavoro e di relazione nella sua dimensione politica, sociale, economica, culturale», (Nanni, 1985, p. 23).
La sperimentazione della Regione Lazio, invece, offriva una impostazione molto neutrale in quanto proponeva, come Cultura Generale, un “Insegnamento di informazione socio – economica” pur inserito in un quadro riferito alla globalità della personalità in sviluppo e alla molteplicità dei rapporti che la formazione professionale intrattiene con i diversi mondi. Una cultura generale, quin-di, attestata sul sociale, sull’economico, sul professionale ma senza alcun riferimento esplicito al personale e ai mondi vitali della vita professionale del giovane (la cultura del sé e la cultura dell’ambiente familiare, locale, civile e, tanto meno, etico-religioso).
Più articolata e ricca era la proposta di Cultura Generale contenuta nella sperimentazione della Regione Veneto. In essa obiettivi e contenuti dell'area umanistica venivano scanditi in quattro ambiti disciplinari:
- lingua italiana (leggere, scrivere, esprimersi correttamente, con proprietà, essenzialità e chia-rezza);
- una lingua europea (leggere e capire, con l'aiuto del vocabolario, brani del linguaggio comune e tecnico-grafici);
- storia (capire e ambientare le principali vicende e testimonianze storiche dell'umanità, con par-ticolare riguardo al perìodo che va dalla Rivoluzione Industriale ai nostri giorni);
- cultura civica e sociale (conoscere: la Costituzione della Repubblica Italiana e le strutture poli-tico-sociali; i problemi attuali di ordine sociale, economico, industriale, sindacale, morale, reli-gioso e della comunicazione di massa; la legislazione sociale, riguardante il lavoro in generale e il settore grafico in particolare; il contratto collettivo nazionale della categoria).
Una prima bozza di proposta di Cultura Generale, elaborata nella metà degli anni Ottanta del secolo scorso dalla Federazione CNOS-FAP, si caratterizzava e si distingueva per alcuni aspetti pe-culiari rispetto alle proposte accennate sopra:
a. in primo luogo per ciò che riguardava la scansione dei contenuti.
La proposta faceva interagire la professionalità non solo con la trama vitale essenziale entro cui è vissuta e si espande la vita professionale: il sé, gli altri, la società, il mondo oggettivo del lavoro (come è nella proposta della Regione Veneto); ma anche con le finalità assegnate ai singoli cicli (1° ciclo = umanizzare la formazione al lavoro e la scelta professionale; 2° ciclo = socializzare l'esperienza lavorativa nell'insieme della vita di relazione; 3° ciclo = personalizzare la scelta e la pratica professionale all'interno delle strutture e delle procedure professionali e sociali; 4° ciclo = inserirsi con competenza professionale e vitale nel mondo del lavoro), nelle loro articolate dimensioni (personale, sociale, professionale, etico-religiosa).
b. in secondo luogo per ciò che riguarda i presupposti teorici.
È stato reso esplicito non solo il possibile apporto cristiano alla problematica del lavoro, della professionalità, della formazione professionale, ma anche la specificità del metodo educativo della tradizione salesiana per tali problemi.
c. in terzo luogo per la soluzione data alla dimensione etico-religiosa della formazione professio-nale.
Così si affermava nella “Premessa” della proposta: «Nella prospettiva della Guida, la dimensione etico-religiosa appartiene di essenza alla cultura generale (sia come trattazioni specifiche, sia come specificazioni possibili all'interno di ciascun tema di modulo o unità didattica) in quanto attinente all'area del significato del lavoro, della professione, della formazione professionale. Essa viene trattata nel rispetto e nei limiti di un insegnamento disciplinare e di una realtà «laicale» quale è la formazione professionale; in tal senso non va equiparata o identificata con la catechesi. Tradizioni locali o esigenze particolari degli utenti possono condurre a prevedere un insegnamento religioso a parte, senza però che questo sia a danno o porti a trascurare la presa di coscienza e l'approfondimento di tale dimensione etico-religiosa, presente nella cultura del lavoro e nella formazione professionale, a vantaggio di utenti di età evolutiva», (Nanni, 1985, p. 29).
Negli anni Novanta del secolo scorso la Federazione CNOS-FAP ha aggiornata la proposta della Cultura Generale giungendo ad una nuova formulazione: la Nuova Guida di Cultura Generale per i CFP del CNOS-FAP.
Scrive Carlo Nanni, nel presentare la nuova versione:
«Nel quadro della proposta curricolare dei CFP del CNOS-FAP, la dimensione etico-religiosa è parte integrante della Cultura Generale, in quanto aiuta a cogliere le ragioni profonde e il significato plenario della attività lavorativa, della vita professionale e della formazione ad esse. E ciò diventa evidente quando si va al fondo delle questioni affrontate, oltre la pura e semplice abilitazione lin-guistico-comunicativa o l'informazione di tipo economico-giuridico o civico-politica.
La dimensione etico-religiosa esige uno specifico approfondimento proprio in ordine ad una for-mazione professionale competente e motivata, collocata nell'insieme della vita professionale e co-munitaria.
Posta in tale quadro di riferimento, essa viene iene trattata nei limiti e nei modi tipici alla proposta curricolare dei CFP del CNOS-FAP e secondo la strategia pedagogico-didattica propria.
Peraltro essa trova completamento e deve cercare coordinazione ed integrazione con le forme di catechesi e con le altre attività formative extracurricolari di tipo religioso che i Centri propongono lungo l'itinerario formativo, in linea con il loro preciso impegno educativo che mira ad una educa-zione globale delle persone degli utenti e con la tradizione pedagogica salesiana. A loro volta queste iniziative extra-curricolari non sostituiscono lo specifico approfondimento etico-religioso curricolare, né si sovrappongono ad esso, sia per contenuti, sia per metodi, sia per finalità dirette e specifiche. Le une e l'altro sono piuttosto da vedere in termini di complementarità e di apporto ad una strategia pedagogica globale, coerente e coordinata.
In caso contrario verrebbe ad incrinarsi l'organicità della formazione professionale; si rischierebbero spaccature formative tra quanto viene appreso nell'una e nell'altra sede di apprendimento; si verrebbe a pensare la dimensione etico—religiosa come un corpo estraneo agli intenti della forma-zione professionale, imposto forzatamente dall'ente gestore agli utenti.
Ad evitare tale perdita di significatività, potrà essere utile ponderare accuratamente, in sede di programmazione formativa, le modalità di approfondimento della dimensione etico-religiosa, nell'insieme degli interventi formativi, curricolari ed extracurricolari dei diversi Centri e secondo i diversi tipi di intervento o di progetti. E sarà preziosa l'opera di un qualche coordinatore, che curi l'attuazione organica dì quanto si è programmato a livello di Centro e a livello di corso o di progetto (Nanni, 1991, pp. 101-102)».
4.2.5.3. Un sussidio organico elaborato con il coordinamento di Giuseppe Ruta (2007)
Una esplicitazione aggiornata degli obiettivi della Cultura Generale elaborata negli anni Novanta del secolo scorso è stata realizzata dalla Federazione CNOS-FAP nel 2007, avvalendosi del coordinamento di Giuseppe Ruta.
L’aggiornamento era reso necessario dall’evoluzione normativa riguardante la formazione professionale: l’introduzione dell’obbligo formativo prima (1999) e del diritto-dovere all’istruzione e alla formazione poi (Legge n. 53/03), evoluzione che davano vita ad una nuova stagione di speri-mentazione dei percorsi formativi di durata triennale e quadriennale.
Nel suo insieme l’opera realizzata si componeva di una “Guida” per i formatori e tre volumi per gli allievi. La Guida per i formatori aveva come titolo stimolante “VIVERE… Linee guida per i formatori di Cultura etica e religiosa nei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale”.
Il percorso formativo di durata triennale era scandito dalla proposta etica e religiosa contenuta in tre volumi:
VIVERE IN … 1. L’identità.
VIVERE CON … 2. La relazione.
VIVERE PER … 3. Il progetto.
Rinviando alla lettura dell’opera per una sua conoscenza approfondita, in questa sede ci li-mitiamo ad illustrarne l’impianto complessivo anche per cogliere gli aspetti nuovi rispetto alle for-mulazioni precedenti.
«Tre + una. Le grandi aree tematiche
Nella strutturazione dei contenuti della Cultura etica e religiosa si è cercato di offrire una proposta unitaria e differenziata che potesse garantire concretamente l’apertura, l’orientamento e la flessi-bilità.
È bene dichiarare i criteri dall’inizio.
- La suddivisione tematica in quattro aree di cui tre “in verticale” ed autonome (identità - rela-zionalità - progettualità) e una “trasversale” e correlata alle precedenti (responsabilità) non solo permette una scansione temporale triennale (un’area per ogni anno), ma anche può offrire mate-riali per una proposta adeguatamente articolata per un secondo livello di FP.
La scansione tripartita o quadripartita non è rigida, ma può garantire una buona flessibilità di-dattica (ad es. spigolando i nuclei tematici che interessano o privilegiando le UA “obbliganti” e tralasciando quelle «opzionali» d’amplificazione contenutistica). È possibile anche combinare insieme le UA per ottenere moduli ad hoc in vista di particolari finalizzazioni didattiche. Ad es. l’abbinamento delle prime UA delle tre aree può offrire un pacchetto di carattere antropologico di base, intersecando la ricerca d’identità, la sfera relazionale e la progettazione di sé in un unico movimento formativo. Si lascia al formatore e al team dei docenti-formatori la possibilità di associare le UA offerte.
- Si tende a garantire sia la dimensione cognitiva sia quella riflessivo-esperienziale della CER nei CFP.
Il motivo fondamentale che raccorda il cammino è la centralità del soggetto in formazione in corre-lazione con la proposta etico-religiosa del cristianesimo, dato che si sente forte e insopprimibile:
«la necessità di accompagnare la persona nella scoperta di se stessa e delle sue ricchezze interiori, di speri-mentare la comunicazione gratuita e vera di questa sua ricchezza e di quella degli altri, accettati come diversi, ma non considerati come un pericolo, di imparare a pensare ed a vivere la propria esistenza come vocazione e missione al servizio degli altri nel mondo» (Domenech Corominas, 1998).
Graficamente si ha:
1
IDENTITÀ
2
RELAZIONALITÀ 3
PROGETTUALITÀ
4
R E S P O N S A B I L I T À
etica personale
etica sociale
etica progettuale
Questo impianto ha richiesto una ricalibratura dei contenuti possibile mediante una migliore es-senzializzazione e una più adeguata disposizione metodologica «specifica» dei CFP.
Per ogni area, che contempera nel proprio ambito dinamiche antropologiche e teologiche, sono of-ferti in connessione sinottica i prerequisiti (come indicatori analitici della situazione iniziale dei soggetti e dei loro requisiti di base), gli obiettivi (come competenze che i soggetti sono chiamati a perseguire), i nuclei tematici (i contenuti esperienziali e culturali da proporre) e degli esempi di sussidiazione.
Sono evidenziate con () le Unità di Apprendimento ritenute centrali e in qualche modo obbligatorie, distinte da quelle secondarie che secondo le opportunità possono essere tralasciate ()» (Ruta, 2007° pp. 29-30; 2007b; 2008a; 2008b).
La proposta, così articolata, non voleva essere un testo per l’insegnamento della Religione Cattolica ma aveva solo l’ambizione di offrire uno strumento organico e compiuto negli obiettivi e nei contenuti da offrire ai formatori che erano impegnati in questa particolare area.
La proposta restava, dunque, coerente con l’impostazione precedente: uno sviluppo articolato della “dimensione etico-religiosa”.
4.2.5.4. Una nuova proposta coordinata da Maurizio Lucillo (2014 e anni successivi)
Varie sono state le ragioni che hanno spinto la Federazione CNOS-FAP ad aggiornare la proposta elaborata nel 2007.
Una prima ragione è legata alla sperimentazione dei percorsi di IeFP. Questa, iniziata nell’anno 2003 e continuata per quasi un decennio, ha permesso di mettere a punto un percorso formativo di durata sia triennale sia di un ulteriore anno formativo con il conseguimento di un di-ploma professionale. Sotto questo aspetto la proposta del 2007 era carente perché impostata solo su un percorso di durata triennale.
Una seconda ragione è legata all’evoluzione normativa. A partire dalla legge n. 53/03 il se-condo ciclo del sistema educativo di Istruzione e Formazione comprende il (sotto)Sistema dell’Istruzione Secondaria Superiore e il (sotto)Sistema dell’Istruzione e Formazione Professionale (IeFP). Il Decreto Legislativo n. 226/05, attuativo della legge n. 53/03, tra i livelli essenziali delle prestazioni relativi al secondo ciclo che dovevano essere garantiti dallo Stato, prevede all’articolo 18, comma 1, lettera c) l’insegnamento della Religione Cattolica. L’Accordo Stato Regioni del 27 luglio 2011, nel mettere a regime il (sotto)Sistema di IeFP, ha riformulato quella parte che, tradizio-nalmente, veniva denominata l’area comune. Nell’Accordo citato sono stati definiti gli standard minimi formativi nazionali delle competenze di base (competenza linguistica, competenza matema-tica, scientifico-tecnologica, competenza storico, socio-economica) che devono essere garantite al termine del 3° e del 4° anno della IeFP. In attuazione del nuovo Concordato del 1984 è stata firmata una Intesa tra il MIUR e il Presidente della Conferenza episcopale italiana per l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche (28 giugno 2012). L’Intesa prevede, per la prima volta, li-nee guida per l’insegnamento della religione cattolica nell’Istruzione e Formazione Professionale contenenti indicazioni di competenze da raggiungere al termine del primo biennio, del terzo anno e del quarto anno formativo.
Uno scenario così mutato ha spinto la Federazione CNOS-FAP ad aggiornare la proposta della dimensione etico-religiosa elaborata negli anni precedenti affidando il compito all’Università Pontificia Salesiana.
Il riferimento per la stesura del nuovo progetto sono state, dunque, le Linee Guida del 2012, il cui assunto fondamentale è il riconoscimento del valore della cultura religiosa e il contributo che i principi del Cattolicesimo offrono alla formazione della persona ed al patrimonio storico, culturale, civile del popolo italiano.
Alla luce delle competenze da raggiungere al termine del biennio, del terzo e del quarto anno, i curatori dei volumi, Lucillo Maurizio e Roberto Romio, hanno formulato un itinerario così scandito:
- l’incontro tra l’adolescente e la religione (1° anno);
- i grandi temi della fede cristiana (2° anno);
- le riflessioni sull’uomo (3° anno);
- la costruzione della professionalità (4° anno).
Nell’insieme, l’opera è composta di 4 volumetti, uno per ciascun anno formativo e una guida all’intera opera; adotta un linguaggio semplice, adatto agli allievi della IeFP; fa riferimento al vissuto e agli interessi degli adolescenti; è scandito da nuclei tematici, articolati a loro volta in una o più Unità di Apprendimento; è corredato e supportato anche da sussidi multimediali.
Così si esprimono gli autori: «Punto di partenza privilegiato è la persona dell’allievo, con il suo vissuto sia interiore che relazionale, dal quale emergono interrogativi di significato, che avviano un processo di ricerca, il quale viene portato, nel contesto didattico, ad un confronto con la fede religiosa cristiana. Il sussidio è composto da una sequenza di percorsi che consentono l’accostamento a tutti i nuclei tematici che costituiscono i contenuti della fede religiosa cristiana». (Maurizio, in corso di stampa; Maurizio 2014; Maurizio 2015; Maurizio 2016; Maurizio 2017).
Si tratta di un sussidio che rispecchia ancora la scelta di fondo della Federazione, la forma-zione della dimensione etico-religiosa, anche se più vicino, nella sua formulazione, ad un libro di testo per l’Insegnamento della Religione Cattolica che tiene conto delle linee guida del 2012.
4.2.5.5. Oggi ancora “Dimensione etico-religiosa” o “Insegnamento della Religione Cattolica”?
La domanda, a nostro parere, non ha ancora una risposta definiva. Ci limitiamo, pertanto, a tratteggiarne i termini della questione, riportando quanto scritto recentemente su Rassegna CNOS:
«Anzitutto, vale la pena ricordare il motivo principale dell’inserimento dell’Irc nell’IeFP, operato dalle Indicazioni generali per il secondo ciclo d’intesa tra Miur e Cei . In proposito va tenuto pre-sente che non è questa l’unica posizione emersa precedentemente nel relativo dibattito in quanto non era mancato chi aveva sostenuto l’inapplicabilità della normativa del Concordato sull’Irc alla IeFP perché gli attuali percorsi di IeFP, di competenza delle Regioni, pur appartenendo oggi al sistema educativo di istruzione e formazione italiano in quanto inseriti nel secondo ciclo, non sarebbero identificabili con i percorsi propri del (sotto)sistema “Istruzione Secondaria Superiore”, ma sarebbero distinti da questi, e anche perché le istituzioni formative di ispirazione cristiana sono or-ganizzazioni di tendenza che godono della libertà di elaborare nel proprio progetto educativo mo-dalità di insegnamento della religione cattolica che si articolano con un ordinamento che non coin-cide con quello pattizio.
Per i sostenitori della estensione alla IeFP la ragione è da ricercarsi nell’unitarietà del secondo ciclo di istruzione e formazione, che costituisce un caposaldo delle recenti riforme a partire da quella Moratti; l’IeFP non è più solo formazione, ma anche istruzione e consente alla pari degli altri seg-menti di assolvere l’obbligo di istruzione, assicurando a tutti i giovani il conseguimento delle me-desime competenze di base. L’Irc rientra certamente nell’area comune di tutti gli indirizzi di studio del secondo ciclo e se venisse a mancare sarebbe qualcosa di essenziale che l’IeFP si troverebbe a non offrire ai suoi allievi sul piano della loro formazione integrale.
Venendo ora ai problemi e alle potenzialità, un primo aspetto da considerare riguarda la catego-rizzazione che dal dettato concordatario discende per la IeFP come scuola pubblica non universi-taria. Dei tre termini, due non sollevano alcuna perplessità: la IeFP non si può certamente classifi-care come università e va qualificata altrettanto sicuramente come un servizio pubblico, anche se a gestione non statale. I dubbi emergono riguardo all’applicazione del concetto di scuola che, se deve essere mantenuto in relazione al riconoscimento dell’opportunità di assolvere l’obbligo di istruzione all’interno della IeFP, al tempo stesso va precisato che deve essere inteso come espressione generica, comprensiva di tutti i segmenti scolastico-formativi che rientrano nell’unico sistema del secondo ciclo. Tutto questo fa pensare a una estensione di natura analogica del termine alla IeFP di cui però si sono un po’ perse le tracce nelle successive riflessioni ed elaborazioni.
Un secondo aspetto riguarda il rapporto tra facoltatività dell’Irc e ispirazione cristiana delle istitu-zioni formative dato che queste sono spesso frequentate in percentuali consistenti da giovani migranti di religione non cattolica, per molti dei quali lo studio dell’Irc può apparire in contrasto con la propria fede. Se è vero che l’Irc non può più essere catechesi, e di fatto non lo è più, è anche vero che la cultura di giovani e di famiglie che per le loro tradizioni non sono in grado di applicare il concetto di laicità alle tematiche di natura religiosa, può costituire un ostacolo insormontabile, anche se spesso tali problematiche sono risolte in concreto dando la priorità ai bisogni formativi degli allievi e sacrificando qualcosa della natura dell’Irc. Certamente potrebbe aiutare a trovare una soluzione equilibrata a questo problema la valorizzazione della tradizione dei CFP di ispirazione cristiana di offrire un’area di contenuto religioso, integrata o distribuita nel quadro della cultura civica o etica insegnata al loro interno, evitando comunque ogni forma di catechesi o di proselitismo perché secondo il Concordato l’Irc è possibile solo se inserito nel quadro delle finalità della scuola. Inoltre, si potrebbe potenziare quanto emerso dalla ricerca, cioè che gli allievi di religione non cattolica scelgono l’Irc per la sua valenza formativa e culturale. In ogni caso, se la facoltatività dovesse produrre numeri consistenti di allievi che non scelgono l’Irc, sorgerebbe il problema economico del supporto ad attività alternative. Infatti, ad oggi le modalità di finanziamento della IeFP non preve-dono misure specifiche per iniziative a favore dei non avvalentisi.
Un altro ambito di criticità è costituito dalla formazione e dal ruolo degli Idr. Questi sono stati di-segnati dal Concordato sulla base del profilo degli insegnanti dei diversi ordini e gradi di scuola per cui la qualificazione degli Idr della IeFP risulta per vari aspetti sovradimensionata in paragone a quella di molti formatori. Ne consegue l’impossibilità di continuare nella pratica di affidare l’Irc o un insegnamento di carattere più genericamente religioso a formatori già in servizio, i quali gene-ralmente mancano dei requisiti specifici di formazione accademica in materia teologica, anche se il problema potrebbe essere risolto con l’introduzione di un regime transitorio, subordinato a interventi di formazione in servizio come si è fatto in casi simili. Oltre ai titoli, non vanno dimenticate altre due condizioni: l’idoneità da cui non può esentare l’ispirazione cristiana dell’istituzione formativa e la nomina d’intesa con l’autorità ecclesiastica per la quale si dovrà pensare a un’applicazione analogica della normativa in vigore per le scuole statali a motivo del carattere regionale dello statuto giuridico del personale della IeFP.
Sempre per analogia si può pensare che l’Irc possa disporre di un’ora settimanale che, però, nella IeFP di ispirazione cristiana deve essere considerata, a parere della Cei, come minimale. Inoltre l’Irc, in quanto disciplina scolastica, deve potersi servire di propri libri di testo, ma ciò è destinato a causare problemi nell’IeFP che invece tradizionalmente tende a non utilizzare tali sussidi, come è emerso anche dai risultati dell’indagine citati sopra. Più in generale, riguardo alla dimensione di-dattica dell’Irc si può dire che la strutturazione scolastica che discende dal Concordato, caratteriz-zata da programmi, libri di testo e valutazione formale, è destinata ad essere di impedimento nel momento in cui la si trasferisce nell’IeFP, che certamente non si ispira al modello scolastico. Pro-grammi , libri di testo e valutazione formale nella IeFP, infatti, sono piuttosto lontani dalla nor-mativa scolastica, ancor più in questo periodo in cui la IeFP si connota, anche a seguito della spe-rimentazione avviata attraverso il “sistema duale” , sempre più come “agenzia per il lavoro”.
In conclusione probabilmente il risultato sarebbe stato diverso se nell’inserimento dell’Irc nella IeFP si fosse tenuto conto degli aspetti validi del paradigma formativo e si fosse tentata una ibridazione tra i due modelli, scolastico e della FP. Alla luce delle considerazioni riportate in questo articolo, tuttavia, le criticità segnalate potrebbero diventare oggetto di una specifica riflessione per declinare l’inserimento dell’Irc in maniera più coerente con la normativa del sistema di IeFP» (Malizia - Pieroni - Tonini, 2017, pp. 91-110).
4.2.6. L’alleanza con le famiglie
Per presentare questa tematica utilizzeremo i risultati di una ricerca sul campo realizzata dalla Sede Nazionale del CNOS-FAP (Orlando, 2014). L’indagine ha affrontato un ampio ventaglio di problematiche tra cui anche quella della collaborazione educativa tra CFP e famiglie degli allievi: in ogni caso, la nostra disamina si focalizzerà solo su tale argomento. Significativa è anche l’ottica in base alla quale si affronterà la tematica in analisi: si tratta delle opinioni di un campione rappre-sentativo di 738 iscritti al CNOS-FAP che hanno risposto alle domande di un questionario molto ar-ticolato.
Una prima area di attenzione ha cercato di identificare le proposte che i Centri fanno alle famiglie degli allievi per sostenerle nello svolgimento della loro funzione educativa nei confronti dei figli. Una maggioranza relativa dei giovani (40,2%) segnala che i loro CFP hanno offerto corsi di formazione ai genitori che in maggioranza (26,8%) vi hanno partecipato qualche volta e solo poco più del 10% (13,8%) spesso. Molto meno diffuse sono, invece, le associazioni per i genitori che sono state indicate dall’11,5% degli intervistati. In sintesi, si può affermare che diversi CFP assicurano almeno una certa offerta educativa alle famiglie.
Passando alla partecipazione alla vita dei CFP, sono gli incontri con i formatori ad ottenere i maggiori consensi con le segnalazioni di spesso che si avvicinano al 50% (48,4%) e quelle di qualche volta che superano un terzo (35,1%); la stessa logica della cura del proprio figlio colloca, anche se a una certa distanza ma al secondo posto sia quanto a partecipazione assidua (29,5%) che in forma meno sistematica (39,2%), il coinvolgimento nelle decisioni su situazioni educative e disciplinari problematiche.
In terza posizione si situa la partecipazione ad attività di natura extrascolastica. Anzitutto, si tratta del coinvolgimento in incontri periodici e/o in assemblee di programmazione e di gestione di alcune attività interne (spesso, 24,5%, e qualche volta, 36,2%). Segue la partecipazione a feste e a celebrazioni religiose (rispettivamente 16% e 36,3%) e a manifestazioni sportive, culturali e a gite (12,5% e 30,6%).
Il coinvolgimento dei genitori in attività di natura istituzionale risulta meno diffuso e fre-quente. La definizione del progetto educativo vede una partecipazione che è considerata assidua so-lo nel 15,6% dei casi, anche se una frequenza occasionale riceve con il 40,4% il massimo dei con-sensi in questo tipo di risposta. L’altra forma di coinvolgimento istituzionale riguarda la partecipa-zione agli organi collegiali dei CFP e le percentuali sono più basse: 14,5% e 37,9% rispettivamente.
La tematica è stata approfondita con un’altra domanda. Il questionario ha chiesto agli allievi di precisare le ragioni che avevano spinto i genitori a non partecipare alle attività offerte alle fami-glie. Il primo motivo che viene segnalato da una maggioranza assoluta di intervistati (51,1%) consi-ste nella mancanza di tempo. Le altre ragioni si collocano a notevole distanza: meno di un quinto (17,1%) ritiene che i genitori non siano interessati alle iniziative proposte dai CFP e intorno al 10% (11,1%) si lamenta che non si sentono adeguatamente coinvolti o evidenzia che non credono di poter essere di aiuto al CFP (8,1%).
Una terza tematica molto significativa riguarda le relazioni dei genitori con i formatori. Una domanda si occupa in prima istanza di verificare la qualità dei rapporti. Le risposte sono in generale positive: il 60% quasi (56,1%) dichiara che sono di reciproco rispetto; poco al di sotto del 50% (47,3%) li qualifica come sereni e accoglienti e più del 40% (43.5%) li ritiene collaborativi. Le va-lutazioni negative sono segnalate da percentuali poco rilevanti: nell’11,5% dei casi si parla di rela-zioni professionali, ma distaccate, e tra il 2% e l’1% si collocano le indicazioni più critiche come rapporti inesistenti (2,4%), freddi (2%) o conflittuali (1,1%).
Successivamente vengono approfondite le ragioni della cooperazione tra genitori e formatori, sempre secondo la prospettiva degli allievi. La motivazione che ottiene la maggioranza relativa dei consensi (43,4%) si presenta piuttosto formale: la collaborazione serve per far osservare le regole da parte degli allievi. Intorno a un terzo si collocano delle ragioni più significative da un punto di vista educativo, in quanto riguardano l’accompagnamento dei giovani: più in particolare, la cooperazione mira ad aiutarli a risolvere i loro problemi (35,4%) e ad aumentare il rendimento nei percorsi formativi (33,7%). Minore rilevanza ricevono degli obiettivi che in un CFP di ispirazione cristiana dovrebbero occupare il centro dell’attenzione e cioè l’educazione morale, spirituale e religiosa; tuttavia essi sono presenti e operanti nei CFP del CNOS-FAP e le percentuali non sono troppo basse perché si collocano tra il 30% e il 20% e riguardano le finalità di migliorare i comportamenti degli allievi (28,9%), sviluppare le doti personali (22,8%) e trasmettere valori (19,6%). La collaborazione non incide su un aspetto importante dell’educazione della personalità dei giovani e cioè l’aiuto a scegliere gli amici, mentre stupisce che più di un quinto degli intervistati non abbia preso posizione sulle ragioni della cooperazione tra genitori e formatori.
La valutazione sufficientemente positiva dei rapporti tra le famiglie e i CFP trova un riscon-tro indiretto nelle percentuali veramente modeste di quanti segnalano la presenza di aspetti conflit-tuali. Appena intorno al 10% lamenta casi di disaccordo sui voti (11%), sul rendimento complessivo (9,8%) o sulla gestione della classe (8,5%). Egualmente pochi sono quelli che riferiscono tensioni sul comportamento disciplinare (8,7%), sullo stile di vita complessivo degli allievi (7,2%) e sui rapporti con i compagni di classe (4,9%).
Sulla base di tutti i risultati della ricerca si è riusciti a costruire tre tipologie di famiglie di cui presenteremo quelle caratteristiche che interessano le tematiche qui in esame. La metà quasi degli intervistati (47,9%) appartengono a famiglie che si possono considerare sane e normali. Le ragioni di questa valutazione vanno viste nella natura delle relazioni tra genitori e figli in cui generalmente prevale intesa e accordo. Questo si riscontra anche per i rapporti tra le famiglie, i formatori e i CFP del CNOS-FAP che risultano, come si è visto sopra, collaborativi, accoglienti e di reciproco rispetto. Il clima d’intesa riguarda sia l’andamento negli studi sia soprattutto la trasmissione dei valori e l’apertura fiduciosa al futuro per cui la vita degli allievi si svolge in un orizzonte in cui la fede gode di una collocazione centrale. In questo contesto positivo i genitori si fanno coinvolgere nella vita dei CFP e gli operatori del CNOS-FAP dimostrano di conoscere sufficientemente la situazione delle famiglie.
Un altro raggruppamento fa riferimento a un quinto circa degli intervistati (19,4%). Le loro famiglie si caratterizzano per una situazione che comprende al tempo stesso elementi di intesa e di conflittualità: la prima riguarda la normalità della loro costituzione e la seconda le problematiche per l’educazione dei figli. Questi ultimi lamentano relazioni non molto buone con i genitori, anche se non hanno difficoltà a parlare con la mamma. I rapporti con i formatori e il CFP sono conflittuali circa i comportamenti e gli stili di vita, mentre c’è sufficiente accordo per quanto riguarda la valuta-zione degli apprendimenti dei figli. In questo caso il coinvolgimento delle famiglie nella vita dei CFP risulta piuttosto modesto.
L’ultima tipologia di famiglie comprende un terzo circa del campione (32,7%) e in un certo senso il suo identikit è un’immagine rovesciata del primo raggruppamento. Infatti, in queste famiglie prevalgono le tensioni e le difficoltà. Le relazioni dei figli con i genitori tendono ad essere pro-blematiche anche perché manca tra loro il dialogo e il codice familiare appare piuttosto variabile. I primi non considerano la fede in Dio qualcosa di rilevante per la loro vita; inoltre, il loro percorso scolastico si caratterizza per le difficoltà e gli insuccessi. I genitori tendono a non farsi coinvolgere nella vita dei CFP; tuttavia dimostrano rispetto per la struttura e i formatori, mentre la fiducia in loro e soprattutto la collaborazione vengono a mancare.
In conclusione si può dire che le relazioni tra le famiglie e i CFP del CNOS-FAP sono suffi-cientemente positive. Infatti, nella metà quasi dei casi lo sono pienamente, mentre nell’altro 50%, pur essendo presenti aspetti problematici, tuttavia rimangono dimensioni che trovano consensi tra i genitori. Questa situazione non può accontentare il CNOS-FAP che fa dell’alleanza con le famiglie un elemento centrale del suo progetto formativo. La ricerca di cui abbiamo presentato i risultati principali insiste sulla necessità di farsi carico delle esigenze educative delle famiglie e di adottare le strategie più valide per instaurare con loro collaborazioni solide.
Per orientamenti più dettagliati ci permettiamo di offrire dei suggerimenti relativi soprattutto alla compartecipazione/corresponsabilità dei genitori che, sebbene elaborati già da qualche anno, tuttavia mantengono a nostro parere auna loro validità almeno come quadro di riferimento (Malizia - Cicatelli - De Giorgi - Pieroni - Stenco, 2003; Malizia, 2015).
1) Nel coinvolgere i genitori nella vita della scuola/CFP non è sufficiente dare la parola e servirsi della loro consulenza, ma occorre fornire opportunità reali, che li mettano in grado di esercitare un proprio peso decisionale nell’azione formativa.
2) Inoltre pare necessario promuovere nella scuola/CFP attività specifiche per soli genitori, in forma programmatica e continuativa; tali attività infatti dovrebbero riguardare non solo iniziative a scopo ricreativo e culturale, ma anche più precisamente formativo.
3) Il coinvolgimento dei genitori non dovrebbe limitarsi all’organizzazione di attività extracurrico-lari, alla progettazione/realizzazione di manifestazioni religiose, ma dovrebbe estendersi ai pro-cessi di innovazione, alla scelta degli indirizzi e delle sperimentazioni, ai problemi disciplinari, alla determinazione degli orari e all’acquisto di strumenti e attrezzature.
4) Il riconoscimento di un ruolo dei genitori nella elaborazione del progetto educativo dovrebbe essere esteso a tutte le scuole/CFP. Ovviamente si tratterà di un ruolo complementare rispetto agli insegnanti e ai formatori, anche se non subordinato, e consisterà in una funzione consultiva e propositiva.
5) Bisogna fare in modo che non siano soltanto i genitori a venire alla scuola/CFP, ma anche quest’ultima dovrebbe andare presso le famiglie; in altre parole, spetta anche alla scuola/CFP partecipare con una presenza attiva e dinamica ai principali avvenimenti che riguardano la fa-miglia dell’allievo, così da far sentire la propria “vicinanza” e presenza anche all’interno del suo contesto di appartenenza. In tal modo l’alunno potrà sperimentare che il processo formativo non comincia con il varcare la soglia della scuola/CFP e non cessa quando egli si reinserisce nella vita sociale.
6) Risulta assai evidente la necessità che tutte le scuole/CFP si impegnino efficacemente a intro-durre e a sviluppare l’associazionismo per genitori e ad assicurare agli stessi un ruolo protago-nista e attivo nella conduzione delle scuole/CFP, in particolare la presenza e il funzionamento degli organi collegiali.
7) Nell’incontrare i genitori durante i colloqui periodici occorrerà portare l’attenzione non solo sull’andamento del figlio ma allargare la visione a tutta la vita della scuola/CFP, cosicché il ge-nitore avverta l’importanza di un progetto educativo integrale e se ne senta parte in causa.
8) Sarà necessario attivare tra scuola/CFP e famiglie degli alunni forme frequenti di comunicazione (servendosi dei vari e più moderni strumenti) che consentiranno di far entrare nelle famiglie “la voce” della scuola/CFP. In altre parole bisognerà mettere i genitori a diretta conoscenza delle at-tività svolte, delle decisioni prese, delle iniziative avviate, in modo che non si possa più dire di “non sapere”; e al tempo stesso si tratterà di invitare i genitori ad assumersi anch’essi le proprie responsabilità in rapporto a tutto ciò che si sta facendo in favore del figlio e della scuola/CFP nelle sue polivalenti espressioni operative.
4.2.7. Il Centro di Formazione per il lavoro, motore della buona formazione: prospettive di futuro
Nel 2015 la Sede Nazionale del CNOS-FAP ha deciso di accompagnare il dibattito su “La Buona Scuola”, dedicando tre articoli a “La Buona Formazione” perché senza di essa non ci può es-sere buona scuola, nonostante lo “scolasticismo” di tanti politici, amministratori e pedagogisti del nostro Paese. Riproponiamo qui di seguito in buona parte il testo dell’ultimo saggio pubblicato su “Rassegna Cnos” che ha chiuso il dibattito, occupandosi soprattutto delle dimensioni comunitarie e organizzative in relazione con l’ambiente esterno (Malizia - Tonini, 2015a e b). Alla fine aggiunge-remo il riferimento a una nuova sfida: il CFP come impresa formativa non simulata.
4.2.7.1. Il CFP come comunità formatrice
L'educazione è opera comune, presuppone un accordo di base sulle finalità, i contenuti, le metodologie da parte di tutte le componenti del centro (Malizia - Tonini, 2012; Malizia - Cicatelli - Fedeli - Pieroni, 2008). Una formazione efficace esige la costruzione di una comunità che sia allo stesso tempo soggetto e ambiente di educazione, centro propulsore e responsabile dell’esperienza formativa, in dialogo aperto con la comunità territoriale e con la domanda di sviluppo integrale della persona che proviene dai giovani.
Anche nella FP la centralità della comunità formatrice significa promozione integrale delle persone; in questo caso, tuttavia, tale finalità prioritaria viene raggiunta attraverso l'acquisi¬zione di un ruolo professionale qualificato e di una specifica cultura professionale (Malizia - Tonini, 2012; Cnos-Fap, 2008 e 1989). Più in particolare la preparazione del soggetto lavoratore richiede la formazione a una serie di valori di base.
Il primo di questi consiste evidentemente nella qualificazione profes¬sionale che dovrà con-sentire l'inserimento in maniera fattiva e dignitosa nel mondo del lavoro. Al tempo stesso la piena realiz¬zazione umana del soggetto lavoratore richiede la formazione della identità e della coscienza personale, la maturazione della libertà responsabile e creativa, sostenuta da conoscenze e moti-vazioni solide, lo sviluppo della capacità di relazione, di solidarietà e di comunione con gli altri, come egualmente della capacità di compartecipazione responsabile, sociale e politica.
Sulla base di tali valori il destinatario della FP sarà posto in grado di esercitare un ruolo professionale specifico. Egli saprà affrontare la realtà, soprattutto quella lavorativa, con un ap-proccio globale in cui sa investire non solo la propria competenza, ma anche la propria identità personale totale; in tale accostamento si dimostrerà capace sia di mettersi in atteg¬giamento critico nei confronti anche delle conquiste del progres¬so scientifico e tecnologico, sia di far emergere nella trasfor¬mazione della realtà umana e materiale i fermenti positivi di solidarietà, di sviluppo e di servizio in vista del bene comune. Pertanto, egli potrà superare la contrapposizione artificiosa tra uomo e lavoratore e più in generale potrà vivere nel lavoro e nell'insieme della sua vicenda esisten-ziale la dimensione etico-religiosa, personale e comunitaria. In questo senso è messo in grado di ri-spondere alle complesse attese che la società post-industriale ha nei suoi riguardi.
L'altro volano della centralità della formazione è costitui¬to dalla scelta di educare all'eserci-zio di una professionalità matura attraverso la proposta di una cultura che è professionale, umanistica ed integrale. In altre parole tale cultura sarà foca¬lizzata sulla condizione produttiva che, a sua volta, va inqua¬drata in una concezione globale dell'uomo e che ottiene la sua piena significatività nella dimensione etica e religiosa.
Se si vuole passare agli obiettivi educativi, la FP offerta nel modello organizzativo che stia-mo proponendo dovrà fornire occa¬sioni significative per assumere e maturare conoscenze, atteggia-menti, comportamenti e abilità operative coerenti con l'esercizio efficace ed efficiente della profes-sione per cui ci si prepara o ci si riqualifica. Bisognerò anche abilitare a percepire e ad assumere gli elementi necessari per l'esercizio di un ruolo professionale adeguato. Inoltre, occorre-rà elaborare un itinerario di formazione culturale e professionale che miri a: umanizzare la for-mazione al lavoro e la scelta professionale; integrare l'esperienza lavorativa nell'insieme della vita di relazione; personalizzare la scelta e la pratica professionale all'interno delle strutture e delle procedure professionali e sociali; inserire il soggetto con competenza professionale e vitale nel mondo del lavoro e nella società.
In sostanza la FP è chiamata a rispondere alla domanda personale e sociale di formazione professionale, non solo in termini quantitativi, ma anche qualitativi e globalmente umani. È a questo livello che si manifestano vari aspetti problematici. L'adeguamento dei processi di insegna-mento/apprendimento all'in¬novazione scientifico-tecnologica può risultare meramente funzionale alle imprese e tradursi in forme di selettività sociale. La domanda di autorealizzazione, se da una parte fonda l'istanza della personalizzazione dei percorsi formativi, dall'altra non è immune dal pericolo del ripiegamento nell'individualismo e nel corporativismo. Né va dimenticata la crisi delle ideologie che avevano sostenuto finora l'impegno del movimento operaio a favore della giustizia sociale o il grado particolarmente elevato di frammentazione culturale e strutturale che crea confusione e disorientamento. Sono tutte problematiche che esigono il raffor¬zamento dell'impegno per la formazione di un quadro di valori e di atteggiamenti personali di fondo
Nei centri di ispirazione cristiana l’identità e l’azione educativa comunitaria trovano un ulte-riore riferimento fondativo e prospettico nella concezione cristiana della vita (Malizia, Cicatelli, Fe-deli e Pieroni, 2008; Perrone, 2008). La base è costituita anzitutto dal mistero trinitario del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, dalla dimensione comunitaria e relazionale che li unisce, dalla natura di un Dio che si manifesta come amore, paternità amorosa, dedicazione cristica e vivificazione dello Spirito, e dalla visione di una Chiesa, Corpo di Cristo e comunione che si estende in senso orizzontale e verticale.
La tradizione educativa cristiana ha sempre ritenuto l'ambiente come formativo per se stesso (Nanni, 2008; Malizia - Tonini - Valente, 2008). Esso va inteso come l'insieme di elementi coesistenti e cooperanti, tali da offrire condizioni favorevoli al processo formativo in cui persone, spazio, tempo, rapporti, insegnamenti, studio, attività diverse sono elementi da considerare in una visione organica. L'ambiente formativo abbraccia l'habitat del centro e la comunità, e quest'ultima in se stessa e nella sua apertura alle famiglie, alla comunità ecclesiale, allo Stato e alla società civile. In quanto ambiente educativo cristiano, esso, per essere realmente permeato di carità e libertà, deve essere umanamente e spiritualmente ricco, caratterizzato da semplicità e povertà evangelica pur nella modernità delle attrezzature, qualificato da un clima comunitario, di partecipazione corresponsabile e di confidenza e spontaneità.
Con tali punti di riferimento, perciò, il CFP di ispirazione cristiana, adottando un modello aperto di razionalità, deve promuovere l'assimilazione critica e sistematica del sapere e nell'attua-zione di questo compito si presenta come comunità formatrice che punta al coinvolgimento di tutti nell'opera formativa, alla gestione sociale da parte della comunità cristiana e alla vocazione a pro-durre cultura educativa. La comunità è perciò elemento fondante dell'educazione cristiana, poiché non si basa tanto nella tolleranza o nel semplice rispetto della libertà altrui quanto nella considera-zione dell'altro come offerta di una ricchezza che ci libera dal nostro egoismo e che si presenta con i tratti del volto di Cristo. Inoltre, se la Chiesa è anzitutto comunione, la scuola cattolica non può che definirsi in primo luogo come comunità, la quale diviene centro propulsore e responsabile di tutta la sua vita. Prima ancora che scelta pedagogica, si può quindi affermare che l'identità comunitaria del centro di ispirazione cristiana abbia un fondamento teologico nella natura della Chiesa e nella di-mensione relazionale che sottostà alla stessa Trinità e alla natura di un Dio che si rivela come amore.
In questo ambiente comunitario la natura propria delle relazioni va identificata nello spirito di libertà e di carità. Come ogni vera comunità di persone, il CFP di ispirazione cristiana deve vivere di libertà e nella libertà, ma è soprattutto suo compito educare alla libertà, intesa come acquisizione di una adeguata capacità di prendere decisioni responsabili, specialmente in una società come l’attuale che tende a condizionare fortemente in senso negativo l’esercizio della libertà. Comunque, la pienezza dell’identità della comunità nel CFP di ispirazione cristiana deve essere ricercata nella carità che consiste nel lasciarsi guidare dall’amore di Dio e nel farsi servi gli uni degli altri: essa è così essenziale per la sua natura che, anche se esso insegnasse la cultura e la scienza nel modo più efficace, ma non fosse palestra viva di carità, non potrebbe essere considerato vera scuola/centro cattolico (Perrone, 2008).
4.2.7.2. Il CFP come organizzazione di servizi formativi per il lavoro
A cavallo dei due millenni nei CFP si erano verificati fenomeni di involuzione burocratica (Malizia e Tonini, 2012; Malizia e Cicatelli, 2015). Infatti, non infrequentemente si notava una fo-calizzazione eccessiva sui bisogni degli operatori a scapito dei destinatari; inoltre, non mancavano casi in cui si privilegiava il controllo normativo sulle procedure rispetto alla verifica sostanziale sui risultati. In reazione a questi segnali degenerativi si è andata diffondendo l’esigenza di elaborare un modello alternativo al CFP tradizionale: più specificamente ne sono emersi tre e si tratta del CFP strategico, di quello agenziale e di quello polifunzionale. Qui ci limitiamo a ricordare sinteticamente il terzo che è quello adottato dal CNOS-FAP, mentre per la descrizione critica degli altri due riman-diamo a Malizia - Tonini, 2015a.
Il modello polifunzionale, che fa capo al Cnos-Fap e alle sue ricerche, si qualifica per essere al tempo stesso formativo, comunitario, al servizio della persona, progettuale, coordinato/integrato, aperto e flessibile (Malizia - Tonini, 2012; Malizia - Cicatelli, 2015); questi aspetti sono state trattati ampiamente sopra ai nn. 2.2 e 3.3.2 per cui non verranno riesaminati qui. Ci soffermeremo invece su due dimensioni nuove che la crisi dell’ultimo decennio, in particolare quella del crollo dell’occupazione e della “desertificazione industriale del Sud”, ci hanno convinto di aggiungere (Salerno, 2015; Nicoli, 2015).
Per effetto della prima problematica (Malizia e Gentile, 2015 e 2016), il CFP va considerato anche come centro di formazione professionale per il lavoro. Da qualche anno è in corso un allar-gamento delle funzioni dei centri in relazione ai servizi attivi per l’occupazione, indirizzati agli allievi dei corsi e agli adulti coinvolti nelle diverse transizioni della vita relative al loro lavoro. Di conseguenza i CFP si caratterizzano sempre di più come presidi per lo sviluppo delle risorse umane sul territorio. In proposito si prospetta la costituzione di una rete nazionale di centri al fine di para-gonare prassi e di organizzare la nuova configurazione del CFP, di stabilire collaborazioni, di rea-lizzare scambi di pratiche e di predisporre un progetto di comunicazione integrato per divulgare la notizia della loro presenza sul territorio tra le persone, gli enti e i media. La legge sul Jobs Act, n. 14/183 offre da questo punto di vista varie opportunità di sviluppo.
Nel modello polifunzionale va anche prevista la creazione del laboratorio “CFP per il Mez-zogiorno”, tenuto conto delle percentuali molto elevate di dispersione scolastica e di disoccupazione giovanile che si riscontrano al Sud e del rischio di sottosviluppo permanente che questa parte del Paese corre (Svimez, 2015). Anzitutto, si mirerà a contrastare la graduale sparizione della formazione professionale nel Meridione, rilanciandola in maniera efficace. Si propone anche un modello di centro, capace di rispondere ai bisogni dei territori, comprensivo di servizi educativi e occupazionali per le persone e le imprese e in grado di raccordare recupero sociale, laboratori formativi e formule di alternanza e di diventare vivaio di ricerca autonoma del lavoro e di startup di impresa.
4.2.7.3.Il formatore come educatore professionale nella IeFP
Per delineare efficacemente questa figura, bisogna partire dalle mete e dagli standard che regolano il sistema di offerta sotto forma di saperi e competenze, articolati in abilità/capacità e co-noscenze (Malizia e Cicatelli, 2015; Malizia, Nanni e Tonini, 2012; Malizia, Nicoli e Clementini, 2008; Nicoli, 2011abc e 2014). Tali mete e standard, in quanto livelli essenziali delle prestazioni, mirano alla riconoscibilità e comparabilità degli apprendimenti a garanzia degli utenti e degli altri soggetti coinvolti. Essi costituiscono il parametro di riferimento per la valutazione degli apprendi-menti dei destinatari.
La competenza non è un fenomeno assimilabile al saper fare, ma un modo di essere della persona che ne valorizza tutte le potenzialità. Lavorare per competenze significa favorire la matura-zione negli allievi della consapevolezza dei propri talenti, di un rapporto positivo con la realtà so-stenuto da curiosità e volontà, in grado di riconoscere le criticità e le opportunità che si presentano, in modo che possano essere capaci di assumere responsabilità autonome nella prospettiva del servizio inteso come contributo al bene comune.
L’elemento centrale di una formazione per competenze è costituito dalla possibilità di privi-legiare l’azione, significativa ed utile, in quanto situazione di apprendimento reale ed attivo che consente di porre il soggetto che apprende in relazione “vitale” con l’oggetto culturale da conoscere. Il discente è collocato in tal modo nella condizione di fare un’esperienza culturale che ne mobilita le capacità e ne sollecita le potenzialità positive. Il sapere si mostra a lui come un oggetto sensibile, una realtà ad un tempo simbolica, affettiva, implicativa, pratica ed esplicativa.
Il formatore diventa, nel procedere secondo questo metodo, oltre che un esperto di una parti-colare area disciplinare, anche il “mediatore” di un sapere che “prende vita” nel rapporto con la realtà, come risorsa per risolvere problemi ed in definitiva per vivere bene. Ciò comporta, in corri-spondenza dei momenti cruciali del percorso formativo, la scelta di occasioni e di compiti che con-sentano all’allievo di fare la scoperta personale del sapere, di rapportarsi ad esso con uno spirito amichevole e curioso, di condividere con gli altri questa esperienza, di acquisire un sapere effetti-vamente personale.
La metodologia propria dei percorsi di IeFP, nella logica della formazione efficace, mira a selezionare le conoscenze e le competenze chiave irrinunciabili, a disegnare situazioni di apprendi-mento per laboratori nei quali svolgere esperienze che permettano agli allievi di entrare in rapporto diretto con la conoscenza sotto forma di procedimenti di scoperta e di ricostruzione dell’oggetto co-sì da condurre ad una acquisizione autenticamente personale. Ciò consente di mettere in moto un processo di apprendimento attivo, quindi motivante e finalizzato, così da consentire una valutazione più autentica.
Le risorse umane impegnate nelle attività formative devono a loro volta essere caratterizzate da una piena visione professionale fondata sulla libertà di insegnamento, non a carattere prestativo ma tesa ad una formazione efficace. Entro questo quadro, i docenti risultano in grado di operare nel-la logica del lavoro d’équipe al fine di condividere il progetto formativo e svolgere le attività colle-giali di supporto, gestire relazioni educative con i destinatari, programmare, realizzare e valutare occasioni di apprendimento attive ed efficaci all’interno di un particolare ambito del sapere, coordi-nare e collaborare entro attività a carattere interdisciplinare, impegnarsi all’esterno negli ambienti di apprendimento reali.
Questa impostazione richiede il coinvolgimento di una pluralità di figure professionali e ne-cessita di una figura forte di coordinatore dell’équipe. Ciò implica un esplicito riconoscimento giu-ridico delle specificità professionali e la definizione di un adeguato organico di centro, che consenta di differenziare l’offerta formativa sia in termini di tipologie di insegnamenti, sia di orari e funzioni.
Passando alla formazione dei formatori, probabilmente si è arrivati al momento in cui com-piere per quella di base un salto di qualità. Dato che nel 2007 il 60,7% possedeva una laurea, si po-trebbe richiedere per insegnare nella FP un titolo di istruzione superiore (universitaria o non univer-sitaria); in ogni caso, ciò che è decisivo a questo proposito è che gli obiettivi, i contenuti e le meto-dologie siano adeguate per preparare a svolgere il ruolo di formatore nello specifico della FP. È po-sitivo che si sia raggiunta la parità sul piano percentuale tra uomini e donne; non sarebbe però au-spicabile una femminilizzazione del corpo dei formatori perché tra l’altro comporterebbe una svalu-tazione sociale del ruolo a scapito proprio delle stesse donne. Inoltre, dovrebbero continuare i pro-cessi di ricambio generazionale che si sono registrati nella prima decade del 2000 (Malizia e Cicatelli, 2015).
Per quanto riguarda la formazione in servizio, gli Enti di FP la considerano un’azione fon-damentale per l’animazione e l’affermazione della propria “proposta formativa” (Tonini, 2005). Comunque, per i particolari riguardanti il CNOS.FAP rimandiamo sopra alla sezione n. 4.2.2.
4.2.7.4.Una leadership morale e condivisa per la formazione
La concezione di leader a cui facciamo riferimento si colloca all’interno dei modelli comuni-tario o collegiale e soprattutto culturale di organizzazione (Bush, 2008 e 2010; Malizia - Tonini, 2015) e di una concezione integrata tra leadership istruttiva (instructional) e trasformativa (tran-sformational) (Paletta, 2015; Bush, 2008).
a. Una definizione della leadership
In primo luogo, l’attenzione va focalizzata sulla dimensione valoriale del ruolo del dirigente la cui autorità e influsso devono fondarsi anzitutto su una concezione adeguata del giusto e del be-ne. Ciò che è centrale è «la capacità di agire in un modo che è congruente con un sistema morale e rimane tale nel tempo». Il leader morale si può definire come un dirigente che «è in grado di: testi-moniare una coerenza piena tra principi e prassi; applicare i principi alle nuove situazioni; creare una mentalità e una terminologia condivise; spiegare e giustificare le decisioni in termini morali; reinterpretare e riaffermare i principi se necessario» (Bush, 2010, pp. 184-185).
Nel contesto in cui viviamo è certamente di particolare importanza la funzione, che potrem-mo definire di “management dei significati” per cui il leader è chiamato impegnarsi a favore del de-linearsi di sistemi di significati educativi condivisi fra i differenti soggetti (Sergiovanni, 2002, 2000, 2009). Ci sembra che in questo momento uno dei mali maggiori che travaglia la scuola e la FP sia l’incapacità di insegnanti/formatori e di studenti/allievi di dare e di trovare un senso profondo nelle cose che fanno a scuola/centro per cui mancano di passione, di entusiasmo e di motivazioni profonde nel loro mestiere di docenti/formatori e di studenti/allievi: pertanto, diventa necessario e urgente che il leader li aiuti a recuperare significato e ragioni dell’educare e dell’essere educati. Tutto ciò è ancora più vero per i CFP di ispirazione cristiana dove visione e missione hanno la loro giustifica-zione ultima nel messaggio del Vangelo. In questa direzione è anche interpretabile il processo di “dematerializzazione” che interessa le organizzazioni e in particolare la scuola/centro nel senso cioè di una minore importanza attribuita alle variabili strutturali a favore della preminenza dei soggetti che ne fanno parte, assieme ai quali si attivano processi di co-costruzione di una cultura condivisa, la quale, poi, fonda proprio quegli stessi processi. Dunque, il nuovo perno della professionalità del personale dirigente sembra essere costituito dalla capacità di dialogo e di mediazione fra differenti soggetti e il centro viene così a configurarsi come “CFP dei significati”, in cui i vari soggetti sono portatori di senso per la vita attraverso la loro specifica professionalità e il leader diventa il gestore delle mediazioni culturali perché tutto assuma e mantenga natura formativa.
A questo punto conviene richiamare i più importanti principi organizzativi che costituiscono il quadro di riferimento del nostro modello di leader. Anzitutto, egli è un professionista riflessivo nel senso che il suo operare è caratterizzato dalla circolarità fra teoria e pratica e attinge contempo-raneamente a tre fonti: la scienza, l’esperienza e l’intuizione creativa. L’agire dei professionisti si fonda su una intuizione informata dalla teoria e dalla pratica: infatti, la scienza spiega i fenomeni, ci aiuta a criticare le pratiche, ma non le produce; le pratiche professionali nascono dall’esperienza at-traverso tentativi ed errori e sforzi intuitivi, ma vanno valutate dalla teoria; a sua volta l’intuizione creativa viene facilitata dalla scienza e va resa fattibile attraverso l’esperienza.
Passando sul piano più strutturale, un principio importante riguarda le strategie per realizzare l’integrazione nel centro. Mentre nel passato il mantenimento dell’unità veniva affidato princi-palmente a modalità di carattere gestionale come il controllo e la gestione, ora in ambienti molto di-namici, con relazioni deboli sul piano organizzativo, che richiedono prestazioni straordinarie, anche per l’effetto dell’introduzione dell’autonomia, le varie componenti devono ricercare il collegamento in primo luogo nei valori. In altre parole l’integrazione gestionale e strutturale si completa e si supera in quella culturale. A sua volta la progettazione assume un carattere strategico e non più dettagliato. Ciò significa definire gli orientamenti di fondo, creare consenso sulle finalità, dare autonomia, assegnare responsabilità e valutare processi e risultati, garantendo che le azioni educative incarnino i valori condivisi. Ciò che è decisivo sono le capacità di autogestione, cioè la capacità delle varie componenti di sapersi gestire e collegare con le mete concordate. Per assicurare il consenso dei vari attori, il primo passo da fare è scegliere una modalità normativa che ottiene l’adesione delle persone perché queste sono convinte della validità delle attività formative poste in essere e percepiscono il loro coinvolgimento come intrinsecamente soddisfacente: su questa base si sviluppano i requisiti di lavoro, si decidono gli interventi da realizzare e si procede alla loro verifica.
Particolarmente importante è la strategia motivazionale che non dovrebbe essere più princi-palmente “remunerativa” per cui viene fatto solo quello che è ricompensato e non viene fatto quello non è ricompensato, ma invece “espressiva”, nel senso che quello che è ricompensante, che mi rea-lizza, viene fatto e bene, o “morale”, nel senso che si è disposti a realizzare con impegno tutto quello che si ritiene buono e giusto. Il controllo dovrà basarsi sulla socializzazione professionale come strategia di lungo termine, cioè sulla formazione iniziale e in servizio, mentre nel breve e nel medio ciò che conta è arrivare a scopi e valori condivisi che possono offrire il collante che unisce le varie componenti in organizzazioni a legami deboli e in continuo cambiamento come i centri.
b. Le funzioni del dirigente
Incominciamo da quelle generali (Malizia - Bocca - Cicatelli - De Giorgi, 2004; Sergiovanni, 2002, 2000, 2009; Malizia - Tonini, 2015).
- La funzione tecnica che consiste nell’uso di valide tecniche di gestione (pianificazione, gestione del tempo, coordinamento, programmazione, organizzazione ed altre). Una buona gestione tec-nica del lavoro formativo resta indispensabile per il funzionamento dei centri, in quanto assicura un senso di affidabilità, continuità ed efficienza.
- La funzione di gestione delle relazioni umane che si esprime nella capacità di rapportarsi con le persone, si esplica nel sostegno al miglioramento e ha come base la motivazione e lo sviluppo degli allievi e del personale, a partire da quello formativo, nella prospettiva della collegialità e dell’autonomia.
- La funzione educativa in senso stretto che deriva dalla conoscenza esperta dell’educazione e fa percepire il dirigente come leader riconosciuto dai propri docenti (formatore di insegnanti in quanto ha una forte pratica didattica maturata sul campo).
- La funzione simbolica che parte dalla funzione di “capo” con cui il leader viene percepito e dal suo ruolo di rappresentare l’unità del centro. In particolare questa forza simbolica si esprime nella capacità di finalizzazione, di visione, o di far cogliere il senso delle cose, di indicare le priorità, di orientare ed identificare le varie componenti del centro e interpretare i loro sentimenti e aspettative;
- La funzione culturale che è la forza chiave per creare un’identità condivisa attorno ai valori di-stintivi del centro, per inserire i nuovi collaboratori e allievi, per costruire un pensiero comune e una comunità formatrice. Il compito della leadership come costruzione di cultura è quello di in-fondere valori, creando l’ordine morale che lega il leader alle persone attorno a lui.
Praticare le funzioni simbolica e culturale rappresenta oggi la base per la costruzione di una comunità formativa di successo e attraversa dinamicamente tutte le altre dimensioni “ordinarie” del lavoro formativo (tecnica, umana ed educativa).
La leadership va esercitata in funzione del contesto. Per dirigere un centro efficace occorre tener conto di diverse possibili strategie:
- quella basata sullo scambio, in cui le varie parti operano in nome di rapporti di forza e di con-venienze reciproche;
- quella basata sulla costruzione, come offerta di condizioni che permettono di crescere con uno sforzo comune;
- quella basata sull’unione, come capacità di valorizzare le relazioni tra le persone a partire dal riconoscimento della leadership;
- quella basata sul legame, come riconoscimento di un “noi” e dell’autorità morale del leader in nome di idee e valori comuni.
Il personale direttivo dovrebbe creare le seguenti condizioni:
- sviluppare i valori comuni, trasformando i collaboratori da subordinati (che rispondono a pro-cedure e regole) in una comunità di leader (che rispondono ad idee e valori);
- costruire in loro capacità di iniziativa, di autocontrollo, di autogestione e di auto-responsabilizzazione;
- sviluppare l’empowerment (conferimento di potere) attraverso la delega e lo stimolo dell’iniziativa, ma chiedendo anche conto dei risultati;
- esprimere capacità di realizzazione, passando da un potere su ad un potere per, dal controllo all’influenza e alla facilitazione;
- sviluppare la collegialità come strategia e non come semplice adempimento, a partire dall’esempio personale di cooperazione, dal riconoscimento dei collaboratori, dalla coerenza ri-spetto ai valori conclamati;
- enfatizzare la motivazione intrinseca delle persone rispetto a quella estrinseca (ricompense eco-nomiche o materiali);
- assumere un orientamento alla qualità, come elemento distintivo del servizio del centro;
- valorizzare la semplicità, rispetto alle architetture organizzative complesse;
- riflettere in azione, evitando una navigazione a vista e promuovendo il confronto sulle buone pratiche e la ricerca educativa.
Qui non si intende parlare del dirigente solo come di un professionista bensì anche dell'edu-catore, del formatore di uomini e quindi è opportuno cercare di indicare i requisiti personali.
Dal punto di vista umano, siamo di fronte alla necessità di persone che presentano una forte passione per la relazione di servizio e per l'educazione in genere, persone che concepiscono il fe-nomeno educativo come una compartecipazione di diversi soggetti e non come espansione di uno stile proprio che si impone. Occorre anche una buona dote di ottimismo e di spirito di intrapresa, congiunta alla capacità di contenere ansia e preoccupazioni evitando di investire di tutto questo ogni collaboratore.
Dal punto di vista professionale, il personale direttivo deve possedere una notevole cono-scenza del sistema educativo di istruzione e di formazione sul piano giuridico, istituzionale, meto-dologico e delle procedure operative. Esso necessita nel contempo di una capacità di individuazione del senso di tutti questi processi, pur non dovendo necessariamente diventare specialista in ognuno di essi, al fine di delineare uno stile gestionale organico ed orientato alla qualità. Ciò significa saper cogliere nell'insieme dei processi di cui si è responsabili le componenti di coerenza o non coerenza con il disegno adottato ed inoltre i segnali di conferma o smentita dello stesso, comprese le oppor-tunità future. Le sue competenze professionali dirette si riferiscono all'ambito delle relazioni interne, con la gestione dei collaboratori e la guida dell'organizzazione, ed inoltre a quello dei rapporti esterni, dove è richiesta la cura delle relazioni di rete e la ricerca delle opportunità di intervento.
Tutto ciò ha una precisa ricaduta sui requisiti manageriali del personale direttivo, a cui è ri-chiesta una leadership basata sui fattori di guida, testimonianza e responsabilità. Esso deve saper esprimere da un lato il legame o l'identificazione nel progetto formativo, dall'altro la capacità di in-terpretare le opportunità ed i vincoli delineando una strategia di intervento che richiede una continua modificazione ed una capacità di indirizzo dei collaboratori verso le mete delineate.
Per il dirigente/educatore cattolico che opera nei centri di ispirazione cristiana la consapevo-lezza della missione ecclesiale del centro e del suo progetto formativo conferiscono alla sua profes-sionalità caratteristiche specifiche: l'articolazione del rapporto fede-cultura-vita, il particolare signi-ficato pedagogico e teologico della comunità formatrice e il valore ecclesiale del suo servizio.
4.2.7.5. Il CFP come impresa formativa (non simulata): una nuova sfida
L’esperienza formativa in contesti reali e “in assetto lavorativo” viene ritenuta sempre più oggi un’opportunità essenziale sia in vista dell’inserimento lavorativo, che in termini strettamente educativi.
Il raccordo scuola/Fp lavoro, nelle riforme recenti si è realizzato soprattutto:
- nella impresa formativa simulata;
- nell’istituto dell’apprendistato accendendo contratti di lavoro;
- nell’alternanza “rafforzata”.
In generale, la scelta delle Regioni nel promuovere la sperimentazione del sistema duale è stata, secondo i monitoraggi più recenti, quella di privilegiare l’impresa formativa simulata (IFS) al primo anno e lasciare la scelta tra l’alternanza rafforzata e l’apprendistato negli anni successivi, ma con una grande eterogeneità di soluzioni che rischiano di compromettere le possibilità di una regia istituzionale nazionale.
In tale deriva si può collocare anche la marginalizzazione di fatto subita dalle esperienze di “imprese formativa” (non simulata) che – al contrario – potrebbero (e dovrebbero) rappresentare un fattore di significativa discontinuità nel panorama formativo italiano, così come è avvenuto in altri paesi europei.
Il Cedefop ha curato nel 2012 uno studio dal titolo Trends in VET policy in Europe 2010-12 Progress towards the Bruges communiqué, in cui vengono analizzati tra gli altri anche i progressi in materia di formazione al e sul lavoro. Tra questi, si possono ricavare interessanti elementi dalla se-zione dedicata al Work based learning e al Fostering innovative and entrepreneurial skills.
Il Work-based learning rappresenta un ponte tra istruzione, formazione e lavoro. È un ap-proccio che ha una lunga tradizione in Europa, anche se le modalità organizzative e formative di ri-ferimento sono molto differenziate. Esso può essere ricondotto oggi alle teorie dell’”apprendistato cognitivo” e alle pratiche della “didattica professionale”.
La formazione alla creatività e l’innovazione stanno invece diventando sempre più un aspetto decisivo dei nuovi curricoli della VET, orientati a formare skill e attitudini imprenditoriali. Solo a titolo esemplificativo si rileva come l’Austria, la Danimarca, la Francia, la Slovenia includano, ad esempio, specifici insegnamenti di “business/industry projects”. In Austria queste competenze sono parte dell’esame finale di qualifica. L’Irlanda del Nord ha lanciato nel 2011 il programma “Skills Strategy Success through skills - Transforming futures” finalizzato alla popolazione giovanile a più bassa qualificazione. Questa strategia include l’iniziativa “Made not Born programme” che inco-raggia lo sviluppo di competenze di leadership e le management skills in un ambiente aziendale reale. Anche alla luce di questi stimoli alcuni Enti di Formazione Professionale hanno deciso di cimentarsi con questa nuova sfida: l’impresa formativa (non) simulata.
a Il contributo del CNOS-FAP (anno 2015)
Avvalendosi della collaborazione di vari consulenti, il CNOS-FAP ha curato uno studio spe-cifico: L’impresa didattica/formativa: verso nuove forme di organizzazione dei CFP. Stimoli per la Federazione CNOS-FAP.
La ricerca promossa ha:
- analizzato la normativa esistente (e in corso di definizione) in materia di impresa formativa, sul piano giuridico generale, giuslavoristico, amministrativo e fiscale, comparandola a quella di altri Paesi europei (come ad esempio le “Entreprises de Formation par le travail” in Belgio o le “Stu-dent Companies” in Norvegia);
- analizzato le esperienze esistenti nella Formazione Professionale in Italia (e nel privato sociale ad essa eventualmente collegato), al fine di identificare le buone pratiche e i relativi profili giuridici e modelli organizzativi più efficaci;
- individuato le questioni cruciali, gli ostacoli e i possibili fattori di successo da considerare ai fini di una possibile trasferibilità del modello di “impresa formativa sociale” nei contesti degli enti di FP in Italia;
- definito dei criteri guida organizzativi da proporre in eventuali sperimentazioni ad hoc promosse dal CNOS-FAP.
Lo studio ha offerto, nel complesso, una sintetica rassegna di studi di caso in Europa e in Italia, una riflessione finalizzata ad individuare ed estrapolare aspetti rilevanti dei modelli organiz-zativi emergenti dalla letteratura e dallo studio dei casi analizzati, delle proposte progettuali per de-finire i possibili elementi costitutivi prioritari del modello organizzativo di un’impresa formativa nel medio periodo, e le fattispecie giuridiche e organizzative che possono essere consigliate ai re-sponsabili e agli operatori dei CFP e assunte come tali nel breve periodo (Cnos-Fap, 2015).
In questo contesto la Federazione CNOS-FAP sta progettando una nuova ricerca-azione dal-lo stimolante titolo: FARE INTRAPRESA FORMATIVA. Un’alleanza vocazionale tra CFP ed im-prese madrine.
Una pagina che è ancora da scrivere, ambisce ad elaborare una specifica risposta alla neces-sità di avviare una gestione integrata dei rapporti con le imprese tra servizi al lavoro e servizi for-mativi, a rinnovare il metodo relativo all’insegnamento della cultura del duale, a qualificare la pro-posta della “Intrapresa formativa – IF”, dove questa appare sempre più la formula pedagogica ed organizzativa propria del Centro di Formazione Professionale rinnovato.
In questo nuovo CFP gli allievi, a parere dei proponenti della ricerca-azione, devono essere chiamati a far parte (ingaggio) di gruppi di lavoro che emulano le organizzazioni operative al fine di svolgere compiti di realtà dal valore professionale, civico ed espressivo di sé; tali compiti devono, inoltre, essere gestiti sia da imprese madrine ed enti partner nella formula della commessa esterna sia dal Centro stesso nella formula dell’autocommessa; lo stile adottato dai diversi attori, infine, è di impronta vocazionale, orientato alla scoperta dei talenti di ciascuno entro relazioni dotate di valore reale, il metodo è finalizzato all’acquisizione da parte degli allievi di una conoscenza autentica, in-tesa come capacità di padroneggiare le risorse (saperi, abilità, tratti della personalità) al fine di ri-spondere alle sfide, portando a termine compiti e risolvendo i problemi via via incontrati, in modo da fornire una risposta soddisfacente ai beneficiari della propria opera.
b Il contributo di Scuola Centrale Formazione (SCF)
Uno studio più recente ed aggiornato su questo tema – porta la data del 2018 - è il testo Im-presa formativa. Esperienze a confronto, curato dall’Ente Scuola Centrale Formazione (SCF).
Il testo offre un quadro normativo e organizzativo più aggiornato rispetto allo studio precedente; anche questo studio analizza casi di studio europei e italiani e propone possibili itinerari da speri-mentare. Ci sembra davvero stimolante la conclusione, che riportiamo integralmente con solo qual-che adattamento grafico (Scuola Centrale Formazione, 2018): (inserito nella bibliografia?)
“UNA POSSIBILE «ROAD MAP”
A conclusione dell’analisi su alcuni casi relativi alle imprese formative, si può sintetizzare come la complessità dell’esperienza sia quella di perseguire obiettivi produttivi e formativi nello stesso tempo come la denominazione stessa delle imprese suggerisce.
Se sono stati individuati i fattori chiave connessi alle linee guida (raccolte nei tre ambiti sopra de-scritti: partnership, organizzazione, educazione) una riflessione conclusiva può essere fatta riguardo il processo attraverso cui si può dare vita ad un’impresa formativa.
Le esperienze analizzate hanno permesso di comprendere quale sia una modalità «idealtipica» (che non necessariamente deve essere seguita alla lettera da tutti coloro che vogliono promuovere espe-rienze di impresa formativa) che ha permesso lo stabilirsi e il consolidarsi delle realtà esaminate.
Molto spesso la realtà è nata da una sperimentazione limitata, promossa con un progetto pilota, che ha permesso di “inquadrare” in un contesto territoriale ed economico specifico gli elementi di fatti-bilità dell’impresa.
La business idea è stata successivamente approfondita e, dopo un successivo e dettagliato esame di fattibilità e sostenibilità economica (business plan) ha portato alla costituzione del primo nucleo dell’impresa. In molti casi l’iniziativa è sorta come “laboratorio molto strutturato” per poi diventare una realtà imprenditoriale a tutti gli effetti.
Sulla base delle esperienze analizzate si può azzardare una “road map” (che rappresenti una sorta di percorso idealtipico a 4 step che dovrebbe seguire un Cfp o una scuola) per la costituzione di un’impresa formativa.
Step 1: Dall’idea di base al legame con il territorio
Ciò che si dovrebbe fare in questa fase è aprirsi a più opportunità evitando di non considerare tutte le ipotesi possibili. In un certo senso questa è la fase della creatività dove si può e si deve “guardare in grande”. Congiuntamente alla identificazione di una idea è importante stringere i legami con gli attori istituzionali e sociali del territorio. Ogni realtà formativa ha certamente legami con il territorio di riferimento che, in una fase di possibile promozione di un’impresa formativa (quando si è ancora nella fase nascente dell’idea), è imprescindibile si rinforzi per iniziare a stabilire un dialogo finaliz-zato a identificare concrete partnership (istituzionali e non) e possibili fonti di finanziamento.
Step 2: Analizzare lo specifico ambito di intervento
In questa fase si deve concretizzare l’idea di base (è la parte di percorso in cui le idee emerse anche in forma sommaria dalla fase precedente vengono passate all’esame di realtà) definendo:
a. la business idea coerente con i percorsi formativi che si hanno in essere e/o che si vogliono atti-vare;
b. le risorse necessarie;
c. le eventuali azioni di fundraising e/o di attivazione di specifici progetti pilota finanziati;
d. la definizione di un business plan. In questa fase è bene scegliere azioni davvero fattibili (si può sempre “aumentare” successivamente) e sostenibili nel lungo periodo.
Step 3: Promuovere attività sperimentali
È la fase di avvio delle attività e qui si deve soprattutto prevedere un monitoraggio costante di:
a. la qualità dell’impresa formativa come agente formativo;
b. la qualità dell’impresa formativa come attività di business.
Ciò significa strutturare ruoli organizzativi di presidio (tutor formativo e tutor aziendale), percorsi per promuovere l’apprendimento in impresa, strumenti per valutare l’apprendimento, strumenti per valutare la sostenibilità economica.
Step 4: Valutare e consolidare le esperienze
L’ultimo step è quello del consolidamento. Dopo che la fase precedente ha «avuto successo» si deve consolidare (sulla base degli esiti dell’azione di monitoraggio) il modello e prevedere un suo even-tuale allargamento.
In sintesi: una possibile road map per la promozione e il consolidamento dell’impresa formativa:
Step Cosa fare Errori da evitare
STEP 1
DALL’IDEA DI BASE AL LEGAME CON IL TERRI-TORIO
Definire più concretamente un’idea di massima
Rinforzare i legami con il territorio
Allargare le possibili ipotesi Volere avere già la «propo-sta completa»
Rimanere ancorati ai legami esistenti
Censurare le idee sulla base della «non fattibilità prati-ca»
STEP 2
ANALIZZARE LO SPECIFI-CO AMBITO
DI INTERVENTO
Definire la business idea coerente con i percorsi formativi
Identificare le risorse ne-cessarie
Ipotizzare percorsi di fi-nanziamento
Definire il business plan Non circoscrivere l’ambito di intervento e le dimensio-ni
STEP 3
PROMUOVERE ATTIVITÀ SPERIMENTALI
Monitorare costantemente le attività sia sul piano del valore formativo sia su quello della sostenibilità economica
Dotarsi di strumenti Non progettare specifici strumenti di monitoraggio
STEP 4
VALUTARE E CONSOLI-DARE LE ESPERIENZE
Valutare l’impatto com-plessivo dell’esperienza
Non dotarsi di strumenti adeguati di valutazione
Come accennato all’inizio di questo paragrafo, con queste brevi citazioni abbiamo voluto richiamare solamente un dibattito in corso che sta coinvolgendo la Federazione CNOS-FAP, ma non solo, nella ricerca di un nuovo modello di CFP, una pagina davvero stimolante ancora da scrivere.
4.2.8. Nuove sfide per la Federazione CNOS-FAP: Servizi al lavoro e progettazione europea
Consideriamo le sfide che illustriamo brevemente come un cantiere aperto. Si tratta di attività recenti, delle quali è prematuro farne un bilancio. Tuttavia la descrizione di queste due sfide, che desideriamo si sviluppino nei prossimi anni, ci sembra importante.
4.2.8.1. La promozione dei Servizi al Lavoro (SAL)
La Federazione CNOS-FAP ha messo a punto un progetto nuovo denominato «Servizi al Lavoro» (SAL).
Il progetto consiste nell’apertura di « sportelli» dentro o fuori il Centro di Formazione Pro-fessionale, comunque autonomi, dotati di personale proprio, attrezzati per erogare:
- servizi alla persona: informazione, accoglienza, orientamento professionale, consulenza orienta-tiva, accompagnamento al lavoro, facilitazione all’incontro tra domanda e offerta di lavoro;
- servizi alle imprese: formazione su misura per le imprese, formazione delle risorse umane, con-sulenza aziendale, risposte all’incontro tra domanda e offerta di lavoro.
Anche i soli cenni sono sufficienti per mettere in evidenza il salto di qualità che il Centro di Formazione Professionale sta compiendo rispetto all’organizzazione precedente dove il tutor curava i rapporti con le imprese soprattutto per la realizzazione dello stage, dei tirocini e della formazione continua. Attualmente il personale dedicato allo sportello coordina tutta l’azione che il CFP compie in rapporto alle imprese e al territorio in maniera permanente e stabile.
Due sono state le motivazioni che hanno spinto a promuovere questo progetto. Una prima motivazione è stata la sperimentazione del sistema duale. I CFP, come già detto anche all’interno di questo testo, hanno potenziato e rafforzato i sistemi di orientamento e di placement. Dallo stimolo a diventare CFP accreditati dal MLPS alla progettazione di uno sportello dedicato, il passo è stato breve. Una seconda motivazione è legata al potenziamento delle politiche attive del lavoro che si sta realizzando in questi anni in Italia. Come è stato riportato da una ricerca recente promossa dal CNOS-FAP, oggi, il valore complessivo degli avvisi di politica attiva regionale ha superato il valore degli avvisi rivolti alla formazione professionale. Si tratta di una linea di tendenza molto importante.
L’insieme di questi fattori spinge la Federazione CNOS-FAP a realizzare in Italia una rete di sportelli che diventino, nel medio periodo, autonomi anche dal punto di vista finanziario per far sì che questa attività non gravi sui finanziamenti della IeFP che nei tempi più vicini a noi sono dimi-nuiti.
Ma questa è una sfida ancora aperta.
Il carattere “salesiano” e “carismatico” del servizio è stato illustrato in maniera efficace nella Linea Guida per i Servizi al Lavoro che la Sede Nazionale ha progettato:
«Se ai tempi di don Bosco i fanciulli “pericolanti” erano coloro che venivano attirati dalle città dei primi opifici alla ricerca di una qualche forma di sopravvivenza, esponendosi ad ogni sorta di insidie materiali e morali, anche oggi si impone una risposta concreta ed umana all’emergenza lavoro dei giovani e degli adulti, spesso tenuti sospesi a mezz’aria, in bilico tra realtà e finzione. Una filosofia di vita fondamentalmente scettica ha sostituito l’etica del lavo-ro, ovvero l’idea di realizzare se stessi occupandoci degli altri, con l’estetica dei consumi, ov-vero la ricerca di un’identità mediante il mascheramento ed il perseguimento compulsivo di ciò che ci rende apprezzabili dagli altri (Baudrillard 1976).
Liberato dalla schiavitù della routine, l’essere umano ha la possibilità di infondere nelle cose che fa, qualcosa della propria anima, ma si trova di fronte il percolo del disincantamento, che significa fare le cose per sopravvivere o farle per vendere (marketing).
Il lavoro “cattivo” è quello che persegue i valori d’urto: novità (“cambiare, cambiare!”), in-tensità (avvincere) e stranezza (provocare). I prodotti ed i servizi del lavoro cattivo provocano uno stato di urgenza permanente, coltivano il “narciso frettoloso” sempre agitato, sempre in-soddisfatto.
Il lavoro “buono” comporta il lavorare per gli altri, sapendo fornire loro prodotti e servizi che possano appagare le esigenze dell’animo umano, sulla base di valori di relazione: stabilità (certezza, fondatezza), durata (continuità nel tempo, ma anche miglioramento), fedeltà (essere prossimi come garanzia di risposta alle esigenze). In altri termini: l’humanitas, una concezione etica basata sull'ideale di un'umanità positiva, fiduciosa nelle proprie capacità, sensibile e attenta ai valori interpersonali, ai valori romani e ai sentimenti .
Quest’ultimo valore è strettamente legato al valore della tecnica (dal greco τέχνη (téchne), "arte" nel senso di "perizia", "saper fare", "saper operare"), l'insieme delle norme applicate e seguite in una attività, sia essa esclusivamente intellettuale o anche manuale.
In questo modo, si fonda un’etica del lavoro ben fatto, la disposizione propria del lavoro arti-gianale che mira a “fare bene una cosa per se stessa”, e ciò richiede necessariamente una mae-stria tale da consentire al soggetto il dominio completo dell’intera opera. Ad essa si associa l’etica dell’alterità: il lavoratore è una persona che si coinvolge nel lavoro in modo da mobili-tare le risorse buone proprie e quelle della comunità cui appartiene. La persona, per corri-spondere alla propria essenza di soggetto teso all’autenticità, è chiamata a valorizzare i propri talenti attraverso un servizio reso ad altre persone e quindi a volti umani che manifestano una richiesta da cui si genera una relazione che a sua volta implica un coinvolgimento ed una re-sponsabilità.
Per questo la disoccupazione, prima che un problema economico, rappresenta un’offesa alla dignità umana ed un impoverimento del carattere sociale della vita pubblica.
[…]
Si tratta di uno strumento dal forte carattere operativo e nel contempo aperto ad una varietà di soluzioni circa il legame che può insistere con i Centri di Formazione Professionale e le altre Opere salesiane.
Pur in presenza di diverse soluzioni gestionali, rimane fermo il valore centrale che questo ser-vizio assume per l’impegno del movimento salesiano nell’attuale fase; con ciò si intende il va-lore educativo e sociale di un servizio che persegue la valorizzazione di ogni persona, nessuna esclusa, che intenda assumere un ruolo lavorativo positivo, al fine di farne emergere talenti e capacità, formare saperi e competenze, fornirgli le opportunità di inserimento nella società sulla base di un profilo di lavoro buono.
Nel contempo, si intende valorizzare il ruolo delle imprese in quanto ambienti ricchi di valenze pedagogiche, soggetti che svolgono un ruolo formativo e promozionale svolto tramite l’azione economica e sociale a favore dei singoli e delle collettività (Cnos-Fap, 2014, pp 7-8; 18-19)».
4.2.8.2. La strategia della internazionalizzazione della Federazione CNOS-FAP
Da qualche anno la Federazione CNOS-FAP ha messo a punto una nuova iniziativa passando dalla «occasionalità» (partecipazione occasionale a bandi) ad una «azione strutturata» (uno dei servizi permanenti di formazione e di coordinamento della Sede nazionale). La Federazione, come noto, ha, tra i suoi obiettivi, quello di favorire la cultura e lo scambio di esperienze transnazionali tra i giovani e tra gli operatori per far maturare in loro la consapevolezza di essere anche cittadini d’Europa e la crescita nella prospettiva di uno sviluppo solidale per tutti e per ciascuno.
Per dare gambe a questo ambizioso obiettivo la Sede Nazionale ha organizzato un gruppo di progettazione con lo scopo di:
- promuovere e coordinare tutte le attività formative di carattere internazionale;
- coordinare la formazione di operatori che intendono specializzarsi in questo ambito;
- costituire solide partnership europee ed extraeuropee.
Partecipando alle opportunità europee, i formatori coinvolti nel progetto si sono dati anche obiettivi da raggiungere nel medio termine:
- promuovere l'internazionalizzazione del profilo degli allievi e degli studenti e aumentare il loro potenziale di occupabilità;
- promuovere il continuo sviluppo della professionalità del personale delle Associazioni, qualifi-cando e migliorando le loro competenze educative, pedagogiche, didattiche e tecniche;
- migliorare la qualità dell’offerta formativa del CNOS-FAP e promuovere la “cultura” della for-mazione professionale a livello europeo e internazionale;
- promuovere a livello internazionale il «marchio» salesiano CNOS-FAP e la visione salesiana del-la IeFP;
- rafforzare a livello europeo e internazionale i legami con gli attori del mercato, al fine di miglio-rare il potenziale di occupabilità degli allievi e degli studenti;
- migliorare la sostenibilità finanziaria del CNOS-FAP attraverso la promozione di una diversifi-cazione delle fonti di finanziamento pubblico-privato.
Anche questo progetto, come quello richiamato sopra, è in fieri. Al momento si può afferma-re che la Federazione CNOS-FAP:
- ha potenziato sia il settore progettazione della Sede Nazionale sia il coordinamento delle Asso-ciazioni regionali per aumentare le opportunità di partecipazione ai progetti europei;
- cura la formazione continua degli operatori coinvolti;
- sta potenziando il partenariato in Europa in ottica multiattore e dell’advocacy presso le istitu-zioni e i network UE su temi VET;
- favorisce la progettazione integrata (formazione professionale, inclusione sociale, cooperazione internazionale);
- colloca anche nell’ottica europea sperimentazioni italiane quali sistema duale, i servizi al lavoro, l’integrazione di soggetti vulnerabili.
5. Il retaggio dei primi 40 anni
È tutt’altro che semplice delinearlo perché le iniziative sono state davvero numerose e le linee di azione risultano diversificate e complesse. C’è anche il rischio di una notevole soggettività dato che mancano studi storici adeguati e soprattutto manca il distacco necessario dagli eventi con-siderati. Alcune iniziative, poi, sono ancora in fieri. Al tempo stesso ci sembra doveroso fare un ten-tativo di redigere un bilancio, focalizzando l’attenzione sugli aspetti positivi perché sono quelli più utili per costruire un futuro altrettanto (e se possibile anche più) luminoso del passato e del presente.
5.1. Una crescita quantitativa tendenziale
Ci è sembrato utile suddividere questo arco di tempo in tre periodi. Un primo bilancio lo ri-serviamo ai primi 25 anni, periodo che si caratterizzano per la nascita e per la prima crescita della Federazione CNOS.-FAP. Un secondo periodo, 10 anni circa, è legato alla prima importante speri-mentazione che ha dato vita e consistenza al (sotto)sistema di IeFP. Il terzo periodo, più vicino ai nostri giorni, è caratterizzato da una nuova sperimentazione, più breve ma ugualmente importante, l’avvio «inedito» per l’Italia del sistema duale.
5.1.1. Lo sviluppo dei primi 25 anni (1977 – 2002): un aumento quantitativo costante
Nei primi quindici anni (1977-78/1991-92) l’aumento del sistema di FP del CNOS-FAP con qualche eccezione è stato in generale costante, ma al tempo stesso è rimasto entro limiti contenuti: infatti, si è restati in una fascia compresa tra il 10 e il 30% (cfr. Tav.1). Sono stati i corsi ad espan-dersi maggiormente, del 29,9%, passando da 411 a 534 e facendo quindi registrare una crescita in valori assoluti di 123. Anche i formatori registrano un andamento in costante aumento (+161 in va-lori assoluti), anche se percentualmente più contenuto dei corsi (+22,6%). Gli allievi presentano una battuta di arresto tra il 1981-82 e il 1986-87 nel senso che si riscontra una crescita zero (numeri indici 104,8 e 104,7 rispettivamente); comunque, nei quindici anni l’aumento è di 1.816, pari al 20,3% in percentuale. A loro volta, i centri sono in crescita, anche se solo di tre, da 36 a 39, e dopo aver regi-strato nel 1986-87 un aumento di 6.
Tav. 1 – Evoluzione del sistema di FP del CNOS-FAP (anni scelti: in VA e IND)
Sistema di FP del Cnos-fap 1977-78 1981-82 1986-87 1991-92 1996-97 2001-02
VA IND. VA IND. VA IND. VA IND. VA IND. VA IND.
Centri 36 100,0 40 111,1 42 116,7 39 108,3 42 116,7 54 150,0
Corsi 411 100,0 448 109,0 477 116,1 534 129,9 698 169,8 1.125 273,7
Allievi 8.937 100,0 9.365 104,8 9.354 104,7 10.753 120,3 13.672 153,0 18.435 206,3
Formatori 714 100,0 777 108,8 827 115,8 875 122,6 880 123,2 1.177 164,8
Legenda: VA=Valori Assoluti; IND=Numeri Indici
Fonte: Rielaborazione su dati CNOS-FAP
Il primo balzo in avanti si realizza nel 1996-97 con gli allievi che crescono della metà (+53%; o +4.375 soggetti) rispetto all’anno della fondazione della Federazione; tra il 1996-97 e il 2001-02 continua l’espansione di un altro 50% per cui al termine dei 25 anni gli iscritti risultano più che raddoppiati (+106,3%, o +9,498). L’aumento è ancora maggiore nei corsi che tra il 1977-78 e 2001-02 sono quasi triplicati, essendo saliti da 411 a 1.125 (+714). Nel 1996-97 i Centri ritornano sui valori del 1986-87, 42 unità, e nel 2001-02 si attestano su 54 con un salto del 50% (+18) rispetto agli inizi. In questo secondo periodo (1991-92/2001-02), l’andamento dei formatori è al contrario molto contenuto e tra il 1991-92 e il 1996-97 la crescita è pressoché zero, anche se poi nel quinquennio successivo l’aumento supera il 40% e nei 25 anni si colloca al 64.8%, pari a 463.
Nel 2001-02 (cfr. Tav. 2) oltre la metà degli allievi della Federazione (53,5%) frequentano corsi che in base alla terminologia della futura riforma Moratti possiamo chiamare di secondo ciclo: specificamente, più di un terzo (36,3%) è iscritto alla formazione professionale iniziale, il 10,7% ai corsi dell’istruzione obbligatoria in integrazione con la scuola e il 5,4% a corsi in integrazione con la media superiore. Un 10% quasi (8,8%) è collocato nella formazione superiore: il 7,8% nel post-diploma e l’1% negli IFTS. Il 35,8% è impegnato nella formazione sul lavoro: apprendistato (13.9%) e formazione continua di occupati e disoccupati. Gli allievi delle fasce deboli sono 343, pari al 2% circa.
In sintesi, intorno agli anni 2000, si può dire che i CFP del CNOS-FAP sono diventati poli-funzionali, presentano cioè un’offerta formativa molteplice, e al tempo stesso hanno conservato la loro tradizionale attenzione alla fascia 14-18 anni.
Tav. 2 – Tipologia di attività formative e di allievi (anno 2001-02; in VA e %)
Tipologia di attività formative Corsi Allievi
VA % VA %
Istruzione obbligatoria 120 10,7 2.179 11,8
Formazione professionale iniziale 392 34,8 6.687 36,3
Integrazione scuola media superiore 58 5,1 994 5,4
Fasce deboli 30 27 343 1,9
Apprendistato 161 14,3 2.561 13,9
Post-diploma 65 5,8 1.441 7,8
IFTS 9 0,8 187 1,0
Form. continua occupati e disoccupati 290 25,8 4.043 21,9
Totale 1.125 100,0 18.435 100,0
Legenda: VA=Valori Assoluti; %=Percentuali
Fonte: Rielaborazione su dati CNOS-FAP
5.1.2. Gli anni della sperimentazione dei percorsi di IeFP (2003 – 2011)
Nell’anno formativo 2003-04 inizia la sperimentazione dei percorsi formativi di durata triennale in tutte le Regioni, sperimentazione terminata nel 2011 quando l’Accordo Stato – Regioni di quell’anno metteva a regime il sistema di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP).
L’obbligo formativo, introdotto dalla legge n. 144/1999, la riforma costituzionale con la Legge n. 3/2001 e la legge 53/03 sono la base giuridica della messa a punto del (sotto)Sistema di Istruzione e Formazione Professionale quale articolazione del secondo ciclo.
In questo contesto come ha agito la Federazione CNOS-FAP? Per rispondere a questa do-manda si sono riportare due tavole, una contenente dati globali, un’altra contenente dati regionali focalizzati soprattutto sul numero di allievi intercettati dalla sperimentazione della IeFP. Se al ter-mine dei 25 anni gli iscritti si sono più che raddoppiati, in questo decennio gli allievi che hanno fre-quentato i percorsi formativi di IeFP hanno continuato ad aumentare, come si evince dalla Tav. 3, passando da 8.842 a 13.211, anche se non in forma continua. Si registrano, infatti, variazioni in più o in meno, determinate soprattutto dalle politiche adottate dalle Regioni, le prime titolari della spe-rimentazione.
In positivo si registrano i numeri consistenti di molte Associazioni regionali: Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Piemonte, Sicilia, Veneto, associazioni che hanno avviato e sostenuto la sperimentazione triennale e, in qualche territorio, anche del quarto anno, avvalendosi di una politica regionale favorevole.
In negativo si riscontrano le situazioni più critiche delle Associazioni regionali operanti in Sardegna e in Abruzzo. La Regione Sardegna, avendo deciso di chiudere, in un triennio, la speri-mentazione, fa passare l’Associazione CNOS-FAP dai 1.463 allievi del 2003-04 ai 114 anel 2011. La Regione Abruzzo, che a sua volta ha chiuso la sperimentazione dei percorsi triennali, fa passare l’Associazione CNOS-FAP da 669 allievi (anno 2003-04) a 109 (2011-12).
Situazioni difficili sono da registrare anche in altre Regioni che non hanno adottato la spe-rimentazione o l’hanno avviata in maniera residuale. La Regione Umbria, ad esempio, non ha avviato la sperimentazione; gli allievi riportati nella Tav. 4 frequentano corsi del diritto-dovere ma non i per-corsi formativi sperimentali. La Regione Emilia-Romagna ha allievi a partire dal secondo anno del percorso formativo triennale e la Regione Puglia ha avviato una sperimentazione di dimensioni limitate, così come la Valle d’Aosta che ha introdotto la IeFP solo dopo il 16 anno. Per debolezze interne e per scelte politiche le Associazioni CNOS-FAP Campania e Calabria non sono riuscite ad avviare attività formative in maniera strutturata.
Tav. 3 – Numero allievi e corsi totali e nella IeFP (anno 2003 – 2011)
Anno Allievi Allievi della IeFP Corsi Corsi nella IeFP
2003 / 2004 20.561 8.842 1.300 540
2004 / 2005 21.176 11.322 1.300 647
2005 / 2006 26.409 13.206 1.503 713
2006 /2007 25.932 14.057 1.495 766
2007 / 2008 20.609 10.369 1.295 598
2008 / 2009 18.779 12.203 1.061 614
2009 / 2010 20.100 12.620 1.173 646
2010 / 2011 22.954 13.517 1.645 740
2011 / 2012 24.779 13.211 1.749 690
Fonte: Rielaborazione su dati CNOS-FAP
Tav. 4 – Allievi per Regione sulla base delle attività formative 14-18 anni (anno 2003 – 2011)
2003/2004 2004/2005 2005/2006 2006/2007 2007/2008 2008/2009 2009/2010 2010/2011 2011/2012
Abruzzo 669 1.013 490 286 208 60 121 201 109
Calabria 30 16
Campania 60 11
Emilia R. 379 517 310 313 409 475 558 384 326
Friuli-V. G. 4.123 4.505 706 607 272 272 444 1775 802
Lazio 834 1.013 904 804 849 891 891 1196 1026
Liguria 477 503 353 358 238 354 268 251 252
Lombardia 2.526 1,123 891 885 784 1163 968 1112 1296
Piemonte 4.877 5.712 4972 6482 3208 4477 4321 3456 3964
Puglia 210 143 126 224 162 150 110 102 150
Sardegna 1.463 1.885 654 384 126 90 163 649 114
Sicilia 1.739 1.772 1672 1707 2178 1928 2302 2045 2438
Toscana 17
Umbria 337 384 433 343 193 431 600 296 295
Valle d’A. 193 241 45 44 55 70 68 46 226
Veneto 2.657 2.335 1497 1538 1677 1849 1889 1995 2202
Totali 20.561 21.176 13.206 14.057 10.369 12.203 12.719 13.517 13.211
Fonte: Rielaborazione su dati CNOS-FAP
5.1.3. Gli anni della sperimentazione del sistema duale (2012 – 2017)
In questa terza fase vanno sottolineati almeno due provvedimenti, rilevanti per il (sot-to)Sistema di Istruzione e Formazione Professionale.
Il primo è legato all’Intesa del 16 dicembre 2010 riguardante l’adozione di Linee – Guida per realizzare organici raccordi tra i percorsi degli Istituti Professionali e i percorsi di IeFP. In pratica, nella cornice unitaria del secondo ciclo, per erogare l’offerta della IeFP, sulla base dell’Intesa possono agire sia le istituzioni formative accreditate dalle Regioni, sia le istituzioni scolastiche (gli Istituti Professionali, in particolare) con un ruolo complementare e integrativo. I monitoraggi attesteranno, in verità, che in alcune Regioni il ruolo delle istituzioni scolastiche è stato sostitutivo più che integrativo, vista la debolezza della IeFP di competenza regionale di quel territorio.
Il secondo è legato all’Accordo Stato – Regioni per l’avvio di un’altra sperimentazione, quella denominata “Azioni di accompagnamento, sviluppo e rafforzamento del sistema duale nell’ambito dell’Istruzione e Formazione Professionale” (24 settembre 2015), sperimentazione di breve durata perché con la Legge di Bilancio 2018 il Governo ha reso da sperimentale a ordinamentale questa modalità.
In questo nuovo contesto come ha operato la Federazione CNOS-FAP?
Anche in questo secondo caso, per rispondere alla domanda, si sono riportate due tavole, una contenente dati globali, un’altra dati regionali focalizzati soprattutto sul numero di allievi nella IeFP.
Prendendo il dato globale possiamo senz’altro affermare che la Federazione CNOS-FAP, nella stagione delle sperimentazioni, ha continuato a crescere. Considerando, infatti, gli allievi, i beneficiari dell’intera offerta formativa, dai 18.435 (dato dell’anno 2001-02) la Federazione è pas-sata ai 25.980 (dato dell’anno 2017-18), nonostante le drastiche riduzioni o chiusure avvenute in al-cune Regioni, già segnalate nel punto precedente.
Tale conferma positiva tendenziale è confermata anche analizzando il numero di allievi rela-tivo al diritto-dovere (14 – 18 anni): dagli 8.842 (dato dell’anno 2003-04) la Federazione è passata ai 16.179 (dato dell’anno 2017-18); in pratica ha raddoppiato il numero degli allievi.
In positivo, si possono registrare anche in questo arco di tempo la crescita quantitativa e l’avvio del 4° anno in Regioni dove era assente nel periodo precedente (Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Piemonte, Veneto). Analizzando i dati degli anni 2016-17 e 2017-18 più in particolare, si possono registrare crescite quantitative notevoli, per effetto della sperimentazione del sistema duale (tavv. 5 e 6).
In negativo, si confermano i rilievi già segnalati sopra per alcune Regioni, soprattutto del Centro e del Sud. La Federazione CNOS-FAP non è riuscita ad avviare attività formative in maniera continuativa e stabile nelle regioni della Calabria e della Campania, ha continuato tale attività in maniera residuale in Sardegna e in Puglia, ha registrato scarsi effetti in Abruzzo e in Umbria (tavv. 5 e 6).
Tav. 5 – Numero allievi e corsi totali e nella IeFP (anno 2012 – 2017)
Anno Allievi Allievi della IeFP Corsi Corsi nella IeFP
2012/2013 24.489 14.220 1702 731
2013/2014 25.374 14.295 1.678 746
2014/2015 22.384 13.392 1.493 728
2015/2016 20.489 12.977 1.598 780
2016/2017 26.477 16.563 1.807 1015
2017/2018 25.980 16.179 1.708 970
Fonte: Rielaborazione su dati CNOS-FAP
Tav. 6 – Allievi per Regione sulla base delle attività formative 14-18 anni (anno 2012 – 2017)
2012/2013 2013/2014 2014/2015 2015/2016 2016/2017 2017/2018
Abruzzo 74 156 56 528 125 196
Calabria 35 40
Campania 22 30 74
Emilia R. 308 328 335 396 367 416
Friuli-V. G. 1.065 1.034 649 441 655 631
Lazio 1.053 1.108 1.110 1.074 1.420 1.596
Liguria 320 285 373 234 290 296
Lombardia 1.387 1.610 1.709 1.778 2.711 2.794
Piemonte 4.195 3.666 3.807 4.224 5.562 5.471
Puglia 68 77 129 122 85 121
Sardegna 79 42 80 195 173 206
Sicilia 2.512 2,279 1.471 1.456 1.481 516
Toscana 89 138
Umbria 230 293 233 200 201 232
Valle d’A. 795 938 902 95 120 102
Veneto 2.134 2.457 2.538 2.199 3.254 3.350
Totali 14.220 14.295 13.392 12.977 16.563 16.179
A completamento di questo quadro si riporta anche la crescita quantitativa degli operatori impegnati dalla Federazione, soffermandoci soprattutto su quelli assunti a tempo indeterminato. La Federazione CNOS-FAP, iniziata l’attività con 714, è passata già a 1.177 nell’anno 2001/2012. Al termine della stagione della prima sperimentazione gli operatori si attestano a 1.333 (di cui 154 a tempo determinato). Oggi, anno 2017/2018 gli operatori sono 1.619 (di cui 277 a tempo determina-to). In quarant’anni la Federazione CNOS-FAP ha più che raddoppiato il proprio organico, segna-lando che, accanto a quello stabilizzato ruotano numerosi altri operatori coinvolti con altre modalità contrattuali.
Con 40 anni di storia la Federazione CNOS-FAP si appresta ad affrontare il futuro con 15 Associazioni regionali, 5 Enti non salesiani diventati soci della Federazione e 67 Centri di Forma-zione Professionale che operano in 16 Regioni. Eroga 1.708 corsi di formazione professionale arti-colati in IeFP (970), Formazione Professionale Superiore (99), continua (288), altre attività anche non finanziate dall’Ente pubblico (351). Intercetta 25.980 allievi di cui 18.179 sono in diritto-dovere, 1.718 in formazione professionale superiore, 4.618 in formazione professionale continua, 3.465 in altre attività formative, anche non finanziate dall’ente pubblico. Per svolgere questo volume di attività coinvolge 1.342 operatori a tempo indeterminato, 277 a tempo determinato e numerosi formatori assunti con altre forme contrattuali.
5.2. L’impegno per una pari dignità della Formazione Professionale
In questo caso, si farà riferimento alle parole di uno dei Presidenti del CNOS-FAP che si è battuto per la realizzazione di tale impegno. Una delle linee fondamentali costanti della politica della Federazione è consistita nella «piena valorizzazione della formazione di base di primo livello, in-novandola fortemente, come risposta alle esigenze di una larga fascia di giovani che non accedono alla scuola secondaria superiore o sono emarginati dal sistema scolastico, e come autentica risorsa per elevare la qualificazione dell’operaio e renderlo capace di rinnovamento.
A questo scopo si desidera fare della formazione professionale un vero e proprio sistema […] che, nel quadro della formazione permanente, preveda interventi di primo, secondo e terzo li-vello, e rientri periodici per mettere il lavoratore in grado di affrontare i cambi sempre più incalzanti» (Rizzini, 1988, p. 176; cfr. anche Editoriale, 1987 e 1999).
Fare della IeFP «un vero e proprio sistema»: ci sembra questo il filo conduttore che ha guidato la Federazione CNOS-FAP in questi 40 anni promuovendo le sue politiche formative e af-frontando, di volta in volta, le problematiche che allontanavano o facilitavano il raggiungimento di questo obiettivo.
Per comprendere la fatica di questo lungo cammino può essere utile ripercorrere le tappe più importanti, anche se per cenni, della IeFP italiana nella quale la Federazione CNOS-FAP si è ci-mentata. Progressivamente, infatti, si è attuata una radicale trasformazione della valenza dei percorsi formativi offerti dalla Formazione professionale. Questo cambiamento, che ha visto alternarsi fasi critiche in cui ha prevalso un orientamento politico avverso e fasi di valorizzazione, si è concentrato, in particolare, su tre segmenti:
- l’inserimento della FP nel sistema educativo di Istruzione e Formazione;
- la delineazione di una filiera professionalizzante dai 15 ai 19 anni ed anche oltre;
- l’inserimento nell’offerta formativa del “duale italiano” con alternanza prolungata ed apprendi-stato.
5.2.1. La Formazione Professionale nel sistema educativo di Istruzione e Formazione
Mentre fino al 1999 i CFP si collocavano al di fuori dell’istruzione obbligatoria fissata in 8 anni di studio, con l’introduzione dell'obbligo formativo, sancito dall'articolo 68 della Legge n. 144 del 1999, si è avviato un percorso che ha portato con la legge n. 53 del 2003 all’inserimento della Formazione professionale nel sistema educativo di Istruzione e Formazione per l’assolvimento del diritto-dovere. Si è compiuto così un evento storico, e precisamente l’inclusione, nell’ambito del nuovo sistema educativo, del sistema di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP).
Il valore storico di quanto è accaduto si può riconoscere nel confronto, per opposto, con l’introduzione della scuola media unica nel 1962 che veniva realizzata – al contrario - eliminando l’avviamento professionale, considerato come un fattore di discriminazione e diseguaglianza sociale. Mentre allora ha prevalso il criterio dell’uniformità e della unicità di un percorso formativo ge-neralistico, l’ulteriore elevazione dell’obbligo di istruzione, portato a 16 anni mediante il diritto-dovere, è avvenuta facendo riferimento al principio della pari opportunità dei cittadini e dell’equivalenza formativa dei percorsi, che quindi si presentano cammini differenti, ma equivalenti dal punto di vista del valore formativo. Questo passaggio riflette la crescente complessità sociale ed in particolare le differenze di condizione della popolazione, tenuto presente anche dei fenomeni immigratori, dell’overeducation, della disoccupazione giovanile e dei NEET.
L’attuazione della legge n. 53 del 2003 ha portato quindi alla creazione di un «doppio cana-le» nel sistema educativo, anche se molto disomogeneo nella sua consistenza, ma non rigido e con la possibilità di passaggi reciproci, che colloca la Formazione professionale in diritto-dovere di Istruzione e Formazione nel secondo ciclo.
5.2.2. Dai percorsi di IeFP ad una filiera professionalizzante verticale
La possibilità di scelta dei giovani comprendente l’offerta della formazione professionale si è arricchita nel tempo acquisendo la caratteristica di una filiera professionalizzante continuativa, in verticale, che interessa almeno la fascia d’età 15-19 anni, comprendente la qualifica professionale triennale di livello europeo (EQF 3), il diploma professionale o quarto anno (EQF 4) ed infine l’anno di specializzazione tecnica superiore – IFTS (EQF 4) ‒aperta all’Istruzione Tecnica Superiore – ITS (EQF 5), una formazione superiore non universitaria.
In questo modo, la formazione professionale acquisisce un ventaglio di opportunità formative in verticale in grado di soddisfare le attese di un’utenza plurale che desidera inserirsi nel mondo del lavoro con titoli professionalizzanti di valore reale, riconosciuti nell’ambito comunitario, secondo una dinamica progressiva.
Occorre aggiungere anche che il sistema italiano non prevede una rigida separazione di que-sto canale da quello dell’istruzione; infatti diversi allievi dei corsi IeFP gestiti dalle istituzioni for-mative accreditate, una volta acquisita la qualifica o il diploma professionale, si candidano per il passaggio all’istruzione tecnica o professionale al fine di poter acquisire un diploma di Stato.
Va detto poi che l’accesso ai corsi di questa filiera non è limitato all’età del diritto dovere di istruzione e formazione, ovvero ai 18 anni, ma – specie per il diploma quadriennale, gli IFTS e gli ITS – risulta possibile anche oltre, in forza del diritto formativo di cui è titolare ogni cittadino. Que-sta opportunità, che in un primo tempo è stata limitata dalle Regioni e Province autonome ai soli minorenni, vede ultimamente un numero crescente di allievi che, provenendo da percorsi differenti di studio, di lavoro o di non lavoro, decidono di arricchire la propria preparazione al fine di assumere ruoli sociali riconosciuti e coerenti con le necessità dell’economia. Negli ultimi anni questa opzione risulta accentuata dal fenomeno dei «lavori orfani» - circa 250 mila richieste di lavoro che non trovano candidature soddisfacenti – e dalla pressante richiesta delle imprese ai CFP di figure formate nei diversi ruoli previsti.
5.2.3. L’introduzione della “via italiana al sistema duale”
Dal 2014, l’offerta formativa nel nostro Paese è stata arricchita ulteriormente tramite l’inserimento dei percorsi del “duale italiano”, comprendente due significati differenti: in primo luogo indica una specifica tipologia di offerta formativa che si aggiunge alle altre, connotata da ca-ratteristiche sue proprie in particolar modo in riferimento al rapporto con le imprese, alla durata dell’alternanza, al contratto di apprendistato, alla formula progettuale e infine alle tipologie di uten-za cui si rivolge; in secondo luogo si riferisce ad un approccio formativo ed organizzativo che enfa-tizza ulteriormente il metodo peculiare della formazione professionale, applicabile pertanto all’intero ventaglio della sua offerta formativa, caratterizzato da un accordo più stretto con le imprese partner nella logica della corresponsabilità formativa, dal superamento del disciplinarismo, dalla metodolo-gia dei compiti di realtà, dalla configurazione organizzativa dell’intrapresa formativa.
Da questo duplice significato discende la nuova tipologia di offerta formativa sollecitata an-che dall’introduzione del duale nella strategia della Istruzione e Formazione Professionale, e carat-terizzata da sette tipi di azioni, ognuna riferita ad un mix di utenti potenziali:
- ragazzi provenienti dalla secondaria di primo grado, intenzionati a scegliere un percorso di istruzione e formazione professionale che permetta loro di apprendere un mestiere e inserirsi in tempi brevi nel mondo del lavoro;
- giovani in cerca di primo impiego, dotati di un titolo di studio che non consente un facile inse-rimento nel mondo del lavoro;
- disoccupati che hanno perso il lavoro e desiderano trovarne uno più stabile e coerente con le proprie caratteristiche (anche in collegamento con i servizi per il lavoro);
- giovani e giovani-adulti dispersi e NEET che vogliono rimettersi in gioco con percorsi di for-mazione-lavoro basati su un accordo forte tra CFP e imprese (anche in collegamento con i nuovi CPIA-Centri Provinciali per l'Istruzione degli Adulti);
- occupati che desiderano incrementare la propria professionalità o cambiare tipo di professione (es. percorsi a qualifica per adulti).
I percorsi formativi del duale, dopo un inizio sperimentale, sono diventati ordinamentali a seguito della Legge di Bilancio 2018. Questa nuova modalità potenzia nei CFP la partnership con le imprese prevedendo una stretta integrazione tra la componente formativa e quella dei servizi per il lavoro, quest’ultima introdotta in quasi tutte le strutture a partire dalle norme nazionali e regionali miranti all’incremento dell’occupazione.
In definitiva, mentre fino al 1997 sembrava che la formazione professionale fosse destinata a dover abbandonare l’ambito giovanile per dedicarsi esclusivamente alla formazione degli adulti e delle imprese, i tre cambiamenti indicati hanno portato ad uno scenario totalmente diverso e per molti versi innovativo, coerente con la preoccupazione per il rilancio dello sviluppo e dell’occupazione, specie a favore dei giovani, la componente che più di altre ha pagato le conse-guenze della crisi economica. Certamente, questa nuova configurazione dei CFP esige un ripensa-mento della propria missione ed una diversa gestione formativa ed organizzativa, in una direzione che ricorda quella delle Academy dei Paesi più avanzati nell’ambito delle politiche formative.
Anche solo sfogliando la Rivista Rassegna CNOS si può evincere come la Federazione CNOS-FAP sia stata sempre attiva e propositiva per il raggiungimento degli obiettivi sopra richia-mati. La partecipazione alle sperimentazioni, la produzione di documentazioni pertinenti, le ricerche, i monitoraggi, gli studi ed i confronti europei sono stati gli strumenti più utilizzati per essere, nei vari contesti, voce attiva e propositiva.
5.3. I giovani e la formazione integrale
Un primo criterio ispiratore dell’azione della Federazione nei 40 anni trascorsi consiste nella visione unitaria del giovane destinatario dei nostri interventi, senza dicotomie tra cultura e pratica, fra intelletto e corpo, fra rapporti personali e prestazioni, tra contenuti e tecnica (Malizia et alii, 2016; Orlando, 2014; Van Looy - Malizia, 1998). Ciò ha permesso di delineare un iter formativo in cui lo sviluppo cognitivo, quello tecnico, quello socio-politico e quello morale e religioso non costituiscono comportamenti stagni, ma sono tra loro fortemente intrecciati in modo da contribuire alla crescita della capacità della persona di accostare in modo attivo e maturo la realtà.
È un orientamento che ha portato a potenziare nell’attività formativa i processi di persona-lizzazione in modo da educare soggetti solidi, maturi, consapevoli e capaci di assumere responsabilità sociali e professionali conformi alla propria vocazione. Per affrontare in modo vincente le sfide della “infosocietà” non basta una preparazione tecnico-professionale adeguata, ma i giovani devono essere capaci di: pensare in modo autonomo e critico; essere intellettualmente curiosi; instaurare rapporti positivi e stabili con gli altri, intrecciando con essi un dialogo fecondo, valorizzandoli, collaborando in progetti comuni; risolvere i conflitti; gestire il cambiamento con originalità e libertà; vivere la vita come vocazione e servizio.
La personalità che si è intesa sviluppare in modo globale non coincide con un io separato o isolato rispetto alla comunità e al contesto di appartenenza. La soggettività, se rimane ripiegata su se stessa, può trasformarsi in un impedimento alla formazione integrale proprio perché manca l’apporto dell’altro. Al contrario il processo educativo deve tradursi in un iter in cui ciascuna individualità cresce con e grazie a quelle di tutti i soggetti con i quali si entra in relazione: infatti, per liberarsi del proprio centrismo è necessario assicurare un incontro dinamico tra differenze.
Se orientare significa porre l’individuo in grado di prendere coscienza di sé e di progredire per l’adeguamento dei suoi studi e della sua professione alle mutevoli esigenze della vita, si capisce la stretta connessione dell’orientamento con la maturazione della personalità e anche l’importanza di una riaffermazione delle sue caratteristiche in chiave pedagogica e salesiana. Gli allievi della FP, sia per l’età che per la condizione di svantaggio in cui molti si trovano, hanno bisogno di tale accompagnamento da vicino, rispettoso e al tempo stesso propositivo, che li aiuti a conoscere le loro potenzialità, che li guidi nella complessità della realtà sociale, che li sostenga nella elaborazione di un progetto di vita come servizio agli altri secondo la propria opzione vocazionale. L’obiettivo finale è la costruzione dell’identità personale e sociale del soggetto in un adeguato progetto di vita, inteso come compito aperto alla realtà comunitaria e sociale, e come appello all’attuazione dei valori che danno senso alla vita. Passando più nello specifico, si è trattato di avviare alla ricerca della identità, di formare alla progettualità e all’autonomia decisionale e di far acquisire una maturità professionale adeguata che permetta di combinare sapere, saper essere, saper fare.
Un ulteriore passaggio, piuttosto recente, è stato quello di assumere la qualità come criterio ispiratore dell’attività formativa (Isfol, 2003, Cnos-Fap, 2008; Malizia et al., 2016). A questo punto è opportuno richiamarne le dimensioni principali.
5.3.1. La qualità pedagogica e didattica salesiana
La qualità pedagogica del percorso di formazione, sia esso tecnico che professionale, pone la persona al centro dell’attenzione educativa: il giovane viene accolto così come è. La pedagogia sa-lesiana dà particolare attenzione alla persona che è portatrice di valori etici, di potenzialità cognitive ed affettive, di progetti. Facendo leva su queste potenzialità i formatori e i docenti preparano questa persona ad inserirsi nella società e nel mondo del lavoro in maniera attiva e critica, forte di una co-scienza di cittadino e di lavoratore, attento e aperto alla complessità della società italiana, europea e mondiale. Tutto ciò prende forma in un progetto educativo e formativo, che tiene conto dei tempi, dei modi e dei ritmi di apprendimento che sono propri di ciascuno per assicurare a tutti il successo formativo.
La qualità pedagogica ispira e stimola la qualità didattica. Qualità didattica significa, per i Salesiani, curare in modo particolare tre aspetti:
- l’orientamento alle competenze che tende ad assicurare un insieme integrato di conoscenze, abi-lità, competenze, valori, atteggiamenti e comportamenti, finalizzato al conseguimento di una qualifica professionale o di un diploma di Stato;
- l’apprendimento attraverso il fare che consente agli allievi e agli studenti, realizzando “capola-vori” di progressiva complessità, di sperimentare attivamente le proprie competenze anche at-traverso l’errore, di collegare l’operatività al sapere e al saper essere, di ritrovare il senso dell’apprendere e di riflettere sull’esperienza compiuta;
- la pluralità dei contesti di apprendimento che superano di gran lunga l’uso povero dell’aula e del laboratorio perché valorizzano anche le opportunità formative che provengono dal mondo del lavoro e dal territorio.
5.3.2. La qualità dei risultati: una proposta di “valutazione”
La valutazione è, in primo luogo, un processo formativo che riguarda gli allievi e gli studenti che sono aiutati a prendere coscienza del raggiungimento degli obiettivi di apprendimento, dei mi-glioramenti compiuti, delle risorse attivate e delle difficoltà incontrate. La valutazione è, in secondo luogo, un processo formativo che riguarda il servizio stesso che è spinto ad un miglioramento conti-nuo rispetto agli obiettivi raggiunti, le strategie adottate, i mezzi messi in campo.
5.3.3. La qualità dell’organizzazione a sostegno del progetto educativo
È sempre questa visione di qualità a spingere i Salesiani a pensare all’organizzazione del CFP o della scuola non come una “agenzia”, ma come luoghi di apprendimento e comunità educative strutturati in modo da favorire la partecipazione e l’iniziativa degli allievi e delle famiglie. Sono anche centri di servizi che offrono, oltre che istruzione e formazione, anche orientamento, accom-pagnamento al lavoro, aggiornamento continuo. Data la complessità delle funzioni formative ed educative, l’équipe formatrice è composta di diverse figure professionali di sistema, chiamate tutte ad agire all’interno del progetto educativo.
5.3.4. La qualità del ciclo di vita del processo formativo
Ogni CFP o ogni scuola a indirizzo tecnico corre, nel tempo, il pericolo dell’autoreferenzialità. Per prevenirlo, i Salesiani, in primo luogo, verificano che la propria offerta sia una risposta ai bisogni del territorio, oltre che dei giovani; cura, in secondo luogo, una rete di re-lazioni che agevolano i giovani nel loro diritto di compiere scelte anche reversibili e nell’apprendimento che, oggi, è sempre più permanente e aperto, cioè dato anche dai contesti non formali e in formali e non solo formali.
5.4. Il modello organizzativo del CFP polifunzionale
Una società sempre più complessa come l’attuale richiede che le persone vengano preparate ad affrontare le esigenze che da questa situazione derivano (Malizia e Tonini, 2015a e b; Van Looy - Malizia, 1998). Le organizzazioni formative e in particolare i formatori, non potranno più accon-tentarsi di contenuti e di processi consolidati e in parte ripetitivi, ma dovranno divenire attori capaci di gestire la diversità, la varietà e il cambio. Da questo punto di vista, grande è stato l’impegno del CNOS-FAP per preparare gli operatori a lavorare sempre più per progetti anziché per programmi, per obiettivi anziché per procedure, per processi anziché per routine.
Nella società dell’informazione la trasmissione delle conoscenze da parte del formatore perde di priorità a motivo dell’apporto molto significativo che può essere offerto dalle nuove tecnologie, mentre egli è chiamato sempre di più a svolgere un ruolo di mediazione tra l'educando e le in-formazioni per aiutare quest'ultimo a integrarle in un quadro sistematico di conoscenze. La sua fun-zione consiste più nel formare la personalità degli allievi e nell'aprire l'accesso al mondo reale che non nel trasmettere nozioni programmate, più nel fare da guida alle fonti che non nell'essere lui stesso fonte o trasmettitore di conoscenze.
Circa la funzione/figura del dirigente va accettato anche nei nostri CFP l’allargamento che la riflessione e l’esperienza propongono in questo ambito: essa comprende oltre agli aspetti pedagogici e di animazione, anche compiti di natura manageriale. La funzione/figura del dirigente deve avere come terreno di azione un’area qualificata dalla compresenza di amministrativo e di educativo e della finalizzazione dell’organizzativo a sostegno dell’azione educativa. In particolare, il dirigente è chiamato a potenziare il clima dei rapporti con i docenti in tre direzioni: l’instaurazione di un’atmosfera di familiarità, il riconoscimento di una giusta autonomia al personale, l’attribuzione ad esso di una posizione di corresponsabilità nella vita dei CFP.
Entro questo quadro, l’attenzione va focalizzata sulla dimensione valoriale del ruolo del di-rigente la cui autorità e influsso devono fondarsi anzitutto su una concezione adeguata del giusto e del bene. Ciò che è centrale è «la capacità di agire in un modo che è congruente con un sistema mo-rale e rimane tale nel tempo». Il leader morale si può definire come un dirigente che «è in grado di: testimoniare una coerenza piena tra principi e prassi; applicare i principi alle nuove situazioni; creare una mentalità e una terminologia condivise; spiegare e giustificare le decisioni in termini morali; reinterpretare e riaffermare i principi se necessario» (Bush, 2010, 184-185).
Il rinnovamento e il potenziamento del ruolo del dirigente si inserisce in un progetto più ambizioso finalizzato alla diffusione nei Centri della Federazione di una nuova cultura organizzativa ispirata a un modello al tempo stesso formativo, comunitario, al servizio della persona, progettuale, coordinato/integrato, aperto e flessibile. Questo significa che la progettazione degli interventi dovrebbe consentire alla comunità formativa di identificare la domanda so¬ciale di formazione, di fissare gli obiettivi dei propri inter¬venti in relazione alle esigenze del contesto, di elaborare stra¬tegie educative valide in risposta al territorio, di valutare la propria attività in rapporto alle mete che ci si è posti. A loro volta, coordinamento e integrazione vogliono dire essenzialmente sincro¬nizzazione e armonizzazione delle azioni di un gruppo di persone e delle attività di tutte le articolazioni di una organizzazione in vista del raggiungimento di mete condivise; si tratta di favorire la combinazione più efficace degli sforzi dei singoli individui che compongono un gruppo o di più sottogruppi di un'or¬ganizzazione più ampia. L’esigenza dell’apertura al contesto si basa sulla considerazione che i Centri possono conser¬varsi solo sulla base di un flusso continuo di risorse da e per l'ambiente per cui lo scambio con il contesto costituisce il meccanismo fondamentale che consente il funzionamento dell'organizzazione. Nonostante il riferimento a un modello, l’organizzazione deve rimanere fles-sibile nel senso che la realizzazione del modello può essere la più varia mentre tutto dipende dalle particolari condizioni di ogni CFP per cui si può andare da un'attuazione molto ele¬mentare alla più complessa; quello che va assicurato in ogni caso è la presenza in ciascun CFP delle funzioni e non delle figure e, nel contesto territoriale, delle necessarie unità specialistiche di supporto.
Le crisi dell’ultimo decennio, in particolare quella del crollo dell’occupazione e della “de-sertificazione industriale del Sud”, ci hanno convinto di aggiungere altre due dimensioni al modello del CFP polifunzionale. Per effetto della prima problematica, il CFP va considerato anche come centro di formazione professionale per il lavoro. Nel modello polifunzionale va anche prevista la creazione del laboratorio “CFP per il Mezzogiorno”, tenuto conto delle percentuali molto elevate di dispersione scolastica e di disoccupazione giovanile che si riscontrano al Sud e del rischio di sot-tosviluppo permanente che questa parte del Paese corre.
Pertanto un impegno fondamentale è stato ed è quello di migliorare la formazione iniziale e in servizio del personale, in particolare per quanto riguarda gli aspetti salesiani. Sullo sfondo il cri-terio guida è quello di preparare il personale a rispondere in modo sempre più efficace ai bisogni complessi, vari e mutevoli dei destinatari dei nostri CFP. Più immediatamente un progetto di for-mazione in servizio va calibrato sulle esigenze dei formatori considerati non come utenti anonimi, standard, ma come persone concrete con le loro attese specifiche. Essenziale è anche preparare i formatori a lavorare per competenze perché significa favorire la maturazione negli allievi della con-sapevolezza dei propri talenti, di un rapporto positivo con la realtà sostenuto da curiosità e volontà, in grado di riconoscere le criticità e le opportunità che si presentano, in modo che possano essere capaci di assumere responsabilità autonome nella prospettiva del servizio inteso come contributo al bene comune.
In conclusione si può dire che il cuore del nostro discorso è stato il CFP come comunità formatrice la cui finalità prioritaria è l’educazione intesa come sviluppo pieno della personalità dei propri allievi. L’organizzazione del CFP polifunzionale per il lavoro ha senso in quanto opera al servizio di un progetto che è eminentemente formativo, anche se trova nella professionalità la sua caratterizzazione distintiva. Motori principali delle diverse attività sono il formatore come educatore professionale e il dirigente come responsabile di una leadership morale e condivisa per la formazione dei giovani.
5.5. Il processo di insegnamento-apprendimento
Molti degli orientamenti che riguardano questa sezione sono stati anticipati sopra ai nn. 5.3. e 5.4 per cui qui ci limitiamo ad indicazioni conclusive (Malizia et alii, 2016; Malizia - Piccini - Ci-catelli, 2015).
Il nuovo ciclo economico rinvia a una nuova professionalità in cui predomina il lavoro pen-sato, fatta cioè di competenze più avanzate, di co¬noscenze più teoriche, di caratteristiche più spinte di riflessi¬vità, di libertà, di risposta, di adattamento e di controllo. La ricaduta sulla formazione è chiara: si esige una formazione di base più solida che comprenda un bagaglio di cognizioni tecnico-scientifiche più sofisticate, capacità di pensiero astratto più elevate, disponibilità alla formazione ri-corrente, possesso di abilità organizzative, progettuali, e di innovazione, capacità di sapersi relazio-nare con gli altri e di saper affrontare il cam¬biamento, senza farsi travolgere, ma conferendo ad esso un signi¬ficato umano e ponendolo al servizio dello sviluppo individuale e sociale. La nuova do-manda di formazione del sotto¬sistema economico ha portato i Centri salesiani a rafforzare la forma-zione della capacità di adeguarsi e di domi¬nare il ritmo accelerato del cambio tecnologico e scienti-fico.
Il potenziamento del processo di insegnamento-apprendimento dei nostri CFP è stato collo-cato nel quadro dell’innovazione pedagogica degli ultimi anni. Più in particolare questa richiede una maggiore integrazione tra momenti formativi istituzionalizzati e momenti formativi informali in una prospettiva globale di educazione permanente e differenziata. La FP ha adottato le metodologie pro-prie di una pedagogia dei diversi e della differenza.
La FP salesiana si caratterizza per alcune scelte di campo sul piano metodologico che vanno conservate. Anzitutto va ricordata l’attenzione al valore educativo del lavoro senza distinguere troppo tra attività manuale e intellettuale, una opzione importante sia dal punto di vista della moti-vazione dell’allievo sia da quella della preparazione professionale da dare. Un secondo aspetto è l’interesse per il giovane che viene accolto così come è, e di cui si considerano non solo le carenze, ma anche le potenzialità di maturazione. A ciò si aggiunge l’attenzione all’inserimento nel mondo del lavoro che, però, non porta mai a trascurare un orizzonte più ampio di formazione in cui ci sia spazio per attività mirate alla maturazione globale della persona.
Da ultimo, va notato il progressivo allargamento dell’offerta a tutte le categorie di persone che richiedono interventi specifici di formazione professionale senza limitarsi ai giovani. Le caratte-ristiche dell’attuale sviluppo economico, in particolare il ritmo elevato di cambiamento e l’esigenza di livelli più alti di competenze, hanno portato a questo ampliamento dei destinatari che, tuttavia, rientrano sempre in quelle classi popolari che sono oggetto della nostra missione. L’allargamento degli utenti si è accompagnata anche a un ampliamento della gamma dei settori della FP offerta dalla Federazione.
5.6. Federazione CNOS-FAP e imprese
Un capitolo particolarmente nuovo, rispetto ai decenni passati, è relativo al rapporto tra la Federazione CNOS-FAP e il mondo delle imprese.
Per sviluppare questo tema ci serviremo, in modo particolare, di tre strumenti; oo studio effettuato da José Manuel Prellezo sulla storia della formazione professionale salesiana, che ci ha aiutato a ricostruire le origini salesiane del rapporto con le imprese e del «capolavoro» in particolare; la pubblicazione annuale sull’esperienza del Concorso Nazionale dei Capolavori, poi, che è servita per la descrizione della collaborazione con le imprese; sui contenuti della collaborazione con il mondo del lavoro, infine, facciamo riferimento agli Accordi/Intese repereibili sul sito www.cnos-fap.it (Prellezo, 2013; CNOS-FAP, 2010)
In generale ci chiediamo: sul legame tra scuola e lavoro come si è mosso il mondo salesiano che in Italia è promotore e gestore sia di scuole paritarie che di Centri di Formazione Professionale accreditati?
La Federazione CNOS-FAP, per dialogare con le imprese si è dotata, sin dalle sue origini, di Settori e di Aree Professionali le cui finalità sono state l'innovazione dell’offerta formativa. L’Associazione CNOS/Scuola, invece, che ha una storia più breve (è sorta nel 1995), ha promosso l’innovazione attraverso la costituzione di reti con il territorio e in tempi recenti con l’alternanza scuola-lavoro.
Volendo riassumere l’approccio salesiano più recente adottato per dialogare con le imprese, due ci sembrano le modalità scelte, l’una più culturale, l’altra più operativa.
5.6.1. Modalità culturale: manuali per i docenti e i formatori
La prima modalità è consistita nella compilazione di strumenti di lavoro da mettere a disposizione dei docenti e dei formatori contenenti stimoli per riflettere sul complesso rapporto tra mondo formativo e mondo produttivo.
Per brevità facciamo riferimento solo a due strumenti di lavoro recenti:
- Nicoli D. (a cura di), L’intelligenza nelle mani. Educazione al lavoro nella formazione professionale pubblicato presso Rubbettino nel 2014;
- Nicoli D., Il lavoro buono. Un manuale di educazione al lavoro per i giovani pubblicato presso Rubbettino nel 2018.
Con il primo volume ci si è posti il compito di fornire una lettura appropriata in chiave educativa e sociale dell’esperienza della formazione professionale, quale importante componente del sistema educativo italiano, oggi caratterizzata dall’armonizzazione di pedagogia della persona e didattica attiva aperta alla partecipazione delle varie componenti della società civile a cominciare dall’impresa. Il volume contiene numerosi temi: la Formazione Professionale contestualizzata nel più ampio quadro europeo e nei suoi aspetti pedagogici, didattici e organizzativi; il lavoro nella sua valenza formativa; l’orientamento alla scelta. Il volume si conclude con una breve storia della Formazione Professionale in Italia dal dopoguerra agli anni Duemila, storia oggi ancora poco conosciuta dal vasto pubblico.
La seconda oubblicazione, destinata sia agli studenti del secondo ciclo, dell’Università e degli Istituti Tecnici Superiori che a genitori, docenti, educatori e orientatori, è un manuale di educazione al lavoro, centrato su tre assi portanti. Si propone il concetto di lavoro inteso
- come ambito d’azione tramite il quale ciascuno partecipa pienamente, spinto da un’urgenza interiore (vocazione) e in un atteggiamento di servizio, ad un’opera comune, condividendo con gli altri non solo le prestazioni, ma anche i significati del vivere;
- come esperienza che non può essere ridotta alle vicende psicologiche dell’individuo, ma ad un legame sociale entro cui il singolo entra in un gioco di relazioni, di bisogni e di attese che risultano indispensabili per chiarire il proprio io ed il compito cui si è chiamati;
- come legame intenso tra le generazioni nel quale l’adulto-maestro, assieme alle abilità tecniche, trasmette ai giovani un modo di stare nel mondo e ne riceve in cambio, tramite l’entusiasmo di cui essi sono portatori, uno slancio di fiducia e di vivezza.
Con queste opzioni di fondo, il volume contiene una proposta di una “storia del lavoro” nuova per molti aspetti e una “visione di lavoro buono e le sue virtù” visione stimolante per la situazione attuale: si tratta di «una sorta di pellegrinaggio culturale – afferma l’autore - che ci consente di cogliere, in questo passaggio d’epoca, la rilevanza speciale del «lavoro buono» come occasione per contribuire fattivamente allo scuotimento di una società incagliata affinché si possa risvegliare e mettere a frutto le proprie capacità generative». (Nicoli, 2018, p. 9).
5.6.2. Modalità operativa: sinergie con le imprese
La seconda modalità è consistita nello stipulare Accordi o Intese con Imprese a supporto dell’innovazione che il singolo Settore o Area + chiamato a realizzare. La ricerca dell’impresa era dettata, però, non tanto dalla ricerca di avere una qualunque collaborazione quanto dalle necessità che ogni Settore o Area aveva per introdurre innovazioni nel proprio ambito. Questa ricerca mirata ha permesso, nel tempo, di dare vita ad vero e proprio sistema di relazioni che ha fatto crescere sia il singolo Settore o Area che la Federazione nel suo insieme. Naturalmente questo cammino non è stato né lineare né uniforme. Ad oggi, come si vedrà anche nel seguito di queste pagine, non è ancora compiuto per tutti i Settori e le Aree. Tuttavia si sta rivelando un “cammino razionale e virtuoso” che ha guidato e guida ancora oggi il mondo salesiano nel processo di rinnovamento della propria offerta scolastica e formativa.
Va anche precisato che questo sistema di Accordi/Intese – iniziato intorno agli anni duemila ‒ si è sviluppato a livello nazionale, senza mortificare quella rete di rapporti che ogni Centro di Formazione Professionale in particolare ha avuto con il proprio territorio. Con ritmi e velocità diverse, i settori dell’automotive, della meccanica industriale, dell’elettricità, della grafica, dell’energia, dell’alberghiero hanno trovato nelle piccole, medie e grandi imprese l’apporto per sostenere l’innovazione che si rendeva necessaria per migliorare in maniera continua la propria offerta formativa.
Piuttosto che elencare i contenuti dei singoli Accordi/Intese ci sembra più utile individuare quelle che, a nostro giudizio, appaiono le principali forme di collaborazione realizzate o in via di realizzazione.
5.6.2.1. La collaborazione per la formazione dei formatori e dei docenti
Una prima forma di collaborazione con le imprese si è realizzata nella formazione dei formatori e dei docenti. Varie imprese collaborano per la formazione e l’aggiornamento che ogni anno il mondo salesiano organizza per i propri operatori soprattutto nel versante tecnologico e nella cultura d’impresa. Esemplificando, le forme più diffuse sono:
- l’aggiornamento tecnologico;
- la dotazione di manuali aggiornati su temi specifici;
- l’accesso ai cataloghi FAD della formazione aziendale;
- la possibilità di beneficiare di visite tecniche presso le Academy delle imprese;
- in tempi più recenti la possibilità di sviluppare l’Alternanza Scuola – Lavoro (ASL);
- le consulenze per l’aggiornamento dei piani formativi.
5.6.2.. La collaborazione per l’innovazione tecnologica e strumentale
Una seconda forma di collaborazione è andata nella direzione dell’aggiornamento strumentale, l’aggiornamento dei “laboratori” in particolare, convinti che un “laboratorio aggiornato” concorre in maniera decisiva alla qualità dell’offerta formativa.In questo ambito le modalità di collaborazione sono state molto diverse, andando dalle agevolazioni economiche fino alla dotazione di strumenti aggiornati in forma gratuita.
5.6.2.3. L’apporto per l’innovazione strutturale degli edifici
Una azienda in particolare, la Schneider Electric, ha collaborato con il mondo salesiano in un particolare ambito proponendo soluzioni per il risparmio energetico nella gestione degli edifici. È stata socializzata anche una guida operativa: La gestione sostenibile delle case salesiane: una pro-posta di Schneider Electric (2015). La proposta si rivela originale non solo per le soluzioni tecnolo-giche avanzate ma anche per le applicazioni didattiche possibili: un edificio ristrutturato diventa an-che “luogo didattico” per gli allievi.
Schneider Electric, è universalmente noto, è lo specialista globale nella gestione dell’energia, con attività in oltre 100 Paesi in tutto il mondo. Offre soluzioni integrate per diversi segmenti di mercato, occupando una posizione di leadership nei comparti energia e infrastrutture, processi indu-striali, “building automation” e “data center”, industria 4.0, vantando inoltre una vasta presenza nell’ambito delle applicazioni per il residenziale. Di qui la proposta di collaborazione con le opere salesiane per la ricerca di soluzioni energetiche applicate agli edifici a destinazione formativa quali l’involucro degli edifici (pareti esterne, serramenti, coperture, solai, schermature, ecc.), il settore degli impianti (termici, elettrici, trattamento aria, ecc.), la gestione dei flussi energetici (gestione e monitoraggio dei flussi energetici, il sistema di gestione dell’energia SGE, ecc.).
5.6.2.4. Il sostegno al “Nazionale dei Capolavori dei Settori Professionali”
Anche questa collaborazione è caratteristica per il panorama italiano e, per molti aspetti, origi-nale.
Va precisato, in verità, che l’idea del “Concorso dei Capolavori” era presente, pur in modalità diverse, sin dalle origini della Congregazione Salesiana. Già don Bosco, infatti, con una chiara preoccupazione preventiva e con una esplicita finalità pratica “ quella di evitare i gravi pericoli morali presenti nelle officine della città e di dare una risposta concreta «alla gioventù abbandonata e pericolante”, bisognosa di apprendere un mestiere ‒ aprì tra gli anni cinquanta e sessanta dell’Ottocento ben sei laboratori: calzolai (1853), sarti (1853), legatori (1854), falegnami (1856), tipografi (1861), fabbri (1862).
Scrive lo storico salesiano Pietro Stella, riportato da Josè Manuel Prellezo in un suo recente stu-dio:
«Tra l’antico modo di stabilire rapporti di lavoro tra capo d’arte padrone di bottega con gli apprendisti e il nuovo modello della scuola tecnica prevista dalla legge organica sull’istruzione, don Bosco preferì percorrere la sua terza via: quella cioè dei grandi laboratori di sua proprietà, il cui ciclo di produzione, di livello popolare e scolastico, era anche un utile tirocinio per i giovani apprendisti». (Prellezo, 2013, p. 11).
Quest’approccio eminentemente pratico, concepito prevalentemente come preparazione per un’arte o un mestiere manuale mediante concrete e prolungate esercitazioni di laboratorio, è all’origine delle successive Scuole di arti e mestieri, ulteriormente ripensate come “Scuole profes-sionali” che daranno vita ad una visione più organica del lavoro e della formazione culturale e pro-fessionale dei giovani.
In un documento del 1910 si legge: Le scuole professionali devono
«essere palestre di coscienza e di carattere, e scuole fornite di quanto le moderne invenzioni hanno di meglio negli utensili e nei meccanismi, perché ai giovani alunni nulla manchi di quella cultura, di cui vantasi giustamente la moderna industria». (Prellezo, 2013, p. 36).
Le scuole professionali devono:
«formare operai intelligenti, abili e laboriosi». (Prellezo, 2013, p. 37).
Scendendo a indicazioni dettagliate, nel documento si legge anche:
«l’ammettere l’alunno all’apprendimento il dì stesso che entra in labora-torio e l’alternagli l’insegnamento con il lavoro, costituisce quel metodo eminentemente teorico-pratico, che è il più atto ad abituare i giovani all’officina». (Prellezo, 2013, p. 36).
Per stimolare l’attività e favorire l’emulazione degli allievi, infine, si proponevano:
«esami, premi, incoraggiamenti, compartecipazione ai frutti del loro lavoro (la co-siddetta “mancia settimanale”), esposizioni generali e particolari degli oggetti co-struiti dagli allievi durante l’anno scolastico». (Prellezo, 2013, p. 37).
È interessante notare il ricorrente richiamo, sin dalle origini, alle esposizioni dei prodotti realizzati nel periodo formativo. Uno stile, questo, che rifletteva anche il contesto culturale del tem-po, segnato dal progressivo sviluppo industriale che stimolava e caldeggiava iniziative simili a vari livelli quali esposizioni regionali, nazionali, universali.
Un primo elenco di “prodotti” realizzati dai giovani si può leggere nella documentazione elaborata in occasione della 2° Esposizione organizzata nell’estate del 1904 a Valdocco, alla quale parteciparono 58 scuole professionali salesiane, e che era articolata in cinque sezioni: Arti grafiche ed affini, Arti liberali, Mestieri (falegnami, calzolai, sarti e fabbri), Colonie agricole, Didattica.
I documenti salesiani e alcuni giornali dell’epoca parlano di:
- pregevolissimi lavori delle scuole dei falegnami ed ebanisti (Torino – Valdocco, Liegi, Milano, San Benigno, Sampierdarena;
- pregevoli saggi delle scuole di Disegno, di Plastica e di Scultura, con le statue provenienti dalle scuole di Statuaria di Valdocco e di Barcellona – Sarrià;
- artistiche produzioni ceramiche dell’Istituto S. Ambrogio di Milano;
- lavori svariatissimi, semplici ed eleganti di molte scuole di Calzoleria e Sartoria;
- documenti e saggi didattici riguardanti la cultura professionale;
- didattica agraria dell’Istituto S. Benedetto di Parma;
- l’atlante didattico-professionale di Liegi;
- la collezione dei cartelloni del Musée scolaire dell’Émile Deyrolle, destinato alla casa d’Arequipa.
La Federazione CNOS-FAP ha voluto rilanciare, adattandola alla situazione attuale, questa prassi salesiana valorizzando soprattutto la collaborazione con le imprese. Così, il 18 aprile 2008, sono stati convocati a Roma, presso l’Istituto Teresa Gerini, 50 allievi per misurarsi con la realizza-zione di uno specifico “capolavoro”. Provenivano da varie Regioni italiane e frequentavano, presso i Centri di Formazione Professionale (CFP) della Federazione CNOS-FAP, percorsi formativi spe-rimentali di durata triennale nei settori della meccanica industriale, dell’auto, dell’elettricità e dell’elettronica, della grafica. Prendeva così il via il “Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali”.
Ancora oggi l’iniziativa si propone di raggiungere vari obiettivi:
- stimolare gli allievi a misurarsi sulla realizzazione di un «capolavoro», elaborato d’intesa con le imprese del settore, che rispecchia le competenze che deve raggiungere al termine del percorso formativo;
- promuovere il miglioramento continuo del settore e del singolo CFP, soprattutto dal punto di vi-sta tecnologico e della cultura d'impresa;
- approfondire e consolidare il rapporto locale e nazionale con il mondo delle imprese del settore;
- favorire lo scambio di esperienze tra regioni diverse;
- premiare l'eccellenza tra gli allievi.
In questa iniziativa le imprese sono protagoniste
- nel collaborare ad elaborare la prova/capolavoro da sottoporre agli allievi;
- nel valutare il manufatto;
- nel segnalare gli allievi più meritevoli;
- nel collaborare con la federazione CNOS-FAP a sostenere l’iniziativa
Ogni edizione può contare sulla presenza di numerose imprese a partire dai grandi marchi internazionali, segno eloquente della condivisione della proposta. I marchi riportati sotto sono riferiti all’anno 2017:
5.6.2.5 Altre modalità di collaborazione
Meritevoli di attenzione sono anche altre modalità di collaborazione. Ci limitiamo ad elencarne solo alcune che ci sembrano particolarmente significative.
Il CFP del CNOS-FAP come centro accreditato dall’impresa per la formazione continua
Così Heidenhain per la meccanica industriale, Meusburger per lo sviluppo degli stampi, Schneider Electric per il potenziamento della domotica, Schneider Electric e Siemens per l’attuale ambito dell’Industria 4.0.
La promozione di premi e gare
Varie aziende promuovono premi o gare specifiche per i giovani dei CFP e delle scuole salesiane.
A solo titolo esemplificativo ricordiamo, tra le iniziative più recenti:
- il Campionato Fresatori e Tornitori promosso dall’Agenzia per il Lavoro Randstad e Siemens;
- il Micro Automation Project promosso da Schneider Electric,
- la Iunior Welding Cup promosso dall’Istituto Italiano della Saldatura.
La presenza delle imprese nelle Fondazioni di partecipazione
Diverse imprese sono presenti nelle Fondazioni di partecipazione che hanno dato vita agli Istituti Tecnici Superiori (ITS) ove si trova anche il CNOS-FAP. Questa presenza si sta rivelando davvero prestigiosa e strategica.
Sostegno nella partecipazione del CNOS-FAP alle principali fiere
Molte imprese hanno sostenuto il CNOS-FAP al fine di ottenere facilitazioni e/o agevolazioni per la partecipazione alle principali fiere nazionali e internazionali:
- Autopromotec,
- Salone dell'automobile di Francoforte,
- MECSPE, ecc.
5.6.2.6. Focus su tre collaborazioni particolari
Pur considerando “importanti” tutti gli Accordi sottoscritti, alcuni di questi hanno avuto caratte-rizzazioni, pesi e interventi specifici. Riteniamo doveroso offrire un focus su tre collaborazioni par-ticolari.
a Il Contributo di Fiat Group Automobiles Spa (FGA) – oggi Fiat Chrysler Automobiles (FCA)
Il Settore automotive ha iniziato la strategia del “raccordo” con le imprese del Settore dando vita ad un polo, il “Polo formativo tecnologico” nel 2006. Ma il salto di qualità l’ha compiuto con l’Accordo con FGA - Fiat Group Automobiles (oggi FCA) nel 2008 e CNH Industrial nel 2011.
Il progetto, denominato TechPro2, Technical Professional Program, le cui caratteristiche sono de-scritte anche nell’apposito sito http://www.techpro2.com/it, iniziato nel 2008, è attivo ancora oggi ed è diffuso in varie parti del mondo.
Il progetto è stato pensato per offrire una formazione tecnica specializzata ai giovani che hanno terminato la scuola dell’obbligo e che spesso provengono da situazioni disagiate o da quartieri pro-blematici. Il Protocollo di Intesa sottoscritto con FIAT nel 2008 e rinnovato nel 2012, ha contribuito
- ad innovare i CFP del CNOS-FAP attraverso l’allestimento di laboratori attrezzati;
- ad aggiornare i formatori attraverso una formazione mirata;
- a facilitare gli allievi nell’ingresso del mondo del lavoro attraverso l’opportunità dello stage presso la rete di FIAT.
Complessivamente con questo progetto FCA e CNH Industrial hanno allestito oltre 50 laboratori in vari Paesi del Mondo, di cui quasi venti in Italia. Il progetto ha previsto, per ogni laboratorio, la do-tazione di vetture sulle quali esercitarsi, componenti Power Train, attrezzature di diagnosi, attrezza-ture generali e specifiche, PC dedicati, manualistica, formazione formatori generale e specialistica.
«Complessivamente, in otto anni di vita, il progetto TechPro2 ha formato quasi 13 mila giovani con oltre 380 mila ore di lezione e sono stati avviati più di 5 mila stage e tirocini presso le reti assisten-ziali di FCA e CNH Industrial: cosi il Comunicato Stampa del 7 giugno 2016 che riporta dati pre-sentati nel Sustainability Report del Gruppo FCA.
b Domotica e automazione industriale promosso da Schneider Electric
Anche la collaborazione con Schneider Electric ha superato i confini nazionali espandendosi in varie parti del mondo.
Iniziata negli anni duemila in Italia con la collaborazione per la formazione formatori, il rinnova-mento / potenziamento di laboratori negli ambiti della domotica e dell’automazione industriale, la collaborazione per la ristrutturazione di edifici secondo l’ottica del risparmio energetico, l’agevolazione o donazioni di materiale didattico, nel 2017 la collaborazione è divenuta «mondiale». Scheider Electric si è impegnata in quell’anno a finanziare progetti presentati da scuole tecniche e professionali particolarmente bisognose ubicate in varie parti del mondo: «La Fondazione di Scheider Electric finanzia progetti presentati da scuole tecniche e professionali salesiane nel mondo per 2 milioni di euro. Cinque i progetti internazionali scelti fra le scuole tecniche e professionali salesiane, finalizzati ad uno sviluppo umano e sociale sostenibile, così il Comunicato Stampa dell’11 maggio 2017.
c Le tecnologie mobili nella scuola e nella formazione professionale salesiana
È opinione condivisa che le più profonde trasformazioni culturali in ogni ambito, dunque anche in quello pedagogico e didattico, si avverano quando sono precedute da altrettanto profonde trasfor-mazioni tecnologiche, tali da richiedere una riformulazione dei modi consueti di pensare e agire.
Anche l’introduzione delle tecnologie mobili, in particolare del tablet, nella didattica sta richiedendo mutamenti nel modo di concepire il rapporto tra insegnamento e apprendimento. A ben vedere il nuovo dispositivo mal si adatta agli scenari pedagogici consueti ma, non appena utilizzato, richiama una nuova pedagogia, o pad-agogia dell’apprendimento finendo per mettere a dura prova la capacità di cambiamento delle istituzioni che lo adottano: i CFP e le scuole, concepite per l’accoglienza dello studente sedentario, saranno in grado di trasformarsi in funzione del nomadismo dello studente digitale?
Per rispondere a questo ed altri quesiti il CNOS-FAP e il CNOS/Scuola hanno avviato, in anni re-centi, una sperimentazione nelle proprie scuole e nei propri Centri di Formazione Professionale (CFP) per studiare, indagare, verificare e socializzare domande, progetti e buone pratiche relativi all’introduzione dei dispositivi digitali nella didattica.
Essendo l’obiettivo di questa nota raccontare il rapporto del mondo salesiano con le imprese, in questa sede ci limitiamo ad evidenziare con chi il mondo salesiano si è confrontato e a quali risultati è giunto per avviare questa sperimentazione.
La collaborazione si è sviluppata, in modo particolare, con Apple, giungendo ai seguenti ri-sultati:
- Accreditamento di un CFP da parte di Apple
Il 15 febbraio 2016 l’Istituto Salesiano San Marco ha ricevuto il titolo di Apple Distinguished School dopo un discreto periodo di sperimentazione. Il titolo Apple Distinguished School viene ri-conosciuto ai programmi presentati dagli Istituti che si sono contraddistinti per innovazione, leader-ship ed eccellenza nella didattica, e che esprimono l’idea di ambiente di apprendimento esemplare secondo Apple.
- Rapporti scientifici sulla sperimentazione
CNOS-FAP e CNOS/Scuola hanno documentato la sperimentazione triennale curando la stesura di appositi Report e strumenti di lavoro.
La problematica è stata affrontata dal punto di vista educativo, didattico, organizzativo e tecnologi-co.
- Linee Guida per l’apprendimento attivo in presenza di tecnologie
Oltre ai Rapporti è stata elaborata anche un’agile Linea Guida per i docenti e i formatori. È stata immaginata come uno strumento di lavoro che li guida ad un uso «uso intelligente» degli strumenti appartenenti alla famiglia delle tecnologie mobili.
Quanto raccontato è il cammino percorso dal mondo salesiano, un cammino che ha già supe-rato la durata di un decennio. Si tratta di una strada avviata nel passato ma che, con i necessari ag-giustamenti, continua ancora oggi.
La sperimentazione dei percorsi formativi nella modalità duale e l’Alternanza Scuola – La-voro che coinvolge, in modo particolare, le scuole sono le sfide più recenti e l’occasione più propizia per approfondire ulteriormente la collaborazione con le Imprese.
Enti di Formazione Professionale e Istituti di ricerca cominciano a documentare casi di stu-dio esemplari significativi, segno che il rapporto con le imprese sta diventando sempre più intenso. In modo particolare le esperienze più recenti dimostrano come il ruolo formativo dell’impresa di-venga sempre più esplicito.
Affermavamo all’inizio di questa nota che il legame tra scuola e lavoro non è un percorso privo di ostacoli. I pericoli di piegare le finalità di una istituzione scolastica o formativa alle esigenze dell’impresa sono sempre presenti.
Il racconto, però, ha mostrato che il rapporto è riuscito ad andare oltre alle difficoltà. L’impresa si è messa in gioco su tanti fronti. L’alleanza, poi, con una istituzione formativa ha fatto sì che i risultati conseguiti abbiano puntato alla finalità fondamentale che è la formazione globale della persona.
5.7. La dimensione religiosa e pastorale
Per superare la dicotomia o giustapposizione tra la Formazione Professionale e l’educazione cristiana si è cercato di realizzare un processo di evangelizzazione integrato nella vita dei Centri CFP (Van Looy e Malizia, 1998).
Il relativo iter comprende le seguenti articolazioni:
- un ambiente di vita permeato dei valori evangelici;
- una cultura che sia focalizzata sull’integralità della persona, soprattutto che tenga conto della sua dimensione spirituale e religiosa;
- momenti ed esperienze esplicite di evangelizzazione;
- proposta a coloro che lo vogliono di un cammino di educazione alla fede da attuare in comunione con la comunità cristiana.
Gli obiettivi sono identificati nei seguenti:
- trasmettere agli allievi una concezione umanistica ed evangelica della realtà sociale;
- offrire a tutti o a gruppi specifici esperienze spirituali e di apertura a Dio sia nella vita ordinaria sia in momenti significativi dell’attività formativo;
- dare l’opportunità di effettuare esperienze di servizio gratuito e di solidarietà con le persone in situazione di svantaggio;
- proporre la possibilità di un accompagnamento personale da parte di qualche educatore cristiano.
Un aspetto centrale nel potenziamento del processo di evangelizzazione è costituito dal rafforzamento della comunità educativo-pastorale. Infatti, in una prospettiva pastorale non basta il personale preparato, un curricolo adeguato o attrezzature di avanguardia; è anche necessaria una comunità di persone che abbiano coscienza della globalità della proposta pastorale salesiana, che interagiscano in modo sistematico e reciproco sulla base del progetto educativo-pastorale locale, che verifichino continuamente e, di conseguenza, migliorino e innovino i processi educativi e pastorali, che si impegnino ad aprirsi al territorio, in particolare al mondo giovanile, e che realizzino un iter sistematico di formazione permanente.
Se l'educazione viene ad assumere una posizione centrale nella società, è chiaro che il servizio più significativo che possiamo offrire alle nuove generazioni consiste proprio in una formazione solida. Questa non va intesa naturalmente in un senso riduttivo come semplice istruzione o adde-stramento, ma deve fornire a ognuno le capacità per vivere al meglio nella società della conoscenza.
L’eredità di 40 anni di storia e di esperienza pone la Federazione CNOS-FAP in una posizione di vantaggio nel realizzare questo compito. Con il sostegno di Dio, di Maria Ausiliatrice e del nostro Fondatore, come Salesiani ci impegniamo a operare in futuro anche più efficacemente che nei primi 40 anni per offrire a tutti i giovani, specialmente a quelli più emarginati, un orizzonte di senso e di significato, una guida al loro agire e conoscenze e competenze adeguate per la vita e per il lavoro, in modo da aiutarli ad acquisire quella prepa¬razione valoriale, culturale e professionale elevata che consenta loro di inserirsi da protagonisti in un mondo sempre più artico¬lato e complesso.
A supporto di queste istanze religiose e pastorali la Federazione CNOS-FAP ha adottato il modello organizzativo e di gestione adeguato alle normative vigenti (D. Lgs. 8 giugno 2011, n. 231 e successivi provvedimenti) ma ritenuto anche un utile strumento per rafforzare l’azione formativa e preventiva con tutti i soggetti che agiscono in una struttura salesiana. Il Codice etico, in particolare, è di aiuto e di guida per far sì che tutti gli operatori agiscano, dal punto di vista educativo, religioso e pastorale, nella medesima direzione, mettendo in atto quella comunità educativo-pastorale che è alla base di ogni efficace azione educativa (Cnos-Fap, 2008).
L’ultimo strumento di magistero salesiano, a supporto dei CFP della Federazione, in ordine di tempo, è il sussidio elaborato dalla Congregazione Salesiana: La pastorale giovanile salesiana. Quadro di riferimento (2014), un manuale, così lo presenta il curatore Fabio Attard, Consigliere Generale per la Pastorale Giovanile, che deve ispirare ogni comunità educativo-pastorale per far sì che in ogni casa (Scuola, Centro di Formazione Professionale) ci sia una chiara proposta di evan-gelizzazione e di educazione; uno strumento di formazione di tutti coloro – salesiani, educatori ed educatrici – che sono corresponsabili della missione salesiana. (Dicastero per la pastorale giovanile salesiana, p. 9)
5.8. Pubblicazioni e RASSEGNA CNOS
Da sempre la Federazione CNOS-FAP ha documentato e pubblicato studi, ricerche e speri-mentazioni e dal 1984 la Rivista Rassegna CNOS.
In un particolare periodo, quello della sperimentazione dell’anno 2003, è nata una documentazione che riteniamo più organica e sistematica: la collana «Studi, Progetti, Esperienze per una nuova formazione professionale». La collana, oggi, ha raggiunto il lusinghiero numero di circa 200 pub-blicazioni. Ci piace dare qualche cenno sugli inizi della Collana, anni fecondi di studi e di ricerche e successivamente sulle caratteristiche della Rivista.
5.8.1. Studi, progetti, esperienze per una nuova formazione professionale
I testi che hanno ispirato e guidato il monitoraggio della sperimentazione nelle Regioni sono, in particolare: D. NICOLI, Linee guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 1 ed. 2004, 2 ed. 2008; CNOS/FAP e CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati nelle comunità professionali alimentazione, aziendale e amministrativa, commerciale e delle vendite, elettrica ed elettronica, estetica, grafica e multimediale, legno e arredamento, meccanica, sociale e sanitaria, tessile e moda, turistica e alberghiera, (Anni 2003-2004); G. MALIZIA – D. ANTONIETTI – M. TONINI, Le parole chiave della formazione professionale, 2 ed. 2007 .
Studi e forme di ricerca – azione hanno approfondito aspetti del percorso formativo triennale e quadriennale, dell’apprendistato, dei percorsi destrutturati, delle anagrafi formative. Si ricordano, in particolare: D. NICOLI – G. TACCONI, Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Rico-gnizione dello stato dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP, il 1° volume nel 2007 e il 2° volume nel 2008; S. D’AGOSTINO, Apprendistato nei percorsi di diritto-dovere, 2007, G. MALIZIA – V. PIERONI, Percorsi/progetti formativi “destrutturati”. Linee guida per l’inclusione socio-lavorativa di giovani svantaggiati, 2005; A. ALFANO, Un progetto alter-nativo al carcere. I sussidi utilizzati nel Centro polifunzionale diurno di Roma, 2006; G. MALIZIA, Diritto - dovere all’istruzione e alla formazione e anagrafe formativa. Problemi e prospettive, 2007.
Sull’identità del formatore e sulla sua formazione sono stati promossi vari studi. Si ricordano, innanzitutto, gli studi coordinati da M. Pellerey: M. PELLEREY, Processi formativi e dimensione spirituale e morale della persona. Dare senso e prospettiva al proprio impegno nell’apprendere lungo tutto l’arco della vita, 2007 e M. BAY – D. GRZADZIEL – M. PELLEREY, Promuovere la crescita nelle competenze strategiche che hanno le loro radici nelle dimensioni morali e spirituali della persona, 2010. Sono da ricordare, inoltre, le pubblicazioni di G. Tacconi e S. Fontana sulla formazione al sistema preventivo di don Bosco, G. TACCONI, Insieme per un nuovo progetto di formazione, 2003, S. FONTANA – G.TACCONI – M. VISENTIN, Etica e deontologia dell’operatore della FP, 2003; i volumi di G. Ruta che hanno concorso a sistematizzare la formazione all’insegnamento della religione nella FP, G. RUTA (a cura di), Etica della persona e del lavoro, 2004, Vivere, Linee guida per i formatori di Cultura etica e religiosa nei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale, 2007.
Per sostenere gli operatori della FP nella delicata azione di interazione con la famiglia e il mondo del lavoro, la Sede Nazionale ha elaborato alcune ricerche-azioni. Si segnalano: M. BECCIU – A. R. COLASANTI, La corresponsabilità CFP – famiglia: i genitori nei CFP. Esperienza triennale nel CFP CNOS-FAP (2004 – 2006), 2006; G. MALIZIA – V. PIERONI, Accompagna-mento al lavoro degli allievi qualificati nei percorsi triennali del diritto – dovere. Linee guida e raccolta di buone pratiche per svolgere le attività, 2009; G. MALIZIA – V. PIERONI – A. SAN-TOS FERMINO, Individuazione e raccolta di buone prassi mirate all’accoglienza, formazione e integrazione degli immigrati, 2009; oltre a due guide operative per gli operatori curate da F. GHERGO, Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo. Una proposta di percorsi per la creazione d’impresa, 2 ed. 2009a e da E. MARSILII, Dalla ricerca al rapporto di lavoro. Opportu-nità, regole e strategie, 2007.
Aspetti di carattere di filiera e di carattere europeo messi a disposizione degli operatori per la loro formazione sono stati dati attraverso la pubblicazione dei volumi: M. PELLEREY (a cura di), Studio sull’intera filiera formativa professionalizzante alla luce delle strategie di Lisbona a partire dalla formazione superiore non accademica, 2008; M. COLASANTO (a cura di), Il punto sulla formazione professionale in Italia in rapporto agli obiettivi di Lisbona, 2008; G. MALIZIA, Politiche educative di istruzione e formazione. La dimensione internazionale, 2008; D. NICOLI, I sistemi di Istruzione e Formazione professionale (VET) in Europa, 2009.
Non potevano mancare studi sugli aspetti pedagogici ed educativi degli allievi che frequen-tano i percorsi formativi triennali. Ricerche e monitoraggi sono stati documentati in vari volumi. Si ricordano, tra gli altri: G. MALIZIA – M. BECCIU – A. R. COLASANTI – R. MION – V. PIE-RONI, Stili di vita degli allievi/e dei percorsi formativi del diritto-dovere, 2007, G. MALIZIA – V. PIERONI, Follow-up della transizione al lavoro degli allievi/e dei percorsi triennali sperimentali di IeFP, 2008.
Avvalendosi della consulenza del CENSIS la Federazione CNOS-FAP ha indagato con studi e ricerche mirate su specifiche questioni: la scelta dei giovani, la carenza di proposte di for-mazione nelle Regioni del Sud e il rapporto tra Enti di FP e imprese. I risultati sono riportati nei volumi: C. DONATI – L. BELLESI, Giovani e percorsi professionalizzanti: un gap da colmare?, 2007; L. BELLESI – C. DONATI, Ma davvero la formazione professionale non serve? Indagine conoscitiva sul mondo imprenditoriale, 2008; C. DONATI – L. BELLESI, Verso una prospettiva di lungo periodo per il sistema della formazione professionale. Il ruolo della rete formativa, 2009.
Il monitoraggio delle sperimentazioni ha permesso alla Federazione e agli Enti di FP aderenti a CONFAP e a FORMA di essere protagonisti della sperimentazione e di documentarne gli esiti. Si riportano, per evidenziarne la quantità e la vastità, i principali testi:
Emilia Romagna: E. LODINI – I. VANNINI, Istruzione e formazione: il monitoraggio dell’integrazione, 2006; G. SACCHI, Istruzione e formazione: l’integrazione possibile, 2006.
Lazio: G. MALIZIA – V. PIERONI, Le sperimentazioni del diritto-dovere nei CPF del CNOS-FAP e del CIOFS/FP del Lazio, 2007.
Liguria: R. FRANCHINI – CERRI R. (a cura di), Per una istruzione e formazione profes-sionale di eccellenza. Un laboratorio per la riforma del sistema educativo, 2005; D. NICOLI – M. PALUMBO – G. MALIZIA (a cura di), Per una istruzione e formazione professionale di eccellenza. Nuovi percorsi formativi per la riforma del sistema educativo, 2005.
Lombardia: REGIONE LOMBARDIA. ISTRUZIONE E FORMAZIONE PROFESSIO-NALE, Progetto sperimentale triennale: linee guida dell’area professionale alimentare, commercio e vendite, edile e del territorio, elettrica, estetica, grafica e multimediale, meccanica, servizi impresa, 2003.
Piemonte: G. MALIZIA – D. NICOLI – V. PIERONI (a cura di), Una formazione di successo. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali di istruzione e formazione professionale in Piemonte 2002 – 2006, 2006; D. NICOLI – M. COMOGLIO (a cura di), Una formazione efficace. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali di istruzione e formazione professionale in Piemonte 2002 –2006, 2008.
Puglia: C. NALDI – L. CAPUTO, L’esperienza di formazione formatori nel progetto 2003. La riflessività dell’operatore come via per la prevenzione e la cura educativa degli allievi della formazione professionale iniziale, 2008; C. LANESE, Ci sono dei posti vuoti in classe. Analisi della dispersione scolastica e linee di intervento, 2009.
Sardegna: CNOS-FAP SARDEGNA (a cura di), Repertorio dei profili professionali e dei corrispondenti percorsi formativi in Sardegna, 2003; CNOS/FAP (a cura di), Guide metodologiche per l’elaborazione di piani e di percorsi formativi, 2003; CNOS/FAP (a cura di), Il portfolio delle competenze individuali, 2003; CNOS/FAP (a cura di), L’orientamento in Sardegna. Un modello operativo di intervento, 2003.
Sicilia: G. MALIZIA – V. PIERONI, Le sperimentazioni del diritto – dovere nei CFP del CNOS-FAP e del CIOFS/FP della Sicilia, 2007.
Veneto: D. NICOLI – M. LOZZI – C. CATANIA – G. MALIZIA, Studio, ricerca, valuta-zione, monitoraggio delle politiche di formazione e istruzione, 2004; FORMA VENETO, Metodo-logie e strumenti per un nuovo modello regionale di riconoscimento delle qualifiche nel secondario e per un coerente processo di adeguamento delle competenze degli operatori della formazione pro-fessionale, 2004; CNOS/FAP (a cura di), Rapporto dell’esperienza sull’apprendimento per compe-tenze in 22 CFP degli Enti aderenti a Forma della Regione Veneto, 2006 (paper).
5.8.2. Rassegna CNOS, dal 1984 una voce che continua
Dal 1984, anno della sua fondazione ad opera dei Salesiani, Rassegna CNOS affronta, con taglio interdisciplinare, i molteplici aspetti del sistema educativo di Istruzione e Formazione ita-liano, approfondendone, in particolare, gli ambiti ordinamentali, progettuali ed organizzativi inqua-drati nel più ampio orizzonte europeo e internazionale.
La Rivista, a tale scopo, con il contributo dei suoi collaboratori, promuove e diffonde Studi, Ricerche, Progetti ed Esperienze realizzati dalla Federazione CNOS-FAP, ma non solo, ri-flette anche sui principali Rapporti e aggiorna uno specifico Osservatorio sulle politiche formative europee, nazionali e regionali.
La Rivista, da sempre quadrimestrale, è stampata in circa 1.500 copie e viene spedita agli interlocutori istituzionali di livello europeo, nazionale e regionale, ai vari Enti di ricerca, alle Uni-versità, agli Enti di Formazione Professionale e ai rispettivi operatori.
È coordinata da una Condirezione, da un Comitato Scientifico e da un gruppo di Collabo-ratori.
La sua struttura è rimasta, nella intelaiatura generale, stabile: STUDI, ESPERIENZE, VI-TA CNOS.
Oggi, benché più articolata, mantiene ancora una organizzazione vicina a quella originaria: Studi e ricerche, Progetti e esperienze, Osservatorio sulle politiche formative, Schede su Libri e Rapporti. Un allegato, che ha l’intento di offrire soprattutto materiali utilizzabili per la didattica, è “UNA RIVISTA” nella Rivista Rassegna CNOS per il suo spessore di pagine. Completano il nume-ro della Rivista l’Editoriale e alcune rubriche complementari quali: suggerimenti per l’uso didattico del film su temi vicini al mondo giovanile, della Formazione Professionale e del lavoro e indicazioni bibliografiche.
Nei suoi «34 anni di vita», la Rivista è stata sempre fedele alla sua scadenza quadrime-strale. Ci piace ricordare per memoria e per affetto l’Editoriale del primo numero della Rivista, (Anno 1 – numero 0 – ottobre del 1984:
«Il CNOS (Centro Nazionale Opere Salesiane), con la pubblicazione della presente Rassegna intende offrire agli Operatori della formazione professionale, ai Centri di Studio del settore e a quanti, soprattutto a livello regionale, sono delegati dalla Comunità alla promozione e al controllo delle iniziative pubbliche e convenzionate nel campo della F.P., un periodico saggio degli studi e delle ricerche degli esperti e l'esperienza degli operatori dei suoi 41 Centri, impegnati oggi particolarmente nella innovazione e sperimentazione della didattica e delle tecnologie formative.
Modesto contributo dell'Ente alla vasta ricerca di «nuova professionalità», e di conseguente innovazione nel campo formativo: compito che ci appare del tutto primario e che non può non essere assunto globalmente dalla Comunità Nazionale nei confronti di tanti giovani inoccupati come dei lavoratori, oggi duramente provati dall'incertezza dell'occupa-zione.
Con «Rassegna CNOS» l'Ente si pone modestamente in dialogo e confronto con le numerose, dotte ed esperimentate pubblicazioni, fiorite anche nel campo specifico in questo decennio e con le Istituzioni, di cui sono espressione, portando idee ed esperienze, in fedeltà alla Sua originale ispirazione, che non può non rifarsi alla sua memoria storica, a Don Bosco educatore e alla sua creazione geniale e prediletta «la Scuola di Lavoro».
Oggi sono da più parti segnalate le forti carenze della formazione professionale; in particolare si vuol rilevare la separatezza esistente fra ricerca scientifica e tecnologica da una parte e formazione professionale dall'altra, ancor più il mancato coordinamento di quest'ultima con i processi produttivi, soggetti a rapida trasformazione per il cambio di or-ganizzazione del lavoro e per l'introduzione di nuove tecnologie.
Il campo si fa ancor più vasto e di difficile interpretazione quando si tenga conto delle problematiche relative ai nuovi atteggiamenti assunti dall'uomo-lavoratore nei confronti del lavoro stesso e delle domande di «nuova professionalità», più umanizzante e più partecipativa.
Il mondo Salesiano, che fa riferimento al CNOS, mentre avverte la sfida dell'o-dierna società postindustriale alle sue strutture formative, trova allo stesso tempo nella sua storia centenaria tra i giovani lavoratori e nella sua pedagogia umanistica e cristiana validi stimoli e fondamento ad approfondire la sua Proposta formativa per farne strumento di «educazione» a favore dell'«uomo-lavoratore» ed elemento di trasformazione dello stesso mondo produttivo.
Le sottolineature sono nostre. Ci servono per evidenziare come alcune caratteristiche delle origini siano ancora presenti oggi nel suo impianto progettuale:
- il «compito primario» o, possiamo dire oggi, la stretta connessione tra mondo del lavoro e for-mazione professionale:
Modesto contributo dell'Ente alla vasta ricerca di «nuova professionalità», e di conseguente innovazione nel campo formativo;
- lo «stile» mai spigoloso o di rottura ma «preciso e chiaro» nelle proposte:
in dialogo e confronto con le numerose, dotte ed esperimentate pubblicazioni, fio-rite anche nel campo specifico in questo decennio e con le Istituzioni;
- i «riferimenti fondativi passati» per affrontare le «sfide del futuro»:
trova allo stesso tempo nella sua storia centenaria tra i giovani lavoratori e nella sua pedagogia umanistica e cristiana validi stimoli e fondamento ad approfondire la sua Proposta formativa per farne strumento di «educazione» a favore dell'«uomo-lavoratore» ed elemento di trasformazione dello stesso mondo pro-duttivo
6. La Federazione CNOS-FAP nelle Regioni tra numeri e attività
6.1. Abruzzo
6.2. Calabria
6.3. Campania
6.4. Emilia-Romagna
6.5. Friuli-Venezia Giulia
6.6. Lazio
6.7. Liguria
6.8. Lombardia
6.9. Piemonte
6.10. Puglia
6.11. Sardegna
6.12. Sicilia
6.13. Toscana
6.14. Umbria
6.15. Valle d’Aosta
6.16. Veneto
Conclusione
Ci piace concludere questo excursus riportando alcuni passaggi di un discorso autorevole che don Egidio Viganò, VII Successo di don Bosco, offrì ai Delegati della prima Assemblea CNOS-FAP del 1978:
«Mi sembra che il ruolo e l'importanza di questa Federazione è non tanto di natura socio giu-ridica, ma di natura socio-culturale.
È impossibile un dialogo, un confronto culturale nel mondo del lavoro, oggi a livello di ogni singolo Centro di Formazione Professionale, sia che questo operi a Selargius, a Sesto S. Giovanni o a Lecce. Non perché a questo livello ciò non si possa fare, ma risulterebbe condizionato dall'ambito ristretto e locale.
Un più valido confronto si deve fare a livello del mondo del lavoro, che è una realtà molto complessa, organizzata e, purtroppo, troppo politicizzata e con una cultura monopolizzata da ideo-logie che sono spesso anticulturali.
Non per questo dobbiamo abbandonare il campo e lasciare questo mondo culturale: ma dob-biamo far valere la nostra presenza non isolatamente, come formiche che arrivano per caso, ma come un corpo organico.
[…]
D. Bosco era un uomo dalle vedute larghe e sapeva essere all'altezza di trattare con i Ministri del Regno e con il Papa sui problemi che riguardavano la Chiesa e le relazioni tra Chiesa e Stato. Questo tipo di politica, Don Bosco l'ha fatta: una politica a lettere maiuscole, una politica che rico-nosce alla cultura una grande importanza nel processo di crescita di un paese e di una nazione, sotto il profilo civile che noi sappiamo illuminato ed irrobustito dal Vangelo, anche se ciò non potrà essere sempre manifestato apertamente, perché il Vangelo c'illumina su certi valori che sono fondamentali …
La conclusione di questa seconda riflessione è dunque: CAPACRÀ DI SOSTENERE IL CONFRONTO CULTURALE, sommando e facendo convergere tutte le forze disponibili su quali-ficanti progetti e programmi che impegnano la nostra presenza nel conseguimento di questo obietti-vo», (Viganò, 2012, pp 95-96).
La storia della Federazione CNOS-FAP è stato anche questo: attraverso il confronto culturale proporre a tutte le componenti della società, come mondo salesiano, una formazione professionale che sia “educativa” per puntare allo sviluppo integrale della personalità del giovane/adulto, “profes-sionale” per facilitargli il difficile inserimento nella società e nel mondo del lavoro, fondata su basi “etiche e socio-politiche” per dotarlo di una formazione che punti al «buon cristiano e onesto citta-dino», l’ispirazione dell’«umanesimo educativo di don Bosco».
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Indice
Introduzione
1. La nascita del CNOS-FAP e il primo decennio di attività
1.1. Tra due culture dello sviluppo formativo
1.2. La nascita della Federazione Nazionale CNOS-FAP (fine anni ’70) e il suo consolidamento (anni ’80)
2. La Federazione CNOS-FAP durante gli anni ‘90
2.1. Una società inquieta in fase di attesa
2.2. Il CNOS-FAP e il CFP polifunzionale
2.2.1. Un modello formativo e comunitario
2.2.2. Un modello progettuale
2.2.3. Un modello al servizio della persona
2.2.4. Un modello coordinato e integrato
2.2.5. Un modello aperto
2.2.6. Un modello flessibile
2.2.7. Un modello qualificato
3. Agli inizi del terzo millennio: verso un sistema maturo ma disomogeneo di FP
3.1. L’avvento della società della conoscenza
3.1.1. I fattori strutturali
3.1.2. Le dinamiche culturali
3.2. Un decennio di riforme
3.3. Il cammino della Federazione CNOS-FAP
3.3.1. La promozione della Formazione Professionale Iniziale (FPI) nella riforma
3.3.2. L’aggiornamento del CFP polifunzionale
3.3.3. Il potenziamento della formazione dei formatori
3.3.4. La sperimentazione dell’obbligo formativo e del diritto-dovere
4. Gli anni della grande crisi: la resilienza della FP e del CNOS-FAP
4.1. Elementi di scenario e le principali riforme
4.1.1. I nodi problematici della situazione sociale
4.1.1.1. Nove gruppi per analizzare il sistema sociale
4.1.1.2. La situazione economica e sociale nel 2016
4.1.2. La riforma della “Buona Scuola” e i decreti attuativi
4.1.2.1. Il sistema educativo di istruzione e formazione: andamenti quantitativi
4.1.2.2. La riforma della “Buona Scuola” e la IeFP
4.1.2.3. La revisione dei percorsi dell’istruzione professionale e il raccordo con l’IeFP
4.1.3. La riforma del mercato del lavoro e potenziamento della formazione professionale
4.1.3.1. La riforma del mercato del lavoro: il Jobs Act
4.1.3.2. La sperimentazione del sistema duale promossa dal MLPS
4.1.3.3. Il rapporto tra sistema della formazione professionale e politiche attive del lavoro
4.2. Il cammino della Federazione CNOS-FAP
4.2.1. Gli apporti di tre sperimentazioni:
4.2.1.1. La via duale: «Imparare lavorando. In Italia si può»
4.2.1.2. La valutazione della IeFP: il progetto sperimentale VALEFP
4.2.1.3. L’introduzione delle tecnologie mobili nella didattica della IeFP:
a. Sperimentazione nel mondo scolastico salesiano
b. Sperimentazione nel mondo formativo salesiano
4.2.2. La formazione dei formatori
4.2.2.1. La formazione in servizio nel CNOS-FAP: qualità e gradimento
a. la prospettiva di referenti significativi sulla qualità della partecipazione
b. il gradimento delle attività di formazione in servizio del CNOS-FAP
c. punti di forza e di debo9lezza della formazione in servizio del CNOS-FAP
4.2.2.2. Proposte per un potenziamento della formazione in servizio del CNOS-FAP
4.2.3. Il successo formativo degli allievi del CNOS-FAP
4.2.4. La proposta di «Il lavoro buono»
4.2.4.1. L’educazione al lavoro nella Proposta Formativa (1989)
4.2.4.2. L’educazione al lavoro nelle Linee Guida per i percorsi di IeFP (2003)
4.2.4.3. La proposta di «Il lavoro buono. Un manuale di educazione al lavoro per i giovani» (2018)
4.2.5. L’adattamento della IRC alle esigenze della IeFP
4.2.5.1. La scelta della dimensione etico-religiosa nella Proposta Formativa (1989)
a. L’inscindibile legame con una ininterrotta tradizione di formazione professionale salesiana
b. L’impianto metodologico della formazione professionale data dalla legge 845/78
4.2.5.2. La dimensione etico-religiosa nella “Guida di Cultura Generale” per i CFP (1991)
4.2.5.3. Un sussidio organico elaborato con il coordinamento del prof. Giuseppe Ruta (2007)
4.2.5.4. Una nuova proposta coordinata dal prof. Lucillo Maurizio (2014 e anni seguenti)
4.2.5.5. Oggi ancora «Dimensione etico-religiosa» o «Insegnamento della Religione Cattolica?»
4.2.6. L’alleanza con le famiglie
4.2.7. Il Centro di Formazione per il lavoro motore della buona formazione
4.2.7.1. Il CFP come comunità formatrice
4.2.7.2. Il CFP come organizzazione di servizi formativi per il lavoro
4.2.7.3. Il formatore come educatore professionale nella IeFP
4.2.7.4. Una leadership morale e condivisa per la formazione
a. una definizione della leadership
b. le funzioni del dirigente
4.2.7.5. Il CFP come «Impresa formativa (non simulata)»: una nuova sfida
a. il contributo del CNOS-FAP (anno 2015)
b. il contributo di Scuola Centrale Formazione (anno 2018)
4.2.8. Nuove sfide per la Federazione CNOS-FAP
4.2.8.1. Servizi al Lavoro (SAL)
4.2.8.2. La strategia della internazionalizzazione della Federazione CNOS-FAP
5. Il retaggio dei 40 anni
5.1. Una crescita quantitativa tendenziale ma disomogenea
5.1.1. Lo storico dei primi 25 anni (1977-2002): un aumento quantitativo costante
5.1.2. Gli anni della sperimentazione dei percorsi di IeFP (2003 – 2011)
5.1.3. Gli anni della sperimentazione del sistema duale (2012 – 2017)
5.2. L’impegno per una pari dignità della formazione professionale
5.2.1. La formazione professionale nel sistema educativo di Istruzione e Formazione
5.2.2. Dai percorsi di IeFP ad una filiera professionalizzante verticale
5.2.3. L’introduzione della «via italiana al sistema duale»
5.3. I giovani e la formazione integrale
5.3.1. La qualità pedagogica e didattica salesiana
5.3.2. La qualità dei risultati: una proposta di «valutazione»
5.3.3. La qualità dell’organizzazione a sostegno del progetto educativo
5.3.4. La qualità del ciclo di vita del processo formativo
5.4. Il modello organizzativo del CFP polifunzionale
5.5. Il processo di insegnamento-apprendimento
5.6. Federazione CNOS-FAP e imprese
5.6.1. Modalità culturale: manuali per i docenti e i formatori
5.6.2. Modalità operativo: sinergia con le imprese
5.6.2.1. La collaborazione per la formazione dei formatori e dei docenti
5.6.2.2. La collaborazione per l’innovazione tecnologica e strumentale
5.6.2.3. L’apporto per l’innovazione strutturale degli edifici
5.6.2.4. Il sostegno al «Concorso Nazionale dei Capolavori dei Settori Professionali»
5.6.2.5. Altre modalità di collaborazione
5.6.2.6. Focus su tre collaborazioni particolari
a. il contributo di Fiat Chrysler Automobiles (FCA)
b. Domotica e automazione industriale promossa da Schneider Electric
c. Le tecnologie mobili nella scuola e nella formazione professionale salesiana
5.7. La dimensione religiosa e pastorale
5.8. Pubblicazioni e Rassegna CNOS
5.8.1. Studi Progetti Esperienze per una nuova formazione professionale
5.8.2. Rassegna CNOS: dal 1984 una voce che continua ancora oggi
6. La Federazione CNOS-FAP nelle Regioni tra numeri e attività
6.1. Abruzzo
6.2. Calabria
6.3. Campania
6.4. Emilia-Romagna
6.5. Friuli-Venezia Giulia
6.6. Lazio
6.7. Liguria
6.8. Lombardia
6.9. Piemonte
6.10. Puglia
6.11. Sardegna
6.12. Sicilia
6.13. Toscana
6.14. Umbria
6.15. Valle d’Aosta
6.16. Veneto