La Formazione Professionale nel Lazio

Autore: 
Eugenio Gotti - Giulio M. Salerno
Categoria pubblicazione: 
Fuori collana
Anno: 
2023
Numero pagine: 
74
Codice: 

Il servizio dei Salesiani d'Italia a favore dei giovani nella Scuola e nella Formazione Professionale

Autore: 
Pascual Chavez Villanueva
Categoria pubblicazione: 
Fuori collana
Anno: 
2022
Numero pagine: 
82
a favore dei giovani nella Scuola e nella Formazione Professionale IL SERVIZIO DEI SALESIANI D’ITALIA Don Pascual Chávez Villanueva CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 1 27/09/22 16:32 CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 2 27/09/22 16:32 3 Sommario pag. Presentazione ................................................................................... 5 Premessa .......................................................................................... 7 1. Sfidati da una nuova situazione culturale ........................ 9 a. La sfida post-umana ................................................................ 9 1. Le Twin Towers e l’implosione della polis moderna ......... 13 2. L’inganno dei mutui subprime e la crisi del parassitarismo finanziario ................................................................. 16 3. La pandemia da Covid-19 e la sfida biopolitica ................. 21 4. L’infinita finitezza dello human enhancement .................. 28 b. Nervature antropologiche ...................................................... 32 1. Promesse di vita e tentazioni di morte .............................. 32 2. Intensità sostenibili? ......................................................... 34 3. Resistenza senza resilienza? .............................................. 36 4. Cronografia senza kairologia ............................................ 41 2. Chiamati da Dio per una missione nella Scuola e nella FP . 49 a. U na missione ecclesiale… ........................................................ 49 1. Evangelii Gaudium: accendere il fuoco nel cuore del mondo . 49 2. Laudato Si’: proteggere la nostra casa comune ................. 53 3. Christus Vivit: essere stranieri e pellegrini sulla terra ....... 58 4. Fratelli Tutti: andare oltre un mondo di soci .................... 62 b. …secondo il carisma salesiano ................................................. 67 1. Il criterio oratoriano e lo spirito di famiglia ...................... 67 2. Il CG 27: mistici, profeti e servi ........................................ 68 3. Il CG 28: lo spessore sacramentale della presenza e del carisma ............................................................................. 71 4. Papa Francesco e l’Opzione Valdocco ............................... 74 3. Impegnati in una rinnovata azione pastorale .................... 77 1. Umanesimo della religione ............................................... 77 2. Umanesimo della ragione .................................................. 78 3. Umanesimo dell’amorevolezza .......................................... 79 CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 3 27/09/22 16:32 CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 4 27/09/22 16:32 5 Presentazione Una intervista a Papa Francesco del 15 gennaio 2021 aveva, come titolo, “Il mondo che vorrei”. Stimolante non era solo il titolo ma anche le suggestioni che offriva al lettore. Riportiamo solo qualche passaggio: «Per uscire da questa crisi a testa alta e in modo migliore dobbiamo essere realisti. La classe dirigenziale ha il diritto di avere punti di vista diversi e di imporre la propria politica. Ma in questo tempo si deve giocare per l’unità, sempre. In questo momento la classe dirigenziale tutta non ha il diritto dire ‘Io’. Si deve dire ‘Noi’ e cercare un’unita davanti alla crisi. Passata la crisi ognuno ritorni a dire ‘Io’, ma in questo momento, un politico, anche un dirigente, un vescovo, un sacerdote, che non ha la capacità di dire ‘noi’ non è all’altezza. Deve prevalere il ‘Noi’, il bene comune di tutti. L’unità è superiore al conflitto». E ancora: «Da dove ripartire? Io parto da una certezza. La pandemia è stata una crisi durata un anno e che continua ancora oggi. Ma da una crisi non se ne esce mai come prima, o se ne esce migliori o peggiori. Questo è il problema: come fare per uscirne migliori e non peggiori? Cosa ci aspetta in futuro? È una nostra decisione». E dopo aver denunciato la “cultura dello scarto”, che per Papa Francesco sono i bambini senza educazione, gli anziani, gli ammalati, i migranti … concludeva: «In questa cultura dello scarto ci vuole una cultura dell’accoglienza: invece di scartare, accogliere. Non vale la cultura dell’indifferenza. Questa è la strada per salvarci: la vicinanza, la fratellanza, il fare tutto insieme ». “Il mondo che vorrei” è un desiderio universale, ma particolarmente sentito in questo periodo contrassegnato da vari aspetti di una grave crisi: crisi da pandemia, crisi bellica, crisi economica, crisi sul futuro … Emblematici i titoli di alcuni saggi che evidenziamo molto bene questi sentimenti: – Il mondo che sarà. Il futuro dopo il virus, La Repubblica, 2020; – Edgar Morin, Le 15 lezioni del coronavirus. Cambiamo strada, Raffaello Cortina Editore, 2020; – Cassese Sabino, Una volta il futuro era migliore. Lezioni per invertire la rotta, Corriere della Sera – Solferino, 2021. Questo contesto di incertezza e il desiderio di un futuro migliore si vive anche tra coloro che, come formatori o educatori, operano nel campo della scuola e della Formazione Professionale. CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 5 27/09/22 16:32 6 PRESENTAZIONE Anche l’équipe della Sede Nazionale ha giudicato importante contribuire a questo dibattito offrendo un proprio contributo chiedendo a don Pascual Chávez Villanueva, Rettor Maggiore dei Salesiani dal 2002 al 2014, ed ora Rettor Maggiore emerito, di offrire una sua riflessione su questo difficile periodo per motivare i Salesiani di Don Bosco e quanti operano nell’ambito educativo e formativo a guardare con ottimismo al futuro, pur in presenza di tante difficoltà educative. Don Pascual Chávez Villanueva vanta una lunga esperienza di governo ed una vasta conoscenza delle presenze salesiane nel mondo. Anche attraverso i numerosi viaggi ha potuto conoscere ed approfondire i vari contesti giovanili e le popolazioni che direttamente o indirettamente interagiscono con i salesiani nei vari territori del mondo. Il corposo studio dal titolo “Il servizio dei Salesiani d’Italia a favore dei giovani nella Scuola e nella Formazione Professionale” è stato pubblicato, in tre parti, su Rassegna CNOS nei tre numeri dell’anno 2022. L’Autore così presenta il suo contributo: «Riflettere sulla missione salesiana nelle sue implicanze culturali chiede forse di accostare queste due provocazioni – derivanti dal contesto ecclesiale e psicosociale - per ascoltare il mondo nell’attualità del suo travaglio e nei tentativi sovente confusi di elaborarlo, senza rinunciare però alla luce della sapienza evangelica riflessa da chi oggi è alla guida della Chiesa e della Congregazione. Di qui l’ordine di queste note, orientate anzitutto ad interrogare questo tempo – di inizio secolo e di inizio millennio – con i drammi che più profondamente ne stanno decidendo la fisionomia e con l’interesse per gli strumenti elettivi attraverso i quali l’umano ostinatamente cerca oggi di comprendersi e progettarsi. A questo primo ascolto subentrerà poi la considerazione del magistero nella sua voce ecclesiale e nella sua recezione salesiana, per comprendere le sfide di quest’ora della storia nella luce del Vangelo e del carisma di Don Bosco. Solo dopo questo duplice ascolto potrà forse emergere qualche considerazione conclusiva, quasi in forma di sfida, per lo sviluppo della missione salesiana sul fronte soprattutto culturale». In sintesi, l’Autore suggerisce al lettore/educatore tre atteggiamenti: – Lasciarsi sfidare dalla nuova situazione culturale; – Ascoltare il magistero della Chiesa e della Congregazione salesiana per una missione nella Scuola e nella Formazione Professionale; – Impegnarsi in una rinnovata azione pastorale. Vista la qualità e la profondità della riflessione, la Sede Nazionale ha ritenuto opportuno farne una pubblicazione unitaria per darne una maggiore e più efficace diffusione. L’équipe della Sede Nazionale si augura che il sussidio possa sostenere e accompagnare l’azione educativa di quanti operano nel difficile ma stimolante mondo della Scuola e della Formazione Professionale. Sede Nazionale CNOS-FAP Roma 12 settembre 2022 CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 6 27/09/22 16:32 7 Premessa La missione salesiana nella Scuola e nella Formazione Professionale – in questo momento storico e nella specificità del contesto occidentale europeo – se vuole essere carismaticamente coerente non può non misurarsi con due provocazioni forti ed attuali, articolate con linguaggi tra loro omogenei, sebbene emergenti da quadri assiologici di riferimento profondamente distanti. Una provocazione è di matrice ecclesiale e viene dal magistero di Papa Francesco, con la sua esortazione all’audacia della missione, al coraggio dell’incontro con la diversità, alla responsabilità verso la casa comune del creato, all’assunzione del migrare come cifra antropologica e teologale dell’esistere, e non come sua congiuntura sfavorevole ed eccezionale. L’altra provocazione matura nell’attuale contesto psicosociale e di nuovo si anima di un’apologia della differenza, sovente esibita muscolarmente come titolo insindacabile di rispetto, di un’esortazione alla migrazione come emblema di una costituzione antropologica fluida, di una riconciliazione con la natura come condizione di superamento delle lacerazioni tipiche del soggetto moderno. È ovvio constatare come l’omologia dei linguaggi possa favorire l’incontro e la sintonia tra sollecitudine ecclesiale e vita del mondo, ma è innegabile come somiglianza di linguaggio e distanza di significati possa essere anche occasione di equivoco, se non di utilizzo ideologico-mondano di parole e temi che il magistero ecclesiale inquadra con specifica intenzionalità a partire dal Vangelo di Gesù. Riflettere sulla missione salesiana nelle sue implicanze culturali chiede forse di accostare queste due provocazioni per ascoltare il mondo nell’attualità del suo travaglio e nei tentativi sovente confusi di elaborarlo, senza rinunciare però alla luce della sapienza evangelica riflessa da chi oggi è alla guida della Chiesa e della Congregazione. Di qui l’ordine di queste note, orientate anzitutto ad interrogare questo tempo – di inizio secolo e di inizio millennio – con i drammi che più profondamente ne stanno decidendo la fisionomia e con l’interesse per gli strumenti elettivi attraverso i quali l’umano ostinatamente cerca oggi di comprendersi e progettarsi. A questo primo ascolto subentrerà poi la considerazione del magistero nella sua voce ecclesiale e nella sua recezione salesiana, per comprendere le sfide di quest’ora della storia nella luce del Vangelo e del carisma di don Bosco. Solo dopo questo duplice ascolto potrà forse emergere qualche considerazione conclusiva, quasi in forma di sfida, per lo sviluppo della missione salesiana sul fronte soprattutto culturale. CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 7 27/09/22 16:32 CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 8 27/09/22 16:32 1 Sfidati da una nuova situazione culturale A. La sfida post-umana L’autocomprensione che l’umano ha di sé in questo avvio di millennio pare significativamente segnata dall’urgente necessità che l’umanità intera ha avvertito di elaborare – a seguito di tre eventi epocali – tre sfide particolarmente impegnative e di indole rispettivamente civile (il terrorismo fondamentalista, con l’attentato alle Twin Towers del settembre 2001), economica (i dissesti economico-finanziari generati dalla crisi dei mutui subprime del 2006), e sanitaria (l’epidemia da Covid-19 che ancora non è stata superata a livello globale). La potenza di queste sfide, proporzionale agli eventi che le hanno innescate, sta rimodulando l’immaginario collettivo dell’uomo contemporaneo nelle sue coordinate antropologiche, sociali, civili, etiche e religiose, ed è impossibile da sopravvalutare: il progetto politico-culturale della modernità – che con i conflitti mondiali del secolo passato aveva già subito una radicale problematizzazione – mostra di nuovo, in forma inedita, e proprio all’inizio del nuovo millennio, la sua precarietà. Per leggere le dinamiche fondamentali di questo tempo occorre allora sostare sulle torsioni della vicenda moderna che autorevoli interpreti asseriscono ostinatamente alle prese con sé stessa e con le proprie sconfitte tanto nel postmoderno, inaugurato dalle crisi belliche e postbelliche del secolo passato, quanto nel post-umano1, prodotto contemporaneo delle mutazioni imposte al postmoderno dagli eventi critici di inizio millennio. 1 Per l’identificazione del postmoderno rimangono canoniche le indicazioni del noto saggio di J.F. Lyotard, La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere, Feltrinelli, Milano 1981 (l’originale è del 1979); in questo contributo, per la riflessione sul transito dal postmoderno al post-umano, saranno privilegiati gli studi: M. Fimiani - V.G. Kurotschka - E. Pulcini (ed.), Umano, post-umano. Potere, sapere, etica nell’età globale, Editori Riuniti, Roma 2004; P. Barcell ona - T. Garufi, Il furto dell’anima. La narrazione post-umana, Dedalo, Bari 2008; V. Possenti, La rivoluzione biopolitica. La fatale alleanza tra materialismo e tecnica, Lindau, Torino 2013; R. Braidotti, Il postumano. La vita oltre l’individuo, oltre la specie, oltre la morte, DeriveApprodi, Roma 2014; A. Caronia, Dal cyborg al postumano. Biopolitica del cor- 9 CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 9 27/09/22 16:32 10 1. SFIDATI DA UNA NUOVA SITUAZIONE CULTURALE Per comprendere l’affanno del moderno merita una menzione la nota sentenza di Sigmund Freud che – con la scoperta dell’inconscio – ritiene di aver assestato il terzo schiaffo, dopo quelli inferti da Copernico e Darwin, al narcisismo dell’uomo, avendolo costretto a riconoscere di abitare non il centro, bensì la periferia di sé (essendo l’ego un mera modificazione dell’energia dell’inconscio) oltre alla periferia del mondo (vista la darwiniana parificazione casuale della specie umana alle altre specie terrestri) e la periferia dell’universo (dato il superamento copernicano dell’eliocentrismo)2. Nonostante l’opinione di Freud, circa il ridimensionamento delle illusioni dell’ego prodotto dalle rivoluzioni copernicana, darwiniana e psicoanalitica, la promessa del soggetto moderno non manca di ragioni per accreditarsi almeno fino ai conflitti mondiali del XX secolo. Del resto, tra fine Ottocento e inizio Novecento, le fortune dell’applicazione tecnica delle scoperte scientifiche, la seconda rivoluzione industriale, l’arricchimento ingiusto assicurato dalle avventure coloniali, i progressi della medicina, in Occidente plasmano una narrazione – ancora dura a morire – di un umano ostinatamente e illuministicamente impegnato nella propria autoaffermazione. Questa sicurezza antropologica, profondamente coerente con l’ubriacatura della soggettività moderna, ha parte non piccola anche nella cultura della guerra che tanto ha sedotto la prima metà del XX secolo3, innescando una crisi epocale che, per complesse ragioni teoriche e psicosociali ha conosciuto una elaborazione molto modesta4. po artificiale, Meltemi, Milano 2020; L. Grion, Chi ha paura del post-umano? Vademecum dell’uomo 2.0, Mimesis, Milano-Udine 2021. 2 Le affermazioni si possono leggere in un testo di Freud comparso, senza firma e in traduzione ungherese, sulle pagine della rivista Nyugat (Occidente) edita a Budapest (cfr. Eine Schwierigkeit der Psychoanalyse, «Nyugat» 10 [1917/1] 4752). 3 Un autore fondamentale per la comprensione – in prospettiva giuridico-politica – della continuità tra l’ideale illuminista di soggettività/cittadinanza e destino dell’Occidente nella prima metà del XX secolo è Karl Schmitt (1888-1985); le contraddizioni della filosofia politica moderna con il loro portato antropologico ed imbarazzo teologico vengono affrontate dal grande pensatore tedesco che ne amministra faticosamente l’ambiguità, illustrando la coestensività del patto civile con le categorie della decisione autoritativa, dell’ostilità intersoggettiva, dell’efficacia disciplinare, sempre misurate sul piano dell’effettualità storica (cfr. C. Schmitt [G. Miglio - P. Schiera ed.], Le categorie del ‘politico’. Saggi di teoria politica, Il Mulino, Bologna 1972; il volume raccoglie saggi pubblicati dall’Autore tra il 1922 e il 1963). 4 In proposito, il severo monito di Adorno, forse non rubricabile come disfattismo disperato, risuona ancora in tutta la sua durezza: «Auschwitz ha dimostrato inconfutabilmente il fallimento della cultura. Il fatto che potesse succedere in mezzo a tutta la tradizione della filosofia, dell’arte e delle scienze illuministiche dice molto di più che essa, lo spirito, non sia riuscito a raggiungere e modificare gli uomini. In quelle regioni stesse con la loro pretesa enfatica di autarchia, sta di casa la non verità. Tutta la cultura dopo Auschwitz, compresa la critica urgente ad essa, è spazzatura. Poiché essa si è restaurata dopo quel che è successo nel suo paesaggio senza resistenza, è diventata completamente ideologia» (Th.W. Adorno, Dialettica negativa [Reprints Einaudi], Einaudi, Torino 1980, 331). CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 10 27/09/22 16:32 11 1. SFIDATI DA UNA NUOVA SITUAZIONE CULTURALE È molto significativo, infatti, constatare come la catastrofe bellica, mentre produce lo scacco dell’ideale moderno, nel conclamato fallimento della sua polis5, non ne oscura definitivamente la promessa. Così, a dispetto dell’esito eversivo dell’invenzione moderna dello Stato Assoluto – principio degli inferni statolatrici del XX secolo – l’Occidente non ha voluto rivedere radicalmente le opzioni problematiche del suo ideale istituzionale, politico, civile e, in ultima analisi, antropologico e teologico. Dopo le tragedie del primo Novecento, la modernità conosce solo un revisionismo coatto ed equivoco, che, nel secondo Novecento, non incrina la persuasione dell’indole vincente delle intuizioni illuministiche più fortunate: la burocratizzazione giuridicizzata della sicurezza, la sacralizzazione della ragione calcolante, la determinazione soteriologica della tecnica, l’esclusività del diritto al possesso egoistico. Tali protesi, che non vedono minato il loro credito, alla fine del XX secolo cessano soltanto di porsi al servizio di progetti di palingenesi universale, e si consegnano – molto modestamente – agli appetiti egoistici e privati dell’individuo, ormai divenuto post-moderno: I regimi totalitari del XX secolo ci hanno fornito numerosi esempi di quanto fosse pericoloso affidare allo stato il compito di occuparsi della felicità dell’individuo. Tuttavia, la vittoria finale delle democrazie ha avuto un effetto sorprendente: nella misura stessa in cui questo regime politico non pretende di essere un’incarnazione del bene sovrano, le speranze di felicità terrena o di realizzazione dell’individuo non vengono più riposte in una struttura politica, 5 L’utilizzo del termine polis in queste note vuole sottolineare la sottoscrizione di due tesi fondamentali: 1. L’invenzione specifica della modernità è una polis terrena, emancipata dalla trascendenza religiosa e orientata a immanentizzare, in forma storico-politica, l’orizzonte escatologico tipico dell’esistenza individuale e comunitaria della cristianità medioevale. 2. Il termine polis – con il suo riferimento ellenico – è intenzionalmente alternativo al termine civitas – di ascendenza romana e successivamente cristiana. Tanto il progetto della polis è particolaristico, quanto universalistico è quello della civitas; l’esclusività della polis si deve al ghenos (stirpe) quale criterio d’appartenenza, mentre l’inclusività della civitas si deve all’universale apprezzabilità del bene comune, quale fine comunitario accessibile alla ragione umana in quanto tale. La disposizione fondamentale della polis non può che essere il polemos, che ne assicura la difesa dalle poleis nemiche, mentre la concordia-pax è l’assetto cui intrinsecamente si orienta l’apertura della civitas. Se la differenza tra polis e civitas è un marcatore della differenza tra cultura greca e mondo romano, il cristianesimo radicalizza ulteriormente l’apertura universalistica della civitas, in nome della comune origine creaturale e destino escatologico di ogni uomo quale figlio di Dio. La modernità, nella creazione dello Stato, dilata i confini della polis, radicalizzandone però il particolarismo polemico, l’autarchia, l’autoreferenzialità, incubando quel destino di belligeranza che dilanierà l’epoca moderna fino alla metà del XX secolo. Due contributi che, con grande acutezza, chiariscono e utilizzano la differenza tra polis e civitas, mostrandone significative implicanze, si devono a: U. Curi, Alle radici dell’idea di città: la polis e la civitas, in Abitare la città, «Bene comune» (2018/7-8) 8-13 consultabile on-line all’indirizzo: https:// www.benecomune.net; L. Diotall evi, Il cattolicesimo italiano agli inizi del XXI secolo come ‘religione a bassa intensità’. Una trasformazione ancora in corso e non ancora irreversibile, in Una fede per tutti? Forma cristiana e forma secolare, Glossa, Milano 2014, 97-156. CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 11 27/09/22 16:32 12 qualunque essa sia. Proprio per il fatto che ha vinto, la democrazia non accende più gli animi. L’autonomia individuale è uscita corroborata da queste prove e ormai viene richiesto allo stato soltanto di allontanare gli ostacoli alla felicità degli individui, non di assicurarla loro; lo stato non è più portatore di speranza, ma semplicemente fornitore di servizi. Pur non avendo a disposizione un quadro religioso comune e non credendo alla rivoluzione che potrebbe portare la felicità a tutti, gli uomini non rinunciano al desiderio di rendere la propria vita più bella e maggiormente ricca di significato; ma ora seguono vie che hanno scelto individualmente 6. Forse si spiega così la lunga incubazione moderna del soggetto narcisista7, che determina la torsione postmoderna del moderno e contrassegna gli ultimi anni del secolo breve8. Il nuovo millennio però moltiplica dall’esterno i fattori di crisi di una soggettività che il narcisismo condanna ad abitare il perimetro angusto dell’io minimo9, alle prese con la propria intristita residualità10. Così, il dubbio che attanaglia dall’interno esistenze alle prese con un piacere dalla «funzione più terapeutica e anestetica che edonistica»11, trova amplificazione dall’esterno a seguito di vicende planetarie particolarmente destabilizzanti per la violenza civile, i tracolli finanziari o l’impatto di patologie endemiche. Per questo – nella consapevolezza della semplificazione che abita ogni metafora – se i tre schiaffi patiti, secondo Freud, dall’ego moderno concorrono alla fortuna del postmoderno, le destabilizzazioni politico-civile, economico- finanziaria e socio-sanitaria subite dalla postmodernità sono forse i moltiplicatori di una crisi il risultato della quale è ormai comunemente identificato come post-umano. 6 T. Todorov, Lo spirito dell’illuminismo, Garzanti, Milano 2009, 82-83. 7 «In una cultura al tramonto, il narcisismo sembra incarnare – sotto le spoglie della “crescita” personale e della “consapevolezza” – la più alta conquista dell’illuminismo spirituale. I custodi della cultura sperano solo, in fondo, di sopravvivere al suo crollo» (Ch. Lasch, La cultura del narcisismo. L’individuo in fuga dal sociale in un’età di disillusioni collettive, Neri Pozza, Vicenza 2020 [ediz. orig. 1979]). 8 E.J. Hobsbawm, Il secolo breve, 1914-1991, Rizzoli, Milano 2006 (l’originale inglese è del 1994). 9 Icastica identificazione dell’umano che compare nel titolo di un celebre contributo di Lasch (cfr. Ch. Lasch, L’io minimo. La mentalità della sopravvivenza in un’epoca di turbamenti, Feltrinelli, Milano 2004 [ediz. orig. 1984]). 10 Un articolo sintetico di P. Sequeri nel 1998 indicava molto acutamente i fattori interni di crisi della soggettività postmoderna, incalzandone l’astenia – quindi l’impraticabilità esistenziale – a partire proprio dalla contraddizione del suo analfabetismo affettivo, proporzionale all’ossessione per il godimento (cfr. P. Sequeri, La spiritualità nel postmoderno, «Il Regno- Attualità» 43 [1998/18] 637-643). Per molti aspetti consonante con la diagnosi di Sequeri – sebbene estraneo a riferimenti alla teologalità cristiana – il classico: M. Benasayag - G. Schmit, L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, Milano 2009 (ediz. orig. 2003). 11 P. Sequeri, L’umano alla prova. Soggetto, identità, limite, Vita e Pensiero, Milano 2002, 117. 1. SFIDATI DA UNA NUOVA SITUAZIONE CULTURALE CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 12 27/09/22 16:32 13 Di qui, seppur in modo necessariamente sobrio e approssimativo, la necessità di leggere questa stagione di post-umanesimo alla luce degli eventi che ne hanno innescato lo sviluppo, eventi che a loro volta hanno i caratteri di problematizzazioni – fattuali e radicali – del credito accordato nella stagione moderna a strumenti fondamentali di securizzazione antropologica: la polis con la formalizzazione del suo assetto giuridico-istituzionale, l’economia nella sua conversione/consunzione finanziaria, l’esorcizzazione medicalizzata della sofferenza. 1. Le Twin Towers e l’implosione della polis moderna L’evento che, quanto a carattere traumatico, si è intestato un opprimente primato all’alba del nuovo millennio è certamente l’attentato terroristico alle Torri Gemelle dell’11.09.2001. Un ventennale processo metabolico è stato obbligato a misurarsi con le dolorose novità per la convivenza civile inaugurate da quella barbarie e ad elaborarne la portata sconvolgente. Sul tema fanno riflettere le parole di Andrè Glucksmann: Manhattan mette in mostra una Hiroshima bis con un potere di annientamento radicalmente democratizzato. L’arma assoluta non è più saggiamente riposta nei silos che si presume siano controllati da potenti pseudo-controllabili. Anche il nostro vicino di pianerottolo potrebbe ormai rimuginare un’imprevedibile operazione suicida che ci lascerebbe basiti, come quegli studenti di Amburgo dopo aver saputo che uno dei loro compagni si era deliberatamente schiantato contro le Twin Towers. Questa insicurezza planetaria è senza precedenti. A sottolinearne la portata è una breve frase di George Bush, nel famoso discorso sullo Stato dell’Unione in cui egli ha vituperato l’asse del male. Quasi inavvertite dai critici come dai sostenitori, quelle poche parole ammettono ciò che nessun Presidente degli Stati Uniti ha mai osato dire né concepire: “Time is not on our side”, il tempo non lavora per noi. Fino a quel giorno gli americani camminavano nella storia “With God on our side”, come cantava (ironicamente), Bob Dylan. Fine. È finita, come riconosce un Numero Uno, perfettamente impermeabile alle sirene dei sorrisi di contestazione. I bambini nelle scuole potranno anche intonare “God bless America” e il dollaro continuare a far riferimento all’Essere Supremo e ad averne rispetto, ma niente da fare: la Provvidenza divina, tecnologica o finanziaria non garantiscono più, contro tutto e tutti, il cammino dell’America e del pianeta verso la felicità: ogni mattina saremo alla vigilia della fine dei tempi. Un così grande scuotimento delle certezze secolari suscita reazioni di panico e tentativi disperati per tamponare l’angoscia e sfuggire alla realtà 12. 12 A. Glucksmann , Dostoevskij a Manhattan, Liberal Libri, Firenze 2002, 10. Di notevole interesse anche Id., La terza morte di Dio, Liberal, Roma 2004 e Id., Occidente contro Occidente, Lindau, Torino 2004. 1. SFIDATI DA UNA NUOVA SITUAZIONE CULTURALE CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 13 27/09/22 16:32 14 Glucksmann – con argomentazioni molto provocatorie, anche se non ovunque convincenti – illustra l’implosione, con le Torri Gemelle, di un sogno di sicurezza che avrebbe filigranato l’avventura politica occidentale, sogno del quale sarebbe ora evidente l’illusorietà. Per Glucksmann, la storia da sempre ha dovuto familiarizzare, proprio malgrado, con il terrorismo13 e con l’imprevedibilità nichilista; con l’attentato del 2001 si inaugura però l’incomprensibilità di una equazione a cinque incognite: x colpisce y, ma non vi è giustificazione per il fatto che x sia x; ugualmente y è colpito senza ragioni che derivino dalla sua identità; assolutamente imprevedibile è il mezzo terroristico, immotivato il momento, inesistente il movente. Al sogno di una convivenza retta dalla razionalità si oppone il trionfo dell’irrazionalità nichilista, che, una volta prodottasi, istituisce – di nuovo senza ragioni – il principio della propria replicabilità. Significativo però è quanto Glucksmann suggerisce quale antidoto a un’insidia tanto radicale: la definitiva liquidazione della trascendenza, quale cielo della civiltà, data l’indole deresponsabilizzante delle sue garanzie soteriologiche ed escatologiche, che producono una diluizione dello scandalo storico del male14. Al di là delle perplessità suscitate dal ragionamento di Glucksmann, con la sua temeraria contraddizione del principio affermato da Dostoevskij per bocca di Ivan Karamazov – se Dio non esiste tutto è permesso –, l’analisi del pensatore francese è assai utile per l’illustrazione della questione resa inaggirabile dalla barbarie terroristica, con la sua sedicente giustificazione religiosa: vi è una implicazione tra evocazione del nome di Dio e qualità umana della polis? Glucksmann risponde in modo lapidario: liquida come strumentale la motivazione religiosa dei fondamentalisti ma insieme giudica dannoso per la polis il riferimento alla trascendenza, perché inibitorio quanto all’impegno civile nella lotta contro la violenza. Ma non è forse questa una delle cifre più cospicue della modernità? D’obbligo qui è il riferimento a un dramma di Gotthold Ephraim Lessing 13 Emblematicamente Glucksmann riferisce l’impresa di Erostrato, un oscuro greco che nel 356 a.C. incendiò il Tempio di Diana, una delle sette meraviglie del mondo. Pronto a tutto, pronto a morire per superare Alessandro Magno in immortalità (cfr. A. Glucksmann , Il riarmo spirituale, «Una Città» 98 [2001] - traduzione di un’intervista apparsa su Le Figaro). 14 Glucksmann si serve di Dostoevskij per illustrare la sua convinzione: la fede di Alëša Karamazov addolcisce lo scandalo del male, fiduciosamente riferito a una trascendenza salvifica che saprà trarvi del bene; l’incredulità di Ivan invece è un propellente per la ribellione storica, unica speranza – secondo Glucksmann – perché il male sia arginato nella città terrena, l’unica che è di fatto data all’uomo, con la responsabilità di renderla abitabile (cfr. A. Glucksmann , Quando il dio della violenza uccide la fede. Le stragi degli innocenti, dalla Cecenia al Ruanda, alimentano l’incredulità degli europei, «Corriere della Sera» 12.06.2004). 1. SFIDATI DA UNA NUOVA SITUAZIONE CULTURALE CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 14 27/09/22 16:32 15 (1729-1781), Nathan il saggio (1779)15, che forse rappresenta la più piana ed emotivamente persuasiva delle apologie del relativismo irenistico religioso moderno, moralmente, politicamente e civilmente giustificato. Lessing, nella sua opera, circostanzia drammaturgicamente e traduce politicamente le ragioni di un suo celebre convincimento: «Se Dio tenesse chiusa nella sua destra tutta la verità e nella sinistra il solo impulso sempre tendente alla verità, seppur comportasse di errare eternamente, e mi dicesse: scegli! io mi getterei con umiltà alla sua sinistra e direi: Dammi Padre! La verità pura è per te soltanto!»16. Lessing – impressionato dalla divisione della cristianità d’Occidente con la sua lunga scia di conflitti sanguinosi – ritiene sia d’obbligo sacrificare alla sacralità della polis, fondata sull’equanimità morale della sua ratio, la domanda religiosa dell’intelligenza umana, e sancisce così il tramonto dell’ideale antropologico medioevale sostanziato di conoscenza del vero Dio17 e λογικὴ λατρεία18. Il sogno di Lessing però patisce storicamente innumerevoli smentite: la fede religiosa ostinatamente resiste tanto alla risoluzione etica che alla paralisi e relativizzazione cognitiva, e una polis, devota della propria assolutezza e di una ragione universale astuta con i mezzi ma ignorante dei fini, finisce per non avere le risorse per difendersi da se stessa. Se il XX secolo ha fornito una conferma di questa conclusione, con le catastrofi dei totalitarismi nazionalistici e degli imperialismi coloniali, il XXI 15 G.E. Lessing, Nathan il saggio, Garzanti, Milano 2009; il Nathan è una significativa opera drammaturgica di Lessing pubblicata nel 1779. Qui, con singolare potenza espressiva, sono rinvenibili i tratti più significativi della polis vagheggiata dall’Illuminismo. La vicenda narrata si svolge a Gerusalemme, al tempo delle Crociate, e mostra le contraddizioni civili prodotte dalla fede richiesta dalle religioni positive, costitutivamente promotrici di intolleranza e ottusità, e insieme la capacità di una religione razionale del bene di superare le divisioni e di promuovere la comunione e il progresso delle persone. Al centro del dramma è incastonata la parabola dei tre anelli, già narrata nel Decamerone (1350 ca.) di G. Boccaccio, che argomenta narrativamente l’insolubilità del quesito teorico circa la verità dogmatica delle religioni positive e la necessità di una loro esclusiva valutazione morale. Nel dramma lessinghiano sono rinvenibili convinzioni molto vicine a quelle kantiane; anche per il filosofo di Königsberg i dogmi della fede religiosa espongono l’umano al rischio del fanatismo e della superstizione. Solo il rispetto del limite fenomenico imposto alla ragione cognitiva e dell’imperativo morale del dovere per il dovere disinnescano il potenziale divisivo e regressivo delle religioni positive, tollerandone la pratica solo quando conforme ai dettami di una morale universale puramente razionale. 16 G.E. Lessing, Eine Duplik, Braunschweig, 1778, 11. La riproduzione dell’originale tedesco, è accessibile on-line: https://books.google.it/books?id=8XgHAAAAQAAJ&printsec= frontcover&redir_ esc=y#v=onepage&q&f=false 17 Una illuminante presentazione del senso medioevale dei doveri religiosi dell’uomo si può trovare in A. Strumia, Che cos’è una religione? La concezione di Tommaso d’Aquino di fronte alle domande odierne, Cantagalli, Siena 2006. 18 Rom 12,1; l’espressione richiama la centralità del logos nella vita cristiana intesa come incessante impegno di conoscenza e culto del vero Dio. 1. SFIDATI DA UNA NUOVA SITUAZIONE CULTURALE CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 15 27/09/22 16:32 16 secolo ha mostrato come la comprensione assistenzialistica dello Stato, minacciato dall’egoismo privato dei suoi cittadini, replica le precarietà di un progetto incongruente nel suo fondamento e ne amplifica l’affanno, di fronte alla sfida del multiculturalismo, della convivenza plurireligiosa, della nouvelle vague del nichilismo light19. Non è questo il luogo per una considerazione filosofico-politica delle complesse contraddizioni della statualità moderna e postmoderna, ma il portato delle brevi note svolte è evidente: la narrazione moderna e postmoderna sulla convivenza civile, sul carattere pubblico insindacabile della sua razionalità formale contrapposto a quello rigorosamente privato degli investimenti assiologici individuali ha prodotto frutti tossici, e l’esplosione del terrorismo fondamentalista ha costretto le comunità dell’Occidente a prenderne atto. 2. L’inganno dei mutui subprime e la crisi del parassitarismo finanziario Se l’attentato del 2001 alle Twin Towers impone all’Occidente una riflessione sul sogno di sicurezza della polis moderna nelle sue molteplici configurazioni, i limiti e le possibilità assunte in essa dall’economia sono messe in discussione dalla crisi finanziaria degli anni 2006-2008. Che la dimensione economica dell’esistere sia economicamente irriducibile, non è un ossimoro: la riflessione di Karl Marx, proprio malgrado, ha 19 A formalizzare la contraddizione è il noto assioma di Böckenförde: «Lo Stato liberale [freiheitlich] secolarizzato vive di presupposti che non può garantire. Questo è il grande rischio che esso si è assunto per amore della libertà. Da una parte esso può esistere come Stato liberale solo se la libertà, che esso garantisce ai suoi cittadini, si regola dall’interno, cioè a partire dalla sostanza morale del singolo e dall’omogeneità della società. D’altra parte, però, se lo Stato cerca di garantire da sé queste forze regolatrici interne, cioè coi mezzi della coercizione giuridica e del comando autoritativo, esso rinuncia alla propria liberalità e ricade – su un piano secolarizzato – in quella stessa istanza di totalità da cui si era tolto con le guerre civili confessionali. La prescrizione di un’ideologia dello Stato, così come la rianimazione della tradizione aristotelica della polis o la proclamazione di un ‘sistema oggettivo di valori’ cancellano proprio quella separazione su cui si costituisce la libertà dello Stato. Nessun percorso ci può riportare a prima della svolta del 1789 senza distruggere lo Stato, in quanto ordinamento della libertà. Lo Stato può tentare di fronteggiare questo problema facendosi garante della soddisfazione delle attese di vita eudemonistiche dei cittadini e cercando di ottenere da ciò la propria forza portante. Certo, il campo che si apre in questo modo è sconfinato. Perché qui non si tratta più soltanto di condurre una politica previdente, capace di dare una certa forma alla società, assicurando l’esistenza dei cittadini – a questo compito, infatti, non si può rinunciare –, ma del fatto che lo Stato cerchi proprio in ciò il suo ‘per amore di’, il suo fondamento di legittimazione. Lo Stato che non confidi più nelle forze vincolanti interiori, o che ne sia stato privato, viene spinto a elevare a proprio programma la realizzazione dell’utopia sociale. Ma c’è più di una ragione per dubitare del fatto che in questo modo si possa risolvere il problema di principio cui si cerca di ovviare. Su che cosa si appoggerebbe, questo Stato, il giorno in cui andasse in crisi?» (E.-W. Böckenförde [M. Nicoletti ed.], La formazione dello Stato come processo di secolarizzazione, Morcelliana, Brescia 2006, 69-70 [orig. 1967]). 1. SFIDATI DA UNA NUOVA SITUAZIONE CULTURALE CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 16 27/09/22 16:32 17 incontrovertibilmente mostrato come i processi economici siano autentici cantieri antropologico-sociali nei quali l’uomo matura aspetti fondamentali dell’autocomprensione di sé e del senso del suo esistere. Se la riflessione di Marx – con gli errori ideologici del suo materialismo storico – sottopone ad una serrata critica l’economia di sussistenza e le schiavitù della sua versione imposta dalla rivoluzione industriale, e la crisi del 1929 censura l’illusione liberista di una capacità autoregolativa del mercato, i tracolli delle Borse del 2006 hanno materializzato l’insidia dei processi di finanziarizzazione dell’economia e gli esiti della pretesa, dell’ideologia utilitarista, di pensare la polis come un mercato globalizzato. Non è nelle possibilità di queste note affrontare una riflessione tecnica sulla crisi finanziaria del passato decennio20, ma è certamente necessario accostarne il significato in riferimento alla narrazione antropologica della contemporaneità postmoderna e post-umana. Secondo Michael J. Sandel, ciò che i dissesti finanziari hanno reso conclamato è il circuito perverso innescato da un’economia orientata a surrogare l’etica21 e a diventare la vera ed esclusiva koiné della polis globale, tutto in nome dell’utile, considerato l’unico movente dell’agire umano: L’utilitarismo si propone come una scienza dell’etica, fondata sull’idea di misurare, addizionare, calcolare la felicità. Valuta le preferenze senza giudicarle, in quanto le preferenze di ciascuno hanno pari importanza, e da questo spirito di neutralità nasce gran parte della sua attrattiva, mentre il suo impegno a fare della scelta morale una scienza informa di sé gran parte del ragionamento economico dei nostri giorni. Per riuscire a sommare le preferenze, però, è necessario misurarle con una scala di valori unica: è l’idea benthamiana dell’utilità a offrirci questa moneta comune. Ma è possibile che tutti i beni morali siano espressi in un’unica moneta corrente del valore, senza che nel passaggio si perda qualcosa?22 20 In proposito offrono un’indagine tecnica di ampio respiro storico: C.M. Reinhart-K.S. Rogoff, Questa volta è diverso. Otto secoli di follia finanziaria, Il Saggiatore, Milano 2010. 21 Sandel riferisce l’operazione a Jeremy Bentham fortunato propugnatore del credo utilitarista: «Scrive Bentham: “Quando un uomo tenta di combattere contro il principio di utilità, lo fa, senza rendersene conto, in base a ragioni tratte da quello stesso principio”. In tutte le dispute in campo morale, correttamente intese, il dissenso riguarda il modo in cui applicare il principio utilitaristico di accrescere al massimo il piacere e ridurre al minimo il dolore, e non il principio stesso. Il filosofo si interroga: “È possibile per un uomo sollevare la terra? Sì, ma deve prima trovare un’altra terra su cui appoggiarsi”. E a detta di Bentham l’unica terra, l’unica premessa, l’unico punto di partenza su cui fondare l’argomentazione etica, è il principio dell’utilità» (M. Sandel, Giustizia. Il nostro bene comune, Feltrinelli, Milano 20154, 44). L’argomentazione di Sandel poggia sui testi originali di J. Bentham (E. Lecaldano ed.) Introduzione ai principi della morale e della legislazione, UTET, Torino 1998, I.13, 9394. 22 M. Sandel, Giustizia…, 51. 1. SFIDATI DA UNA NUOVA SITUAZIONE CULTURALE CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 17 27/09/22 16:32 18 Le conseguenze più profonde dell’ideologia utilitarista sono state sottovalutate per decenni e questo spiega perché, al momento della deflagrazione delle loro contraddizioni, il mondo si sia trovato impreparato, smarrito e privo di risorse efficaci di contenimento e reazione. Di qui la necessità di una considerazione complessiva delle ragioni per le quali, con ingenua baldanza, la comunità umana ha affidato i propri destini all’idolo del mercato: Gli anni precedenti la crisi finanziaria del 2008 sono stati un momento di esaltazione della fede nei mercati e della deregulation – un’epoca di trionfalismo dei mercati. L’epoca iniziò nei primi anni ottanta, quando Ronald Reagan e Margaret Thatcher sostennero che fossero i mercati, e non i governi, ad avere in mano le chiavi della prosperità e della libertà. Tale credo perdurò negli anni novanta con il pensiero liberal non ostile ai mercati di Bill Clinton e Tony Blair, che ha attenuato e al tempo stesso consolidato la fiducia nei mercati come principale mezzo per conseguire il bene pubblico. Oggi questa fiducia è in dubbio. L’era del trionfalismo dei mercati sta volgendo al termine. La crisi finanziaria non ha solamente instillato il dubbio sulla capacità dei mercati di allocare il rischio in maniera efficiente, ha anche suscitato la diffusa percezione che i mercati si siano allontanati dalla morale e si debba riavvicinarli a essa in qualche modo. Ma che cosa ciò significhi, o come dovremmo muoverci al riguardo, non è ovvio. Alcuni sostengono che la crisi morale alla base del trionfalismo dei mercati sia stata l’avidità, che ha portato a correre rischi in modo irresponsabile. La soluzione secondo questo modo di vedere è tenere a freno l’avidità […]. Si tratta, nel migliore dei casi, di un’ipotesi parziale. Anche se è certamente vero che l’avidità ha giocato un ruolo nella crisi finanziaria, vi è in ballo qualcosa di più grande. Il più grave cambiamento in atto negli ultimi tre decenni non è stato l’aumento dell’avidità. È stato l’espansione dei mercati e dei valori di mercato in sfere della vita a cui essi non appartengono. Per affrontare questa situazione, non basta inveire contro l’avidità; occorre ripensare il ruolo che i mercati possono giocare nella nostra società. Serve un dibattito pubblico su che cosa significhi tenere i mercati al proprio posto. Per affrontare tale dibattito, occorre riflettere a fondo sui limiti morali dei mercati. Occorre chiedersi se esiste qualcosa che il denaro non può comprare23. Per apprezzare la lucidità della diagnosi di Sandel, è forse necessario sondarne le implicanze più regressivamente che prospetticamente, almeno dal punto di vista teorico24: questo significa incalzare la pretesa assiologicamente egemonica del mercato a monte, piuttosto che riflettere, in ragione dei suoi danni, come circoscriverne moralmente il dilagare a valle. 23 M.J. Sandel, Quello che i soldi non possono comprare. I limiti morali del mercato, Feltrinelli, Milano 2013, 14-15. 24 Si vedrà più avanti che questo è quanto – in chiave propositiva – compie il magistero della Chiesa attraverso i pronunciamenti di Papa Francesco. 1. SFIDATI DA UNA NUOVA SITUAZIONE CULTURALE CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 18 27/09/22 16:32 19 Considerato per quanto ha teoricamente alle spalle, l’universalismo utilitaristico sembra amplificare una contraddizione che – a dispetto della grande considerazione nella quale è tenuta la sua riflessione – il pensiero di John Locke (1632-1704) ha formalizzato ormai quattro secoli fa. Locke cerca di giustificare razionalmente: «[...] come gli uomini possano giungere ad avere la proprietà di qualche parte di ciò che Dio ha concesso agli uomini in comune, e ciò senza un contratto espresso fra i membri della comunità », perché ciascuno, alle cose: «[...] che egli trae dallo stato in cui la natura le ha prodotte e lasciate, […] ha congiunto il proprio lavoro, e cioè unito qualcosa che gli è proprio, e con ciò le rende proprietà sua. Poiché son rimosse da lui dallo stato comune in cui la natura le ha poste, esse, mediante il suo lavoro, hanno, connesso con sé, qualcosa che esclude il diritto comune di altri»25. Locke sottovaluta la contraddizione che il suo pensiero giuridico stabilisce tra l’assetto naturale della realtà – nella sua destinazione universale, deducibile dal carattere gratuito e provvidente dell’azione del Creatore – e la sua rideterminazione legale: il diritto di proprietà assicura la possibilità di escludere altri dal godimento di un bene. Il carattere esclusivo della proprietà riflette l’angustia della sua riferibilità all’individuo, già pensato nella sua separatezza – dunque fuori dalla prospettiva comunionale della persona –, alle prese con una libertà proporzionata all’estensione della propria sfera di possesso. All’esclusività del possesso lockeano, orientato a garantire – fuori da ogni relazione – un’insindacabile diritto al godimento, corrisponde quel carattere algido della relazione civile più preoccupata di autoimmunizzarsi dai rischi dell’alterità piuttosto che di scommettere sulla sua ricchezza26. Emblematico, da questo punto di vista, un passaggio di Adam Smith (1723-1790), propugnatore di un liberismo ottimista che forse dovrebbe far pensare: Non è dalla benevolenza del macellaio, o da quella del birraio o del fornaio che noi ci attendiamo il nostro pranzo, ma dal loro interesse personale. Ci rivolgiamo non al loro senso di umanità ma al loro interesse [self-love], e non parliamo mai loro delle nostre necessità ma dei loro vantaggi27. Luigino Bruni commenta così le affermazioni di Smith: La logica di questo passaggio si pone al cuore non solo dell’economia liberale classica, ma rappresenta ancora oggi una chiave di lettura importante per 25 J. Locke (L. Pareyson ed.), Due Trattati sul governo e altri scritti politici, Utet, Torino, 19823, II, V, 25.27, 248-249 (l’originale di Locke è del 1662). 26 Illuminanti le parole sul tema di F. Gentile, Filosofia del diritto. Le lezioni del quarantesimo anno raccolte dagli allievi, CEDAM, Padova 2006, 61-65. 27 A. Smith, The wealth of nations, Oxford University Press, Oxford 1976, 26 (orig. 1776). La citazione è ricavata da L. Bruni, La ferita dell’altro. Economia e relazioni umane, Il Margine, Trento 2007, 40. 1. SFIDATI DA UNA NUOVA SITUAZIONE CULTURALE CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 19 27/09/22 16:32 20 comprendere l’umanesimo che si nasconde dietro la fiducia nell’estensione dei mercati e nella globalizzazione. Smith vuole infatti sottolineare l’indipendenza dalla “benevolenza dei nostri concittadini” come una virtù positiva, associata alla nuova forma di socialità introdotta dall’economia di mercato. Le relazioni di mercato ci permettono di soddisfare i nostri bisogni senza dover dipendere dall’amore degli altri, poiché, dipendendo tutti impersonalmente e anonimamente dalla “mano invisibile” del Mercato (con la M maiuscola), non dipendiamo personalmente da alcuno, non dobbiamo incontrarci in modo personale (e potenzialmente doloroso) con nessuno28. Bruni presenta con chiarezza il nodo fondamentale della questione, il peccato originale della versione di economia liberale che la polis moderna ha plasmato, ritenendola coerente con il proprio paradigma civile: autonomizzare vitalmente e immunizzare giudiricamente gli individui dai rischi della relazione con l’altro. La polis moderna, postmoderna e post-umana si è votata così all’idolo dell’utilità, che ha partorito il cannibalismo finanziario, difendendo la versione mercatista di una libertà garantita dal possesso, e di un possesso garantito dall’esclusività del godimento29. Una simile concezione di economia – già congedatasi dal significare la buona regola della casa, orientata alla promozione del bene delle persone che vi vivono – non può non diventare rapace, e sognare crescenti soddisfazioni della propria rapacità nella volatilità rarefatta della finanza, con il suo infinito potenziale predatorio. Così: [...] l’assegnazione di valore economico è sempre più scivolata dalla remunerazione del lavoro reale alla premiazione della crescita monetaria. La forma di distribuzione più vasta, a copertura di quello scarto indecente, è la produzione del tempo libero di massa (cultura-spettacolo, intitolano i quotidiani la sezione informativa apposita). La crescita occidentale, ormai in difficoltà anche con la fatica del godimento, gode sempre più di se stessa. E si consuma in liquidità. La potenza della trasformazione in idolo della crescita senza lavoro reale e destinazione umanistica, che aspira a controllare tutto e a rimanere fuori controllo per tutti, è visualizzata nell’icona della crescita di Paperon de’ Paperoni, che gode esclusivamente del possesso, nel quale si tuffa come in un bagno rigenerante: il godimento del godimento disponibile. L’accumulo finanziario, come 28 L. Bruni, La ferita dell’altro…, 40. 29 Sequeri in poche battute mostra la verità che sostiene l’ubiquità del codice mercatista e l’ossessione per l’espansione e la crescita economica, veri mantra del dibattito pubblico contemporaneo: «Ecco l’asse di formazione dell’idolo odierno della crescita: la finalità utilitaristica che ne ha raccomandato l’adozione, in ragione di determinati vantaggi sociali, va ora sciogliendosi nell’eccitazione libidica della loro pura disponibilità, esasperata, per pochi, illusoria per i molti. Volontà di potenza pura, per così dire: gode della possibilità del godimento. Una potenza virtuale che si gode da sola. Stupefacente» (P. S equeri, Contro gli idoli postmoderni, Lindau, Torino 2011, 39). 1. SFIDATI DA UNA NUOVA SITUAZIONE CULTURALE CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 20 27/09/22 16:32 21 modello di produzione della ricchezza di godimento virtualmente disponibile, trova il suo omologo nella pura enormità del possesso, che attesta potenza del godimento. Nel nostro piccolo, sembra a tutti noi un modello risolutivo: la rabbia è che ci tagli fuori dall’obiettivo. Sbagliamo a pensare così. Quell’enormità di potenza virtuale del godimento ne produce l’impotenza reale. È già l’effetto di una cultura del parassita perfetto. Perché meravigliarsi del fatto che ormai ne siamo infestati (lo attesta il patetico allarme, sempre più frequente, sul ‘calo del desiderio’)?30 La giustificazione normativa del parassitarismo finanziario, fin nel suo carattere sfacciato, non ha trovato come ostacolo un sussulto morale, ma – con linguaggio freudiano – una sorta di vendetta del rimosso: il dispositivo antropologico personale della fiducia, esorcizzato dalla costruzione economica moderna è – a dispetto delle apparenze – pietra d’angolo del successo della finanza, e la sua evaporazione è la radice della crisi31. La catastrofe, proprio da questo punto di vista, risulta – insuperabilmente – istruttiva: se l’aleatorietà dell’universo finanziario può autonomizzarsi dalla grevità mondana dell’economico e produrre profitto senza realizzare beni, questo gli è comunque consentito esclusivamente dal mediatore spirituale e comunionale della fiducia; senza fiducia è infatti impossibile qualsivoglia forma di credito e nella fiducia, materialmente ingovernabile, riemerge con ostinazione il testimone della vocazione umanistica dell’economia, tradita dalla polis moderna e postmoderna. 3. La pandemia da Covid-19 e la sfida biopolitica Il terzo evento di portata globale, al cospetto del quale la costruzione della polis moderna, e delle sue successive avventure e revisioni, ha mostrato tutte le sue crepe, è la pandemia da Covid-19. Non poteva esservi forse dramma che più di questo fosse in grado di porre l’Occidente di fronte alle sue contraddizioni: senso, possibilità e limiti della scienza, della salute e delle norme che la tutelano, della libertà, della convivenza e mobilità globale, della digitalizzazione delle relazioni, e tutto in uno scenario di squilibri e disuguaglianze portate al parossismo proprio dall’egalitarismo democratico con il quale il virus ha colpito. 30 P. Sequeri, Contro gli idoli postmoderni, 39. 31 Uno studio, cui già si sono riferite queste note, individua due denominatori comuni [tecnici] delle crisi economiche – di differente contesto e matrice – succedutesi nella storia degli ultimi secoli: all’insorgenza di ogni crisi, l’illusione della sua differenza rispetto alle precedenti, che ha sempre indotto a sottovalutarne i prodromi e a non prendere misure proporzionate di contenimento, e la «natura incostante della fiducia», che, venendo a mancare, è sempre stato il detonatore delle crisi medesime (C.M. Reinhart-K.S. Rogoff, Questa volta è diverso…, cfr. in particolare 23-28 e 306-307). 1. SFIDATI DA UNA NUOVA SITUAZIONE CULTURALE CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 21 27/09/22 16:32 22 Sembra condivisibile l’opinione di chi ritiene che in questo terremoto siano state portate in giudizio «cinque rappresentazioni – né buone né cattive, ma ambivalenti – della nostra organizzazione sociale: società del rischio, della connessione, della libertà, della potenza (tecnica), dell’insicurezza»32. Del rischio, Covid-19 avrebbe mostrato l’insopprimibilità, anche in una civiltà fornita di risorse preziose per cautelare la fragilità umana dalle inclemenze della natura; nelle criticità della connessione avrebbe mostrato vacuità e pericolo delle simmetriche apologie di globalismo e localismo, che attraversano il dibattito pubblico; della libertà avrebbe evidenziato l’insostenibilità, in un costume contrario ad ogni forma di disciplina normativa, rubricata pretestuosamente come controllo autoritario; della potenza (tecnica) avrebbe manifestato l’inesorabile cinismo, il coefficiente di sopraffazione sociale implicato nell’apologia immorale del diritto di disporne a qualunque costo e in faccia all’impotenza di chi è meno fortunato; dell’insicurezza, infine, avrebbe smascherato il carattere di indicatore di un rapporto morboso con la morte e delirante con l’immortalità biologica33. Se vorticosa e multifocale è stata la destabilizzazione, operata da un evento per nulla imprevedibile34, di questo colpiscono l’univocità della vittima – la figura moderna di relazione interumana – e l’inappellabilità della sentenza pronunciata sul suo capo: La modernità ha operato per liberare le persone dalle relazioni naturali, sostituendole con relazioni artificiali. Rendendole artificiali, le ha ritenute plasmabili e trasformabili a piacere dagli individui. Le ha considerate come puri prodotti culturali, trattandole come se fossero semplicemente delle proiezioni dell’Io, come frutto di sentimenti ed emozioni soggettive. Ed è qui che trova la sua sconfitta35. 32 C. Giaccardi - M. Magatti, Nella fine è l’inizio. In che mondo vivremo, Il Mulino, Bologna 2020, 15. 33 Sintesi – necessariamente impoverita – delle ricche argomentazioni di C. Giaccardi - M. Magatti, Nella fine è l’inizio…; gli autori dialettizzano questa attenta diagnosi con considerazioni propositive, ove auspicano un tempo di revisione comunitaria, di radicalità proporzionale alla drammaticità della pandemia, perché quelle cinque rappresentazioni dell’organizzazione sociale, in modo condiviso, siano convertite in obiettivi e, rispettivamente, il rischio nella resilienza, la connessione nell’interdipendenza, la libertà nella responsività, la potenza nella cura, l’insicurezza nella pro-tensione. 34 Non va infatti confusa l’imponderabilità degli accidenti della pandemia con l’unanime persuasione del mondo scientifico che un evento di questo genere facesse parte dell’orizzonte temporale prossimo (cfr. C. Giaccardi - M. Magatti, Nella fine è l’inizio…, 25-29). 35 P. Donati, Epifania di relazioni e opportunità di trascendenza, in P. Donati - G. Maspero, Dopo la pandemia. Rigenerare la società con le relazioni, Città Nuova, Roma 2021, 9-70, qui 11. Il testo aggiunge poi un elenco di utili esemplificazioni: «Si potrebbero fare tanti esempi dei modi di giocare con le relazioni a cui la cultura postmoderna è arrivata. Pensiamo a come vengono trattate le relazioni sessuali e di gender, a come si gioca a creare nuove relazioni attraverso strumenti di riproduzione artificiale, l’ingegneria genetica, finanche la maternità surrogata, e ancora pensiamo a come le relazioni vengono trattate in maniera di- 1. SFIDATI DA UNA NUOVA SITUAZIONE CULTURALE CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 22 27/09/22 16:32 23 Va sottolineato pertanto non solo come il fondamento delle convivenze nate dal crogiolo antropologico, politico, e giuridico della modernità sia stato colpito dal virus più dei corpi vulnerabili al contagio, ma pure quanto le armi rivelatesi insostituibili nella battaglia di contenimento e resilienza, combattute per contrastare il morbo, siano state tutte contrassegnate da un duplice carattere: formazioni di senso aliene rispetto alla costruzione moderna e ad essa sopravvissute per la loro vigoria ontologica, a dispetto di quella modernità che, mentre contraddittoriamente le demoliva, parassitariamente se ne nutriva. A partire da questa evidenza è forse condivisibile la formalizzazione di una tesi: Se la modernità ha sinora potuto operare, ciò è stato possibile perché si è basata su relazioni sociali che non si sono del tutto conformate ai valori e ai principi proclamati dalla stessa modernità: per esempio, l’economia ha retto perché, quando è stato necessario, ha potuto perseguire un minimo di bene comune fuori delle regole individualistiche e competitive del mercato; la democrazia politica è rimasta in piedi perché si è basata su alcuni valori e diritti umani importati dalla tradizione (prevalentemente cristiana), che essa però non era in grado di garantire; le relazioni informali nei mondi vitali hanno mantenuto una certa solidità perché sono rimaste ancorate a dei valori a sfondo religioso che tuttavia la modernità non ha legittimato36. Il legame civile, la relazione tra le persone, è dunque il grande tema che la pandemia ancora una volta ha posto sotto i riflettori: il pensiero moderno di questo fondamentale antropologico non solo ha mancato la comprensione, misconoscendone il fondamento, ma ha diffuso illusioni, equivoci e menzogne. Ad ulteriore riprova di questa evidenza si offre all’attenzione di tutti l’attualissima e dolorosa divisione sociale ingenerata, paradossalmente, dalla disponibilità del vaccino, prodotto per contrastare la pandemia. Si è addensata nel web – con pericolosi rigurgiti nelle piazze – una complessa galassia di circoli negazionisti e complottisti, che hanno elaborato una contro-narrazione e presentano la pandemia come una fiction spettacolarizzata, per interessi opachi, da poteri forti, oppure l’ordigno di una nuova guerra ingaggiata a scopo speculativo da multinazionali, case farmaceutiche, superpotenze ed altro ancora. sinvolta sui media e nei social network, per non parlare del vasto mondo dei consumi e delle mode, che sono, appunto, modi di ridefinire le relazioni con gli altri» (P. Donati, Epifania di relazioni…, 11). 36 P. Donati, Epifania di relazioni…, 12. 1. SFIDATI DA UNA NUOVA SITUAZIONE CULTURALE CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 23 27/09/22 16:32 24 Di qui poi si è innescata una coerente battaglia contro il vaccino, presentato – sempre con abbondanza di sedicente documentazione scientifica – come il vero pericolo per la salute di tutti. Infine, sulla scorta di queste premesse, sta conoscendo ampia diffusione il convincimento circa l’illegalità delle prescrizioni sanitarie, per il loro carattere lesivo della sfera delle prerogative individuali quanto alla salute, al diritto di autodeterminazione del singolo, all’inviolabilità della coscienza soggettiva. Se il negazionismo costringe a qualche domanda sulla società del condizionamento e sulla vulnerabilità della mente nella società digitale37, e le simmetriche idolatrie e demonizzazioni del vaccino impongono qualche riflessione socio-epistemologica sulle controverse fortune della scienza nel nostro mondo38, l’intolleranza nei confronti delle prescrizioni sanitarie mostra il de- 37 Due considerazioni tra le molte – ormai consuete – riferibili: «La Rete ci garantisce l’accesso istantaneo a una biblioteca di informazioni senza precedenti per dimensioni e sfera d’azione e ci rende facile fare una selezione all’interno di essa per trovare – se non proprio ciò che stavamo cercando – almeno qualcosa di soddisfacente per i nostri scopi immediati. Quello che la Rete riduce è […] la capacità di conoscere in profondità un argomento direttamente, di costruire nella mente tutte quelle connessioni ricche e soltanto nostre che danno origine all’intelligenza personale» (N. Carr, Internet ci rende stupidi? Come la Rete sta cambiando il nostro cervello, Raffaello Cortina, Milano 2011, 173). «[Il sistema di annunci di Google] è esplicitamente progettato per riuscire a prevedere quali messaggi è più probabile che catturino la nostra attenzione, collocandoli quindi nel nostro campo visivo. Ogni click sul Web segna un’interruzione dell’attenzione, ed è nell’interesse – economico – di Google assicurarsi che noi clicchiamo il più possibile. L’ultima cosa che l’azienda vuole incoraggiare è la lettura fatta con calma o il pensiero lento e concentrato, Google è, in senso piuttosto letterale, nel business =della distrazione» (N. Carr, Internet…, 189). Sul tema sono stimolanti – sebbene forse segnate da qualche ridondanza e semplificazione – le osservazioni di B.C. Han, Psicopolitica. Il neo-liberalismo e le nuove tecniche del potere, Nottetempo, Milano 2016. Per un inquadramento non ad effetto della questione, è prezioso il contributo sul senso complessivo della rivoluzione digitale di L. Floridi, La quarta rivoluzione. Come l’infosfera sta trasformando il mondo, Raffaello Cortina, Milano 2017. 38 Uno scavo molto ardito – in serrato dialogo critico con E. Severino – sul senso ultimo dell’impresa scientifica nella sua destinazione tecnica è offerto da T. Garufi, La fine della metafisica e la dissoluzione dell’umano, in P. Barcell ona - T. Garufi, Il furto dell’anima…, 187-208. Il saggio è squisitamente filosofico, di qui la sua originalità rispetto a – forse più consuete – riflessioni psicosociali sull’infatuazione ambivalente dell’uomo contemporaneo per la scienza e la tecnica. Garufi accetta la sfida di Severino di riflettere sul senso complessivo dell’impresa cognitiva dell’Occidente, nell’orizzonte dell’essere e della decisione d’essere che, plasmando il mondo, forgia l’umano, proprio nel suo essere-incontrovertibilmente-mortale: «Di fronte alla potenza della tecnica, che domina ormai su tutta la Terra, sembra inevitabile fare i conti con l’evento da cui origina la stessa storia dell’uomo, così come l’abbiamo intesa fino ad oggi, quello che [Severino] […] chiama l’“alienazione essenziale” dell’Occidente, la “decisione”, cioè di separarsi dall’eternità immobile dell’essere per abitare la storia e il mondo, spinto dalla volontà di conquistarli» (Ivi, 188). Accostare a questo livello di profondità le sudditanze accecate alla scienza – rinvenibili nelle apologie che la sacralizzano come nelle idiosincrasie che la demonizzano – delle quali la pandemia ha offerto un ampio repertorio, favorirebbe una comprensione più seria della posta in gioco di mobilitazioni dell’animo umano forse irriducibili allo stesso condizionamento digitale e alla combinatoria di umori che esso sa intercettare e amministrare. 1. SFIDATI DA UNA NUOVA SITUAZIONE CULTURALE CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 24 27/09/22 16:32 25 ficit di pensiero fondativo su questioni di importanza capitale quali comunità, bene comune, diritto, dovere, norma39. Molte argomentazioni, diffuse tra i gruppi radicalmente ostili a ogni politica sanitaria, riflettono movenze e persuasioni dell’approccio archeologico di Foucault alle questioni sociali, tipizzato dalla critica genealogica del potere, quale anima di ogni sapere40 e «dinamica instabile di condizionamenti e soggettivazioni »41. 39 «Sia le crisi economiche che quelle sanitarie paiono essere già il risultato di quella perdita di relazionalità che è l’elemento critico della presente trattazione. Per questo non possiamo non ascoltare il messaggio della pandemia, non possiamo fare orecchi da mercante alla domanda che ci pone. Si tenga presente che la psicanalisi ci ha insegnato che di fronte a un trauma difficile da elaborare da soli l’inconscio si difende cercando di assorbirne la memoria mediante il processo di rimozione. Quale altro travestimento potranno assumere gli idoli nella postmodernità, rafforzando la catena del double-bind? Quale altra maschera coprirà il loro vero volto? La coscienza ecologica, che giustamente la pandemia rafforzerà, potrebbe rivolgersi contro l’uomo stesso, come già avviene in alcune forme di ecologismo estremo. La maggior alfabetizzazione informatica porta con sé il rischio di un ulteriore arretramento della comunicazione autenticamente personale, per il ruolo sostitutivo che i nuovi strumenti possono assumere. L’indebolimento del sistema economico potrebbe rilanciare l’utopia di un mondo che elimini la povertà sopprimendo strutturalmente le differenze e, quindi, la possibilità reale di crescita. Ma la “grazia” è che ora la crisi stessa indica la relazione come via di uscita dell’impasse che già caratterizzava il mondo occidentale, segnato dalla crisi del moderno » (G. Maspero, Dal deserto della pandemia alla rigenerazione della società con la matrice trinitaria, in P. Donati - G. Maspero, Dopo la pandemia…, 71-138, qui 135). 40 «Forse bisogna anche rinunciare a tutta una tradizione che lascia immaginare che un sapere può esistere solo là dove sono sospesi i rapporti di potere e che il sapere non può svilupparsi altro che fuori dalle ingiunzioni del potere, dalle sue esigenze e dai suoi interessi, forse bisogna rinunciare a credere che il potere rende pazzi e che la rinuncia al potere è una delle condizioni per diventare saggi. Bisogna piuttosto ammettere che il potere produce sapere (e non semplicemente favorendolo perché lo serve, o applicandolo perché è utile); che potere e sapere si implicano direttamente l’un l’altro; che non esiste relazione di potere senza correlativa costituzione di un campo di sapere, né di sapere che non supponga e non costituisca nello stesso tempo relazioni di potere» (M. Foucault, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Einaudi, Torino 1976, 31). 41 L. Bazzicalupo, Biopolitica. Una mappa concettuale, Carocci, Roma 2010, 41. Più diffusamente così si esprime l’Autrice: «Il potere non funge da trascendentale rispetto ai contesti e alle pratiche da spiegare, ma emerge come dinamica instabile di condizionamenti e di soggettivazioni, nei punti di convergenza dei dispositivi materiali con i loro enunciati veritativi. I discorsi sulla vita (tanto le discipline scientifiche come la biologia, la biologia molecolare, la genetica, oggi la genomica, quanto i saperi tecnici di governo relativi alla vita, come la scienza dell’amministrazione, la statistica, il diritto penale, le sociologie tutte, la medicina e la psichiatria, sia infine le loro cornici metafisiche come l’evoluzionismo, il funzionalismo) non sono in sé né veri né falsi; sono funzionali alle forze che se ne appropriano per lottare, per metabolizzare, per giustificare. Sono gli effetti di questi discorsi che contano, che sono positivi e “visibili” e danno forma agli oggetti classificandoli (malattie, deviazioni, rischi), ai soggetti (popolazione, malati, utenti, delinquenti, consumatori, ma anche funzionari, medici, legali, ingegneri, manager) e alle strutture» (L. Bazzicalupo, Biopolitica…, 41). «I discorsi, come i silenzi d’altronde, non sono sottomessi al potere o rivolti contro di lui una volta per tutte. Bisogna ammettere il gioco complesso e instabile in cui il discorso può essere contemporaneamente strumento ed effetto di potere, ma anche ostacolo, intoppo, punto di resistenza ed inizio di una strategia opposta. Il discorso trasmette e produce potere; lo rafforza, ma lo mina 1. SFIDATI DA UNA NUOVA SITUAZIONE CULTURALE CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 25 27/09/22 16:32 26 Nell’ostinazione di diversi gruppi d’opinione a bollare ogni disciplina e obbligo sanitario come prevaricazione si possono misurare così gli effetti di una vis decostruttiva che nella sua mira anti-ideologica ha insegnato all’Occidente a negare l’argomentabilità metastorica di ogni assiologia e, al tempo stesso, a denunciare – senza l’ausilio di alcun parametro positivo – ogni formazione sociale, giuridica, istituzionale come concrezione violenta di potere42. L’operazione non può essere sottovalutata nelle sue implicanze: una critica agita fuori dalla luce di un parametro positivo, che permetta di discernere luci e ombre di un assetto sociale, politico, familiare, non sa che perpetuare sé stessa, divenendo demolitrice fino al nichilismo43. Se quanto illustrato ha qualche plausibilità, la pandemia sarebbe istruttiva per le reazioni sociali suscitate dalle politiche che ne hanno tentato il contenimento: tanto il moderno ha costruito una società su fondamenti problematici e ne ha giustificato ideologicamente la promessa, altrettanto postmodernità e post-umanesimo condividono il disagio nei confronti di ogni forma di ordine comunitario e cercano legittimazioni alla loro insofferenza attraverso metoanche, l’espone, lo rende fragile e permette di opporgli ostacoli. Allo stesso modo il silenzio e il segreto proteggono il potere, danno radici ai suoi divieti; ma allontanano anche le sue prese ed organizzano tolleranze più o meno oscure» (M. Foucault, Volontà di sapere, Feltrinelli, Milano 1999, 90). 42 Emblematiche le espressioni con le quali Foucault, presentando il senso complessivo del suo lavoro, introduce un corso del 1976 al Collége de France: «Da dieci o quindici anni quello che emerge è l’immensa e proliferante criticabilità delle cose, delle istituzioni, delle pratiche, dei discorsi; una specie di friabilità generale dei suoli, anche e forse soprattutto di quelli più familiari, più solidi e più vicini a noi, al nostro corpo, ai nostri gesti quotidiani. Ma insieme a questa friabilità e a questa stupefacente efficacia delle critiche discontinue, particolari e locali, si scopre anche, in realtà qualcosa che forse non era previsto all’inizio e che si potrebbe chiamare l’effetto inibitore proprio delle teorie totalitarie, o in ogni caso delle teorie avvolgenti e globali» (M. Foucault, Bisogna difendere la società. Corso al Collége de France [1975-1976], Feltrinelli, Milano 2020, 15). Foucault intende radicalizzare la critica: dopo aver reso friabili – rivelandone l’intento repressivo – istituzioni, pratiche e discorsi attinenti alla salute mentale, alla sessualità, ai legami familiari, alla cura, vuole vincere la resistenza delle costruzioni teoriche che nei secoli hanno giustificato l’esercizio dell’autorità per il bene della società, rivelando, di quelle come di questa, il carattere violento e repressivo. 43 «Foucault ritiene di dover operare un passaggio che trasforma “la critica esercitata nella forma della limitazione necessaria in una critica praticata nella forma del superamento del possibile”. I vari stadi della sua ricerca coinciderebbero, da questo punto di vista, con i due aspetti fondamentali di un simile passaggio: elaborazione di un metodo “archeologico” e “non trascendentale”, perché il problema non sarà di cogliere “le strutture universali di ogni conoscenza o di ogni azione morale possibile”, ma analizzare come “eventi storici” i discorsi che veicolano concretamente quel che pensiamo, diciamo e facciamo; quindi definizione di un’attitudine “genealogica”, perché la critica non cercherà di dedurre dalla forma di ciò che siamo “quello che ci è possibile fare o conoscere”, ma vorrà cogliere invece, “nella contingenza che ci ha fatto essere quello che siamo, la possibilità di non essere più, di non fare o di non pensare più quello che siamo, facciamo o pensiamo”» (S. Catucci, Introduzione a Foucault [Maestri del Novecento Laterza 22], Laterza, Bari-Roma 20193, 5-6). 1. SFIDATI DA UNA NUOVA SITUAZIONE CULTURALE CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 26 27/09/22 16:32 27 diche teoriche di critica sociale sempre più imbarazzanti e ispirate a costrutti evidentemente unilaterali. Può essere di qualche utilità riferire un passaggio di Foucault nel quale viene spiegata l’ossessione della società per la sorveglianza e la punizione, dovuta alla sua omologia con la prigione, che dello spazio sociale sarebbe una mera riproduzione intensiva: Come potrebbe la prigione non essere immediatamente accettata, quando, rinchiudendo, raddrizzando, rendendo docili, non fa che riprodurre, salvo accentuarli un po’, tutti i meccanismi che si trovano nel corpo sociale? La prigione: una caserma un po’ stretta, una scuola senza indulgenza, una fabbrica buia, ma, al limite, niente di qualitativamente differente44. A partire da questa identificazione – giustificata dallo scavo archeologico – della società con la prigione, le pratiche sociali vengono da Foucault ridotte a ingranaggi di trasmissione del potere repressivo alle prese con la conferma di sé stesso: Prigione e polizia formano un dispositivo gemellato: in coppia assicurano in tutto il campo degli illegalismi la differenziazione, l’isolamento e l’utilizzazione di una delinquenza. Negli illegalismi, il sistema polizia-prigione ritaglia una delinquenza maneggevole. Questa, con la sua specificità, è un effetto del sistema, ma ne diviene anche un ingranaggio e uno strumento. In modo che bisognerebbe parlare di un insieme di cui i tre termini (polizia-prigione-delinquenza) si appoggiano gli uni sugli altri e formano un circuito che non si è mai interrotto, la sorveglianza di polizia fornisce alla prigione soggetti che hanno commesso una infrazione, questa li trasforma in delinquenti, bersagli e ausiliari dei controlli di polizia che rinviano regolarmente alcuni di loro in prigione45. Ancora Foucault, più regressivamente, arriva a mostrare la matrice della violenza del potere – istituzionalizzata dalla legalizzazione della sorveglianza e della normalizzazione – nella verità sanguinaria di ogni prossimità interumana: La guerra non è mai scongiurata perché, innanzitutto, ha presieduto alla nascita degli Stati: il diritto, la pace e le leggi sono nati nel sangue e nel fango delle battaglie. E si tratta di battaglie e rivalità che non erano affatto – come immaginavano filosofi e giuristi – battaglie e rivalità ideali. Non si tratta, insomma, di una sorta di selvatichezza teorica. La legge non nasce dalla natura, presso le sorgenti a cui si recano i primi pastori. La legge nasce da battaglie reali: dalle vittorie, dai massacri, dalle conquiste che hanno le loro date e i loro orrifici eroi; la legge nasce dalle città incendiate, dalle terre devastate; la legge nasce 44 M. Foucault, Sorvegliare e punire…, 253. 45 M. Foucault, Sorvegliare e punire…, 311. 1. SFIDATI DA UNA NUOVA SITUAZIONE CULTURALE CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 27 27/09/22 16:32 28 con quei celebri innocenti che agonizzano nell’alba che sorge. Tutto ciò non significa, tuttavia, che la società, la legge e lo Stato siano una sorta di armistizio in queste guerre, o la sanzione definitiva delle vittorie. La legge non è pacificazione, poiché dietro la legge la guerra continua a infuriare all’interno di tutti i meccanismi di potere, anche dei più regolari. È la guerra a costituire il motore delle istituzioni e dell’ordine: la pace, fine nei suoi meccanismi più infimi, fa sordamente la guerra. In altri termini, dietro la pace occorre saper vedere la guerra: la guerra è la cifra stessa della pace. Siamo dunque in guerra gli uni contro gli altri; un fronte di battaglia attraversa tutta la società, continuamente e permanentemente, ponendo ciascuno di noi in un campo o nell’altro. Non esiste un soggetto neutrale. Siamo necessariamente l’avversario di qualcuno46. Dopo queste considerazioni risulta chiaro come l’evento pandemico, con le polarizzazioni civili e sociali che ha innescato, stia ricordando all’Occidente non solo la problematicità della figura di relazione promossa nella sua polis – già terremotata dalle violenze fondamentaliste e dai tracolli finanziari – ma anche la disperazione della sua intelligenza, incapace di discernere luci e ombre delle proprie invenzioni comunitarie e istituzionali. L’approccio genealogico e la cultura del sospetto sovrappongono brutalmente la polis storica e la narrazione moderna che ne ha incoraggiato l’edificazione, invocando la decostruzione di entrambe; l’impresa però vorrebbe compiersi nella persuasione che ogni realtà come ogni discorso si risolvano inscindibilmente in una concrezione di potere e di menzogne della quale diffidare in regime di radicale scetticismo. In ultima analisi, forse più di ogni altro evento epocale, le politiche sanitarie rese necessarie dalla pandemia hanno suscitato reazioni che inchiodano l’Occidente alla responsabilità delle sue contraddizioni: la disaffezione per la polis moderna che convive con l’affezione egoistica per il benessere da essa assicurato; l’approccio decostruttivo a ogni formazione sociale, istituzionale e culturale, promosso da una ragione diffidente di ogni possibilità di conoscenza; la sacralizzazione scientista di persuasioni irrazionali e la demonizzazione nichilistica di ogni approssimazione alla verità ultima delle cose. 4. L’infinita finitezza dello human enhancement Il quadro presentato offre forse qualche giustificazione alla parte introduttiva di queste note: se l’ideale moderno non è transitato indenne attraverso rivoluzioni epocali che lo hanno coinvolto – cui Freud allude nei termini di schiaffi – la rimodulazione postmoderna dell’illuminista moderna dell’ego non ha ripensato la polis moderna e i suoi abitanti, piuttosto ne ha miniaturizzato le aspirazioni. Così, con crescenti regressioni, la soggettività ha can- 46 M. Foucault, Bisogna difendere la società…, 49. 1. SFIDATI DA UNA NUOVA SITUAZIONE CULTURALE CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 28 27/09/22 16:32 29 cellato ogni riferimento alla trascendenza: quella oltremondana prima, ma anche quella mondana poi – con l’indifferenza rispetto ad ogni ideale cosmopolita e di progresso terreno non particolaristico –, e, infine, quella soggettivo- progettuale, azzerata dalle lusinghe del godimento47. Di qui un’evidenza: le tre crisi generate dal terrorismo, dalla tempesta finanziaria e dalla pandemia si sono abbattute su un io minimo, già impaurito e povero di risorse spirituali e di mezzi teorici essenziali a comprendere la propria angustia. Formato a pensare la comunità come organizzazione egoistica, violenta e predatoria, l’umano si è adattato a viversi come brama residuale, che subordina ogni interesse all’esclusività del proprio benessere, pur costatandone crescentemente la precarietà48. 47 Fanno molto riflettere le considerazioni informate e spietate di una psicanalista francese, che documenta – con codice freudiano – la censura contemporanea di ogni ideale di trascendimento dell’ego, operato da una sacralizzazione collettiva dell’Es, protesi proteiforme del principio di piacere: «Non tolleriamo più quel fondo di assenza su cui le generazioni precedenti svolgevano la loro vita. Nella nostra cultura non c’è più posto per la parte mancante. Non c’è più niente che la indichi, che ne segnali la potenziale fecondità. Le nostre vite sono organizzate in modo che l’insoddisfazione sia ridotta al massimo, che la frustrazione sia provata il meno possibile. L’idea di rinuncia sembra appartenere a un’altra età. Quella di abnegazione è appena pensabile e viene intesa come una negazione mortifera, una condanna a morte di se stessi. La soluzione proposta dalla società dei consumi è dare pienezza per colmare la mancanza, invece di sostenerla affinché porti più lontano, affinché costituisca un appello a essere. Nessun taglio, nessuna breccia. Bisogna che il buco sia tappato, che la bocca sia piena e il ventre sazio. Dove c’era l’Es, che resti l’Es… è la legge del mercato» (Ch. Ternynck, L’uomo di sabbia. Individualismo e perdita di sé, Vita e Pensiero, Milano 2012, 81). La celebre espressione freudiana wo Es war, soll Ich werden riflette – senza risolvere le numerose ambivalenze del quadro di riferimento psicoanalitico – l’autocomprensione del suo approccio terapeutico come mezzo di superamento progressivo delle nevrosi del paziente in favore di sue rinnovate possibilità di autotrascendimento e di rapporto competente con la realtà (cfr. S. Freud [R. Finelli - Vinci P. ed.], L’ Io e l’Es. Inibizione, sintomo e angoscia, Newton Compton, Torino 1980). 48 Meritano una citazione le espressioni iperboliche di Sequeri sul tema: «Narciso rispecchia se stesso, ed è interamente preso dalla ricerca di sé. Persino amare altri ed essere amato da altri lo disturba, nel momento in cui questo amore minaccia di distrarlo dal vero godimento, che è la gratificazione della propria immagine di perfetta seduzione. Narciso si sottrae alla destinazione del pensiero generativo, così come si sottrae al sacrificio del lavoro creativo. Non c’è confronto moderno con la legge del padre, c’è regressione postmoderna al grembo della madre. Prometeo è ribelle nei confronti dei divini, ma almeno accetta di sacrificarsi in favore degli umani. Narciso è indifferente ai divini e agli umani. Rivolgendola ossessivamente su di sé, Narciso conduce inesorabilmente l’affezione verso l’anaffettività, l’estetica verso l’anestesia. Narciso non lavora, non rischia, non pensa: è uomo/donna di immagine, non di parola. Non è neppure l’erede postmoderno di Dioniso, che ha slanci di passioni forti. Narciso non fa neppure la fatica del godimento, non ne sopporta il dispendio. Non è “bello e dannato”, come nell’immaginario adolescente dell’eroe, dal quale inevitabilmente transita l’iniziazione alla bellezza drammatica dell’esistenza. Narciso è bello e basta. Il suo ideale è quello di essere se stesso: curare minuziosamente la sua immagine e proteggerla ossessivamente da ogni legame. E proprio su questo cade, ingloriosamente. Un eccesso di delirio per il congiungimento con la sua immagine, un attimo di distrazione: Narciso affoga senza un gemito. Galleggiano i suoi stracci griffati. La natura misericordiosa pianta un fiore. È tutto. Nemmeno chi lo ha perdu- 1. SFIDATI DA UNA NUOVA SITUAZIONE CULTURALE CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 29 27/09/22 16:32 30 Non si comprende altrimenti la fortuna ostinata del post-umano, che conferma il riduzionismo postmoderno e, non potendo accanirsi su altro, si accanisce sul soggetto – già disossato – alludendo con drammatica disinvoltura alle possibilità di un nuovo umanesimo senza uomo: Oggi possiamo pensare soltanto entro il vuoto dell’uomo scomparso. Questo vuoto, infatti, non costituisce una mancanza, non prescrive una lacuna da colmare. Non è né più né meno che l’apertura di uno spazio in cui finalmente è di nuovo possibile pensare. […] A tutti coloro che vogliono ancora parlare dell’uomo, del suo regno, e della sua liberazione, a tutti coloro che pongono ancora domande su ciò che l’uomo è nella sua essenza, a tutti coloro che vogliono muovere da lui per accedere alla verità, a tutti coloro che non vogliono formalizzare senza antropologizzare, che non vogliono mitologizzare senza demistificare, che non vogliono pensare senza pensare subito che è l’uomo che pensa, a tutte queste forme di riflessione maldestre e alterate, non possiamo che contrapporre un riso filosofico, cioè, in parte, silenzioso49. Fondamentale, per intercettare la sfida di questo umanesimo post-umano è però la considerazione degli strumenti elettivi cui esso continua ad affidare le proprie sorti, che – con distinguo assai meno accurati di quanto non appaia – sono ancora quelli moderni, sebbene rivisitati attraverso le ambivalenze e distorsioni della postmodernità: la politica ridotta a clientelismo, la scienza orientata tecnocraticamente, l’economia riqualificata finanziariamente, l’ecologia modellata narcisisticamente e tutto nell’orizzonte di una sempre più accentuata sacralizzazione dell’arbitrio individuale. A dispetto però del proclama foucaultiano circa la scomparsa del soggetto50, il post-umano ha tutti i caratteri di un grande e complesso cantiere antropologico, dove addirittura l’umano vorrebbe celebrare il proprio enhancetamente amato, incantato dalla sua inaccessibilità, si sottrae al contagio della sua volontà di impotenza. Eco, la ninfa che non si dà pace per la sua perdita, è condannata ad avere, in risposta alle sue invocazioni d’amore, soltanto il loro rispecchiamento» (P. Sequeri, Contro gli idoli postmoderni, 77-78). 49 M. Foucault, Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane, Rizzoli, Milano 1967, 368 (orig. 1966). 50 Va forse puntualizzato che non sarebbe corretto attribuire a Foucault l’ingenuità di una proclamazione della scomparsa dell’antropologia. Come in altre vicende teoriche, contraddistinte dalla presa di distanza da un pensare consueto, Foucault intende mostrare la matrice complessa – concretamente storica, psicosociale, politico-pratica e giuridico-pratica e mai teorico-speculativa – delle giustificazioni addotte per asserire stabilità e normatività di figure dell’umano consacrate in passato come definitive. In questa operazione genealogico-archeologica viene contrastato l’ideale tradizionale di filosofia, la separazione tra teoria e prassi, e si nominano, con l’espressione dispositivo, i costrutti teorici per la loro potenza interessata, attiva ed efficace: «I dispositivi che costituiscono l’individuo come oggetto e come strumento del potere-sapere si concentrano, d’altra parte, intorno a un processo che tende a standardizzare la singolarità all’interno di un sistema di uguaglianze formali. Una volta che sia stato prodotto ed elevato a regola un certo grado di omogeneità tra gli individui, tutte le loro differenze potranno essere infatti misurate, descritte ed eventualmente corrette in base a un modello di 1. SFIDATI DA UNA NUOVA SITUAZIONE CULTURALE CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 30 27/09/22 16:32 31 ment, in un orizzonte che, quando viene descritto dettagliatamente a parola, non può non suscitare qualche sconcerto. Il post-umano descrive infatti il sé come: [...] una porzione di forze che è, parlando spazial-temporalmente, abbastanza stabile da sostenere e da sopportare il flusso, costante, benché non distruttivo, della trasformazione. […] Si tratta di un campo di affetti trasformativi, la cui disponibilità ai cambiamenti di intensità dipende primariamente dall’abilità di sostenere l’incontro con e l’impatto di altre forze e affetti. Si tratta di un vitalismo radicalmente materialista e anti-essenzialista, adeguato all’era tecnologica, che non può essere rimosso ulteriormente dall’illusione della moltiplicazione ostinata delle incarnazioni dell’immaginario contemporaneo tecnocratico o cyborg. La visione del soggetto deleuziana, incarnata e vitalistica, ma non essenzialista, è una visione che si auto-sostiene e che è davvero debitrice nei confronti del progetto di un’ecologia del sé. Il ritmo, la velocità e la sequenza degli affetti, così come la selezione delle forze, sono determinanti per il processo del divenire. Lo schema della ricorrenza di questi cambiamenti segna i passi successivi del processo consentendo così l’attualizzazione di quelle forze che sono adatte a dare forma, e, quindi, ad esprimere, la singolarità del soggetto51. Questo spaccato antropologico, di un’originalità forse solo modesta, mostra orgogliosamente la sua ascendenza: l’Übermensch, con il quale Nietzsche, parricida della modernità, celebra la dissoluzione dell’io nell’anonimato della Wille zur Macht, predicato senza soggetto, di un trascendimento senza teleologia, mera effervescenza orgiastica della fedeltà alla terra52. normalità la cui più sottile tecnica di affermazione è quella dell’esame, forma di controllo che caratterizza tutti i dispositivi disciplinari» (S. Catucci, Introduzione a Foucault, 101). 51 R. Braidotti, Meta(l)morfosi, in M. Fimiani - V.G. Kurotschka - E. Pulcini (ed.), Umano, post-umano. Potere, sapere, etica nell’età globale, Editori Riuniti, Roma 2004, 79-114, qui 89-90. 52 «Io vi insegno il superuomo. L’uomo è qualcosa che deve essere superato. Che avete fatto per superarlo? Finora tutti gli uomini hanno creato qualcosa al di sopra di loro stessi: e voi volete essere il deflusso di questa grande marea e ritornare all’animale piuttosto che superare l’uomo? Che cos’è la scimmia per l’uomo? Oggetto di riso o dolorosa vergogna. E proprio questo deve essere l’uomo per il superuomo: oggetto di riso o dolorosa vergogna. Voi avete percorso il cammino dal verme all’uomo e molto in voi è ancora verme. Un tempo eravate scimmie, ma ancor oggi l’uomo è più scimmia di qualsiasi scimmia. Ma anche il più saggio tra voi, anche quello è soltanto uno scisso e un ibrido tra pianta e fantasma. Ma io vi comando di diventare fantasmi o piante? Ecco, io vi insegno il superuomo! Il superuomo è il senso della terra. La vostra volontà dica: il superuomo sia il senso della terra! Io vi scongiuro, fratelli miei, restate fedeli alla terra e non prestate fede a coloro che vi parlano di speranze ultraterrene! Sono avvelenatori, lo sappiano o no. Spregiatori della vita sono, moribondi e loro stessi avvelenati, di cui la terra è stanca: vadano dove vogliono! Un tempo il sacrilegio contro Dio era il maggiore dei sacrilegi, ma Dio è morto e con esso sono morti anche questi sacrileghi. Un sacrilegio contro la terra è ora la cosa più terribile, e venerare le viscere dell’imperscrutabile più del senso della terra! Un tempo l’anima guardava con disprezzo al corpo: e allora questo disprezzo era la cosa più alta: - essa lo voleva magro, orrendo, famelico. Così pensava di sfuggire al corpo e alla terra. Oh, ma quest’anima era anche lei magra, orrenda e famelica: 1. SFIDATI DA UNA NUOVA SITUAZIONE CULTURALE CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 31 27/09/22 16:32 32 Compulsata la genealogia dell’umano post-umano, potrebbe essere di qualche utilità puntualizzarne ora l’esplicito precipitato antropologico: sondare le radici del fascino, insieme alla strutturale ambiguità, di questo complesso cantiere psicosociale è infatti la premessa indispensabile ad una sollecitudine culturale ed educativa consapevole dello spirito del tempo attuale. B. Nervature antropologiche 1. Promesse di vita e tentazioni di morte La prima scommessa che l’umano post-umano pare intenzionato a vincere riguarda la nozione di vita: l’orizzonte antropologico fondamentale inteso da questa parola è promettente, perché potenzialmente raggiungibile fuori da sovradeterminazioni metafisiche, etiche e religiose. Riguadagnare la vita nella sua immediatezza, e tendere non alla sua custodia o amministrazione, bensì al suo enhancement, è lo scopo del post-umano. L’operazione però non è semplice, né sul fronte teorico né su quello pratico, per le resistenze religiose, culturali e psicosociali che incontra: e la crudeltà era la voluttà di quest’anima! Ma anche voi, miei fratelli, ditemi: che cosa rivela il vostro corpo della vostra anima? Non è la vostra anima povertà e sozzura e miserabile compiacimento? In verità l’uomo è una sozza corrente. Bisogna essere un mare per poter accogliere una sozza corrente senza divenire impuri. Ecco, io vi insegno il superuomo: egli è questo mare e in lui può sprofondare il vostro grande disprezzo. Qual è la cosa più grande che voi possiate provare? L’ora del grande disprezzo. L’ora in cui la vostra felicità vi dà la nausea, e così la vostra ragione e così la vostra virtù. L’ora in cui dite: “Che importa della mia felicità! È povertà e sozzura e un miserabile compiacimento. Ma la mia felicità dovrebbe giustificare la stessa esistenza!” L’ora in cui dite: “Che importa della mia ragione! Ha fame del suo sapere come il leone del suo nutrimento? È povertà e sozzura e un miserabile compíacimento!”. L’ora in cui dite: “Che importa della virtù! Non mi ha reso ancora folle. Come sono stanco del mio bene e del mio male. Tutto ciò è povertà e sozzura e un miserabile compiacimento!”. L’ora in cui dite: “Che importa della mia giustizia! Non mi sembra di essere vampa e brace. Ma il giusto è vampa e brace”. L’ora in cui dite: “Che importa della mia compassione! La compassione non è la croce a cui viene inchiodato colui che ama gli uomini? Ma la mia compassione non è una crocifissione”. Non il vostro peccato, la vostra parsimonia grida vendetta al cielo, la vostra avarizia persino nel peccato grida vendetta al cielo. Dov’è la folgore che vi lambisca con la sua lingua? Dov’è la pazzia che dovrebbero inocularvi? Vedete, io vi insegno il superuomo: egli è questa folgore, egli è questa pazzia! […] L’uomo è una fune sospesa tra l’animale e il superuomo, una fune sopra l’abisso. Un pericoloso passare dall’altra parte, un pericoloso esser per via, un pericoloso guardarsi indietro, un pericoloso inorridire e arrestarsi. Quel che è grande nell’uomo è che egli è un ponte e non una meta: quel che si può amare nell’uomo è che egli è transizione e tramonto. Io amo coloro che non sanno vivere se non per tramontare, perché sono coloro che passano dall’altra parte» (F.W. Nietzsche, Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno, in Id., Opere 1882-1895 [Grandi Tascabili Economici Newton], Newton Compton, Roma 1993, 231-416, qui 232-234). 1. SFIDATI DA UNA NUOVA SITUAZIONE CULTURALE CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 32 27/09/22 16:32 33 Credo che una delle più persistenti e vane finzioni, che ci vengono raccontate sulla “vita”, sia la sua presunta autoevidenza, il suo implicito valore. Secoli d’indottrinamento cristiano hanno qui lasciato un segno profondo. La sacralizzazione della vita ha confinato nella categoria-container del “peccato” o del “nichilismo”, fenomeni che assumono un significato quotidiano per la mia cultura e la mia società. Tali fenomeni sono: la disaffezione di ogni tipo, le dipendenze di tipo legale (caffè, sigarette, alcol, lavoro eccessivo, conquiste) e quelle di tipo illegale; il suicidio, specie quello in giovane età; il controllo delle nascite e la scelta delle pratiche sociali e delle identità sessuali; l’agonia delle lunghe malattie terminali; i sistemi che supportano la vita negli ospedali e fuori; la depressione e le sindromi di esaurimento nervoso o altro. In contrasto con la mistura di apatia e d’ipocrisia della consuetudine mentale che sacralizza la “vita”, intendo rimandare ad una qualche tradizione di pensiero più “buia”, ma più lucida, che non parte dall’assunzione del valore inerente, autoevidente e intrinseco della “vita”53. Il costrutto teorico che ordina le considerazioni citate è evidente: l’Occidente avrebbe usato la violenza della teoresi per cimentarsi con il proprio ordine a priori e scontare la fatica del caos del reale; il pensiero avrebbe così sacralizzato la vita impedendo ai soggetti che la vivono di disporne liberamente. I processi di sacralizzazione sarebbero un tentativo di escludere dalla vita tutto ciò che, per una logica di potere – Foucault direbbe: per le parole del potere e per il potere delle parole – è inassimilabile, ingovernabile, eccentrico, destabilizzante. Il destino dello human enhancement passa per la riabilitazione di una vita desacralizzata, ospitale e condiscendente nei confronti di ogni sua possibile epifania, anche contraddittoria, compresa l’eventualità tragica del gesto autolesivo. Inutile rilevare come il portato di una simile disposizione cognitiva non possa essere altro dal fatalismo biologista, esistenzialmente praticabile solo nel perfetto convenire di ossequio tanto alla vita come alla morte del soggetto: La vita in «me» non porta infatti il mio nome. L’«io» non la possiede. L’«io» è solo un passare attraverso. In una cultura saturata dall’egotismo, l’«io» è molto spesso un ostacolo al progetto di affermare e rafforzare il ritorno infermabile e trionfante dell’impersonalità – o piuttosto dell’apersonalità – del divenire (dell’eterno ritorno)54. 53 R. Braidotti, Meta(l)morfosi, 105. 54 R. Braidotti, Meta(l)morfosi, 108. 1. SFIDATI DA UNA NUOVA SITUAZIONE CULTURALE CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 33 27/09/22 16:32 34 2. Intensità sostenibili? Perché la vita desacralizzata – nella quale la persona viene diluita dai canoni antropologici post-umani – possa assicurare ospitalità condiscendente anche alla propria contraddizione, ha da liberarsi dalla morsa di ogni qualificazione che ambisca a giudicarne il profilo. Così il post-umano, rifiutando i verdetti assiologici della qualità, ricorre alla quantità, che diventa però indicatore di valore del vivere. La quantità riferita alla vita non è altro che intensità – unico item in grado di segnalare una vita viva; di qui la curvatura ecologica del linguaggio, che allude a una soggettività intensa, garantita da una soglia di sostenibilità: Per rendere conto di questa visione del soggetto, intensa e materialmente radicata, abbiamo bisogno d’una soglia di sostenibilità. Il contenimento delle intensità o delle passioni incarnate e della loro durata è un prerequisito cruciale al fine di consentire loro di svolgere la propria funzione, la quale consiste nello scagliarsi contro lo schema umanistico del soggetto, portandolo ad esplodere esternamente. La posologia della soglia di intensità è sia cruciale sia inerente al processo del divenire. Che cosa è allora questa soglia e come viene fissata? Un corpo radicalmente immanente ed intenso è un assemblaggio di forze e di flussi, d’intensità e di passione, che si solidificano nello spazio e si consolidano nel tempo, entro quella singolare configurazione che è comunemente conosciuta come un sé “individuale”55. È opportuno non sottovalutare l’impasse teorica nella quale l’antropologia post-umana è costretta a fluttuare: la battaglia contro ogni qualificativo della vita, colpito in quanto sacralizzazione ideologica di ingiunzioni fondate non su evidenze ma su esercizi surrettizi di potere, si scontra di fatto con la realtà che, proprio nel fenomeno vita, resiste ostinatamente a un simile approccio. Ogni fenomeno – compresa la vita – strutturalmente si qualifica e, se la lotta ai qualificativi vuole sopravvivere a se stessa, il congedo dalle qualità porta alla consacrazione della quantità come indice qualitativo: questo e non altro è la religione dell’intensità. E l’intensità, eletta a indicatore di qualità esistenziale, sa articolare prescrizioni di indubbia severità: Sotto il velluto dei piaceri e delle libertà, si cela un pugno invisibile, che stringe quasi inavvertitamente, con piccoli tocchi. In modo sorprendente, l’uomo tarda a prenderne coscienza. Teso sempre di più verso il proprio ideale, egli rifiuta l’idea di non essere libero. Ancora inebriato di essersi affrancato da leggi, credenze e tutele, si lascia catturare da una cultura sempre più esigente, 55 R. Braidotti, Meta(l)morfosi, 89. 1. SFIDATI DA UNA NUOVA SITUAZIONE CULTURALE CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 34 27/09/22 16:32 35 competitiva e normativa. Non riesce a valutare le costrizioni che si impone, le servitù che lo modellano sottobanco. Pensando di agire per il proprio benessere, si lascia ciecamente asservire dalle sue stesse esigenze56. Un’antropologia soggetta al dispotismo energetista non tarda però a mostrare la sua impraticabilità esistenziale: i fenomeni dell’umano che ne riflettono l’energia, proprio mentre sono perseguiti come topoi di una vita riuscita, paiono crescentemente afflitti da una mortale astenia: la galassia emozionale, sentimentale, passionale, persino pulsionale – nella quale si cerca il senso del vivere, servendosi dell’indice di validazione libidico, univoco e quantitativo – si spegne. L’emozione si ottunde, il sentimento si raffredda, il desiderio si deprime, la passione intristisce, la pulsione si sclerotizza: la galassia dei bagliori dell’energia vitale non è dove sembra e – se ancora c’è – dov’è non appare. A questa distopia l’umano fatica a sopravvivere, perché una vita tesa a inseguire la propria energia è intessuta di morte. Così la religione dell’intensità costringe la società dell’eccitazione a sperimentare livelli di rassegnazione e narcotizzazione mai conosciuti dall’umano, paradosso ben noto a una sana antropologia: emozioni, sentimenti, desideri, passioni – financo pulsioni – si accendono solo relazionalmente; dove l’altro latita non sono e dove l’altro c’è si rinnovano nella discrezione della misura, cui ripugnano l’autoreferenzialità e il dilagare della pura potenza57. 56 Ch. Ternynck, L’uomo di sabbia…, 18. In proposito, valorizzando S. Žižek, anche Sequeri afferma: «Nell’universo occidentale odierno (e nella sua versione globalizzata) l’accrescimento della ‘potenza’ individuale è narrato come un dover essere che ha ormai assunto i contorni dell’ingiunzione ‘etica’ al godimento» (P. Sequeri, La cruna dell’ego. Uscire dal monoteismo del sé, Vita e Pensiero, Milano 2017, 75). Sequeri, in nota, rimanda a: S. Žižek, Leggere Lacan. Guida perversa al vivere contemporaneo, Bollati Boringhieri, Torino 2009; I. Guanzini, Lo spirito è un osso. Postmodernità, materialismo e teologia in Slavoj Žižek, Cittadella, Assisi 2010. 57 Chi nega la dipendenza della vigoria affettiva dell’umano dall’apparizione dell’altro e dalle ragioni della cura, è poi costretto a funambolismi espressivi di ardua comprensione, che forse non vanno oltre l’ossimoro. In proposito fanno riflettere, ancora una volta, le parole di Rosi Braidotti, alle prese con una «teoria del desiderio vitalista e tuttavia anti-essenzialista », che vorrebbe illustrare l’auto-affermazione della soggettività attraverso l’empatia, la simpatia, la compassione (tutte etero-disposizioni strutturalmente relazionali): «Il desiderio come forza propulsiva e irresistibile, che viene attratta all’auto-affermazione, ovvero dalla trasformazione delle passioni negative in passioni positive. Il desiderio non di preservare, ma di cambiare: una profonda brama per la trasformazione o per un processo di affermazione. Per rappresentare i differenti passi di questo processo del divenire, si deve operare sulle coordinate concettuali. Queste non sono elaborate da un auto-nominare volontaristico, ma piuttosto attraverso i processi di un’attenta rivisitazione o ripresa. L’empatia e la compassione costituiscono caratteristiche chiave per questa brama nomade di profonde trasformazioni interne. Lo spazio del divenire è uno spazio di affinità e una correlazione di elementi tra forze compatibili mutuamente attrattive. Uno spazio della simpatia tra gli elementi costitutivi del processo» (R. Braidotti, Meta[l]morfosi, 97). 1. SFIDATI DA UNA NUOVA SITUAZIONE CULTURALE CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 35 27/09/22 16:32 36 Detto in forma di tesi: l’energia vitale vive l’autoreferenzialità come condanna all’autocombustione, mentre è rigenerata solo dalla destinazione, accesa dalla relazione buona con l’altro che, invocando dedicazione, motiva e rinvigorisce l’affezione58. L’ossessione per se stessi non rende sostenibile l’avventura esistenziale, né rinnovabile la sua energia, piuttosto la condanna alla necrosi senza ritorno dell’autismo disperato, come suggerisce, con implacabile rigore, il genio di Oscar Wilde: [...] [questi] immagina che la sorgente, dopo la morte di Narciso, si trasformi in una pozza di lacrime salate. Sciogliendo le trecce verdi dei loro capelli le ninfe del bosco le confessano di non meravigliarsi di tanto pianto, talmente bello era narciso. “Ah Narciso era bello?” domanda la fonte. “Chi potrebbe saperlo meglio di te?” Rispondono in coro le ninfe: “È nello specchio delle tue acque che rifletteva la sua bellezza”. Ma la sorgente le coglie di sorpresa annunciando la ragione del suo pianto: amava Narciso perché, quando lui si inchinava sulla sua riva, lei poteva ammirare la propria bellezza nello specchio dei suoi occhi. Nel gioco di specchi il narcisismo si moltiplica: quando nell’altro vediamo solo noi stessi la relazione si acceca59. 3. Resistenza senza resilienza? Un altro tratto, che esige considerazione in riferimento all’antropologia del post-umano, riguarda la vicenda della quale può essere protagonista questo nucleo energetico provocato dagli urti imposti alla vita dal differire, sovente faticoso, delle sue congiunture. Rosi Braidotti afferma che la distensione cronologica del sé sostenibile: 58 Merita una citazione al riguardo il testo di G. Angelini, Le virtù e la fede, Glossa, Milano 1994. Con solide argomentazioni, Angelini offre nel volume una fenomenologia della libertà desiderante – autentico trascendentale antropologico costitutivamente relazionale – nella quale l’esistenza mostra la sua vocazione alla misura, alla forma, condizione essenziale non solo di effettività, riconoscibilità, identità, ma anche di raggiungibilità intersoggettiva ed incontro relazionale. Una libertà che volesse fuggire alla propria vocazione – quella di consegnarsi a una misura attraverso il consenso all’alterità di altro e di altri – non potrebbe che contraddirsi in un ostinato mentire, nella velleità confondente di finzioni comunque realizzate. 59 V. Lingiardi, Arcipelago N. Variazioni sul narcisismo, Einaudi, Torino 2021, 96. Il perimetro clinico della sindrome narcisista è – purtroppo – perfettamente coerente con le intuizioni della letteratura: «Una personalità […] grandiosa e al tempo stesso fragile: l’egocentrismo, l’idealizzazione della bellezza, l’invidia distruttiva, la vergogna di sé, la svalutazione dell’altro, l’incapacità di amare, il sentimentalismo compiaciuto, il vuoto che cresce dentro e attorno a sé e le fantasie grandiose che cercano di compensarlo. Fino alla forma più maligna, che si sottrae alla coscienza morale, elimina la colpa e il rimorso, accentua il sadismo» (V. Lingiardi, Arcipelago N…, 31-32). 1. SFIDATI DA UNA NUOVA SITUAZIONE CULTURALE CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 36 27/09/22 16:32 37 [...] aspira alla resistenza. La resistenza ha una dimensione temporale: ha a che fare con la durata nel tempo e quindi con la durata e l’auto-perpetuazione (qui ci sono tracce di Bergson). Ma presenta anche un lato spaziale che ha a che fare con lo spazio del corpo, con un campo incarnato di attualizzazione delle passioni o delle forze. Sviluppa l’affettività e la gioia (qui ci sono tracce di Spinoza) nella capacità di essere affetti da queste forze fino al punto del dolore (o dell’estremo piacere), il che significa sopportare e tollerare le difficoltà e il dolore fisico. Oltre a fornire la chiave per un’eziologia delle forze, la resistenza rappresenta anche un principio etico di affermazione delle positività del soggetto intenso; si tratta della sua affermazione gioiosa in quanto potentia60. La resistenza è però una categoria antropologicamente competente? Non tradisce forse l’umano, costringendolo negli ingranaggi di un meccanicismo tanto coerente con il riduzionismo energetista quanto antropologicamente contraddittorio?61 Al di là della filosofia di scuola, la questione è strategica perché nomina l’equivoco che ha una parte non piccola nella fragilità endemica che affligge l’umano post-umano62 e denuncia, proprio malgrado, la diserzione del pensiero e del costume degli ultimi decenni che non hanno competentemente praticato l’ontologia dello spirito. La psicoanalisi, se da un lato ha accondisceso alla pressione epistemologica del meccanicismo scientista e ambiguamente concorso agli equivoci energetisti63, dall’altro, nel suo impegno terapeutico descrive con drammatica precisione l’orizzonte di un’esistenza che insegue una solidità ridotta a 60 R. Braidotti, Meta(l)morfosi, 91. 61 Un’autorevole studiosa della modernità filosofica, sempre molto fedele ai testi dei suoi interlocutori, così illustra l’insuperabile contraddizione antropologica del meccanicismo: «Altro durus sermo: l’anima, assolutamente incorporea, che spinge la ghiandola pineale! Nella conoscenza dei corpi il moto degli spiriti urta l’anima; nelle passioni l’anima spinge la ghiandola pineale: azioni puramente meccaniche a un certo momento danno luogo alla coscienza che, secondo Cartesio, è un fatto assolutamente incorporeo» (S.V. Rovighi, Storia della filosofia moderna, La Scuola, Brescia 1976, 118). 62 «L’uomo-individuo scopre che il vuoto pesa. Senza il sostegno di una cultura, il vuoto ontologico è insostenibile per un solo essere umano. Ma questa verità, per lui, non è pensabile. Ciò che confusamente ne intuisce si riassume in ciò che prova. E ciò che prova è lo scarto crescente tra il carico che gli pesa addosso e la capacità di cui dispone per sopportarlo. È l’impressione difficilmente condivisibile di vivere al di sopra dei propri mezzi psichici» (Ch. Ternynck, L’uomo di sabbia…, 19). 63 Si pensi allo stesso Freud, che celebra il punto di vista economico quale vertice dell’indagine psicoanalitica, dal quale considerare quantitativamente l’energia mobilitata nei processi intrapsichici e nelle transazioni extrapsichiche feriali e terapeutiche: «Ci rendiamo conto che nella nostra esposizione dei fenomeni psichici siamo stati indotti gradualmente ad adottare un terzo punto di vista, accanto a quelli dinamico e topico: il punto di vista economico, che si sforza di seguire le vicissitudini delle quantità di eccitamento e di pervenire a una loro stima, almeno relativa. Non ci pare inopportuno indicare con un nome particolare questo modo di considerare il nostro argomento, giacché esso rappresenta il compimento della ricerca psicoanalitica » (S. F reud, Metapsicologia [1915], Bollati Boringhieri, Torino 1978, 85). 1. SFIDATI DA UNA NUOVA SITUAZIONE CULTURALE CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 37 27/09/22 16:32 38 resistenza. Vivere meccanicamente, praticando la tecnica difensiva della resistenza agli urti dell’alterità, significa coltivare la fragilità, carattere tipico dell’umano algico: Se la traccia di alterità non si è precocemente deposta nella psiche, il confronto con l’altro reale rischia di essere ulteriormente logorante e di condurre a incomprensioni più gravi. “Lo so che sono algico”, mi diceva un paziente in occasione del primo incontro. “Mi fa male tutto. Tutto mi scortica, tutto mi ferisce. Ma saperlo non cambia niente”. L’uomo ‘algico’ è quello che, non essendo stato sufficientemente ‘intaccato’ nella psiche, non la finisce mai di sentirsi leso nella realtà. Per lui qualunque frustrazione, qualunque incomprensione può assumere una portata traumatica. Se l’altro è troppo vicino, se ne sente minacciato. Se è troppo lontano, se ne sente abbandonato. La vicinanza è problematica quanto la distanza. Tra l’io e il tu manca uno spazio terzo che possa immettere nello scambio qualcosa di giocoso, di morbido, di relativo. Di qui, questo sospetto verso l’altro inteso spesso in generale, questa sensibilità nuova di avvertire, non lontano da sé, l’ombra di chissà quale figura malvagia che, in totale impunità, potrebbe manipolare, raggirare, ingannare…. Dietro certe vite cosparse di delusioni, di rotture e di violenze, dietro certi vissuti di molestia o vittimizzazione, a volte c’è una carenza di alterità iniziale di cui ben poco si può dire. Salvo forse questa intuizione: in passato l’alterità non ha fatto il suo lavoro, che è quello di ‘alterare’ l’integrità narcisistica. Può esserci tanta gente intorno, ma l’altro non è dentro di sé. Non vi si è fatto spazio, non vi ha preso dimora. Resta ai bordi, sulla soglia. È un ospite del margine, un vagabondo sempre un po’ sospetto64. L’umano algico è l’inesorabile portato antropologico del post-umanesimo, che, nella riduzione meccanica del rapporto energetico dell’uomo al mondo, ignora la categoria della resilienza: quella possibilità dello spirito di: [...] trasformare le calamità in finestre di opportunità. […] [Perché] lo stato di salute non è il contrario della malattia, ma la capacità di tollerare e compensare le aggressioni dell’ambiente, cioè di ammalarsi e poi risollevarsi, costruendo un equilibrio che sarà per forza diverso dal precedente, ma non meno vitale65. Il sogno della vigoria post-umana si rivela allora deliberatamente autistico, perché intimidito dall’alterità – che in ogni sua manifestazione resiste ai deliri dell’io, invitandolo piuttosto alla pratica faticosa dell’eteroreferenzialità –; di qui la concomitanza dell’illusione di autosufficienza e della condanna alla fragilità di ogni esistenza ridotta ad autismo energetico e tanto sedotta 64 Ch. Ternynck, L’uomo di sabbia…, 36-37. 65 C. Giaccardi - M. Magatti, Nella fine è l’inizio..., 39. 1. SFIDATI DA UNA NUOVA SITUAZIONE CULTURALE CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 38 27/09/22 16:32 39 dalla categoria meccanica della resistenza quanto ignara del dinamismo spirituale della resilienza66. Solo una competente ontologia dello spirito sa restituire la complessa filigrana dell’energia vitale dell’umano, fuori da sequestri libidici e ossessività pulsionali. Quella spirituale è un’energia che si nutre di scambi possibili al crocevia di tre fenomeni: la complessità della persona che abita se stessa a strati differenti di profondità; la complessità del mondo che manifesta livelli diversi di apprezzabilità – immediatezza sensibile, pregnanza assiologica, indizi di trascendenza e destinazione ultima –; la diversa profondità delle relazioni che il soggetto sa istituire con il mondo e con gli altri67. Tanto più la persona si vive ad una profondità proporzionata alla dignità ontologica del proprio essere, quanto più raggiunge il mondo ad una profondità assai diversa da quella incoraggiata dalla civiltà dell’eccitazione sensoriale o dell’ebbrezza emozionale e solo così può attingere all’energia della quale lo spirito necessita per nutrirsi, formarsi, rinnovarsi68: la vigoria dello spirito – che nella resilienza ha una manifestazione eminente – viene soltanto di qui. Quando lo spirito è tradito nella sua ontologia, e gli equivoci individuali o collettivi conducono all’idolatria dello psichismo nei suoi riverberi energetici – euforia, eccitazione, esaltazione –, l’esistenza nasconde, dietro il turbinio delle sue polarizzazioni, una strutturale fragilità: la gioiosa potenza non può non misurarsi con l’ostinazione entropica69, costringendo l’umano ad avver- 66 Significativi a riguardo i criteri di efficacia di una pratica terapeutica, almeno per alcuni professionisti: «Come clinici, non vogliamo che i nostri pazienti diventino ‘più forti’ dei loro vicini, perché non desideriamo che vivano in un mondo di bruti. Anzi, lavoriamo con loro proprio per contrastarlo» (M. Benasayag - G. Schmit, L'epoca delle passioni tristi, 128). 67 In proposito, magistrale la riflessione e ardua la pagina di E. Stein, La struttura della persona umana, Città Nuova, Roma 2000, 119-139. Il volume offre lo sviluppo di un corso tenuto dalla Stein all’Istituto di Pedagogia Scientifica di Münster nel semestre invernale 1932-1933. 68 «Con lo spirito ci rivolgiamo semplicemente verso il mondo, ma l’anima accoglie il mondo in sé e si congiunge ad esso, in ogni anima individuale in modo diverso. A questo punto dobbiamo aggiungere, per completare il discorso, che non esiste per tutte le oggettualità una semplice accoglienza e accettazione, come accade per ciò che è spirituale, secondo la descrizione appena fatta. In linea di principio, ci si può rendere conto adeguatamente di ogni essere dotato di valore soltanto se l’anima si apre verso esso e se il pieno accoglimento di tale essere consiste in un afferrare nell’anima e con l’anima, ovvero nell’emergere dell’anima da se stessa. È perciò anche un fare spirituale» (E. Stein, Psicologia e scienze dello spirito. Contributi per una fondazione filosofica, Città Nuova, Roma 1996, 248). 69 Nella riflessione di Rosi Braidotti, alla quale queste note si sono ripetutamente riferite, è tenace tanto la fiducia nelle possibilità di un soggetto sostenibile – dunque fornito di energia rinnovabile – quanto il disincanto nei confronti della vita che si palesa: «come un motore freddo, che va riavviato quotidianamente. La sua logica di fondo è essenzialmente entropica, il che implica che la carica elettromagnetica va rinnovata costantemente. Non vi è nulla di naturale o di dato in tutto ciò» (R. Braidotti, Meta[l]morfosi, 105). L’Autrice, con coerenza intellettuale, non tace la sentenza che il costrutto teorico energetista non può non emettere al cospetto della congiuntura sfavorevole cui ogni vita giunge quando l’entropia è più forte del rinnovamento: si tratta di una piena giustificazione del suicidio che: «non rappresenta il 1. SFIDATI DA UNA NUOVA SITUAZIONE CULTURALE CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 39 27/09/22 16:32 40 tire come minaccia l’alterità – delle cose come delle persone – e lo scorrere del tempo. L’alterità infatti impone una disciplina, avvertita come ostile dall’opportunismo energetico – incline ad un rapporto strumentale, predatorio o esondante, con l’altro da sé70 –; e la temporalità implica, per la dimensione energetica dell’esistere, inesorabili e logoranti dispendi ed affievolimenti. Il post-umano, così, mentre genera il soggetto algico – che nell’incontro con ogni alterità avverte una persecuzione implacabile, ignaro com’è della grammatica della resilienza – non può che immergersi nel sogno impossibile di vincere il destino entropico della sua energia, sottraendosi alla temporalità della crescita e vivendosi come puer aeternus: Il sogno, per questi tardi (in molti sensi) nipotini di Nietzsche, sembra più eccitante e vicino alla realtà: la ricerca fa miracoli ogni giorno, e forse un giorno il mito del puer aeternus diventerà scienza (oggi cosmetica e chirurgica, domani genetica e robotica). La cultura palliativa dell’apparire ci aiuta a resistere, nel frattempo, intanto che ci liberiamo progressivamente dello stress di avere cura degli altri (a costo di liberarci degli altri, nei casi estremi) per poterci dedicare in santa pace alla cura di noi stessi. Essere padre, una funzione surrogabile? Essere madre, una prestazione occasionale? In primo luogo siamo persone, uomini e donne, ci dicevamo (e già non è più sicuro nemmeno questo: dipende dalle funzioni e dalle prestazioni, appunto, dicono i teorici dei gender studies). In ogni modo, comunque la cosa sia incominciata, e comunque proceda, la fissazione dell’adolescenza, come status symbol dell’individuo nel pieno possesso delle sue facoltà di realizzarsi, attrae in molti modi l’immaginario dell’adulto. Essere e sentirsi spiritualmente giovani diventa un vero e proprio progetto. Il progetto si alimenterà per lo più di simulazioni, ovviamente, sempre più affannose: psicologiche, comportamentali, caratteriali, delle abitudini, del linguaggio, dell’abbigliamento, del corpo. Esperimenti di vita, reinventarsi, energie rinnovabili, legami biodegradabili. Bulimia dei potenziali, anoressia segno di una sconfitta morale o una diminuzione dei propri standard. Al contrario: esso esprime la determinazione a non accettare la vita ad un livello d’intensità impoverito e diminuito» (R. Braidotti, Meta[l]morfosi, 106). 70 Nonostante i suoi forti limiti antropologici, il freudismo non manca di moniti istruttivi sull’ambivalenza dell’energia psichica e sulla necessità di una sua disciplina (principio di realtà), sebbene avvertita dall’inconscio con insofferenza perché lesiva della propria legge (il principio di piacere-processo primario): «In virtù della sua relazione con il sistema percettivo [l’Io] produce l’ordine temporale dei processi psichici e li sottopone all’esame della realtà. Attraverso l’inserimento dei processi nel pensiero, l’Io ottiene un rinvio delle scariche motorie e domina gli accessi alla motilità. Questo dominio è tuttavia più formale che effettivo. L’Io ha, in relazione all’azione, all’incirca la posizione di un monarca costituzionale, senza la cui ratifica nessuna legge può essere emanata, il quale però riflette a lungo prima di porre il veto su una proposta del Parlamento. Attraverso tutte le esperienze di vita l’Io si arricchisce dall’esterno; l’Es è però l’altro suo mondo esterno che cerca di sottomettere. L’Io sottrae all’Es la libido, trasforma gli investimenti oggettuali dell’Es in formazioni dell’Io» (S. Freud [R. Finelli - Vinci P. ed.], L’Io e l’Es…, 69-70). 1. SFIDATI DA UNA NUOVA SITUAZIONE CULTURALE CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 40 27/09/22 16:32 41 degli affetti. Pazienza se si è adulti, insomma, purché si rimanga staminali. Il circolo vizioso alimenta se stesso. I giovani, di certo, non ci guadagnano nulla, da questa fissazione. Il movimento di attrazione che la condizione giovanile, come mito di una vitalità permanente che neutralizza la vita storica esercita sulla condizione adulta la incoraggia a concepire univocamente la maturazione e la restituzione come perdita (una malinconica consumazione di energie che disperde potenza e riduce il godimento)71. 4. Cronografia senza kairologia La neutralizzazione della vita storica è un severo indicatore di disagio che attesta l’incompetenza esistenziale di un soggetto ostile alla temporalità e privo di resilienza. La figura del puer aeternus condensa pratiche fallimentari delle leggi della crescita, della maturazione, della fecondità che non possono essere tradite senza pregiudicare il senso dell’esistere; quando lo scorrere del tempo è vissuto come separazione inesorabile da una condizione socialmente idealizzata – la giovinezza, momento magico di massimizzazione del potenziale vitale/ pulsionale – la confusione sulle differenze generazionali si fa particolarmente insidiosa: La nostra società, purtroppo, valuta la saggezza e conoscenza in termini puramente strumentali, attribuendo all’evoluzione tecnologica un ruolo costantemente anticipatorio rispetto alla tradizione conoscitiva, che risulta di conseguenza non-trasferibile. Secondo questa logica, la generazione degli anziani non ha niente da insegnare ai giovani, salvo fornirgli le risorse emotive e intellettuali indispensabili per fare delle scelte individuali e affrontare situazioni ‘non-strutturate’ per le quali non esistono precedenti affidabili o precetti cui attenersi. È scontato che i figli inizino molto presto a trovare antiquate e sorpassate le idee dei genitori, e i genitori stessi sono i primi ad accettare la definizione sociale della loro superfluità. Dopo aver cresciuto i propri figli fino a quando raggiungono l’età per entrare all’università o per andare a lavorare, gli adulti tra i quaranta e i cinquant’anni scoprono di aver esaurito il loro compito di genitori. Questa rivelazione coincide in genere con un’altra: anche il mondo del lavoro non ha più bisogno di loro. L’emarginazione degli adulti di mezza età e degli anziani nasce dalla lacerazione del senso della continuità storica. Per quanto la generazione degli anziani non pensi più di perpetuarsi nella generazione successiva o di conquistarsi un’immortalità vicaria nella posterità, non è tuttavia disposta a cedere il passo ai giovani. La gente si aggrappa tenacemente all’illusione della giovinezza fino a quando questa non diventa insostenibile e si è allora costretti ad accettare la propria condizione di marginalità o a spro- 71 P. Sequeri, Contro gli idoli postmoderni, 17. 1. SFIDATI DA UNA NUOVA SITUAZIONE CULTURALE CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 41 27/09/22 16:32 42 fondare nella disperazione più nera. Entrambe le alternative non consentono di mantenere un grande interesse nei confronti della vita72. Una temporalità ridotta a maledizione fa di ogni biografia una cronografia senza kairologia; detto altrimenti: le scansioni temporali si riducono a ingiurie di Crono, che annientano la speranza di un Kairos del senso73. La risposta all’inevitabile precipitato depressivo di una simile figura di temporalità esigerebbe un’audacia che questo tempo sembra non trovare, almeno nell’avventura collettiva che sta scrivendo, ove piuttosto si assiste alla proliferazione di espedienti che tentano, con poco successo, di addomesticare l’angoscia dell’usura temporale. Un primo espediente è la frenesia produttiva, sostenuta dal sogno della crescita illimitata. Un dispositivo che rincorre l’illusione di riempire il tempo eccitando il desiderio, attraverso l’apertura e la diversificazione dello spettro del godibile: L’economia psichica del tecno-nichilismo si basa sull’espansione del sé come presupposto per l’espansione economica. Portando a compimento processi già avviati nella prima parte del ventesimo secolo il tecno-nichilismo ha segnato una grande stagione di crescita capace di tenere insieme l’elemento tecnico con quello comunicativo. Sul primo versante, infatti, il sistema tecnico planetario è l’infrastruttura che sostiene l’ampliarsi degli scopi individuali, mentre, sul secondo, la circolazione di segni, simboli, immagini nello spazio estetico mediatizzato eccita continuamente il desiderio reso godimento. Come abbiamo visto, ciò ha comportato lo spostamento del baricentro economico dal lavoro al consumo e dall’investimento produttivo alla rendita finanziaria e immobiliare. […] Dal punto di vista della soggettività, il progetto di economia basato sui consumi individuali era pertinente a società che avevano appena raggiunto la soglia del benessere di massa, demograficamente in crescita e con davanti a loro la vasta prateria dell’autorealizzazione che i movimenti degli anni sessanta e settanta avevano portato alla ribalta. Ma, a quarant’anni di distanza, di fronte alla crisi nella quale siamo ancora immersi, occorre chiedersi se quelle condizioni esistono ancora e se non dobbiamo invece riconoscere nella crescente insostenibilità dell’economia psichica tecno-nichilista un […] focolaio di crisi. L’idea di una crescita illimitata trainata dall’aumento costante dei consumi nei mercati interni subisce uno scacco. […] La capacità sistemica di produrre e alimentare continuamente la potenza [ndr disponibilità di beni godibili] è stata 72 Ch. Lasch, La cultura del narcisismo…, 255-256. 73 Il carattere disperante di questa diluizione della kairologia nella cronografia produce l’oblio della categoria della generatività. Sul tema molto attente, in chiave diagnostica e ‘terapeutica’, le osservazioni di M. Magatti - C. Giaccardi, Generativi di tutto il mondo unitevi! Manifesto per una società dei liberi, Feltrinelli, Milano 2014. 1. SFIDATI DA UNA NUOVA SITUAZIONE CULTURALE CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 42 27/09/22 16:32 43 superiore rispetto all’equivalente capacità psichica di accrescere la volontà di potenza [ndr vigoria del desiderio di godimento]74. La terapia sognata si rivela però insidiosamente patogena, perché lo psichismo risponde male alla sollecitazione: il sogno di onnipotenza del desiderio è impotente, perché quando tutto è possibile nulla è reale75. Così, a un desiderio illanguidito, il tempo non promette più nulla, minaccia piuttosto mortificazioni, per il carattere opprimente della sua lentezza e inesorabile della sua evanescenza. Un secondo espediente praticato dall’attualità per sciogliere l’enigma temporale è la ricerca di esperienze affettive nelle quali l’intensità del coinvolgimento e della concentrazione protegga la vita dalla fatica del durare, certificandone però la sterilità e la condanna al sintomo dissociativo della derealizzazione: Il Principe e Biancaneve sono stati sostituiti – forse – da Tristano e Isotta. In ogni caso, una sorta di attrazione fatale ci impone di incominciare sempre di lì, e di finire lì. Sono storie d’amore alle quali manca completamente il mondo, storie in cui il mondo è completamente senza amore. L’amore si accende magicamente proprio lì, dove tutto l’amore del mondo, nascendo dal nulla, si concentra. E la storia significa che altro amore al mondo non ce n’è e non ne arriverà. Sono già fiabe e tragedie ‘modernizzate’: riplasmate dal racconto dell’amore come magia/follia à deux. Infatti, a quanto sembra, finiscono proprio quando la vita dovrebbe incominciare. E dovrebbe farci sapere invece che cosa è nato, con l’amore; e da dove è venuto – e viene al mondo, se viene – l’amore. Ma soprattutto, su quello che accade dell’amore, alla prova della vita quotidiana e del tempo, la fiaba e la tragedia non dicono nulla. Incomincia una storia di felicità (“E vissero felici e contenti”) – o di espiazione – sulla quale cala il sipario, e della quale non c’è racconto76. Quella di abitare il tempo è un’arte incompatibile forse con i canoni entro i quali l’umano post-umano pensa se stesso, condannandosi a mentire sulla morte77 che, mentre si allontana cronologicamente – per un’aspettativa di 74 M. Magatti, La grande contrazione. I fallimenti della libertà e le vie del suo riscatto, Feltrinelli, Milano 2012, 126-127. 75 Cfr. M. Benasayag - G. Schmit, L'epoca delle passioni tristi, 94. 76 P. Sequeri, La cruna dell’ego…, 19. 77 Molto provocatorie in proposito le riflessioni di Baudrillard sulle tanatoprassi che nelle società occidentali del benessere vorrebbero negare la morte dandole – ingannevolmente e pateticamente – aspetto di vita, mentre nelle culture arcaiche intendevano marcare l’eterogeneità della morte, reclamandone la cruda essenzialità alla coscienza della vita: «[La morte] a forza d’essere lavata e spugnata, pulita e ripulita, negata e scongiurata, […] passa in tutte le cose della vita. Tutta la nostra cultura è igienica: essa mira a epurare la vita dalla morte. È la morte che prendono di mira i detersivi nel più piccolo bucato. Sterilizzare la morte a ogni costo, vetrificarla, criogenizzarla, climatizzarla, truccarla, “designarla”, braccarla con lo stesso accanimento della sporcizia, del sesso, dei residui batteriologici o radioattivi. Make-up della 1. SFIDATI DA UNA NUOVA SITUAZIONE CULTURALE CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 43 27/09/22 16:32 44 vita costantemente in crescita – sembra avvicinarsi nei termini di disperazione kairologica: Guadagnando ‘trimestri’, abbiamo collettivamente perso l’intima convinzione di un aldilà eterno. Il tempo profano, restio all’idea di trascendenza, ormai è contato, consumabile. La morte viene a chiudere il ciclo della vita, a concluderlo definitivamente, là dove ieri lasciava intravedere il proseguimento di una storia, un tempo dopo il tempo. Mentre la morte umanistica era sentita come un passaggio, la morte individualistica è avvertita come una fine. Il grande rifiuto della morte nella nostra cultura si radica in questa logica, se non esiste più nulla dall’altra parte, la morte non è più pensabile. Dimenticarla diventa una necessità. Eppure, sappiamo bene di essere mortali78. Anche qui il post-umano mostra la sua soggezione all’ipoteca di Nietzsche: l’Übermensch è il soggetto che disprezza ogni kairos oltremondano e affida alla Volontà di potenza il sogno antropogonico di fare della propria cronografia una kairologia. Abitare la consunzione e l’usura temporale, consentendovi, in un trascendimento assoluto che porta sé oltre (Über)79 sé – fuori dalla promessa/ speranza di un verso dove – è il sogno di chi consacra la morte con la vita e la vita con la morte, certo di trionfare solitariamente e autarchicamente della propria finitezza: morte: la formula di Hugo fa pensare a quei funeral homes americani dove la morte è immediatamente sottratta al lutto e alla promiscuità dei vivi per essere “designata” secondo le più pure regole dello standing, dello smiling e del marketing internazionale. La cosa più inquietante non è che si rifaccia al morto una bellezza e che gli si dia un’aria di rappresentanza. Tutte le società lo hanno sempre fatto. […] [Ma] quando il primitivo sovraccarica il morto di segni, è per farlo passare il più rapidamente possibile al suo statuto di morto - al di là dell’ambiguità tra il morto e il vivo di cui testimonia appunto la carne che si decompone. Non è questione di far recitare al morto la parte del vivo: il primitivo rende il morto alla sua differenza, perché è a tale prezzo che i morti potranno diventare nuovamente dei partner e scambiare i loro segni. Il copione dei funeral homes è esattamente l’inverso. Si tratta di conservare al morto un’aria di vita, la naturalezza della vita: esso vi sorride ancora, con i medesimi colori, la stessa pelle, sembra al di là della morte, è persino un po’ più fresco che da vivo, non gli manca che la parola (ma lo si può riascoltare in stereofonia)» (J. Baudrill ard, Lo scambio simbolico e la morte, Feltrinelli, Milano 2009, 200). 78 Ch. Ternynck, L’uomo di sabbia…, 109. 79 È forse utile richiamare come Nietzsche vorrebbe congedarsi dai canoni di tutte le antropologie, ritenendole formazioni ideologiche, contraddittorie e persecutrici, orientate all’assoggettamento dell’uomo. L’Übermensch – e qui Nietzsche vorrebbe infrangere le leggi della denotazione come della connotazione – nominerebbe un umano (Mensch) totalmente assorbito dal proprio dinamismo (Über). L’Oltre – traduzione di Über forse più opportuna rispetto a quella pregiudicata razzialmente di Super – che nomina il trascendimento quale essere dell’uomo, avrebbe però un senso solo in regime di completa assenza di orientamenti, mete, obiettivi, parametri di validazione – estranei a se stesso – del trascendimento medesimo. 1. SFIDATI DA UNA NUOVA SITUAZIONE CULTURALE CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 44 27/09/22 16:32 45 Molti muoiono troppo tardi, e alcuni muoiono troppo presto. Suona ancora strano l’insegnamento: “Muori al momento giusto!”. Muori al momento giusto: questo insegna Zarathustra. In verità, chi non vive mai al momento giusto, come potrebbe morire al momento giusto? Bisognerebbe che non fosse mai nato! Questo consiglio ai superflui. Ma anche i superflui si danno importanza quando muoiono, e anche il guscio più vuoto vuol essere schiacciato. Tutti danno importanza al morire: ma la morte non è ancora una festa. Gli uomini ancora non hanno imparato come si celebrano le feste più belle. La morte come adempimento vi mostro, che diviene per i viventi una spina e una promessa. L’adempiente muore la sua morte, vittorioso, circondato da persone che sperano e promettono. Così si dovrebbe imparare a morire; e non ci dovrebbero essere feste dove simile morituro non abbia consacrato giuramenti dei vivi! Morire così è la cosa migliore; ma la seconda è: morire nella lotta e profondere una grande anima. Ma a chi lotta come a chi vince è odiosa la vostra morte ghignante, che si avvicina di soppiatto come un ladro – anche se viene da padrona. La mia morte vi lodo, la libera morte che viene a me perché io voglio. E quando vorrò? Chi ha una meta e un erede, quegli vuole la morte al momento giusto per la meta e l’erede. E per rispetto alla meta e all’erede non appenderà più corone secche nel santuario della vita. In verità, non voglio somigliare ai funai: essi tirano in lungo la loro fune e intanto camminano sempre a ritroso. C’e chi diventa troppo vecchio per le sue verità e vittorie; una bocca sdentata non ha più diritto a ogni verità. E chiunque voglia avere la gloria deve congedarsi per tempo dall’onore ed esercitare la difficile arte di andarsene al momento giusto. Bisogna cessare di farsi mangiare quando si ha ancora il sapore migliore: lo sanno quelli che vogliono essere amati a lungo. Ci sono invero mele aspre la cui sorte e di attendere l’ultimo giorno dell’autunno: ma nel frattempo diventano mature, gialle e rugose. Ad altri invecchia prima il cuore, ad altri prima lo spirito. E certuni sono vecchi in gioventù: ma essere giovani tardi mantiene giovani a lungo. A qualcuno la vita non riesce: un verme velenoso gli rode il cuore. Dia almeno l’impressione che il morire gli riuscirà per questo meglio. Qualcuno non diventa mai dolce, marcisce già durante l’estate. Vita è quel che lo trattiene al suo ramo. Troppi vivono e troppo a lungo restano sui loro rami. Venisse una tempesta che scrollasse dall’albero tutto questo marciume e pasto di vermi! Venissero predicatori della morte rapida! Sarebbero per me le giuste tempeste e i giusti scrollatori degli alberi della vita! Ma io sento solo predicare la morte lenta e pazienza con quanto è ‘terreno’. Ah, predicate pazienza col ‘terreno’? È questo ‘terreno’ che ha troppa pazienza con voi, bocche maldicenti! In verità, troppo presto è morto quell’ebreo che i predicatori della morte lenta onorano; e a molti fu sin d’allora fatale che egli sia morto troppo presto. Egli conosceva soltanto le lacrime e la malinconia dell’ebreo insieme con l’odio dei buoni e dei giusti, l’ebreo Gesù: e lo assalì la nostalgia della morte. Fosse rimasto nel deserto e lontano dai buoni e dai giusti! Forse avrebbe imparato a vivere e imparato ad amare la terra e inoltre a ridere! Credetemi, fratelli! Egli è morto troppo presto: avrebbe ritrattato lui stesso la sua dottrina, se fosse giunto alla mia età! Era nobile abbastanza per ritrattare! Ma non era ancora maturato. È immaturo l’amore del giovane e immaturo il suo odio per 1. SFIDATI DA UNA NUOVA SITUAZIONE CULTURALE CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 45 27/09/22 16:32 46 l’uomo e la terra. Legati e grevi sono ancora il suo animo e le ali del suo spirito. Ma nell’uomo c’è più bambino che nel giovane, e meno malinconia: egli s’intende della vita e della morte. Libero verso la morte e libero nella morte, un santo negatore quando non è più tempo per dire sì: così intende la vita e la morte. Che il vostro morire non sia un insulto all’uomo e alla terra, amici: questo io chiedo al miele della vostra anima. Nel vostro morire devono brillare il vostro spirito e la vostra virtù, come il crepuscolo che avvolge la terra: oppure il morire vi è mal riuscito80. L’avvio del terzo millennio, almeno in Occidente, se le note sviluppate sin qui hanno qualche plausibilità, certifica però il fallimento dell’antropogonia nietzschiana: tanto le teorie del post-umano commistionano morte e vita, altrettanto gli uomini in carne ed ossa sembrano sempre più costretti, come funamboli, a esorcizzare la morte – o almeno edulcorarne lo scandalo –, mostrando una crescente fatica a vivere, per un non senso del tempo percepito insieme come opprimente e fuggevole. Assoluto successo e pieno adempimento sembrano invece coronare ben altra profezia di Nietzsche, che fa da corollario a quella dell’Übermensch e che descrive l’ultimo uomo; colui che, non sapendo identificarsi creativamente nella Volontà di potenza, si ritrova privo dell’ardimento necessario ad essere- Über e si accontenta di soddisfazioni ciniche, intristite e compensatorie per sopportare la vita: Dunque parlerò loro di quanto v’è di più spregevole: e questo è l’ultimo uomo. […] Si avvicina il tempo in cui l’uomo non scaglia più la freccia del suo desiderio al di là dell’uomo, e la corda del suo arco ha disimparato a sibilare. […] Si avvicina il tempo in cui l’uomo non genererà più stelle. Ahimè! Si avvicina il tempo dell’uomo più disprezzabile, quello che non sa più disprezzarsi. Ecco, io vi mostro l’ultimo uomo. “Che cos’è l’amore? Che cos’è la creazione? Che cos’è il desiderio? Che cos’è la stella?” chiede l’ultimo uomo, e ammicca. La terra è diventata piccola e su di lei saltella l’ultimo uomo che rende tutto piccolo. La sua razza è inestinguibile come quella della pulce di terra; l’ultimo uomo vive più a lungo di tutti. “Noi abbiamo inventato la felicità” dicono gli ultimi uomini, e ammiccano. Hanno abbandonato le regioni dove la vita era ardua: giacché si ha bisogno di calore. Si ama pure il vicino e ci si strofina contro di lui, giacché si ha bisogno di calore. Ammalarsi e diffidare è da loro considerato peccaminoso: si procede circospetti. Stolto chi incespica ancora nelle pietre e negli uomini! Un po’ di veleno di tanto in tanto: procura sogni piacevoli. E molto veleno alla fine, per una morte piacevole. Si lavora ancora perché il lavoro è un passatempo. Ma si fa in modo che il passatempo non logori. Non si diventa più poveri o ricchi: è troppo molesto l’uno e l’altro. Chi vuole ancora governare? Chi ancora ob- 80 F.W. Nietzsche, Così parlò Zarathustra…, 267-268. 1. SFIDATI DA UNA NUOVA SITUAZIONE CULTURALE CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 46 27/09/22 16:32 47 bedire? L’uno e l’altro è troppo molesto. Nessun pastore e un solo gregge. Ognuno vuole la stessa cosa, ognuno è uguale: chi sente in modo diverso, entra spontaneamente in manicomio. “Un tempo tutto il mondo era pazzo” dicono i più sagaci, e ammiccano. Si è intelligenti e si sa tutto quello che è accaduto: così lo scherno non ha fine. Si litiga ancora, ma ci si riconcilia presto altrimenti si guasta lo stomaco. Si ha il proprio piacerucolo per il giorno e il proprio piacerucolo per la notte: ma si apprezza la salute81. 81 F.W. Nietzsche, Così parlò Zarathustra…, 235-236. 1. SFIDATI DA UNA NUOVA SITUAZIONE CULTURALE CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 47 27/09/22 16:32 CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 48 27/09/22 16:32 49 2 Chiamati da Dio per una missione nella Scuola e nella FP Attraverso la valorizzazione di contributi di differente matrice è stato possibile ricostruire le sfide forse più salienti che incalzano l’uomo all’inizio del terzo millennio, almeno in Occidente. Certamente la ricognizione svolta ha mostrato come le precarietà e le crepe della costruzione sociale e del cantiere antropologico plasmati dalla modernità non siano piccole. Ricorrere al Vangelo quale principio interpretativo della fatica umana consente però, senza edulcorazioni, di riconoscere segnali di speranza, che a prezzo di realismo, conversione ed impegno possono maturare a bene del cammino dei singoli e delle comunità verso un nuovo umanesimo cristiano. Nell’introduzione a queste note è stato sottolineato come il servizio magisteriale della Chiesa anche in questo tempo si stia rivelando straordinariamente attento ai veri drammi che travagliano il mondo e abbia trovato forme espressive nelle quali emergono profonde omologie ed assonanze con i manifesti teorici ai quali si è sin qui riferita questa ricognizione. Per tali ragioni dare ora voce in particolare al Magistero di Papa Francesco significa non solo praticare lo stesso terreno arato dalle ricerche psicosociali o filosofiche sopra valorizzate, ma rendere l’indagine ancora più severa, sebbene sostenuta dall’indefettibilità della certezza – vetero e neotestamentaria – della fiducia di Dio nell’uomo, certezza sulla quale riposa la stessa possibilità della fede e della salvezza dell’uomo in Dio. A. Una missione ecclesiale... 1. Evangelii Gaudium: accendere il fuoco nel cuore del mondo1 L’EG è stato il documento con il quale Papa Francesco ha offerto un manifesto programmatico per il suo servizio quale Successore di Pietro. 1 Francesco, Evangelii Gaudium. Esortazione apostolica sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale, Città del Vaticano 24.11.2013, n. 271. CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 49 27/09/22 16:32 50 Il dinamismo che forse più di ogni altro ha sin dall’inizio caratterizzato l’approccio pastorale di Francesco si riflette nell’esortazione pressante ad ogni cristiano ad uscire; in una temperie psicosociale contrassegnata da paura, chiusura, ripiegamento del soggetto su se stesso, ossessione per l’autodifesa, anche la Chiesa rischia di trasferire al proprio interno disposizioni analoghe, producendone una specificazione rassicurante e insidiosa: Oggi si può riscontrare in molti operatori pastorali, comprese persone consacrate, una preoccupazione esagerata per gli spazi personali di autonomia e di distensione, che porta a vivere i propri compiti come una mera appendice della vita, come se non facessero parte della propria identità. Nel medesimo tempo, la vita spirituale si confonde con alcuni momenti religiosi che offrono un certo sollievo ma che non alimentano l’incontro con gli altri, l’impegno nel mondo, la passione per l’evangelizzazione. Così, si possono riscontrare in molti operatori di evangelizzazione, sebbene preghino, un’accentuazione dell’individualismo, una crisi d’identità e un calo del fervore. Sono tre mali che si alimentano l’uno con l’altro (EG 78). Le malattie diagnosticate da Francesco esigono però di essere attentamente comprese, per evitare che il termine uscire si stemperi nel qualunquismo. Da questo punto di vista l’architettura dell’EG è forse più esigente di quanto abbiano suggerito alcuni commenti che ne hanno accompagnato la divulgazione. La figura di una chiesa in uscita si plasma a partire da una rinuncia alle sicurezze infide nell’identificazione delle quali Francesco mostra un’audacia singolare; nel documento risuonano infatti quattro ‘no’ perentori che scavano dentro l’economicismo contemporaneo: il no all’esclusione, all’idolatria, alla tirannide e alla disuguaglianza implicate dalla sacralizzazione del denaro. La Chiesa è chiamata a non contare più su una ricchezza che rassicura escludendo, una ricchezza che reclama obbedienza – per le leggi della sua acquisizione, conservazione, capitalizzazione – piuttosto che assicurare servizio, una ricchezza che assurge a codice univoco di misura di tutto e che diventa così criterio di disuguaglianza tra le persone nel disprezzo dell’uguaglianza garantita dalla comune dignità umana. Che questi ‘no’ siano indifferibili è motivato dalla portata omicida delle loro alternative, alle quali sembra però obbedire il mondo di oggi, succube del dispotismo del denaro, talvolta nella connivenza della Chiesa, non estranea a qualche opacità. Francesco di nuovo usa espressioni lontane da ogni ammorbidimento: Così come il comandamento “non uccidere” pone un limite chiaro per assicurare il valore della vita umana, oggi dobbiamo dire “no a un’economia dell’esclusione e della iniquità”. Questa economia uccide. Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di due punti in borsa. Questo è esclusione. Non si può 2. CHIAMATI DA DIO PER UNA MISSIONE NELLA SCUOLA E NELLA FP CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 50 27/09/22 16:32 51 più tollerare il fatto che si getti il cibo, quando c’è gente che soffre la fame. Questo è iniquità. Oggi tutto entra nel gioco della competitività e della legge del più forte, dove il potente mangia il più debole. Come conseguenza di questa situazione, grandi masse di popolazione si vedono escluse ed emarginate: senza lavoro, senza prospettive, senza vie di uscita. Si considera l’essere umano in se stesso come un bene di consumo, che si può usare e poi gettare. Abbiamo dato inizio alla cultura dello “scarto” che, addirittura, viene promossa. Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi non sono “sfruttati” ma rifiuti, “avanzi” (EG 53). La chiesa in uscita allora non è una chiesa curiosa o leggera, sedotta dalle effervescenze della differenza, ma una chiesa consapevole che fuori, perché esclusi, sono coloro che il Vangelo identifica come primi destinatari dell’annuncio del Regno. Non considerare chi è escluso, per la Chiesa significa preferire l’autismo all’evangelizzazione, condannandosi alla tristezza dell’accidia egoista (EG 81), del pessimismo sterile (EG 84) della mondanità spirituale (EG 93-94), della divisione e della sclerosi (EG 98). Raggiungere chi è escluso, con i differenti esodi dalle proprie sicurezze, richiesti dalle specifiche forme di esclusione, non è un’appendice dell’annuncio, ma ne costituisce piuttosto l’essenza, realizzata paradigmaticamente nella missione del Figlio di Dio. Di qui anche il carattere mondanamente dirompente dell’annuncio, sia in favore dei suoi destinatari che dei suoi messaggeri: la buona novella è giudizio che contrasta operosamente – realizzando la giustizia di Dio – l’esclusione, l’idolatria, il riduzionismo economico, la disuguaglianza. La Chiesa in uscita di Francesco è chiamata a vivere il carattere non retorico e non ideologico della fondamentale endiadi kerigmatica, quella del Regno e della sua Giustizia: Leggendo le Scritture risulta peraltro chiaro che la proposta del Vangelo non consiste solo in una relazione personale con Dio. E neppure la nostra risposta di amore dovrebbe intendersi come una mera somma di piccoli gesti personali nei confronti di qualche individuo bisognoso, il che potrebbe costituire una sorta di “carità à la carte”, una serie di azioni tendenti solo a tranquillizzare la propria coscienza. La proposta è il Regno di Dio (Lc 4,43); si tratta di amare Dio che regna nel mondo. Nella misura in cui Egli riuscirà a regnare tra di noi, la vita sociale sarà uno spazio di fraternità, di giustizia, di pace, di dignità per tutti. Dunque, tanto l’annuncio quanto l’esperienza cristiana tendono a provocare conseguenze sociali. Cerchiamo il suo Regno: «Cercate anzitutto il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6,33). Il progetto di Gesù è instaurare il Regno del Padre suo; Egli chiede ai suoi discepoli: «Predicate, dicendo che il Regno dei cieli è vicino» (Mt 10,7) (EG 180). 2. CHIAMATI DA DIO PER UNA MISSIONE NELLA SCUOLA E NELLA FP CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 51 27/09/22 16:32 52 Ma la vicinanza del Regno – e di nuovo la parola di Francesco si fa abrasiva – non si realizza se non attraverso la prossimità della carne, regola fondamentale dell’Incarnazione. Dio non ha notificato la giustizia del Regno attraverso parole, ma attraverso la Carne del Figlio, che ha mostrato di praticare a meraviglia la grammatica della carne umana: A volte sentiamo la tentazione di essere cristiani mantenendo una prudente distanza dalle piaghe del Signore. Ma Gesù vuole che tocchiamo la miseria umana, che tocchiamo la carne sofferente degli altri. Aspetta che rinunciamo a cercare quei ripari personali o comunitari che ci permettono di mantenerci a distanza dal nodo del dramma umano, affinché accettiamo veramente di entrare in contatto con l’esistenza concreta degli altri e conosciamo la forza della tenerezza. Quando lo facciamo, la vita ci si complica sempre meravigliosamente e viviamo l’intensa esperienza di essere popolo, l’esperienza di appartenere a un popolo (EG 270). L’EG declina così, in modo provocatorio e attualissimo, la sfida dell’annuncio e la conversione richiesta per praticare il dinamismo di un esodo di conversione e rinascita: congedo coraggioso dalle protesi del benessere materiale, all’apparenza rassicuranti ma in realtà debilitanti, per il denominatore comune egoistico che le rende disponibili; e fedeltà al Verbo venuto nella Carne, che nella vulnerabilità della carne elegge il luogo teologico della sua manifestazione. Per Francesco occorre corrispondere di nuovo all’audacia di Cristo, che ha inaugurato una geografia della prossimità, capace di superare le distanze più resistenti, una geografia dell’intimità, in grado di sconfiggere la solitudine dell’immunità dagli altri, una geografia della misericordia, al cui sguardo soltanto ogni miseria si trasforma in appello. Le parole di Francesco disegnano una alternativa articolata ed esplicita tanto alla paralisi della soggettività post-umana quanto al suo nomadismo disorientato e straniante: il richiamo dell’altro, nella fatica della sua carne piagata, assicura al dinamismo di chi corrisponde a quell’urgenza, una freschezza rigenerante. Solo quel nomadismo – pur esigente e faticoso – è umanamente sostenibile, perché rinnovabile è l’energia che vi si dispiega, trattandosi di amore: L’amore per la gente è una forza spirituale che favorisce l’incontro in pienezza con Dio fino al punto che chi non ama il fratello «cammina nelle tenebre» (1 Gv 2,11), «rimane nella morte» (1 Gv 3,14) e «non ha conosciuto Dio» (1 Gv 4,8). Benedetto XVI ha detto che «chiudere gli occhi di fronte al prossimo rende ciechi anche di fronte a Dio», e che l’amore è in fondo l’unica luce che «rischiara sempre di nuovo un mondo buio e ci dà il coraggio di vivere e di agire». Pertanto, quando viviamo la mistica di avvicinarci agli altri con l’intento di cercare il loro bene, allarghiamo la nostra interiorità per ricevere i più bei regali del Si- 2. CHIAMATI DA DIO PER UNA MISSIONE NELLA SCUOLA E NELLA FP CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 52 27/09/22 16:32 53 gnore. Ogni volta che ci incontriamo con un essere umano nell’amore, ci mettiamo nella condizione di scoprire qualcosa di nuovo riguardo a Dio. Ogni volta che apriamo gli occhi per riconoscere l’altro, viene maggiormente illuminata la fede per riconoscere Dio. Come conseguenza di ciò, se vogliamo crescere nella vita spirituale, non possiamo rinunciare ad essere missionari. L’impegno dell’evangelizzazione arricchisce la mente ed il cuore, ci apre orizzonti spirituali, ci rende più sensibili per riconoscere l’azione dello Spirito, ci fa uscire dai nostri schemi spirituali limitati. Contemporaneamente, un missionario pienamente dedito al suo lavoro sperimenta il piacere di essere una sorgente, che tracima e rinfresca gli altri. Può essere missionario solo chi si sente bene nel cercare il bene del prossimo, chi desidera la felicità degli altri. Questa apertura del cuore è fonte di felicità, perché «si è più beati nel dare che nel ricevere» (At 20,35). Non si vive meglio fuggendo dagli altri, nascondendosi, negandosi alla condivisione, se si resiste a dare, se ci si rinchiude nella comodità. Ciò non è altro che un lento suicidio (EG 272). 2. Laudato Si’: proteggere la nostra casa comune2 Se nell’Evangelii Gaudium Papa Francesco sottolinea l’urgenza di restituire alla Chiesa il dinamismo richiesto dall’annuncio evangelico attraverso la fatica di uscire dal moto centripeto che contraddistingue la soggettività post-umana, l’enciclica Laudato Si’ offre un messaggio dirompente sulla cultura del rifiuto o dello scarto. La lettura di questa categoria con sguardo evangelico produce un severo atto d’accusa nei confronti della cultura contemporanea, sottolineandone gli equivoci più gravi: Si producono centinaia di milioni di tonnellate di rifiuti l’anno, molti dei quali non biodegradabili: rifiuti domestici e commerciali, detriti di demolizioni, rifiuti clinici, elettronici o industriali, rifiuti altamente tossici e radioattivi. La terra, nostra casa, sembra trasformarsi sempre più in un immenso deposito di immondizia. In molti luoghi del pianeta, gli anziani ricordano con nostalgia i paesaggi d’altri tempi, che ora appaiono sommersi da spazzatura. Tanto i rifiuti industriali quanto i prodotti chimici utilizzati nelle città e nei campi, possono produrre un effetto di bio-accumulazione negli organismi degli abitanti delle zone limitrofe, che si verifica anche quando il livello di presenza di un elemento tossico in un luogo è basso. Molte volte si prendono misure solo quando si sono prodotti effetti irreversibili per la salute delle persone (LS 21). Lo scarto diviene, nelle parole di Francesco, una categoria che giudica non solo i comportamenti più diffusi nelle nostre società, ma anche le persuasioni 2 Francesco, Laudato Si’. Lettera enciclica sulla cura della casa comune, Città del Vaticano 24.05.2015, n. 13. 2. CHIAMATI DA DIO PER UNA MISSIONE NELLA SCUOLA E NELLA FP CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 53 27/09/22 16:32 54 e le teorie che vi circolano; l’orizzonte nel quale la categoria del rifiuto e dello scarto è posizionata, con le sue contraddizioni, è però eminentemente teologico: l’enciclica, infatti, poggia su una affascinante teologia della creazione. Francesco afferma che la creazione mostra un ordine interno nel quale non sono previsti il rifiuto e lo scarto come assetti irreparabili e degradati di qualcosa. Lo scarto è una invenzione della rapacità umana, contraria alla creazione; esso nomina il denominatore comune degli effetti del consumo predatorio, dalle inesorabili ricadute antropologiche: la cultura dello scarto, infatti, [...] colpisce tanto gli esseri umani esclusi quanto le cose che si trasformano velocemente in spazzatura. Rendiamoci conto, per esempio, che la maggior parte della carta che si produce viene gettata e non riciclata. Stentiamo a riconoscere che il funzionamento degli ecosistemi naturali è esemplare: le piante sintetizzano sostanze nutritive che alimentano gli erbivori; questi a loro volta alimentano i carnivori, che forniscono importanti quantità di rifiuti organici, i quali danno luogo a una nuova generazione di vegetali. Al contrario, il sistema industriale, alla fine del ciclo di produzione e di consumo, non ha sviluppato la capacità di assorbire e riutilizzare rifiuti e scorie. Non si è ancora riusciti ad adottare un modello circolare di produzione che assicuri risorse per tutti e per le generazioni future, e che richiede di limitare al massimo l’uso delle risorse non rinnovabili, moderare il consumo, massimizzare l’efficienza dello sfruttamento, riutilizzare e riciclare. Affrontare tale questione sarebbe un modo di contrastare la cultura dello scarto che finisce per danneggiare il pianeta intero, ma osserviamo che i progressi in questa direzione sono ancora molto scarsi (LS 22). Francesco, a fronte della gravità del problema, invita a considerare la lezione biblica per riscoprire il Vangelo della creazione, unica luce capace di guidare l’uomo oltre i catastrofismi paralizzanti, l’indifferenza irresponsabile, il cinismo predatorio: Per la tradizione giudeo-cristiana, dire “creazione” è più che dire natura, perché ha a che vedere con un progetto dell’amore di Dio, dove ogni creatura ha un valore e un significato. La natura viene spesso intesa come un sistema che si analizza, si comprende e si gestisce, ma la creazione può essere compresa solo come un dono che scaturisce dalla mano aperta del Padre di tutti, come una realtà illuminata dall’amore che ci convoca ad una comunione universale (LS 76). L’indicazione terminologica è particolarmente pregnante: solo l’orizzonte della relazione con Dio preserva ogni frammento della realtà dalle ossessioni egoistiche e manipolatorie dell’uomo e, insieme, assicura all’uomo una via di autentica umanizzazione. Se il pensiero occidentale si è assunto il compito di ri-educare l’uomo per vedere il mondo non come creazione, bensì come natura3, solo un’autenti- 3 Inequivocabili, in questa prospettiva, le parole di Hegel, che richiamano il senso dell’impresa illuministica nei termini di educazione dell’intelligenza umana all’orizzontalità fenome- 2. CHIAMATI DA DIO PER UNA MISSIONE NELLA SCUOLA E NELLA FP CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 54 27/09/22 16:32 55 ca impresa educativa può restituire lo sguardo umano alla propria vocazione contemplativa. Senza uno sguardo formato alla profondità dell’essere delle cose, riconosciute nel loro vincolo con il Creatore, l’uomo si priva di consapevolezze essenziali all’acquisto della sapienza; perché: Dio ha scritto un libro stupendo, «le cui lettere sono la moltitudine di creature presenti nell’universo». […] «Dai più ampi panorami alla più esili forme di vita, la natura è una continua sorgente di meraviglia e di reverenza. Essa è, inoltre, una rivelazione continua del divino». […] «Percepire ogni creatura che canta l’inno della sua esistenza è vivere con gioia nell’amore di Dio e nella speranza ». Questa contemplazione del creato ci permette di scoprire attraverso ogni cosa qualche insegnamento che Dio ci vuole comunicare, perché «per il credente contemplare il creato è anche ascoltare un messaggio, udire una voce paradossale e silenziosa». Possiamo dire che «accanto alla rivelazione propriamente detta contenuta nelle Sacre Scritture c’è, quindi, una manifestazione divina nello sfolgorare del sole e nel calare della notte». Prestando attenzione a questa manifestazione, l’essere umano impara a riconoscere sé stesso in relazione alle altre creature: «Io mi esprimo esprimendo il mondo; io esploro la mia sacralità decifrando quella del mondo» (LS 85). La rieducazione alla visibilità della creazione, nella sua differenza rispetto alla fruibilità della natura – che seduce il narcisismo tanto nella sua versione famelica che in quella dell’ecologismo misticheggiante – è allora un’autentica urgenza, che accredita la luminosa lezione di san Francesco nella sua piena attualità e offre criteri preziosi di discernimento per l’azione e la vita dell’uomo. Anzitutto nella creazione risplende l’ordine dell’amore, riflesso di una chiamata all’esistenza, animata da cura e tenerezza: «Dalla parola del Signore furono fatti i cieli» (Sal 33,6). Così ci viene indicato che il mondo proviene da una decisione, non dal caos o dalla casualità, e questo lo innalza ancora di più. Vi è una scelta libera espressa nella parola creatrice. L’universo non è sorto come risultato di un’onnipotenza arbitraria, di una dimostrazione di forza o di un desiderio di autoaffermazione. La creazione appartiene all’ordine dell’amore. L’amore di Dio è la ragione fondamentale di tutto il creato: «Tu, infatti, ami tutte le cose che esistono e non provi disgusto per nessuna delle cose che hai creato; se avessi odiato qualcosa, non l’avresti nico-scientifica dello sguardo rivolto al mondo: «Un tempo (gli uomini) avevano un cielo fatto di vasti tesori di pensieri e di immagini. Il significato di tutto ciò che è, stava nel filo di luce che tutto al cielo teneva attaccato; una volta rifugiatosi in cielo lo sguardo, anziché soffermarsi sulla presenzialità di questo mondo, vi scivolava su verso l’essenza divina, verso, se così si possa dire, una presenza fuori del mondo. L’occhio dello spirito dovette a forza venir rivolto al terreno, e qui venir trattenuto; e c’è voluto tempo assai prima di introdurre, nell’ottusità e nello smarrimento in cui si trovava il senso dell’al di qua, quella chiarezza che solo il sovraterreno possedeva, prima di riconsacrare all’interessamento umano quell’attenzione a ciò che è presente, la quale vien detta esperienza» (G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, 2 voll., La Nuova Italia, Firenze 1973, qui vol. I, 7). 2. CHIAMATI DA DIO PER UNA MISSIONE NELLA SCUOLA E NELLA FP CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 55 27/09/22 16:32 56 neppure formata» (Sap 11,24). Così, ogni creatura è oggetto della tenerezza del Padre, che le assegna un posto nel mondo. Perfino l’effimera vita dell’essere più insignificante è oggetto del suo amore, e in quei pochi secondi di esistenza, Egli lo circonda con il suo affetto. Diceva san Basilio Magno che il Creatore è anche «la bontà senza calcolo», e Dante Alighieri parlava de «l’amor che move il sole e l’altre stelle». Perciò, dalle opere create si ascende «fino alla sua amorosa misericordia» (LS 77). L’amore come ordine e l’ordine come amore sono la buona notizia della creazione, che trova luminosa attestazione come sigillo dell’agire creatore di Dio, prima di manifestarsi in un monito o imperativo morale. Non solo: la verità del legame, come vocazione dello spirito umano, risplende nell’essere della creazione, prima che nel dovere etico. La creazione smaschera la menzogna dell’egoismo autistico, dell’indifferenza irresponsabile, della solitudine invivibile. La contemplazione dell’interdipendenza delle creature è una scuola di conversione, resa persuasiva dall’eleganza pedagogica di Dio, Signore della bellezza, dell’incanto dell’essere: il dito di Dio dispone che ogni cosa si compia nel legame con l’altro, e qui l’Onnipotente rivela se stesso, conducendo l’uomo alla Sua ed alla propria verità. Francesco però conduce oltre la riflessione, per focalizzarla su un tema cruciale per il nostro tempo; secondo il Papa il disprezzo e la cecità dinanzi al creato smascherano l’indifferenza e il disimpegno per il compito essenziale ad ogni comunità: identificare, partecipare, promuovere il bene comune. Di qui il suo monito e il suo appello: Rivolgo un invito urgente a rinnovare il dialogo sul modo in cui stiamo costruendo il futuro del pianeta. Abbiamo bisogno di un confronto che ci unisca tutti, perché la sfida ambientale che viviamo, e le sue radici umane, ci riguardano e ci toccano tutti. Il movimento ecologico mondiale ha già percorso un lungo e ricco cammino, e ha dato vita a numerose aggregazioni di cittadini che hanno favorito una presa di coscienza. Purtroppo, molti sforzi per cercare soluzioni concrete alla crisi ambientale sono spesso frustrati non solo dal rifiuto dei potenti, ma anche dal disinteresse degli altri. Gli atteggiamenti che ostacolano le vie di soluzione, anche fra i credenti, vanno dalla negazione del problema all’indifferenza, alla rassegnazione comoda, o alla fiducia cieca nelle soluzioni tecniche. Abbiamo bisogno di nuova solidarietà universale (LS 14). Il richiamo alla solidarietà universale a partire dalla crisi ambientale non è ideologia; piuttosto permette di giungere all’evidenza del bene comune non attraverso la via teorica dei sillogismi della ragione, e neppure attraverso il pragmatismo – sovente delirante – dell’azione collettiva, bensì attraverso l’ascolto della creazione, quella casa comune costruita dalla Parola creativa di Dio per noi, e dunque Sua Rivelazione. 2. CHIAMATI DA DIO PER UNA MISSIONE NELLA SCUOLA E NELLA FP CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 56 27/09/22 16:32 57 Il creato uscito dalle mani di Dio è, per l’uomo, anzitutto casa e l’apprendimento della comunione che esso propizia passa attraverso la reciproca protezione e custodia che conferma l’ospitalità della dimora comune4; la logica perversa del rifiuto e dello scarto possono essere superate solo mediante la specifica declinazione domestica della relazione e dell’inclusione, altrimenti potenzialmente riducibili a strumenti opportunistici di sfruttamento degli altri e del mondo. Il creato come casa comune è invece strutturalmente inclusivo, e la risposta che esso fornisce alla domanda di abitare bene una dimora buona offre un fondamento ultimo alla duplice forma di intimità che rende il dimorare un altro nome del vivere: l’intimità che rende umana l’accoglienza e quella che rende insostituibile la prossimità. Non ci sono paradigmi più universali ed evidenti della creazione per argomentare le esigenze imprescindibili dell’esistenza umana; e nessuna protesi tecnologica, burocratica o istituzionale può surrogare l’ospitalità offerta all’uomo dalla casa comune del creato e pretendere poi di disciplinare esclusivisticamente il diritto altrui alla dimora nella creazione. La buona notizia della creazione come casa comune manifesta così uno straordinario potenziale di rinnovamento sociale, sia in direzione critica che propositiva. La fondamentale fisionomia di ogni uomo come creatura dimorante nel creato riconosce alle persone una radicale uguaglianza, in virtù della quale la stessa proprietà privata è subordinata alla destinazione universale dei beni della creazione: Oggi, credenti e non credenti sono d’accordo sul fatto che la terra è essenzialmente una eredità comune, i cui frutti devono andare a beneficio di tutti. Per i credenti questo diventa una questione di fedeltà al Creatore, perché Dio ha creato il mondo per tutti. Di conseguenza, ogni approccio ecologico deve integrare una prospettiva sociale che tenga conto dei diritti fondamentali dei più svantaggiati. Il principio della subordinazione della proprietà privata alla destinazione universale dei beni e, perciò, il diritto universale al loro uso, è una “regola d’oro” del comportamento sociale, e il «primo principio di tutto l’ordinamento etico-sociale». La tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto o intoccabile il diritto alla proprietà privata, e ha messo in risalto la funzione sociale di qualunque forma di proprietà privata. San Giovanni Paolo II ha ricordato con molta enfasi questa dottrina, dicendo che «Dio ha dato la terra a tutto il genere umano, perché essa sostenti tutti i suoi membri, senza escludere né privilegiare nessuno» (LS 93). 4 Su questo tema Silvano Petrosino ha sovente – e originalmente – valorizzato la riflessione di Lévinas per una antropologia coerente con la vocazione relazionale, responsoriale e responsabile dell’umano. Stimoli significativi si possono trovare in S. Petrosino, Capovolgimenti. La casa non è una tana, l’economia non è il business, Jaca Book, Milano 2008. 2. CHIAMATI DA DIO PER UNA MISSIONE NELLA SCUOLA E NELLA FP CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 57 27/09/22 16:32 58 Le esigenze inderogabili della giustizia e la condanna delle disuguaglianze inique trovano qui la loro giustificazione ultima. Ma, dal punto di vista propositivo, proprio il paradigma del dimorare, illuminato dalla creazione quale casa comune, mostra le implicanze di una fattiva solidarietà per la partecipazione a un destino condiviso di cura e prossimità: In seno alla società fiorisce una innumerevole varietà di associazioni che intervengono a favore del bene comune, difendendo l’ambiente naturale e urbano. Per esempio, si preoccupano di un luogo pubblico (un edificio, una fontana, un monumento abbandonato, un paesaggio, una piazza), per proteggere, risanare, migliorare o abbellire qualcosa che è di tutti. Intorno a loro si sviluppano o si recuperano legami e sorge un nuovo tessuto sociale locale. Così una comunità si libera dall’indifferenza consumistica. Questo vuol dire anche coltivare un’identità comune, una storia che si conserva e si trasmette. In tal modo ci si prende cura del mondo e della qualità della vita dei più poveri, con un senso di solidarietà che è allo stesso tempo consapevolezza di abitare una casa comune che Dio ci ha affidato. Queste azioni comunitarie, quando esprimono un amore che si dona, possono trasformarsi in intense esperienze spirituali (LS 232). E, infine, la trascendenza temporale della casa comune rispetto all’esistenza dei singoli giustifica la chiamata a una solidarietà intergenerazionale che dilata gli orizzonti del bene comune, specifica la generosità necessaria ad abitarli, e la coscienza del dono quale assetto primo dell’esistenza: La nozione di bene comune coinvolge anche le generazioni future. Le crisi economiche internazionali hanno mostrato con crudezza gli effetti nocivi che porta con sé il disconoscimento di un destino comune, dal quale non possono essere esclusi coloro che verranno dopo di noi. Ormai non si può parlare di sviluppo sostenibile senza una solidarietà fra le generazioni. Quando pensiamo alla situazione in cui si lascia il pianeta alle future generazioni, entriamo in un’altra logica, quella del dono gratuito che riceviamo e comunichiamo. Se la terra ci è donata, non possiamo più pensare soltanto a partire da un criterio utilitarista di efficienza e produttività per il profitto individuale. Non stiamo parlando di un atteggiamento opzionale, bensì di una questione essenziale di giustizia, dal momento che la terra che abbiamo ricevuto appartiene anche a coloro che verranno (LS 159). 3. Christus Vivit: essere stranieri e pellegrini sulla terra5 Un altro documento nel quale il magistero di Francesco mostra la sua sintonia con le domande e il travaglio del nostro mondo è l’Esortazione apostolica Christus Vivit, maturata dopo il Sinodo sui giovani del 2018. 5 Francesco, Christus Vivit. Esortazione apostolica post-sinodale ai giovani e a tutto il popolo di Dio, Città del Vaticano 23.03.2019, n. 91. 2. CHIAMATI DA DIO PER UNA MISSIONE NELLA SCUOLA E NELLA FP CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 58 27/09/22 16:32 59 A fronte di una società che si rapporta alla giovinezza mitizzandola in quanto categoria psicoemotiva, ma avversandola nei fatti – come attestano la crisi demografica, l’egoismo opposto alla solidarietà transgenerazionale, le eredità tristi dell’impoverimento assiologico, del degrado ambientale e della mortificazione della speranza – Francesco si affida alla giovinezza del Vangelo: Cristo vive. Egli è la nostra speranza e la più bella giovinezza di questo mondo. Tutto ciò che Lui tocca diventa giovane, diventa nuovo, si riempie di vita. Perciò, le prime parole che voglio rivolgere a ciascun giovane cristiano sono: Lui vive e ti vuole vivo! Lui è in te, Lui è con te e non se ne va mai. Per quanto tu ti possa allontanare, accanto a te c’è il Risorto, che ti chiama e ti aspetta per ricominciare. Quando ti senti vecchio per la tristezza, i rancori, le paure, i dubbi o i fallimenti, Lui sarà lì per ridarti la forza e la speranza (ChV 1-2). L’Esortazione apostolica coordina così una nozione teologica di giovinezza e l’urgenza epocale di una chiesa aperta ai giovani, alle loro domande, alle loro povertà e ricchezze. L’opzione non potrebbe essere più provocatoria: un mondo che sceglie la vecchiaia dello spirito – contraddicendo insieme la verità dello spirito umano e lo Spirito della Verità di Dio – e la giovinezza contraddittoria dell’effimero, il papa ricorda che i giovani nella chiesa sono un segno – soprattutto sono chiamati ad esserlo – della giovinezza del cuore, quella disposizione che corrisponde al dono di Dio ed è quindi chiamata a crescere lungo l’intero arco dell’esistenza. Il cuore dell’Esortazione apostolica sta forse in due numeri, nei quali la saldatura tra lo spirito della giovinezza e la giovinezza dello Spirito è presentata con efficacia ed esuberanza espressiva: Invoca ogni giorno lo Spirito Santo perché rinnovi costantemente in te l’esperienza del grande annuncio. Perché no? Non perdi nulla ed Egli può cambiare la tua vita, può illuminarla e darle una rotta migliore. Non ti mutila, non ti toglie niente, anzi, ti aiuta a trovare ciò di cui hai bisogno nel modo migliore. Hai bisogno di amore? Non lo troverai nella sfrenatezza, usando gli altri, possedendoli o dominandoli. Lo troverai in un modo che ti renderà davvero felice. Cerchi intensità? Non la vivrai accumulando oggetti, spendendo soldi, correndo disperatamente dietro le cose di questo mondo. Arriverà in una maniera molto più bella e soddisfacente se ti lascerai guidare dallo Spirito Santo. Cerchi passione? Come dice una bella poesia: innamorati! (o lasciati innamorare), perché «niente può essere più importante che incontrare Dio. Vale a dire, innamorarsi di Lui in una maniera definitiva e assoluta. Ciò di cui tu ti innamori cattura la tua immaginazione e finisce per lasciare la sua orma su tutto quanto. Sarà quello che decide che cosa ti farà alzare dal letto la mattina, cosa farai nei tuoi tramonti, come trascorrerai i tuoi fine settimana, quello che leggi, quello che sai, quello che ti spezza il cuore e quello che ti travolge di gioia e gratitudine. Innamorati! Rimani nell’amore! Tutto sarà diverso». Questo amore di Dio, che 2. CHIAMATI DA DIO PER UNA MISSIONE NELLA SCUOLA E NELLA FP CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 59 27/09/22 16:32 60 prende con passione tutta la vita, è possibile grazie allo Spirito Santo (ChV 131-132). Il riscatto della giovinezza, come riflesso terreno dello Spirito, che è Dominum et Vivificantem, è allora una vera terapia per la disperazione cronografica e l’analfabetismo kairologico di questo tempo. Solo lo Spirito sa custodire la giovinezza dell’ora, quale sia il tempo nel quale essa si presenta, facendone l’adesso di Dio: Amici, non aspettate fino a domani per collaborare alla trasformazione del mondo con la vostra energia, la vostra audacia e la vostra creatività. La vostra vita non è un “nel frattempo”. Voi siete l’adesso di Dio, che vi vuole fecondi. Perché «è dando che si riceve» e il modo migliore di preparare un buon futuro è vivere bene il presente con dedizione e generosità (ChV 178). La giovinezza come adesso di Dio è però il contrario del sogno della libertà di risolversi puntualmente ed edonisticamente nell’istante presente; l’inseguimento dell’attimo e della sua immediatezza puntuale, fuori dalla relazione – stretta dallo Spirito – con il passato e con il futuro, non può che perdersi in evanescenza cronica. Di qui l’insistenza di Francesco su una condizione essenziale alla forza della giovinezza: il suo radicamento, rappresentato con immagini molto efficaci. A volte ho visto alberi giovani, belli, che alzavano i loro rami verso il cielo tendendo sempre più in alto, e sembravano un canto di speranza. Successivamente, dopo una tempesta, li ho trovati caduti, senza vita. Poiché avevano poche radici, avevano disteso i loro rami senza mettere radici profonde nel terreno, e così hanno ceduto agli assalti della natura. Per questo mi fa male vedere che alcuni propongono ai giovani di costruire un futuro senza radici, come se il mondo iniziasse adesso. Perché «è impossibile che uno cresca se non ha radici forti che aiutino a stare bene in piedi e attaccato alla terra. È facile “volare via” quando non si ha dove attaccarsi, dove fissarsi» (ChV 179). Anche del radicamento però Francesco vuole evitare una comprensione comoda o particolaristica, tipica dei localismi, delle fossilizzazioni nostalgiche. Il passato è capace di assicurare radici feconde al presente se la sua ricchezza supporta la dedicazione, perché – come suggerisce bene l’immagine – una radice chiusa in se stessa non dà solidità alla pianta. Ogni vera radice si riconosce, nella sua qualità buona, dal nutrimento che sa mediare perché l’albero porti frutto, assecondando il suo fine, sempre riconoscibile come destinazione, come per-altro, regola aurea del creato, e dell’uomo suo vertice. 2. CHIAMATI DA DIO PER UNA MISSIONE NELLA SCUOLA E NELLA FP CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 60 27/09/22 16:32 61 L’adesso di Dio, la fecondità di un presente dalle solide radici, la giovinezza come categoria teologale sono pertanto vocazione, dedicazione per-altri: Quando uno scopre che Dio lo chiama a qualcosa, che è fatto per questo – può essere l’infermieristica, la falegnameria, la comunicazione, l’ingegneria, l’insegnamento, l’arte o qualsiasi altro lavoro – allora sarà capace di far sbocciare le sue migliori capacità di sacrificio, generosità e dedizione. Sapere che non si fanno le cose tanto per farle, ma con un significato, come risposta a una chiamata che risuona nel più profondo del proprio essere per dare qualcosa agli altri, fa sì che queste attività offrano al proprio cuore un’esperienza speciale di pienezza (ChV 273). E la vocazione, con la sua struttura esodica, fa, di colui che acconsente a uno scomodo, feriale e continuo trascendimento di sé, un pellegrino. Il migrare non è per Francesco soltanto una condizione sociale svantaggiata: nella Christus Vivit il migrare è un appello che risuona attraverso i piedi e i cuori laceri di molti che attendono accoglienza nella casa comune e dedicazione coraggiosa. Ma il migrare è anche simbolo escatologico e il migrante un monito che ricorda all’uomo la sua condizione di pellegrino in cammino verso la pienezza, chiamato alla levità necessaria al movimento e mosso dallo Spirito di giovinezza, incontenibile e inarrestabile nel sollecitare verso la meta: Come non ricordare i tanti giovani direttamente coinvolti nelle migrazioni? Queste «rappresentano a livello mondiale un fenomeno strutturale e non un’emergenza transitoria. Le migrazioni possono avvenire all’interno dello stesso Paese oppure tra Paesi diversi. La preoccupazione della Chiesa riguarda in particolare coloro che fuggono dalla guerra, dalla violenza, dalla persecuzione politica o religiosa, dai disastri naturali dovuti anche ai cambiamenti climatici e dalla povertà estrema: molti di loro sono giovani. In genere sono alla ricerca di opportunità per sé e per la propria famiglia. Sognano un futuro migliore e desiderano creare le condizioni perché si realizzi». I migranti «ci ricordano la condizione originaria della fede, ovvero quella di essere “stranieri e pellegrini sulla terra” (Eb11,13)» (ChV 91). Merita infine ascoltare Francesco quando, con paterna chiarezza, nomina le figure dello spirito che ne tradiscono la giovinezza, e indica modi e luoghi nei quali il sequestro dell’ardore e della dedicazione può diventare schiavitù, anche nelle più verdi età: Giovani, non rinunciate al meglio della vostra giovinezza, non osservate la vita dal balcone. Non confondete la felicità con un divano e non passate tutta la vostra vita davanti a uno schermo. Non riducetevi nemmeno al triste spettacolo di un veicolo abbandonato. Non siate auto parcheggiate, lasciate piuttosto sbocciare i sogni e prendete decisioni. Rischiate, anche se sbaglierete. Non soprav- 2. CHIAMATI DA DIO PER UNA MISSIONE NELLA SCUOLA E NELLA FP CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 61 27/09/22 16:32 62 vivete con l’anima anestetizzata e non guardate il mondo come se foste turisti. Fatevi sentire! Scacciate le paure che vi paralizzano, per non diventare giovani mummificati. Vivete! Datevi al meglio della vita! Aprite le porte della gabbia e volate via! Per favore, non andate in pensione prima del tempo (ChV 143). 4. Fratelli Tutti: andare oltre un mondo di soci6 Se il magistero di Francesco nei documenti sopra richiamati è incisivo ed attuale, con l’enciclica Fratelli tutti porta il Vangelo dentro la piaga più profonda e dolente di una civiltà lacerata da contraddizioni. La parabola del buon samaritano è il brano evangelico scelto da Francesco come riferimento dell’enciclica: Gesù racconta che c’era un uomo ferito, a terra lungo la strada, che era stato assalito. Passarono diverse persone accanto a lui ma se ne andarono, non si fermarono. Erano persone con funzioni importanti nella società, che non avevano nel cuore l’amore per il bene comune. Non sono state capaci di perdere alcuni minuti per assistere il ferito o almeno per cercare aiuto. Uno si è fermato, gli ha donato vicinanza, lo ha curato con le sue stesse mani, ha pagato di tasca propria e si è occupato di lui. Soprattutto gli ha dato una cosa su cui in questo mondo frettoloso lesiniamo tanto: gli ha dato il proprio tempo. Sicuramente egli aveva i suoi programmi per usare quella giornata secondo i suoi bisogni, impegni o desideri. Ma è stato capace di mettere tutto da parte davanti a quel ferito, e senza conoscerlo lo ha considerato degno di ricevere il dono del suo tempo. Con chi ti identifichi? Questa domanda è dura, diretta e decisiva. A quale di loro assomigli? Dobbiamo riconoscere la tentazione che ci circonda di disinteressarci degli altri, specialmente dei più deboli. Diciamolo, siamo cresciuti in tanti aspetti ma siamo analfabeti nell’accompagnare, curare e sostenere i più fragili e deboli delle nostre società sviluppate. Ci siamo abituati a girare lo sguardo, a passare accanto, a ignorare le situazioni finché queste non ci toccano direttamente (FT 63-64). Il testo evangelico è molto noto, ma l’inquadramento di Francesco si guarda dall’offrirne una lettura moralistica, sviluppando piuttosto, a partire da esso, un’argomentazione che si misura con la pretesa politica, giuridica e sociale della modernità, della postmodernità e del post-umano. Francesco richiama l’urgenza di una conversione culturale profonda, che consideri anzitutto la chiamata evangelica alla coscienza ed alla pratica coerente di una fraternità universale: 6 Francesco, Fratelli tutti. Lettera enciclica sulla fraternità e l’amicizia sociale, Città del Vaticano 3.10.2020, n. 102. 2. CHIAMATI DA DIO PER UNA MISSIONE NELLA SCUOLA E NELLA FP CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 62 27/09/22 16:32 63 «Fratelli tutti», scriveva San Francesco d’Assisi per rivolgersi a tutti i fratelli e le sorelle e proporre loro una forma di vita dal sapore di Vangelo. Tra i suoi consigli voglio evidenziarne uno, nel quale invita a un amore che va al di là delle barriere della geografia e dello spazio. Qui egli dichiara beato colui che ama l’altro «quando fosse lontano da lui, quanto se fosse accanto a lui». Con queste poche e semplici parole ha spiegato l’essenziale di una fraternità aperta, che permette di riconoscere, apprezzare e amare ogni persona al di là della vicinanza fisica, al di là del luogo del mondo dove è nata o dove abita (FT 1). Una simile fraternità è storicamente inaudita: il Vangelo ne illustra le condizioni di possibilità e solo una pratica del Vangelo sine glossa può approssimarne lo scandalo, celebrando, nel sacramento del fratello, l’incontro con Dio e modulando la relazione tra fratelli in obbedienza alla regola kenotica, dispiegatasi con fulgore nella croce del Figlio. Il Povero di Assisi, osando l’impossibile, è attualissimo e credibile testimone di questo scandalo: C’è un episodio della sua vita che ci mostra il suo cuore senza confini, capace di andare al di là delle distanze dovute all’origine, alla nazionalità, al colore o alla religione. È la sua visita al Sultano Malik-al-Kamil in Egitto, visita che comportò per lui un grande sforzo a motivo della sua povertà, delle poche risorse che possedeva, della lontananza e della differenza di lingua, cultura e religione. Tale viaggio, in quel momento storico segnato dalle crociate, dimostrava ancora di più la grandezza dell’amore che voleva vivere, desideroso di abbracciare tutti. La fedeltà al suo Signore era proporzionale al suo amore per i fratelli e le sorelle. Senza ignorare le difficoltà e i pericoli, San Francesco andò a incontrare il Sultano col medesimo atteggiamento che esigeva dai suoi discepoli: che, senza negare la propria identità, trovandosi «tra i saraceni o altri infedeli […], non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio». In quel contesto era una richiesta straordinaria. Ci colpisce come, ottocento anni fa, Francesco raccomandasse di evitare ogni forma di aggressione o contesa e anche di vivere un’umile e fraterna “sottomissione”, pure nei confronti di coloro che non condividevano la loro fede (FT 3). Sulla base di queste premesse Papa Francesco ribadisce la necessità di un superamento delle divisioni fratricide e di un recupero della coscienza di quanto la mancanza di fraternità produca emarginazione, ingiustizia, conflitto, e insieme privi l’umanità di quello spirito di unità universale indispensabile a fronteggiare le emergenze planetarie rispetto alle quali ogni altro mezzo è sproporzionato al compito. Culturalmente dirompente però è l’argomentazione con la quale Francesco coordina l’universalismo della parola tutti con la densità della parola fratello, con un solido fondamento cristiano ma con un pensiero apprezzabile meta-confessionalmente. 2. CHIAMATI DA DIO PER UNA MISSIONE NELLA SCUOLA E NELLA FP CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 63 27/09/22 16:32 64 L’enciclica offre infatti un’antropologia della relazione; relazione che, nella sua specificità umana, necessita di integrare prossimità e distanza in una tensione che non può non smentire se stessa se non vive di un anelito universale: D’altra parte, non posso ridurre la mia vita alla relazione con un piccolo gruppo e nemmeno alla mia famiglia, perché è impossibile capire me stesso senza un tessuto più ampio di relazioni: non solo quello attuale ma anche quello che mi precede e che è andato configurandomi nel corso della mia vita. La mia relazione con una persona che stimo non può ignorare che quella persona non vive solo per la sua relazione con me, né io vivo soltanto rapportandomi con lei. La nostra relazione, se è sana e autentica, ci apre agli altri che ci fanno crescere e ci arricchiscono. Il più nobile senso sociale oggi facilmente rimane annullato dietro intimismi egoistici con l’apparenza di relazioni intense. Invece, l’amore che è autentico, che aiuta a crescere, e le forme più nobili di amicizia abitano cuori che si lasciano completare. Il legame di coppia e di amicizia è orientato ad aprire il cuore attorno a sé, a renderci capaci di uscire da noi stessi fino ad accogliere tutti. I gruppi chiusi e le coppie autoreferenziali, che si costituiscono come un “noi” contrapposto al mondo intero, di solito sono forme idealizzate di egoismo e di mera auto protezione (FT 89). La fraternità che manchi della conferma nella prossimità è falsa, ma se la prossimità non produce la consapevolezza dell’essenzialità di ogni altro, proprio in quanto altro, alla costituzione dell’identità di me, la stessa prossimità decade a ideologia particolaristica. Pertanto, l’unica posizione propria e degna del tu, che gli viene assegnata dall’ontologia della persona, e non da una sua opzione buonista, è tra l’io e se stesso. Infatti, nessun umano può pervenire a se stesso senza la mediazione dell’altro che, sin dalle prime esperienze dell’accudimento, si mostra più vicino all’accudito di quanto questi non lo sia a se stesso; per questo l’apparizione dell’altro è essenziale, con la sua dedicazione, perché l’accudito – ogni umano dunque – trovi se stesso. Se alla verità circa la posizione strategica dell’altro più prossimo a me di me stesso, si aggiunge l’innegabile evidenza della ricchezza e diversità di ogni altro, la constatazione del ruolo formativo non soltanto della fraternità, ma della fraternità universale diventa imprescindibile; e fuori di questa verità può regnare soltanto l’impoverimento del singolo ma anche di ogni comunità e della sua consapevolezza e visione del mondo: Riscontriamo che una persona, quanto minore ampiezza ha nella mente e nel cuore, tanto meno potrà interpretare la realtà vicina in cui è immersa. Senza il rapporto e il confronto con chi è diverso, è difficile avere una conoscenza chiara e completa di sé stessi e della propria terra, poiché le altre culture non sono nemici da cui bisogna difendersi, ma sono riflessi differenti della ricchezza ine- 2. CHIAMATI DA DIO PER UNA MISSIONE NELLA SCUOLA E NELLA FP CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 64 27/09/22 16:32 65 sauribile della vita umana. Guardando sé stessi dal punto di vista dell’altro, di chi è diverso, ciascuno può riconoscere meglio le peculiarità della propria persona e della propria cultura: le ricchezze, le possibilità e i limiti. L’esperienza che si realizza in un luogo si deve sviluppare “in contrasto” e “in sintonia” con le esperienze di altri (FT 147). Di qui si comprende come le alternative tra apertura e identità siano pretestuose: In realtà, una sana apertura non si pone mai in contrasto con l’identità. Infatti, arricchendosi con elementi di diversa provenienza, una cultura viva non ne realizza una copia o una mera ripetizione, bensì integra le novità secondo modalità proprie. Questo provoca la nascita di una nuova sintesi che alla fine va a beneficio di tutti, poiché la cultura in cui tali apporti prendono origine risulta poi a sua volta alimentata (FT 148). e riflettano uno svilimento del legame umano insieme all’illusione che la persona possa praticare l’ideale monadico, quando tale ideale è menzogna e tradimento dell’esistenza personale: La persona umana, coi suoi diritti inalienabili, è naturalmente aperta ai legami. Nella sua stessa radice abita la chiamata a trascendere sé stessa nell’incontro con gli altri. Per questo «occorre prestare attenzione per non cadere in alcuni equivoci che possono nascere da un fraintendimento del concetto di diritti umani e da un loro paradossale abuso. Vi è infatti oggi la tendenza verso una rivendicazione sempre più ampia di diritti individuali – sono tentato di dire individualistici –, che cela una concezione di persona umana staccata da ogni contesto sociale e antropologico, quasi come una “monade” (monás), sempre più insensibile […]. Se il diritto di ciascuno non è armonicamente ordinato al bene più grande, finisce per concepirsi senza limitazioni e dunque per diventare sorgente di conflitti e di violenze» (FT 111). Argomentata l’essenzialità del nesso tra i termini fratelli e tutti contro la deriva ideologica di entrambi, l’enciclica denuncia senza reticenze gli equivoci della triade illuminista di libertà, uguaglianza e fraternità, pietra miliare della modernità e orgoglioso vanto della sua avanguardia politica, sociale e culturale. Papa Francesco afferma come, senza la riabilitazione della fraternità nella forma ontologica illustrata, anche la libertà e l’uguaglianza divengono fittizie e l’esplosione della violenza fratricida diviene il destino di ogni gruppo aggregato per interesse: Ignorare l’esistenza e i diritti degli altri, prima o poi provoca qualche forma di violenza, molte volte inaspettata. I sogni della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità possono restare al livello delle mere formalità, perché non sono ef- 2. CHIAMATI DA DIO PER UNA MISSIONE NELLA SCUOLA E NELLA FP CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 65 27/09/22 16:32 66 fettivamente per tutti. Pertanto, non si tratta solamente di cercare un incontro tra coloro che detengono varie forme di potere economico, politico o accademico. Un incontro sociale reale pone in un vero dialogo le grandi forme culturali che rappresentano la maggioranza della popolazione. Spesso le buone proposte non sono fatte proprie dai settori più impoveriti perché si presentano con una veste culturale che non è la loro e con la quale non possono sentirsi identificati. Di conseguenza, un patto sociale realistico e inclusivo dev’essere anche un “patto culturale”, che rispetti e assuma le diverse visioni del mondo, le culture e gli stili di vita che coesistono nella società (FT 219). Giova forse ribadire, in conclusione, l’efficacissima e sintetica sottolineatura che l’enciclica offre della contraddizione delle attuali società. Se le analisi riferite in apertura di questo contributo, tratte dagli studi sulla estensione indebita del codice mercatista a ogni ambito dell’umano, mostravano quanto i valori di una comunità si pervertono in una traduzione monetaria, Francesco non esita a nominare come mondo di soci l’esperimento comunitario che continua a sedurre questo tempo. Così il mainstream e l’universo politico-istituzionale che gli corrisponde, dopo aver svuotato la fraternità declinandola particolaristicamente, la libertà e l’uguaglianza svilendole formalisticamente, non ha potuto che eleggere come assoluti il mercato e la finanza, confermandone l’egoismo dispotico e sistemico rispetto ai quali il Vangelo è insensatezza e la figura del Buon Samaritano insipiente: Quale reazione potrebbe suscitare oggi questa narrazione, in un mondo dove compaiono continuamente, e crescono, gruppi sociali che si aggrappano a un’identità che li separa dagli altri? Come può commuovere quelli che tendono a organizzarsi in modo tale da impedire ogni presenza estranea che possa turbare questa identità e questa organizzazione autodifensiva e autoreferenziale? In questo schema rimane esclusa la possibilità di farsi prossimo, ed è possibile essere prossimo solo di chi permetta di consolidare i vantaggi personali. Così la parola “prossimo” perde ogni significato, e acquista senso solamente la parola “socio”, colui che è associato per determinati interessi (FT 102). In un mondo di soci non c’è spazio per il fratello, e anche quando la sua controfigura particolaristica sembra mobilitare energie di bene, l’utilitarismo, il settarismo e l’ingiustizia, di fatto, animano le relazioni. La parola di Papa Francesco non potrebbe essere più efficace; tanto scarni e sobri sono i passi sull’amore e asciutti quelli sulla carità, forte è l’insistenza sull’amicizia sociale strappata a ogni nominalismo o poesia e ancorata allo scomodo vincolo tra quelle due parole fratelli tutti, che accendono un’autentica scommessa per un nuovo umanesimo, dell’intelligenza, del cuore e dello spirito. 2. CHIAMATI DA DIO PER UNA MISSIONE NELLA SCUOLA E NELLA FP CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 66 27/09/22 16:32 67 B. ...secondo il carisma salesiano Dopo aver valorizzato le considerazioni di vari autori in ordine alle nervature più cospicue dell’orizzonte psicosociale di questo tempo per nominare le sfide che oggi raggiungono il servizio educativo salesiano alla crescita e formazione dei giovani, si è dovuto constatare come, anche ad un modesto impegno ricognitivo e riflessivo, risultano evidenti le criticità della costruzione antropologico-sociale moderna, amplificate dalla postmodernità ed esacerbate dal post-umanesimo, anche a seguito di tre detonatori – civile, finanziario, sanitario – di una crisi di singolare profondità che travaglia il presente. Il magistero della chiesa, con la voce di Papa Francesco, offre una diagnosi rigorosa e severa di questo affanno: riportandolo a una relazionalità malata dell’uomo con se stesso, con il creato, con gli altri, con Dio; una relazionalità risucchiata in forme di autismo egoistico che promettono solidità e realizzano friabilità esistenziale sia per il singolo che per la collettività. Il magistero salesiano si è posto in ascolto tanto delle sfide di questo tempo, traguardandole attraverso la sensibilità specifica per le sorti del mondo giovanile, quanto delle risposte ecclesiali. Diventa pertanto significativo considerare, a conclusione di questa riflessione, la declinazione salesiana della sollecitudine educativa, diretta soprattutto ai giovani, in quest’ora del mondo e della Chiesa, nella luce di un assunto costituzionale7 di fondo, del magistero più recente dei Capitoli Generali, e della sintesi offerta da Papa Francesco nel suo messaggio rivolto ai figli di Don Bosco nel 2020. 1. Il criterio oratoriano e lo spirito di famiglia I due fuochi che specificano carismaticamente la sollecitudine nei confronti dell’universo giovanile da parte della missione salesiana, chiaramente espressi nel testo costituzionale, sono, per un verso, la qualità familiare della carità pastorale: Don Bosco ha vissuto e ci ha trasmesso, sotto l’ispirazione di Dio, uno stile originale di vita e di azione: lo spirito salesiano. Il suo centro e la sua sintesi è la carità pastorale, caratterizzata da quel dinamismo giovanile che si rivelava così forte nel nostro Fondatore e alle origini della nostra Società: è uno slancio apostolico che ci fa cercare le anime e servire solo Dio (C 10). Don Bosco voleva che nei suoi ambienti ciascuno si sentisse «a casa sua». La casa salesiana diventa una famiglia quando l’affetto è ricambiato e tutti, confratelli e giovani, si sentono accolti e responsabili del bene comune. In clima 7 Cfr.: Costituzioni della Società di san Francesco di Sales, Editrice S.D.B., Roma 2003. 2. CHIAMATI DA DIO PER UNA MISSIONE NELLA SCUOLA E NELLA FP CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 67 27/09/22 16:32 68 di mutua confidenza e di quotidiano perdono si prova il bisogno e la gioia di condividere tutto e i rapporti vengono regolati non tanto dal ricorso alle leggi, quanto dal movimento del cuore e della fede (C 16). e, per un altro, il criterio oratoriano: Don Bosco visse una tipica esperienza pastorale nel primo oratorio, che fu per i suoi giovani casa che accoglie, parrocchia che evangelizza, scuola che avvia alla vita e cortile per incontrarsi da amici e vivere in allegria. Nel compiere oggi la nostra missione, l’esperienza di Valdocco rimane criterio permanente di discernimento e rinnovamento di ogni attività ed opera (C 40). Innegabile riconoscere come la forza di questi orientamenti sia di assoluta attualità. Nella caratterizzazione familiare della carità pastorale, non solo la missione salesiana diviene luogo testimoniale di una verità teologale, ma la drammatica attualità della crisi della famiglia trova un parametro esigente di attestazione della sua gravità e di indicazione della possibilità di una sua cura. Nel criterio oratoriano è custodito invece un paradigma antropologico integrale, con il complesso bilanciamento dei suoi lineamenti: il carattere ontologicamente portante dell’esperienza di trascendenza, la qualità esistenzialmente primaria della dimensione affettiva, l’irrinunciabilità dell’ecologia e della libertà conoscitiva, la pregustazione – nell’allegria vitale – della gioia senza fine per la quale Dio ha creato ciascuno dei suoi figli. Nella coscienza di questa ricchezza carismatica, la Congregazione salesiana si è chiesta come rispondere alle sfide dell’ora presente, focalizzando nel CG27 le esigenze della vocazione consacrata salesiana e nel CG28 le implicanze della destinazione giovanile della testimonianza credente di ciascun figlio di Don Bosco. 2. Il CG 27: mistici, profeti e servi La conversione alla quale i salesiani di Don Bosco sono stati chiamati dal CG27 è nominata molto efficacemente dalle tre parole – mistici, profeti, servi – che hanno segnato il cammino di preparazione dei lavori capitolari, ma anche il confronto dell’assemblea e la redazione del documento finale, circostanziando il tema centrale del capitolo: Testimoni della radicalità evangelica. La fortuna di queste parole, pari alla loro audacia, ha tutti i caratteri di una pro-vocazione dello Spirito. La lettera di indizione del CG 27, affermando la crucialità dell’interrogativo identitario, così illustra le tre chiamate che raggiungono ogni figlio di Don Bosco, a bene della qualità della sua testimonianza. Egli ha da essere: 2. CHIAMATI DA DIO PER UNA MISSIONE NELLA SCUOLA E NELLA FP CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 68 27/09/22 16:32 69 Un mistico: in un mondo che comincia a far sentire sempre più chiaramente la sfida del secolarismo, abbiamo bisogno di «trovare una risposta nel riconoscimento del primato assoluto di Dio», attraverso la «totale donazione di sé» e nella «conversione permanente di un’esistenza offerta come vero culto spirituale». Un profeta: «Nell’odierna situazione multiculturale e religiosa viene sollecitata la testimonianza della fraternità evangelica». Le nostre comunità religiose sono chiamate a essere coraggiose nel vivere il Vangelo come modello alternativo di vita e «stimolo alla purificazione, all’integrazione di valori diversi, mediante il superamento delle contrapposizioni». Un servo: «La presenza di nuove forme di povertà e di emarginazione deve suscitare la creatività nel prendersi cura dei più bisognosi»; ciò ha segnato la nascita della nostra Congregazione e produrrà la rinascita delle nostre Ispettorie, a beneficio dei giovani poveri e di quelli emarginati per ragioni economiche, sessuali, razziali o religiose8. I lineamenti del salesiano restituiti da questi tre termini sono gravidi di implicanze per la qualità della missione educativa. L’esplicito ricorso alla parola mistico riflette non solo la coscienza, sempre da rinnovare, di una vita posta sotto la luce del primato di Dio, ma la consapevolezza della vertigine dell’incontro con Dio che sola può riplasmare l’interiorità più profonda del consacrato, mentre ne requisisce credibilmente la storia in ogni sua espressione. La tradizione salesiana si avvale dell’espressione unione con Dio, e questo radica il termine mistica in una specifica tradizione carismatica; ma non si può tacere il fatto che la pregnanza del termine mistico sottrae alla possibile usura un’accezione mortificata dell’unione con Dio, intesa come pratica religiosa modesta, priva di fuoco, di visibilità, di storia testimoniale. La mistica dell’unione con Dio, nella totalità della dedizione e delle sue rinunce, richiede pieno vigore e fedeltà appassionata alla consacrazione salesiana: La nostra mistica si esprime come umanizzazione profonda della vita personale e comunitaria (Cfr. Evangelii Gaudium, 87, 92, 266). Essa si radica nel mistero dell’Incarnazione: Gesù ha fatto proprie le necessità e le aspirazioni della gente e ha compiuto la volontà del Padre suo nella costruzione del Regno. Don Bosco ha vissuto e ci ha trasmesso uno stile originale di unione con Dio da vivere sempre (cfr. C 12, 21, 95) e dovunque secondo il criterio oratoriano (cfr. C 40). Il salesiano, dunque, testimonia Dio quando si spende per i giovani 8 P. Chávez Vill anueva, Chiamati a vivere in fedeltà il progetto apostolico, ACG 413 (2012). 2. CHIAMATI DA DIO PER UNA MISSIONE NELLA SCUOLA E NELLA FP CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 69 27/09/22 16:32 70 e sta con loro con dedizione sacrificata “fino all’ultimo respiro”, vive il “cetera tolle”, sa raccontare loro la propria esperienza del Signore (ACG 418, n. 33) 9. Anche il termine profeta si caratterizza per una forza specifica, assicuratagli dalla intensità con la quale riferisce un caposaldo dell’esperienza biblica. La profezia è parola e segno, è messaggio e annunciatore, fuori da ogni riduzionismo o funzionalismo parenetico. Ma la profezia è anche la firma di Dio sul senso del tempo, che annuncia il modo in cui il presente deve animarsi di memoria del passato e di tensione verso il futuro: profezia non è magia preveggente, ma è competenza per l’oggi di Dio nel quale ha da prodursi conversione, nella luce di un passato di meraviglie, miserie e misericordie, e di un futuro promesso, non assicurato alla prevedibilità, ma affidato alla Provvidenza di Dio. Scommettere sul termine profezia, per l’identità salesiana, e radicarlo nelle impegnative esigenze della vita comune – che nella miseria della carne dei figli di Dio può e ha da essere vestigium Trinitatis – significa evangelizzare la confusa domanda di prossimità e reciprocità che tormenta questo tempo di analfabetismo comunionale: Riconosciamo che la vita di comunità è uno dei modi di far esperienza di Dio. Vivere la “mistica della fraternità” (Cfr. EG 87, 92.) è un elemento essenziale della nostra consacrazione apostolica e un grande aiuto per essere fedeli ad essa. Vi è un chiaro legame con la nostra missione e con il mondo giovanile, assetato di comunicazione autentica e di relazioni trasparenti. In un’epoca di disgregazione familiare e sociale, offriamo un’alternativa di vita basata sul rispetto e sulla cooperazione con l’altro; in un tempo segnato da disuguaglianza e ingiustizia, offriamo una testimonianza di pace e di riconciliazione (C 49). La comunità rivela se stessa anche nella missione comune. L’unanimità nell’azione apostolica realizza la profezia della comunità e tale testimonianza favorisce il nascere di nuove vocazioni (ACG 418, n. 40). Il termine servo infine, mostra una ricchezza di nuovo singolare. La profezia veterotestamentaria gli assegna una indiscussa centralità nella prefigurazione dell’inaudito evangelico, e il Nuovo testamento, in particolare san Giovanni, ne riferisce l’uso scandaloso – nei fatti e nelle parole – da parte di Gesù, che intende disambiguare le congiunture favorevoli della sua missione, quelle accompagnate da successo mondano. Solo qualificandosi e agendo come servo, il Signore può condensare il senso della sua missione e anticipare la verità della sua Passione, che avrà da definire essenzialmente l’essere del discepolo, e rivelare il cuore di Dio, nella cui eternità i suoi figli Lo contempleranno intento, con le vesti cinte ai fianchi, a servirli. 9 “Testimoni della radicalità evangelica”. Lavoro e temperanza, Documenti del CG27, ACG 418 (2014). 2. CHIAMATI DA DIO PER UNA MISSIONE NELLA SCUOLA E NELLA FP CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 70 27/09/22 16:32 71 Il termine servo viene così valorizzato dal CG27 per sottolineare quello svuotamento di sé essenziale alla povertà del discepolo-apostolo che voglia uscire da sé e raggiungere le periferie – di differente indole – alla volta delle marginalità scomode, riconosciute e praticate solo con la vertigine dell’ascesi: Vogliamo essere una Congregazione di poveri per i poveri. Come Don Bosco riteniamo che questo sia il nostro modo di vivere con radicalità il Vangelo, così da essere più disponibili e pronti ad aderire alle esigenze dei giovani, operando nella nostra vita un autentico esodo verso i più bisognosi (cfr. EG 105106). Gli immigrati, i profughi e i giovani disoccupati ci interpellano come salesiani in tutte le parti del mondo: ci invitano a trovare forme di collaborazione e ci spronano a dare risposte concrete e ad avere una mentalità più aperta, solidale e coraggiosa [Cfr. EG 210] (ACG 418, n. 55). Tanto il documento del CG27 è sobrio, quanto l’ermeneutica che produce del suo focus, Testimoni della radicalità evangelica, attraverso i termini mistici, profeti e servi è penetrante per le esigenze di conversione che articola. Per il CG27, una missione salesiana che non semantizzasse, nella dedizione pastorale, quei tre termini in modo inequivoco e persuasivo, perderebbe la sintonia con il kairos di Dio; ma servire i giovani attraverso tale testimonianza significa offrire loro lo scandalo evangelico di un paradigma esistenziale e culturale, antropologico e civile alternativo rispetto alle convinzioni del mondo d’oggi. 3. Il CG 28: lo spessore sacramentale della presenza e del carisma Il CG28, svoltosi nelle difficili settimane di rapida propagazione della pandemia da Covid-19, ha affidato al Rettor Maggiore il compito di raccogliere, attraverso chiare linee programmatiche, i contributi maturati nel confronto capitolare, nonostante la contrazione del calendario imposta dall’emergenza sanitaria. La riflessione postcapitolare, articolata in 8 linee programmatiche, può essere ripresa nel suo intento di fondo attraverso la considerazione di un termine al quale affida la speranza della propria efficacia: il termine sacramento. Nel termine sacramento viene a parola l’essere della Chiesa, e dei doni di Grazia a lei affidati, per una perpetuazione storica del Mistero Pasquale così, che la destinazione universale dell’oblazione del Signore possa essere piena ed effettiva. L’immediatezza semantica e l’ermeneutica più consueta vede nel termine sacramento la triplice allusione all’immediatezza accessibile e normata del significante, all’eccedenza creduta del significato, e alla sua efficacia nella libertà che si dispone all’accoglienza credente. La grammatica evangelica, invece, con la ricchezza della sua simbolica esistenziale, illumina il sacramento nei termini di epifania definitiva di Dio 2. CHIAMATI DA DIO PER UNA MISSIONE NELLA SCUOLA E NELLA FP CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 71 27/09/22 16:32 72 nella carne del Figlio; un’epifania assegnata alla credibilità luminosa e scandalosa di un amore ostinato, ma vulnerabile ad ogni possibile contraddizione e rifiuto. Il Vangelo istituisce la grammatica sacramentale regolandola sulla storia del Figlio: storia di una libertà nella carne, storica dunque, ma adempiuta perché obbediente, consegnata e amante. Di qui anche la regola d’oro dell’efficacia sacramentale: solo nella libertà del Figlio inchiodatasi nell’obbedienza al Padre e nel canone del gesto celebrativo ecclesiale è accessibile un’autentica fonte di liberazione della libertà ferita. La libertà finita e ferita, se liberamente accoglie lo scandalo del Figlio – preveniente anche nel rendere possibile la propria accoglienza, ma esigente nel destinarsi in Libertà soltanto alla libertà – incontra il sacramento della Verità del Padre e trova salvificamente se stessa. E che, della manifestazione del Figlio, non possa essere scontato lo scandalo presso il quale si istituisce il compito dell’accoglienza in libertà, lo attesta – proprio malgrado – la contraddizione del sacramento prodotta dall’impermeabilità incredula della pretesa magica. La regola evangelica, in questi termini, mostra la profondità insuperabile del termine sacramento, usato in riferimento alla presenza, quale cuore della missione salesiana e della sua fedeltà carismatica. Il sacramento della presenza può essere evocato con accenni feriali: la presenza salesiana è una presenza speciale, per cui il salesiano tratta i giovani con profondo rispetto, li incontra al loro livello di libertà, e li tratta come soggetti attivi e responsabili della comunità educativo-pastorale. Per questo, il salesiano impara uno stile di ascolto, dialogo e discernimento personale e comunitario. E questo vale non solo nella pastorale tra i giovani ma anche nelle nostre case di formazione, dove “si impara a essere salesiani”. Ma questa modalità di presenza non è possibile se si è distanti dai giovani: lontani da loro fisicamente e lontani dalla loro psicologia e dal loro mondo culturale. Il pericolo è questo. La giusta alternativa è quella di vivere come salesiani, come figli di Don Bosco, la stessa esperienza di paternità che egli ha vissuto con i suoi ragazzi, che si traduce in un vero amore e nello stesso tempo in una reale “autorevolezza” nei confronti degli stessi ragazzi (ACG 433, n. 27).10 ma bisogna guardarsi dal silenziarne la portata con un nominalismo minimalista e d’occasione. L’appello a una rinnovata passione salesiana nei termini di presenza sacramentale tra i giovani costringe ogni consacrato all’interrogazione circa la qualità del suo essere segno (l’immediatezza accessibile dell’esserci), la pre- 10 “Quali salesiani per i giovani d’oggi?”, Riflessione postcapitolare della Società di San Francesco di Sales, ACG 433 (2020). 2. CHIAMATI DA DIO PER UNA MISSIONE NELLA SCUOLA E NELLA FP CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 72 27/09/22 16:32 73 gnanza trascendente del suo significato (esserci nella coerenza di una totalità vocazionale) l’efficacia dell’affidamento che esso suscita presso i destinatari della missione (riflesso di un accreditamento riuscito). Se poi il sacramento della presenza si misura sulla drammaticità del suo analogo evangelico la verifica va alla qualità salvifica della dedizione richiesta dalla vocazione salesiana. Ogni relazione tra persone e ogni forma di prossimità sortisce una reciproca intimità di due libertà, e il mutuo scambio tra due mondi interiori, scambio del quale la qualità dell’incontro decide genere e livello di profondità. La libertà – a dispetto della visione monadica del soggetto, che la ritiene impermeabile – inventa dispiegamenti dell’essere personale che strutturalmente raggiungono il mondo altrui lasciandovi tracce di bene o di inganno, tracce che a loro volta attendono la corrispondenza della libertà altrui chiamata a consentire loro11. Per questo, il sacramento cristiano compie – secondo la massima intensità possibile – la logica dell’incontro personale interumano, nei termini di incontro sempre liberante o schiavizzante di libertà grazie a gesti nei quali reciprocamente si nutrono promesse di mondi interiori salvati o insidie di mondi interiori guasti. Nessuna simulazione trattiene la corruzione del mondo interiore di una persona dal traboccare – insidiandolo – nel prossimo, come nessuna dedicazione piena può essere trattenuta da colui che in libertà vi si impegna e non chiamare in giudizio un destinatario per la forma dell’affidamento e del rifiuto che concede a quella dedicazione. La scelta di affidare l’opzione preferenziale per gli ultimi, l’effettività della presenza e il coraggio della pratica delle periferie al codice sacramentale, se non vuole ridursi ad escamotage nominalistico è dunque monito severo ad ogni salesiano per una pratica coerente del codice di prossimità dell’umano, 11 Sul tema dell’incontro personale nei termini di incontro di universi interiori affidati alla libertà che ne decide il dispiegamento nella dedicazione e nell’incontro interpersonale, Edith Stein ha scritto pagine di straordinaria finezza: «L’esaurimento psichico può fare in modo che anche di fronte agli esseri umani, senza che ci si chiuda ad essi, ci si comporti in modo indifferente, non si entri in essi, come sarebbe necessario, per riceverne qualcosa. Può accadere anche che qualcosa fluisca da un essere umano, senza che sia da lui o da me desiderato, ed entri in me. Se egli è traboccante di forza e freschezza, qualcosa passa in me, sperimento un influsso “vivificante”, un incremento del mio essere spirituale che mi rende ora nuovamente capace di una maggiore attività spirituale. Se ora, attratto dalla sua freschezza vivificante, mi volgo con interesse verso di lui, gioirò forse a motivo della sua freschezza. E questa gioia, un atto caratteristico che viene dal profondo e conduce alla stessa profondità ciò che afferra, è essa stessa qualcosa da cui parte un effetto vivificante che comporta un incremento d’essere. Tutto ciò che denominiamo “movimento dell’animo”, gioia e dolore, speranza e paura, ecc., ha la peculiarità di agire sullo “stato vitale” dell’essere umano, incrementa la sua forza o la consuma» (E. Stein, La struttura della persona umana [Opere di Edith Stein], Città Nuova, Roma 2000, 162-163). 2. CHIAMATI DA DIO PER UNA MISSIONE NELLA SCUOLA E NELLA FP CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 73 27/09/22 16:32 74 costantemente purificato nella Grazia del mistero pasquale e nell’esemplarità carismatica di don Bosco. 4. Papa Francesco e l’Opzione Valdocco È ora fondamentale, per la chiusura di queste considerazioni, il confronto con il messaggio di Papa Francesco al CG28, sobrio e – come è nello stile di Francesco – estremamente concreto e incisivo. Al cuore del suo messaggio il Papa pone l’Opzione Valdocco, circostanziata attraverso inviti decisi e rivolti a ciascun salesiano che è bene considerare con attenzione. Un primo invito riguarda il superamento dell’alternativa tra ottimismo e pessimismo: Né il pessimismo né l’ottimismo sono doni dello Spirito, perché entrambi provengono da una visione autoreferenziale capace solo di misurarsi con le proprie forze, capacità o abilità, impedendo di guardare a ciò che il Signore attua e vuole realizzare tra di noi (Cf. ChV 35). Né adattarsi alla cultura di moda, né rifugiarsi in un passato eroico ma già disincarnato. In tempi di cambiamenti, fa bene attenersi alle parole di San Paolo a Timoteo: «Per questo motivo ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te per l’imposizione delle mie mani. Dio, infatti, non ci ha dato uno Spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza» (2 Tm 1,6-7). Queste parole ci invitano a coltivare un atteggiamento contemplativo, capace di identificare e discernere i punti nevralgici. Questo aiuterà ad addentrarsi nel cammino con lo spirito e l’apporto proprio dei figli di Don Bosco e, come lui, sviluppare una «valida rivoluzione culturale»12. Il richiamo del Papa sottolinea la peculiarità dello sguardo acceso, purificato e richiesto dalla verità della fede: solo la fede corrisponde alla kairologia di Dio che abita, per la legge dell’Incarnazione, la contraddizione delle cronografie umane, sempre a rischio di fughe nel passato o nel futuro, di accentuazioni unilaterali, di polarizzazioni semplificanti. In questa luce, Opzione Valdocco non significa sacralizzazione di una cronaca, ma coscienza della fontalità carismatica di un’esperienza storica, che – per l’azione dello Spirito, sorgente di ogni carisma – testimonia la ricchezza del Mistero Pasquale in un preciso tempo dell’uomo, per offrire a molti un cammino di salvezza e santificazione, pienamente ecclesiale e specificato dall’esperienza di fede di don Bosco. La mortificazione carismatica di Valdocco, che si produce quando ne viene tacitata la forza di criterio di discernimento per l’oggi, riflette una debo- 12 Messaggio di Sua Santità Papa Francesco ai membri del CG28, in ACG 433 (2020), 55-65, qui 56. 2. CHIAMATI DA DIO PER UNA MISSIONE NELLA SCUOLA E NELLA FP CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 74 27/09/22 16:32 75 lezza di esperienza spirituale dei figli di don Bosco, che non può avere per conseguenza che qualunquismo e insignificanza pastorale. L’Opzione Valdocco illumina così, alla luce della Pasqua, secondo la verità del Vangelo, attraverso il prisma della salesianità, i destinatari della missione: Gli interlocutori di Don Bosco ieri e del salesiano oggi non sono meri destinatari di una strategia progettata in anticipo, ma vivi protagonisti dell’oratorio da realizzare. Per mezzo di loro e con loro il Signore ci mostra la sua volontà e i suoi sogni. Potremmo chiamarli co-fondatori delle vostre case, dove il salesiano sarà esperto nel convocare e generare questo tipo di dinamiche senza sentirsene il padrone. Un’unione che ci ricorda che siamo “Chiesa in uscita” e ci mobilita per questo: Chiesa capace di abbandonare posizioni comode, sicure e in alcune occasioni privilegiate, per trovare negli ultimi la fecondità tipica del Regno di Dio. Non si tratta di una scelta strategica, ma carismatica. Una fecondità sostenuta in base alla croce di Cristo, che è sempre ingiustizia scandalosa per quanti hanno bloccato la sensibilità davanti alla sofferenza o sono scesi a patti con l’ingiustizia nei confronti dell’innocente13. Opzione Valdocco significa sguardo sui giovani non compromesso da unilateralità sociologiche, assunti ideologici, cultura dello scarto, contraddizioni personali, astenia vocazionale; piuttosto significa partecipazione – per Grazia – allo sguardo del Signore, che in don Bosco diventa ardore del da mihi animas, nella luminosità del quale, per il Santo dei giovani, è maturato ogni incontro personale e ogni azzardo missionario. Opzione Valdocco significa anche prossimità, prossimità autenticamente umana, che riconosce le possibilità di ciascuno perché: [...] coloro che accompagnano altri a crescere devono essere persone dai grandi orizzonti, capaci di mettere insieme limiti e speranza, aiutando così a guardare sempre in prospettiva, in una prospettiva salvifica. Un educatore «che non teme di porre limiti e, al tempo stesso, si abbandona alla dinamica della speranza espressa nella sua fiducia nell’azione del Signore dei processi, è l’immagine di un uomo forte, che guida ciò che non appartiene a lui, ma al suo Signore ». Non ci è lecito soffocare e impedire la forza e la grazia del possibile, la cui realizzazione nasconde sempre un seme di Vita nuova e buona. Impariamo a lavorare e a confidare nei tempi di Dio, che sono sempre più grandi e saggi delle nostre miopi misure. Lui non vuole distruggere nessuno, ma salvare tutti14. Opzione Valdocco significa poi fedeltà ad una scommessa ecclesiale: a Valdocco è visibile la chiesa, con il suo volto articolato, con la ricchezza della presenza femminile e laicale, essenziale alla qualità autentica dello spirito di famiglia che anima la semplicità della relazione. 13 Messaggio di Sua Santità…, 59. 14 Messaggio di Sua Santità…, 61. 2. CHIAMATI DA DIO PER UNA MISSIONE NELLA SCUOLA E NELLA FP CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 75 27/09/22 16:32 76 Il coordinamento di intimità e libertà, prossimità e apertura, radicamento ed esodo avvengono a Valdocco nella ferialità convincente dei gesti di una famiglia evangelica che ha imparato a dimorare nell’accoglienza del bene: Don Bosco, alla domanda in quale lingua gli piacesse parlare, rispose: “Quella che mi ha insegnato mia madre: è quella con cui posso comunicare più facilmente”. Seguendo questa certezza, il salesiano è chiamato a parlare nella lingua materna di ognuna delle culture in cui si trova15. Da ultimo Opzione Valdocco vuol dire tornare al sogno, che ha alimentato l’audacia di don Bosco; un sogno che, per la potenza dello Spirito – forza vitale di ogni carisma autenticamente ecclesiale – può e deve nutrire la vocazione di ciascuno dei figli di don Bosco: Uno dei “generi letterari” di Don Bosco erano i sogni. Con essi il Signore si fece strada nella sua vita e nella vita di tutta la vostra Congregazione allargando l’immaginazione del possibile. I sogni, lungi dal tenerlo addormentato, lo aiutarono, come accadde a San Giuseppe, ad assumere un altro spessore e un’altra misura della vita, quelli che nascono dalle viscere della compassione di Dio. […] Sognate case aperte, feconde ed evangelizzatrici, capaci di permettere al Signore di mostrare a tanti giovani il suo amore incondizionato e di permettere a voi di godere della bellezza a cui siete stati chiamati. Sognate… […] Sognate… E fate sognare!16 Le sottolineature della lettera del Papa concorrono a una felice declinazione in chiave salesiana di un magistero ecclesiale particolarmente attrezzato per il dialogare incisivo con il mondo attuale. L’Opzione Valdocco, pur nella sua articolazione, condensa insieme la forza oggettiva di uno scandalo evangelico – la fedeltà al quale accredita la testimonianza della vita consacrata salesiana – e l’imperativo di una profonda e complessiva metanoia richiesta ai figli di Don Bosco perché sia speranza di una sua propagazione nei destinatari della loro missione. Una metanoia, ancora una volta, dai significativi risvolti culturali, riflesso di quelli reclamati da quest’ora del mondo, alla quale la Chiesa guarda con la sollecitudine coraggiosa di Papa Francesco. 15 Messaggio di Sua Santità…, 63. 16 Messaggio di Sua Santità…, 64-65. 2. CHIAMATI DA DIO PER UNA MISSIONE NELLA SCUOLA E NELLA FP CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 76 27/09/22 16:32 77 3 Impegnati in una rinnovata azione pastorale Dopo le considerazioni sin qui svolte è forse possibile declinare – molto sinteticamente e nei termini di compiti e possibilità esplicitamente culturali – gli spunti magisteriali, ecclesiali e salesiani, dei quali è stata riscontrata l’omologia con le sfide che travagliano questo tempo. La fortuna della categoria post-umano e il riferimento di Don Bosco all’umanesimo di San Francesco di Sales1 suggeriscono forse di avvalersi proprio del termine umanesimo per indicare le risorse salesiane, mediate dunque dalla sapienza pedagogico-spirituale di Don Bosco, in grado di offrire oggi un contributo qualificato per la formazione dei giovani. 1. Umanesimo della religione Dopo il furore della secolarizzazione degli ultimi decenni del secolo scorso appare sempre più chiara la verità della profezia di Dietrich Bonhoeffer: Il padrone della macchina ne diventa lo schiavo e la macchina diventa nemica dell’uomo. La creatura si rivolta contro chi l’ha creata: singolare replica del peccato di Adamo! L’emancipazione delle masse sfocia nel terrore della ghigliottina. Il nazionalismo porta inevitabilmente alla guerra. L’ideale assoluto della liberazione conduce l’uomo all’autodistruzione. Alla fine della via per la quale ci si è incamminati con la Rivoluzione francese si trova il nichilismo2. 1 Non troviamo forse in Don Bosco la ricorrenza del termine umanesimo ma le Costituzioni salesiane vi fanno esplicito riferimento per indicare profondità e apertura della originale spiritualità vissuta dal Santo dei giovani che la tradusse anche in robusto progetto educativo: «Il salesiano non si lascia scoraggiare dalle difficoltà, perché ha piena fiducia nel Padre: “Niente ti turbi”, diceva Don Bosco. Ispirandosi all’umanesimo di san Francesco di Sales, crede nelle risorse naturali e soprannaturali dell’uomo, pur non ignorandone la debolezza. Coglie i valori del mondo e rifiuta di gemere sul proprio tempo; ritiene tutto ciò che è buono, specie se gradito ai giovani. Poiché annuncia la Buona Novella, è sempre lieto. Diffonde questa gioia e sa educare alla letizia della vita cristiana e al senso della festa: “Serviamo il Signore in santa allegria”» (C 17). 2 D. Bonhoeffer, Etica, Bompiani, Milano 19692, 86. CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 77 27/09/22 16:32 78 Moderno, postmoderno e post-umano sono manifesti dell’impossibilità della coscienza umana di vivere fuori da un riferimento all’Assoluto e insieme certificazioni della minaccia degli assoluti intramondani. Un recupero dell’Assoluto coerente con le attese dell’umano non può però sognare scorciatoie; se il cristianesimo, con la sua straordinaria ricchezza oggettiva, assicura all’uomo una verità di Dio che nutre un umanesimo promettente, la soggettività della testimonianza, cui l’oggettivo evangelico si affida, è chiamata ad un sussulto di dignità. Se Malraux affermava che il XXI secolo ‘o sarà religioso o non sarà’, Karl Rahner, più analiticamente, sosteneva che il cristiano del XXI secolo o sarà un ‘mistico’, – cioè una persona che ha ‘sperimentato’ qualcosa – o non sarà neppure cristiano3. La sensibilità del magistero, tanto ecclesiale che salesiano, sull’ora mistica del cristianesimo è vivissima. Non può essere rinnovata una cultura, non possono essere offerte ai giovani prospettive credibili di senso ancorate all’Assoluto di Dio senza un’autentica testimonianza mistica che accrediti – pur nella povertà del vissuto soggettivo del testimone – le grandi verità della fede. Il sistema preventivo, pedagogia e spiritualità, qui deve radicalizzare la scommessa sulla religione che ne costituisce la travatura portante; la prossimità educativa salesiana non può che essere investimento feriale e drammatico sull’Assoluto, partecipato nella vitalità di incontri quotidiani da testimoni ordinari che hanno toccato nella verità la Luce di Dio, regola del discernimento quotidiano e senso dell’esistenza. 2. Umanesimo della ragione Sarebbe però evanescente la fiducia nella forza di una testimonianza mistica se questa si esimesse dall’onere della formazione dell’intelligenza: tanto la crisi del post-umano quanto la risposta ecclesiale mostrano, per un verso, la severità dell’equivoco nel quale si dibatte un’intelligenza ideologizzata e, per un altro verso, la fatica richiesta a un conoscere che voglia convertire il proprio sguardo su Dio, l’uomo, il fratello e il creato. Un umanesimo della ragione non si improvvisa dopo secoli nei quali le ideologie razionaliste ed empiriste, gnostiche e materialiste, idealiste o positiviste hanno prostrato le intelligenze e inaridito i cuori dell’uomo. 3 «Il mistico della vita di tutti i giorni, il santo sconosciuto di Rahner, è “una persona che nonostante le difficoltà e l’assenza di certezza di successo assume il compito di risvegliare anche soltanto in pochi uomini e donne una piccola scintilla di fede, di speranza e di carità”» (G. Sambonet, L’orizzonte teorico in cui è inscritto Ai piedi del Maestro, https://www.guiasambonet. com/ consultato il 21.10.2021). 3. IMPEGNATI IN UNA RINNOVATA AZIONE PASTORALE CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 78 27/09/22 16:32 79 L’implicanza di una vita condotta sotto la guida dell’intelligenza irretita nell’errore è magistralmente indicato da Seneca che avverte: «Pensaci bene: della nostra esistenza buona parte si dilegua nel fare il male, la maggior parte nel non far niente e tutta quanta nell’agire diversamente dal dovuto»4. Il Sistema Preventivo nato dall’ardore di Don Bosco ricorre all’intelligenza come spazio di incontro tra le persone che assicura la reciprocità del rispetto e la maturazione della sapienza essenziale alla vita: una sapienza anzitutto morale, attrezzata a distinguere non solo il bene dal male ma il senso dal non-senso, la fecondità dalla sterilità, l’egoismo dalla dedicazione: Diventiamo intelligenti se ci esercitiamo a contemplare la morte, una delle cose che, più di tutte, può insegnarci a capire la vita che abbiamo e che stiamo vivendo. Se al centro della nostra intelligenza ci fosse questa regola, cioè che esiste la fine, improvvisamente comprenderemmo quali sono le cose che contano e quali invece quelle che non contano, che sono risibili e stupide, che durano lo spazio di un mattino. La regola fondamentale è: abituati a pensare che c’è la fine e che questa non riguarda gli altri ma anche te che anche tu hai questo destino ed è estremamente importante esserne consapevoli. La morte va vista con serenità, ma va saputo che essa c’è, che io ho un mutamento cellulare, che la mia esistenza va verso qualche cosa, che la mia intelligenza si disperde5. 3. Umanesimo dell’amorevolezza Il travaglio del nostro tempo, se può essere registrato nei termini di imbarazzo verso l’Assoluto o irretimento dell’intelligenza ignara della sapienza, è pure condensato nell’analfabetismo affettivo. Uno dei tratti più cospicui della novità del magistero di Francesco mira a contrastare questa emergenza attraverso l’annuncio evangelico del Cuore di Dio che anima la rivoluzione della tenerezza, l’ostinazione della misericordia, la forza della mitezza. Il Sistema Preventivo, dal canto suo, se vive del primato ‘ontologico’ della religione affida la possibilità stessa della propria pratica alla persuasività dell’amorevolezza, risorsa essenziale all’apertura del cuore e alla profondità dell’incontro educativo. Come ricordano le audaci lezioni di Don Bosco nel Sogno del pergolato di rose e nella Lettera da Roma, il vangelo salesiano dell’amorevolezza è possibile esclusivamente al crocevia di una mistica e di un’ascetica affettiva, essenziali alla trasparenza e dilatazione di un cuore purificato. 4 Seneca, Lettere a Lucilio, I.1.1 (cfr. http://www.ousia.it/content/Sezioni/Testi/Seneca- Lettere Lucilio.pdf consultato il 21.10.2021). 5 E. Samek Lodovici, Educarsi all’intelligenza, in G. De Ann a (ed.), L’origine e la meta. Studi in memoria di Emanuele Samek Lodovici con un suo inedito, Ares, Milano 2015, 19-32, qui 31-32. L’autore in un testo sobrio e affascinante elenca tredici regole per educare l’intelligenza e, di queste, abbiamo riferito l’ultima. 3. IMPEGNATI IN UNA RINNOVATA AZIONE PASTORALE CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 79 27/09/22 16:32 80 Di qui la possibilità del carisma salesiano di corrispondere a quest’ora ecclesiale dell’affettività attraverso un’autentica educazione del cuore. Il cuore, infatti, poiché ha le sue ragioni che la ragione non conosce6, forma e si forma per prossimità, in virtù di una vigoria affettiva altrui, che lo raggiunge e lo riordina, accompagnandone la capacità insieme di apertura e di raccoglimento. Solo concorrendo a una ri-evangelizzazione del cuore e degli affetti possono essere strappate alla velleità e alla retorica i desideri di una missione in uscita, il coraggio delle periferie, la custodia della casa comune, l’incontro con i fratelli tutti, movimenti ai quali è essenziale l’autenticità dell’amore che invece patisce: [...] una diminuzione, se non si unisce alla sparizione di quella gravità che quando non esiste è sostentamento della morale, condizione del vivere moralmente, solo moralmente. Il centro di gravità della persona si è trasferito in primo luogo alla persona amata, e quando la persona sparisce, rimarrà quel movimento, il più difficile a stare “fuori di sé”. “Vivo già fuori di me”, diceva Santa Teresa. Vivere fuori di sé, per stare oltre se stesso. Vivere disposto al volo, sempre, a qualsiasi partenza. È il futuro inimmaginabile, l’irraggiungibile futuro di quella promessa di vita vera che l’amore insinua in chi lo sente, il futuro che inspira, che consola il presente facendo diffidare di lui, da dove nasce ogni creazione, ciò che attrae il divenire della storia e che corre alla sua ricerca, ciò che non conosciamo e ci invita a conoscere. Quel fuoco senza fine che incoraggia nel segreto di ogni vita, ciò che unifica col volo del suo trascendere vita e morte come semplici momenti di un amore che rinasce sempre da se stesso. La cosa più nascosta dell’abisso della divinità. L’inaccessibile che discende in ogni momento7. 6 B. Pascal, Pensieri, Einaudi, Torino 1962, § 146 (§ 277 ediz. Brunschwig). 7 M. Zambrano, Due frammenti sull’amore, in Id., Frammenti sull’amore, Mimesis, Milano - Udine 2011, 11-23, qui 22-23. 3. IMPEGNATI IN UNA RINNOVATA AZIONE PASTORALE CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 80 27/09/22 16:32 Don Pascual Chávez Villanueva Don Pascual Chávez Villanueva, Rettor Maggiore Emerito dei salesiani, nono successore di don Bosco. È nato a San Luis Potosì nel cuore del nord del Messico, il 20 dicembre 1947. Dopo alcuni anni, la famiglia si trasferisce a Saltillo (stato di Coahuila, nel nordest del Messico) dove Pascual frequenta la scuola salesiana “Colegio Mexico”; qui nasce la sua vocazione e matura l’intenzione di seguire Don Bosco. Emette la sua prima professione il 16 - 08 - 1964 a Coacalco. Il 05 - 08 - 1970 diventa salesiano con voti perpetui a Guadalajara. Ha ricevuto l’ordinazione diaconale il 10 marzo del 1973 ancora a Guadalajara. L’8 dicembre del 1973 è ordinato sacerdote. Vive i primi anni del suo ministero nella comunità dei giovani salesiani in formazione di Chapalita (Guadalajara). Dal 1975 al 1977 realizza la sua specializzazione in Sacra Scrittura al Pontificio Istituto Biblico di Roma. È stato Direttore dell’Istituto Teologico di San Pedro Tlaquepaque dal 1980 al 1988 dove ha insegnato Sacra Scrittura. Dal 1986 al 1989 è anche Consigliere Ispettoriale dell’ispettoria di Messico- Guadalajara. Dal 1989 al 1994 è Ispettore di quella stessa provincia che comprende tutto il nord del Messico sino ai confini degli Stati Uniti. Nel 1996, durante il CG24, è eletto Consigliere Regionale per la Regione Interamerica, che comprende dal Canada sino alla Bolivia. Viene eletto Rettor Maggiore il 3 aprile 2002 nel CG25 – Nono successore di don Bosco. È stato ri-eletto il 25 marzo 2008 nel CG26, ruolo che svolse fino a marzo del 2014. Dietro incarico del nuovo Rettore Maggiore, don Angel Fernández Artime, a don Chávez è stato chiesto di continuare a stare al servizio della Congregazione, della Famiglia Salesiana e della Vita Consacrata, specialmente nel campo dell’animazione spirituale. Titoli di studio Dal 1975 al 1977 studia a Roma all’Istituto Biblico dove ottiene la licenza in Sacra Scrittura. Nel 1995 inizia il suo dottorato in Teologia Biblica e risiede a Madrid-Carabanchel dove rimane sino al conseguimento del titolo ottenuto alla Università Pontificia di Salamanca (Spagna). Oltre che in possesso di titoli ecclesiastici, don Chávez ha ottenuto il titolo di insegnamento basilare di discipline scientifiche. L’una e l’altra formazione lo hanno reso un uomo concretamente spirituale. 81 CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 81 27/09/22 16:32 L’aggiornamento costante sui fatti della vita e della storia, lo ha reso particolarmente attento ai segni dei tempi. A riprova di tutto questo, depone l’entusiasmo che ha messo nel consolidare e rafforzare l’opera degli oratori di frontiera tra il Messico e gli Stati Uniti, come servizio ai più poveri ed emarginati. Lingue La sua lingua madre è lo spagnolo, ma capisce e parla anche altre lingue: italiano, inglese, portoghese, francese, tedesco, ebraico. A conclusione di una rassegna bibliografica degli scritti di don Chávez, in vista del conferimento della laurea honoris causa dalla Università Cattolica Giovanni Paolo II di Lublino, Polonia, scrisse l’allora Rettore Magnifico della Università Pontificia Salesiana, Prof. Carlo Nanni: 1. Dall’analisi degli scritti don Pascual Chávez Villanueva - oltre che un eccezionale operatore e attualizzatore del carisma salesiano nella scia di don Bosco e dei suoi successori - appare chiaramente come un attento studioso di quanto attiene l’integrale sviluppo civile e sociale umano, come indicato da Papa Benedetto XVI nella sua enciclica Caritas in Veritate: con particolare attenzione alle popolazioni più svantaggiate e ai giovani del disagio. 2. Altrettanto si può dire per il suo essere attento e acuto “lettore” - “scientificamente” corredato e formato - delle tematiche proprie dell’educazione e della formazione umana, spirituale, civile, professionale dei giovani, strettamente collegata con la loro crescita religiosa. 3. Non solo come “nono successore di don Bosco” - e quindi quasi come “garante” del carisma congregazionale - ma anche come persona e educatore “riflessivo nell’azione” - egli dagli scritti traspare come un “appassionato” ricercatore della buona qualità dello stile educativo-pastorale e del un metodo educativo che è passato alla storia come “il sistema preventivo di don Bosco”: un modello e un congegno pedagogico di cui la ricerca pedagogica e didattica “scientifica” riconoscono universalmente il valore, al di là della sua intrinseca fondamentazione e collocazione confessionale. 4. Come Gran Cancelliere della Pontificia Università Salesiana (UPS), egli risulta a capo di un centro mondiale di indagine pedagogica e didattica e di una istituzione accademica internazionalmente riconosciuta e apprezzata per l’attenzione “scientifica” alle problematiche giovanili e alla loro formazione qualificata. Vorrei rilevare - come attuale Rettore di essa - la forza ispirativa che ci viene, per la ricerca e per l’insegnamento, dai suoi Interventi annuali, “letti” ai membri del Senato Accademico, normalmente nella seduta di dicembre. Per questi motivi sono ben felice e onorato di collaborare al conferimento della laurea honoris causa a don Pascual Chávez Villanueva. In fede. Prof. Carlo Nanni 82 CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 82 27/09/22 16:32 CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 83 27/09/22 16:32 Tipografia Giammarioli snc Via Enrico Fermi 8/10 - 00044 Frascati (Roma) Tel. 06.942.03.10 - www@tipografiagiammarioli.com Ottobre 2022 CNOS - SERVIZIO DEI SALESIANI.indd 84 27/09/22 16:32

Pensare con le mani: Manifesto del lavoro buono

Autore: 
Dario Nicoli
Categoria pubblicazione: 
Fuori collana
Anno: 
2022
Numero pagine: 
36
Codice: 
CON LE Pensare MANI 3 1. Riscopriamo il lavoro manuale Con questo manifesto intendiamo richiamare l’attenzione di tutti sull’importanza del lavoro manuale, quello del chirurgo o del tecnico specializzato, del meccanico o dell’artigiano... ma anche di chi sa scolpire, dipingere e suonare... in quanto l’arte non può prescindere da questa preziosa manualità. Le tre F dell’eccellenza del made in Italy - Food, Fashion, Factory - indicano lavori che richiedono l’intervento di persone la cui competenza è esaltata dalla maestria manuale. Per comprendere se una persona è veramente preparata gli si chiede: “cosa hai saputo fare con quello che sai?”. È dalle opere che sono passate dalle sue mani che ne possiamo comprendere il reale valore; sono l’evidenza convincente che ci si può fidare di lei in quanto “uno del mestiere”. Lavorare non è solamente “fare”, ma è anche “conoscere”, in quanto la persona umana – come afferma Aristotele - ha ottenuto dalla natura le mani proprio perché è intelligente. Chi possiede capacità tecniche può mettersi all’opera rispondendo al desiderio di pienezza che sorge dalla sua anima. «Il lavoro ben fatto è la leva che ci permette di connettere e di dare valore a quello che sappiamo (ciò che sta nella testa), a quello che sappiamo fare (ciò che sta nelle mani) e a quello che amiamo (ciò che sta nel cuore).»1 Mai come in questi ultimi decenni abbiamo assistito ad una vera e propria campagna sistematica contro il lavoro manuale, uno dei bersagli di un più ampio movimento culturale al cui centro vi è l’idea di libertà intesa come “rapporto a sé” 1 Luca e Vincenzo Moretti (2020). Il lavoro ben fatto. Che cos’è, come si fa e perché può cambiare il mondo. Ed. Luca Moretti, Torino, p. 36. CON LE Pensare MANI 4 5 Pensare CON LE MANI Pensare CON LE MANI propria di un individuo svincolato dai legami con la storia, la nazione e la comunità, ed inoltre come negazione del valore esistenziale del lavoro. È una sorta di contrappasso a quella “civiltà del lavoro” che ha caratterizzato due secoli e mezzo della storia dell’Occidente e la cui parabola corrisponde al declino della società moderna e dell’idea di sviluppo e di benessere che ne ha costituito il fondamento. Uno dei segnali più chiari di questo movimento contrario al valore del lavoro lo troviamo nei libri di testo più diffusi nelle nostre scuole ed università. Da una ricerca di pochi anni fa2 emerge non solo un atteggiamento riluttante, quasi si trattasse di un tema di scarso valore culturale, ma una vera e propria omissione come accade di solito nei confronti di un argomento considerato un tabù oppure un disvalore nella prospettiva dell’educazione dei giovani. Infatti, tranne l’eccezione dei servizi sociali e sanitari da cui emerge con chiarezza il valore della “relazione di cura”, i pochi casi in cui il tema è trattato rivelano che intorno al lavoro si è tessuta una tela di critiche di varia natura, soprattutto di origine ideologica, tendenti a definire una linea di contrasto tra lavoro e libertà, tra esercizio di una professione e possibilità di espressione autentica dell’individuo. L’esclusione del tema del lavoro dalla proposta formativa delle scuole ha un’origine prettamente intellettuale e segnala un fatto inedito: la disoccupazione non è solo subita, ma perlomeno di una parte della società italiana risulta in qualche modo perseguita, nella prospettiva di una vita che si ritiene umana in quanto liberata dal servaggio lavorativo. Il ruolo del lavoro nelle varie fasi della storia della civiltà è presentato dalla letteratura scolastica come un continuo cammino di decadenza: se il mondo industriale è visto perlopiù come un processo di distruzione e di alienazione, anche l’era postmoderna risulta segnata da fattori di declino riassumibili in due: la precarietà come condizione strutturale dell’attuale scenario del lavoro ed il carattere distruttivo dell’opera umana nei confronti degli equilibri ecologici. Il confronto tra l’Italia e la proposta educativa in alcuni Paesi scelti in quanto espressione di rilevanti tradizioni culturali (Germania, USA, Brasile, Russia, Giappone, Cina e Turchia), ha segnalato che in molti dei casi indicati non si registra quell’ostracismo che invece si è rilevato in Italia. Anzi, si è potuto riscontrare come soprattutto i Paesi più attivi sulla scena economica mondiale siano anche i più convinti nel proporre ai propri giovani il valore del lavoro come occasione di espressione di sé, contributo positivo al bene di tutti, possibilità di fornire un senso alla propria vita. 2 Nicoli D. (2015). Cultura ed etica del lavoro in Italia e nel mondo, Tuttoscuola, Roma. Un analogo processo di oscuramento del valore culturale del lavoro emerge da due fattori strutturali: la statalizzazione già a partire dagli anni ’40 del secolo scorso delle scuole tecniche e professionali che hanno avuto prevalentemente un’origine privata o locale, e la creazione specie nel biennio ’80-’90 del secolo scorso di un’area di istituti professionali non prioritariamente ancorati ai territori ed all’economia, ma alla prosecuzione degli studi per i figli dei ceti popolari; a ciò si è sommata la scelta degli anni ’90 di liceizzare e disciplinarizzare i percorsi tecnici e soprattutto professionali al fine di dotare i giovani di una “cultura di base” disancorata dal reale a discapito dell’area professionale, con il progressivo venir meno del peso e del prestigio degli insegnanti provenienti dall’esperienza del lavoro, passo che ha incrementato la decadenza della professione come fattore identitario e della capacità trasmissiva del valore del lavoro per le giovani generazioni. La crisi economica ha poi influito sulla dotazione dei laboratori e sugli investimenti nei settori ad alta tecnologia, provocando un processo di autoreferenzialità della scuola. La formazione professionale poi è stata continuamente oggetto di una sorta di ostracismo intellettuale, giungendo solo faticosamente all’inizio del nuovo secolo ad un riconoscimento di pari dignità, senza però che si realizzasse un’offerta formativa adeguata su tutto il territorio nazionale. Sul piano della cultura diffusa o popolare, di pari passo con l’aumento degli stili di vita benestanti, si è assistito ad una progressiva diffusione di pratiche tese al prolungamento dell’adolescenza come età di rinvio delle responsabilità e di concessione ad uno stile di vita “leggero”. Ciò ha portato ad un tasso di permanenza eccessiva dei giovani nei percorsi di studi, ma pure ad un’abnorme quota di NEET ovvero giovani “not in education, employment or training”. La stessa scomparsa dell’autorità paterna porta alla prevalenza del codice dell’accoglienza rispetto a quello della responsabilità e dell’autonomia, corrodendo la base antropologica dell’etica del lavoro. Sullo sfondo vi è la “condizione signorile”, una categoria con la quale Luca Ricolfi interpreta la situazione di quella quota di giovani che persegue uno stile di vita superiore rispetto alle fonti reddituali proprie e quindi legato al contributo economico proveniente dalla famiglia3. Un esempio concreto è quello del Reddito di cittadinanza che nelle intenzioni dei proponenti doveva rappresentare uno strumento per aumentare l’occupazione, ma che gli studi dell’Inps rivelano essere piuttosto un sostituito del reddito da lavoro visto che la gran parte dei beneficiari lo utilizza per conseguire un miglioramento 3 Ricolfi L. (2014). L’enigma della crescita, Mondadori, Milano, p. 162. 6 7 Pensare CON LE MANI Pensare CON LE MANI della qualità della vita e delle relazioni familiari, secondo una prospettiva meramente assistenziale4. Un segnale molto chiaro viene dal mondo musicale: la band Lo stato sociale ha vinto il Festival di Sanremo nel 2017 con una canzone dal titolo di “Una vita in vacanza” presentata come la prospettiva di lotta individuale “per un mondo diverso” basata sulla “libertà e tempo perso”, con buona pace per il milieu “di sinistra” a cui appartiene e senza avvertire disagio nell’avanzare una proposta che un tempo si sarebbe definita piccolo-borghese. Secondo Christopher Lasch5 buona parte della critica di tutto ciò che va sotto il nome di “popolo”, compreso il lavoro manuale, deriva dalle nuove élite, espressione di una ideologia liberista che domina la scena con una concezione di vita cosmopolita, nomade e inquieta. Esse, sempre a caccia di opportunità, inseguono il miraggio della libertà assoluta confinando nel mero folclore, vagamente nostalgico, tutto ciò che ha a che vedere con il costume, l’appartenenza, la tradizione. Queste élite, che comprendono non soltanto i manager delle grandi imprese, ma tutte quelle professioni che producono e manipolano l’informazione, la linfa vitale del mercato globale - e che quindi non lavorano “con le mani” - sono in rivolta contro il popolo, considerato tecnologicamente arretrato, politicamente reazionario, repressivo nella morale sessuale, retrivo nei gusti culturali, banale e ottuso. Da parte loro, le classi intellettuali sono estraniate dagli aspetti materiali della vita visto che l’unico rapporto che hanno con il lavoro produttivo di beni materiali è rappresentato dal consumo. Vivono in un mondo di astrazioni e di modelli computerizzati, una “iperrealtà” ben distinta dalla realtà fisica in cui vivono gli uomini e le donne normali. Sono mossi dalla fede nella “costruzione sociale della realtà” - il dogma del pensiero postmoderno – che ben si adatta a chi vive in un ambiente artificiale da cui è stato rigorosamente escluso tutto quanto resiste al controllo umano. In questo modo, sotto la spinta di un’élite totalmente estranea alla vita comune, gli ordinamenti internazionali e gli stati tendono a produrre un diritto fondato sulla “decostruzione” del modo di vita popolare e creare le condizioni affinché ogni individuo possa ottenere sempre più ampi spazi di scelte soggettive. La democrazia tende quindi a trasformarsi in meritocrazia, la responsabilità civica nella deresponsabilizzazione che ha prodotto un declassamento dell’uguaglianza sostanziale da categoria etica a semplice atto di liberale generosità. 4 https://www.ilsole24ore.com/art/reddito-cittadinanza-415percento-platea-investe-consumi- 394percento-usa-risanare-debiti-AEcxdxIB 5 Lasch C. (2001). La ribellione delle élite. il tradimento della democrazia, Feltrinelli, Milano. Il dominio dell’ideologia cosmopolita e consumistica ha sedotto anche il ceto medio e popolare, e soprattutto il suo bagaglio etico fondato sul lavoro manuale “ben fatto”, sostituito dall’estetica dei consumi e dall’idea della “vita leggera”. Si tratta di uno stile di vita semi-onirico che si è diffuso nelle società benestanti, basato su due illusioni: - L’illusione delle istituzioni che si sono dedicate ad una strategia di ampliamento dei diritti, senza i doveri corrispettivi, perseguita come decostruzione totale del modo di vita tradizionale per rendere possibile l’espansione continua delle soggettività individuali entro una prospettiva che consuma alla radice lo spirito democratico. - l’illusione dei singoli individui di poter evitare le responsabilità proprie del “cittadino”, per potersi dedicare unicamente a coltivare il loro mondo ristretto, totalmente assorbiti dal desiderio di vivere esperienze mediante le quali costruire la propria intima narrazione. Gli imprevisti susseguitisi nell’ultima fase della storia - le grandi migrazioni, la crisi economica, la pandemia, la guerra in Ucraina - hanno scosso un popolo distratto e malcontento, dove ognuno è stressato soprattutto perché presumedi poter affrontare problemi e sfide più grandi delle proprie energie individuali. Assieme alla “vita leggera”, vacilla anche la prospettiva esistenziale della “vita nelle tue mani” visto che, nascoste dall’idea secondo cui ognuno ha potenzialmente a disposizione molte opportunità, permangono strutture inconsapevoli (habitus) che disegnano il campo reale degli accessi e delle preclusioni ai ruoli sociali più ambiti. La questione sociale riemerge con forza mostrando una società divisa in tre livelli: 1. i “privilegiati” che possono accedere ad opportunità superiori, spesso associate alle aree dell’economia globalizzata, delle tecnologie e della comunicazione, e che vivono in una condizione nomade, slegata dalle appartenenze; 2. il mondo “popolare” legato ai territori e fondato per tradizione sull’etica del lavoro, ma con figli tentati sia dall’ideologia dell’autorealizzazione sia dall’estetica dei consumi che concepisce la vita come “esperienze” individuali e il lavoro come mero obbligo sociale senza partecipazione interiore. 3. I “de-privilegiati” che cercano di uscire dalla zona d’ombra ed entrare nel mondo della cittadinanza reale che richiede lingua, saperi, competenze, opportunità e riconoscimenti. Le dinamiche sopra riportate si svolgono entro un contesto che, per la prima volta nella storia recente, vede il lavoro al centro di un clima culturale segnato dallo scetticismo, entro uno spazio sospeso caratterizzato da inquietudine e disorientamento che rimbalza dalla vita sociale all’anima e viceversa. 8 9 Pensare CON LE MANI Pensare CON LE MANI Di conseguenza, per il rilancio del lavoro umano, nell’unità tra mente e mani, risultano rilevanti le questioni antropologiche ed esistenziali e quindi le risposte connesse alle questioni ultime riguardanti il rapporto tra la persona umana, il mondo sociale e la natura. Esse costituiscono lo sfondo di senso entro il quale la persona può scoprire la propria chiamata nel mondo, ovvero la vocazione. 2. La vocazione e il lavoro che mi corrisponde Il lavoro è innanzitutto vocazione, una chiamata interiore che indica la strada della realizzazione di sé ed anche il «fuoco» che ne sostiene la passione; la vocazione è unita alla professionalità, ovvero l’insieme delle condizioni tecniche, giuridiche e organizzative che ne consentono l’esercizio. La passione che deriva dalla scoperta della vocazione personale rende felice colui che lavora: anche le difficoltà sono sfide e occasioni di perfezionamento professionale ed umano. Senza la vocazione-passione il lavoro è fonte di tedio ed amarezza ed ogni difficoltà diventa una montagna insormontabile. Per raggiungere qualcosa di veramente personale, di cui sentirci fieri, occorre fare ciò che ci corrisponde e porta beneficio agli altri ed alla comunità, disciplinando la nostra vita. Ciò richiede di saper reagire alle difficoltà, imparare dagli insuccessi e far risuonare nella propria anima il bene raggiunto. Lavorare significa scuotersi da uno stato semi-onirico, misurarsi con la realtà, mettere alla prova le proprie capacità e le proprie forze; l’azione buona, mobilitando l’intero arco delle prerogative umane, consente al soggetto di realizzarsi. Chi sa lavorare bene prova diletto in quello che fa, è più convinto del proprio valore, più capace di cavarsela da sé e di imprimere nell’opera la novità insita nel suo nome. Il lavoro indica la forma operosa che assume l’amore per la comunità quando si alimenta della speranza nel futuro. È un’operazione collettiva pienamente umana in quanto vi sono concentrate più forze umane: bisogno, relazioni, tecnica, potere, sensibilità, solidarietà, creatività, talenti, vocazione. Le sfide della storia recente, provocando l’appannamento del sogno di una vita fatta di immagini, sussidi ed “esperienze”, rimettono in gioco la concretezza dell’opera umana come possibilità di partecipazione al mondo comune apportando il proprio contributo personale, rispondendo in tal modo al desiderio di un senso pieno del vivere. I cittadini delle società postmoderne, scossi dalla paura e dalla rabbia, sembrano riscoprire il “lavoro ben fatto” anche e soprattutto come possibilità di ancorare la propria vita ad un mondo reale fatto di materia e di tecnica, dove quello che sappiamo si concretizza in ciò che sappiamo fare e comunica, mediante l’opera delle nostre mani, quello che amiamo ovvero, secondo la bella espressione di Luca e Vincenzo Moretti “ciò che sta nel nostro cuore”. Il lavoro non è solo occupazione; giustamente, la lingua tedesca utilizza due parole per esprimerlo: Beruf significa vocazione, una chiamata interiore che indica la strada della realizzazione di sé nel lavoro ed anche il «fuoco» che ne sostiene la passione, mentre Arbeit significa professionalità, ovvero l’insieme delle condizioni tecniche, giuridiche e organizzative che consentono l’esercizio del lavoro. “Vocazione” significa “chiamata”, una voce che svela i nostri talenti personali ed anche la loro destinazione entro un’attività lavorativa che ci corrisponde. Ma anche il termine “professione” è denso di profondità, in quanto contiene una dichiarazione di fede, come il medico che a fiducia nella cura, il meccanico nella manutenzione, l’educatore nel cuore e nella mente degli allievi. Nel lavoro c’è un sovrappiù di significato che si esprime in un affidamento di chi opera che va oltre il meccanicismo delle tecnologie e delle procedure. Per questo si può sostenere che la scoperta della vocazione personale è simile all’accensione di un fuoco che scalda (passione) e che consente di vedere (visione) oltre ai dati di fatto per cogliere ciò che può accadere e che ancora non è visibile. In quanto corrispondente alla propria personalità, il lavoro “vocato” conferisce alla propria opera il gusto di un’avventura che sfida e attrae, trasformando le fatiche ed i sacrifici in occasione di perfezionamento e di gratificazione. La vocazione personale è l’ancoramento solido di un lavoro inteso come ponte tra il mondo soggettivo ed il mondo sociale, un ponte che apre la possibilità di un risveglio delle forze generative rimaste finora piuttosto sopite ma rimesse in gioco dagli scossoni impressi dalla storia. Arpad Szakolczai6 riflette sulla liminalità come condizione di rinascita: andare al di là della mentalità moderna, positivista e costruttivista, risultato di una rivolta titanica, arrogante e gnostica, e ritornare ad un modo di pensare e vivere che parte dal ‘dato’ invalicabile secondo cui mondo o la natura, in quanto esiste (tranne ciò che è stato alterato attraverso il nichilismo della tecnologia moderna), è per noi un dato ovvero qualcosa che ci è donato. Si sta risvegliando il lavoro caratterizzato dall’intelligenza delle mani, ed è una tendenza che si rivela in diversi contesti: 6 Szakolczai A. (2017). Permanent Liminality and Modernity, Rolutledge, New York. 10 11 Pensare CON LE MANI Pensare CON LE MANI · Il neo artigianato: questa espressione è stata coniata da Giuseppe Lanzavecchia7 il quale ha sostenuto che, nella crisi della modernità, il lavoro specie artigianale ha saputo meglio conservare, rinnovandole, le radici premoderne e sopravvivere con successo nei nostri giorni. Richard Sennett8 a chi, come Jeremy Rifkin, ha vaticinato anzitempo la fine del lavoro, ha replicato sostenendo che occorre prendere coscienza del tasso di artigianalità che c’è anche in tante professioni moderne cosiddette intellettuali, dal software, alla ricerca, alla medicina, segno che è in declino il lavoro meccanicistico e burocratico, mentre l’istituto dell’artigianato è rimasto vivo anche nell’era delle fabbriche con le figure dei creatori di prototipi e dei manutentori, quelle che nell’era industriale venivano chiamate “aristocrazie operaie” proprio in quanto detenevano la preziosa intelligenza delle mani. Giustamente i Giovani imprenditori della Confartigianato hanno scritto nel Manifesto dei nuovi artigiani del XXI secolo9 che il fine dell’artigiano «non si esaurisce nella funzione che svolge e da cui trae sussistenza e prestigio, ma si lega ad un’altra caratteristica fondativa della cultura artigiana – la maestria – che rimanda a un impulso umano primordiale: il desiderio di svolgere bene un lavoro per se stesso, la passione e la cura per quello che si fa, la cosiddetta craftsmanship: “good enough is not enough” (“abbastanza bene non è abbastanza”) usava affermare il famoso pubblicitario americano Jay Chiat. L’artigiano sente istintivamente che la standardizzazione mortifica l’anima e rende triste la vita; egli persegue la diversità come elemento distintivo da valorizzare e non un’imperfezione da eliminare. La diversità che rende interessante il mondo umano richiede uno spazio interiore ricco di motivazione per il proprio lavoro visto come una forma d’amore nei confronti di coloro che traggono beneficio e piacere dai propri manufatti. · Il lavoro di cura: il lavoro di cura nei diversi aspetti sociali, educativi e medici, sta vivendo una lunga stagione di rilancio derivante da due aspetti: a) la pandemia che ha provocato una vera e propria rivoluzione del sistema sanitario, in precedenza strutturato in grandi nosocomi dotati di tutte le specializzazioni abbandonando i presidi sanitari territoriali, un’impostazione che ha mostrato di favorire i contagi piuttosto che prevenirli e curarli; b) la crescita delle patologie connesse all’identità, alle relazioni ed all’esercizio dei ruoli (studente, lavoratore, membro della comunità…) necessa- 7 Lanzavecchia G. (1996), Il lavoro di domani. Dal taylorismo al neoartigianato, Ediesse, Roma. 8 Sennett R. (2012), L’uomo artigiano, Feltrinelli, Milano. 9 https://giovanimprenditori.confartigianato.it/wp-content/uploads/2017/02/MANIFESTO_ ok.pdf ri per poter essere valutati e quindi riconosciuti come soggetto che opera positivamente entro le relazioni sociali. La grande e straordinaria mobilitazione di tutti i settori della società, pubblici, privati, del terzo settore e del volontariato, ha messo in luce l’importanza delle professioni sanitarie; il PNRR, investendo notevoli risorse per lo sviluppo del sistema sanitario nazionale per i prossimi anni centrato su prossimità, innovazione e formazione affinché sia sempre più capace di rispondere ai bisogni delle persone, sollecita ancora di più l’immaginazione professionale dei giovani in questa direzione; allo stesso tempo, la percezione delle varie forme del “disagio della civiltà” specie nel mondo giovanile suscita sempre più ampie vocazioni educative mosse da un proposito personale orientato al lavoro di cura de dotate di competenze appropriate e da una capacità di operare non come individui isolati, ma come comunità dotata di un’organizzazione di servizi connotata in senso pedagogico. l Il movimento neo contadino. Un’indagine di Coldiretti del 202010 segnala che è in atto in Italia un “ritorno alla terra” dei giovani, visto che oltre 56mila under 35 si trovano alla guida di imprese agricole, un dato che ci pone in cima alla classifica comunitaria, reso possibile dallo straordinario aumento del +12% nel periodo 2015-2020. Infatti nel 2015 in Europa ogni 100 capi azienda con 65 anni e più, vi erano 32 giovani, mentre in Italia erano solo 19. Non solo: nelle oltre 548mila aziende italiane condotte da under 35 in tutti i comparti produttivi, dal commercio alla manifattura, dall’abbigliamento ai servizi, l’ambito agricolo vanta più del 10% dei giovani che fanno impresa e creano lavoro, un dato mai raggiunto dopo il grande esodo agricolo iniziato nel Secondo dopoguerra. Si può quindi considerare fondata l’espressione “ritorno”, in quanto indica un movimento che si pone in controtendenza con la tradizionale curva negativa della successione generazionale nella guida delle imprese agricole, a cui eravamo abituati nei decenni precedenti che hanno visto un vero e proprio lungo esodo dei giovani dal lavoro agricolo motivato dalla convergenza di numerosi fattori: la scarsa redditività, l’impossibilità di avere tempo libero per la propria vita, imprese scarsamente propense al cambiamento, la mancanza di supporti economici e tecnici per i necessari processi di innovazione. l È interessante infine anche la riscoperta dell’importanza della scrittura a mano, che riguarda ogni persona e non solo gli intellettuali. Come afferma Rodolfo Casadei in un articolo dal titolo molto significativo Urge tornare non solo alla scrittura, ma al lavoro manuale!, «indubbiamente c’è di mez- 10 https://www.coldiretti.it/economia/lavoro-12-giovani-nei-campi-italia-leader-ue 12 13 Pensare CON LE MANI Pensare CON LE MANI zo l’insofferenza per l’eccesso di digitalizzazione della comunicazione fra esseri umani C’è il senso di delusione per tecnologie che danno l’illusione di cancellare la distanza e rendere tutto fruibile, e che invece hanno reso tutto impalpabile, etereo, astratto. C’è nostalgia di concretezza, di spessore, di odori, di suoni che non siano elettronici»11. La pratica della scrittura in corsivo possiede un importante valore psicologico confermato anche da analisi scientifiche12. Scrivere in corsivo significa porsi in una relazione concreta col mondo tramite le cose reali, sollecitare tutti i nostri sensi, non solo la punta dei polpastrelli che digitano sulla tastiera ma il movimento della biro ad imprimere sul foglio di carta dei segni che sono indiscutibilmente riconoscibili come nostri in forza del misterioso dono della grafia. Prendere appunti su un foglio ci permette una varietà di soluzioni grafiche molto più agili ed immediate rispetto ai comandi di un programma di scrittura, sollecitando la nostra mente a fissare l’attenzione, cogliere le relazioni, segnare commenti a margine, allenare il pensiero. Lo stesso accade con gli schizzi di disegni sul foglio o anche su una lavagna a gessetti, una soluzione molto più efficace della Lim nel fissare il nostro pensiero e renderlo più velocemente e chiaramente comprensibile agli altri ed a noi stessi. Mettere mano alla scrittura e trafficare con una varietà di strumenti in contesti diversi, affina molte abilità manuali che a loro volta mobilitano le facoltà intellettive. La riscoperta del lavoro manuale, o meglio del nesso tra mani e intelligenza, e quindi la possibilità di intrattenere un rapporto concreto con gli altri e con le cose, smuove le corde interiori e conduce il soggetto ad una maggiore consapevolezza di sé e della propria vocazione. Ma la diffusa difficoltà di uscire dall’io ristretto e di interagire con gli altri entro una disposizione favorevole all’azione comune, può bloccare la vocazione personale entro un monologo introspettivo perdendo quindi buona parte del suo potenziale generativo, se non entra nello spazio comune in una relazione di condivisione e di reciprocità. Il nostro sistema economico dominato da unità produttive piccolissime, piccole e medie, è connotato da un’etica del lavoro fondata su valori, credenze e culture che rendono critico l’allineamento tra richieste delle imprese perlopiù a carattere familiare, e le caratteristiche dei giovani e giovani adulti, la cui ricerca di autorealizzazione è centrata sul proprio progetto personale. Questo nuovo orientamento valoriale che discrimina il proprio impegno in base alla soddisfazione personale 11 https://www.tempi.it/blog/urge-tornare-non-solo-alla-scrittura-ma-al-lavoro-manuale/ 12 Bertoglio I.; Rescaldina G. (2017). Il corsivo, encefalogramma dell’anima, La Memoria del Mondo, Magenta (MI). si scontra con una tradizionale cultura del lavoro fondata invece sul “sacrificio” e sull’impegno “totalizzante” riferito al proprio ruolo. Molte criticità nell’incontro domanda/offerta deriverebbero dunque dalla grande difficoltà di tanti imprenditori senior di innovare il proprio modo di fare impresa, di gestire le risorse umane e di fare welfare aziendale alla luce del modello di sviluppo globale basato sul concetto di sostenibilità. Sono sempre più diffusi i casi di imprenditori della “vecchia guardia” che preferiscono chiudere la propria impresa familiare anziché passare la gestione alle nuove generazioni esponendo di fatto il sistema economico-produttivo locale al rischio di estinzione di professioni storiche. Il terreno di incontro tra generazioni può essere trovato sui “fattori sensibili” che hanno investito il lavoro e l’economia negli ultimi anni: la responsabilità sociale, i dilemmi di natura etica che non si possono risolvere con algoritmi, la crescente rilevanza delle relazioni interpersonali sia entro i gruppi di lavoro sia tra persone che appartengono a differenti ambiti professionali che richiedono un sovrappiù di capacità di ascolto, comprensione ed interazione. Ma anche la sostenibilità, l’etica economica, la valorizzazione delle risorse umane e il legame con la comunità in cui si colloca l’impresa. Questo terreno si fonda non tanto su una logica dello scambio quanto su un’antropologia dell’incontro inteso come condivisione di prospettive dotate di valore, entro un contesto che vede implicati i diversi soggetti coinvolti. Emerge nell’azione l’apertura dell’individuo verso l’altro, quel dinamismo che dà origine al comportamento morale che qualifica la comunità. L’incontro tra le due etiche – quella della responsabilità e quella dell’autorealizzazione – avviene non sulla base di sofisticate tecniche di gestione delle risorse umane, ma sulla consapevolezza delle imprese circa la propria responsabilità sociale, connessa al valore per la comunità del prodotto-servizio erogato. Per risolvere i problemi generati dalle organizzazioni meccanicistico-comportamentali, esageratamente orientate a target economici spesso collocati nel brevissimo termine, occorre accedere ad un nuovo stadio di coscienza che tiene conto del desiderio delle persone di partecipare con il proprio lavoro ad un’opera dotata di valore etico, e di imprese che sanno valorizzare tale desiderio formando nei giovani la capacità di addomesticare il proprio ego e di ricercare un modo di operare comunitario più autentico e soddisfacente. L’incontro tra persona ed organizzazione, specie nei giovani in cerca della prima esperienza di lavoro, non è un mero contratto basato sullo scambio tra forza lavoro e stipendio: si tratta invece di un’alleanza fondata sulla condivisione di prospettive d’azione dotate di valore. Frederic Laloux ritiene decisivo, per ogni lavoratore che 14 15 Pensare CON LE MANI Pensare CON LE MANI abbia a cuore la propria integrità, rispondere al seguente interrogativo: «Lo scopo aziendale è in sintonia con il mio? È questo il posto in cui mi sento più portato a lavorare? Che cosa mi sento realmente chiamato a fare in questo momento della mia vita? Questo posto mi permetterà di esprimere me stesso con pienezza?». Perché «quando il lavoro incontra la vocazione […] spesso ci sentiamo travolti dalla grazia. Ci sembra che ci siano spuntate le ali. Lavorando partendo dalle nostre aree di forza, tutto sembra facile e ci sentiamo produttivi come raramente ci è capitato prima»13. 3. Il lavoro umano è sempre più avanti del lavoro artificiale Non è vero che il lavoro umano è minacciato dalle tecnologie: la storia, ed anche l’attualità, ci insegnano che ogni volta che queste incorporano processi routinari, si creano continuamente nuove sfide e nuovi dilemmi di natura etica che non si possono risolvere con algoritmi e che richiedono l’intervento umano. Il lavoro del tempo nuovo valorizza l’«intelligenza fluida» che appartiene solo all’essere umano, quella che consente di affrontare problemi in situazioni inedite e sfidanti. I nuovi artigiani – artisti – tecnologi sono le figure del nuovo umanesimo sostenibile e confidente, portatrici di uno scopo differente da quello «progressivo» dell’epoca moderna. Essi infatti desiderano conferire un segno positivo alla propria presenza nel mondo svolgendo un lavoro dotato di valore ed ottenendo la benevolenza del cielo, il segno che siamo sostenuti - ed amati – nell’operare per il bene. L’oscuramento del lavoro in quanto valore – questione spesso definita come declino dell’etica convenzionale del lavoro14 - è spesso collegato ad un’errata comprensione dell’ultima rivoluzione tecnologica: essa, secondo le voci più critiche, incorporando sempre più capacità umane, finirebbe per distruggere il lavoro e, in definitiva, la stessa società. Secondo questa prospettiva, mentre nelle stagioni precedenti l’ingresso delle tecnologie avrebbe creato solo temporaneamente uno stato di disoccupazione, stimolando successivamente una quantità di lavoro superiore alla fase precedente, nell’epoca dell’automazione diffusa, delle tecnologie dell’informazione e dell’intelligenza artificiale, saremmo invece in presenza di un nuovo scenario in cui 13 Laloux F. (2016). Reinventare le organizzazioni. Come creare organizzazioni ispirate al prossimo stadio della consapevolezza, Guerini, Milano, p. 315. 14 Mari G. (2019). Il lavoro come atto linguistico e la fine dell’etica convenzionale del lavoro, «Scienza e filosofia» n. 22. si creano meno posti di lavoro di quelli usurpati dalle macchine15: si tratta dello scenario definito “jobless recovery” ovvero la ripresa senza lavoro16 (ILO 2014). Da qui la richiesta di un cambiamento radicale del welfare, che consiste nella realizzazione del “reddito di cittadinanza”, o altre definizioni assimilabili, una sorta di “stipendio senza lavoro” che si renderebbe possibile tassando in modo sempre più consistente i profitti delle imprese che fanno uso delle suddette tecnologie. Questa lettura riprende, in modo più o meno consapevole, la visione ideologica di chi sostiene che saremmo entrati nella stagione della fine del lavoro per effetto della crisi del capitalismo che nella sua fase declinante distruggerebbe se stesso smettendo di creare lavoro, incorporandolo progressivamente nelle macchine. Visione seducente, ma totalmente smentita dai fatti: oggi, nonostante la successione tra crisi economica (2008-2014) e crisi sanitaria, il numero dei lavoratori nella gran parte del pianeta è più elevato di quello precedente al 2008. Il rapporto su «Digitalizzazione e futuro del lavoro» dell’Istituto Zew di Mannheim mostra come la metà delle aziende tedesche abbia adottato le tecnologie digitali e come in queste aziende il numero dei posti di lavoro creati sia più alto e più qualificato rispetto ai posti di lavoro scomparsi. L’Asian Development Bank attesta che in Oriente tra il 2005 ed il 2015 si è registrato un rapporto a somma positiva tra il maggior uso delle nuove tecnologie e numero dei posti di lavoro (ADB 2015). Anche in Italia si assiste ad una simile tendenza, che rimane ancora lenta rispetto agli altri paesi con cui ci confrontiamo, a causa di una serie di limiti strutturali che riguardano soprattutto il Mezzogiorno, le aree interne e il rapporto tra pubblica amministrazione e economia. Le note tesi del Mc Kinsey Global Institute, secondo cui le macchine sostituiranno l’uomo nel 49% dei lavori, in realtà fanno riferimento ai «compiti» e non ai «lavori» e riflette la vecchia concezione delle tecnologie emulative dell’umano, basata su una concezione della società meccanica e statica in quanto si appoggia sull’idea che i posti di lavoro sarebbero un numero fisso 15 Ford M. (2017). Il futuro senza lavoro. Accelerazione tecnologica e macchine intelligenti. Come prepararsi alla rivoluzione economica in arrivo, Il Saggiatore, Milano. 16 ILO, International Labour Organization (2014), Global Employment Trends 2014 – Risk of a jobless recovery? http://www.ilo.org/global/research/global-reports/global-employment-trends/2014/ WCMS_233953/lang--en/index.htm 16 17 Pensare CON LE MANI Pensare CON LE MANI entro un “rapporto a somma zero”. Gli studi mostrano invece che si sta diffondendo la condizione professionale che sempre più sostituisce i ruoli costituiti da mansioni fisse e ripetitive tipici delle società meccaniche ed iper organizzate: si tratta di figure dotate di competenze e soft skill, unitamente ad una disposizione interiore all’ingaggio in situazioni complesse, che sono in grado sia di adattarsi sia di replicare alle sfide tramite azioni e progetti tali da innovare e personalizzare i prodotti/servizi ed, insieme a questi, il loro stesso modo di lavorare. È questo ingresso sempre più accentuato del lavoro umano nei milieu sociali dominati dalla complessità che porta alla domanda non solo di abilità routinarie, ma anche di competenze e di qualità personali che caratterizza l’attuale ricerca di lavoro17. Si vedano, a questo proposito, le difficoltà nell’incontro domanda-offerta di lavoro che riguardano le imprese interessate dalla digital transformation e dalle innovazioni dell’industria 4.0, che alimentano un fabbisogno crescente di formazione, riqualificazione e aggiornamento delle competenze della forza lavoro. Queste aziende vedono nella leva formativa un fattore di competitività molto importante da sostenere con la collaborazione degli istituti di istruzione e formazione. A questi si chiede di innovare la propria offerta formativa con curricoli più in linea con il fabbisogno di competenze, una richiesta che non si limita alle abilità tecniche ma pone l’accento su un modo di apprendimento che sia situato e sulla “manualità” intesa come modalità unitaria e non dualistica (teoria-prassi) di esercizio della maestria18. Il carattere fluido e non distruttivo dell’attuale rivoluzione tecnologica è confermato anche dal sentiero che sta percorrendo l’Intelligenza artificiale: ciò che si sta realizzando non è l’emulazione della mente umana, ma una “Razionalità artificiale” più che intelligenza, cioè strumenti e modelli che ci aiutano a razionalizzare e valorizzare la conoscenza che accumuliamo nel tempo. Ciò tramite sistemi ed algoritmi (Big Data) capaci di analizzare dati per classificarli, riconoscere tratti ricorrenti, identificare correlazioni, simulare e predire lo sviluppo di un tipo complesso di società. Si tratta di un supporto a favore delle capacità decisionali di tutti coloro che operano in contesi segnati dalla complessità e dall’imprevisto, e non tanto del disegno di creazione di una copia di noi stessi19. 17 Scheerens J. (2021). Soft Skills in Education: Putting the evidence in perspective, Springer, Cham (Switzerland). 18 Lave J.; Wenger E. (2006). L’ apprendimento situato. Dall’osservazione alla partecipazione attiva nei contesti sociali, Erickson, Trento. 19 De Michelis G. (2017). Macchine intelligenti o tecnologie della conoscenza?, «Sistemi Intelligen- Anche le posizioni critiche del rapporto tra lavoro artificiale e lavoro umano20 riconoscono che le tecnologie non sono portatrici di un modello organizzativo omologante, ma risentono della strategia adottata da ingegneri e progettisti secondo un ventaglio di opzioni che vanno da un estremo di “lavoro artificiale” dotato di autonomia propria, ad un altro centrato sulla valorizzazione della dimensione umana. La prima opzione sembra risentire meno dell’imperativo economico, e molto più di una visione culturale debole e relativistica. In una buona parte di casi, infatti, le nuove tecnologie mostrano una notevole plasticità, sapendo convivere con mondi a razionalità affettiva, sociale, tradizionale, pratica, intuitiva, orientata ai valori; esse, mentre incorporano processi routinari, creano continuamente problemi e necessità di intervento umano, soprattutto là dove emergono schemi inusuali e si pongono dilemmi di natura etica che non si possono risolvere con algoritmi. Gli ambiti in cui si sviluppa la nuova espansione del lavoro sono quelli connessi ai «fattori sensibili». Si tratta di quelle capacità definite anche con l’espressione “intelligenza fluida”, che consentono di affrontare logicamente problemi in situazioni nuove, impreviste, indipendentemente dalle conoscenze in precedenza acquisite21. Sono indispensabili sia di fronte a problemi complessi sia in tutte quelle situazioni in cui occorre identificare gli schemi e le relazioni sottostanti ad una situazione problematica per trovare una soluzione tramite il ragionamento logico. A ciò va aggiunto il carattere neo-comunitario di molti mondi lavorativi: se pure i compiti delle figure professionali cambiano nel corso del tempo, la cultura del lavoro «profonda» e «distintiva» rimane stabile, mostrandone la capacità di rinnovarsi nei nuovi scenari che via via si presentano. Il mondo del lavoro ruota infatti intorno ad un numero limitato di famiglie professionali, ognuna caratterizzata da un modo peculiare di utilizzo dei metodi e delle tecniche per contribuire al bene della comunità. Eccone un possibile elenco: cura della natura, cura del cibo, cura dell’abitare, cura della persona, cura del sapere, gestione delle risorse, gestione della comunicazione, gestione dell’energia, gestione dei sistemi tecnici, gestione dei trasporti, gestione del commercio, cura del turismo, artigianato artistico. ti», a. XXIX, n. 3, 559-577. 20 Stiegler B. (2014). Prendersi cura. Della gioventù e delle generazioni. Orthotes, Napoli. 21 Cattell, R.B. (1963). Theory of fluid and crystallized intelligence: A critical experiment, «Journal of Educational Psychology», 54, 1-22. 18 19 Pensare CON LE MANI Pensare CON LE MANI Nelle organizzazioni meccanicistiche, il lavoratore è visto come “risorsa umana”, un’espressione che rivela un approccio funzionale ad una configurazione organizzativa pensata come un sistema disegnato sulla dominanza della programmazione per obiettivi, mentre nei modelli organizzativi più complessi e vitali il lavoratore è visto come un soggetto portatore di un proposito individuale, una vera e propria vocazione che lo spinge ad andare oltre il profilo della sopravvivenza e difesa dalle minacce, per orientarsi sull’esprimersi con pienezza, di condividere con il team il desiderio di realizzazione di un’opera comune. Il caso della tutela della salute e della sicurezza è emblematico: non basta la dotazione dei dispositivi di protezione e l’addestramento del personale nell’applicazione dei protocolli preventivi: se il management non è stato capace di creare un senso di appartenenza tra il personale, e quindi il sentimento del valore della vita altrui, non potrà ottenere da esso nessun reale sforzo verso la meta comune. «Fattori quali coinvolgimento del personale, comunicazione, flusso informativo e cooperazione, formazione, informazione, addestramento e consapevolezza, costituiscono una parte fondamentale dei Sistemi di Gestione della Salute e Sicurezza sul Lavoro (SGSL)»22. L’organizzazione è fondamentalmente un fatto di socialità: essa rifugge personalità individualistiche, seppure competenti nel proprio specifico ambito di preparazione23. Occorre far capire alle persone “brave” sul piano individuale che il loro profilo professionale viene valutato anche per la capacità di operare insieme agli altri, di produrre integrazione. Sembra che tale requisito sia considerato secondario entro il sistema dei valori attualmente prevalenti; pertanto, rispetto al passato, oggi è più forte l’esigenza dedicare il giusto tempo alla costruzione di un pieno accordo sul tratto di cammino da fare insieme, partendo dalle pratiche e da quel che già si conosce, per definire uno spazio comune significativo per tutti e duraturo nel tempo. L’essere compagni di strada è l’esito di un grande lavoro preliminare che forma non solo le competenze tecniche, ma anche una personalità dotata anche di investimento emotivo. Senza tale dote morale, il livello di entusia- 22 INAIL (2016). La gestione dell’elemento umano nelle organizzazioni per la salute e sicurezza sul lavoro, Tipolitografia INAIL – Milano, p. 32. 23 Murray R.; Caulier J.G.; Mulgan G. (2011). Il libro bianco sulla innovazione sociale, Nesta, https:// www.felicitapubblica.it/wp-content/uploads/2016/01/Libro_bianco_innovazione_sociale.pdf smo e di fiducia decrescono molto rapidamente, le persone si ritirano nella loro comfort zone, si perde presto la spinta positiva degli inizi. 4. La svolta del lavoro sostenibile La svolta dell’economia sostenibile verso cui si sta orientando l’Unione europea può essere l’occasione storica per un nuovo umanesimo dell’economia e del lavoro. Essa richiede di tornare all’origine del concetto di economia, secondo cui il fattore mobilitante dell’impresa umana è quello morale, e precisamente il principio di simpatia ovvero la capacità di identificarsi nell’altro, di mettersi al posto dell’altro e di comprenderne i sentimenti in modo da poterne ottenere l’apprezzamento e l’approvazione. L’incontro tra persona ed organizzazione, prima che in un contratto consiste in un’alleanza fondata sulla condivisione di mete dotate di valore. Per ogni lavoratore che abbia a cuore la propria integrità, e che possiede una certa chiarezza circa ciò che si sente realmente chiamato a fare nella sua vita, è decisiva la consapevolezza che lo scopo aziendale è in sintonia con il proprio, che questo sia il posto in cui può esprimere se stesso con pienezza. La pandemia ha scosso le istituzioni e l’Unione Europea in modo più accentuato e sorprendente visto che in precedenza questa istituzione veniva disegnata come un censore della spesa pubblica orientata esclusivamente al criterio del rigore finanziario. Il piano Next Generation dell’Unione europea rappresenta invece una formidabile spinta alla crescita e nel contempo assume il compito di un cambio di paradigma economico orientato alla sostenibilità, all’inclusione ed alla giustizia sociale. Si tratta di obiettivi ambiziosi, che l’Italia ha fatto propri tramite il PNRR (Piano Nazionale Ripresa e Resilienza) che prevede un massiccio intervento da sviluppare intorno a tre assi strategici condivisi a livello europeo: digitalizzazione e innovazione, transizione ecologica, inclusione sociale, che per l’Italia si declinano in 6 missioni: - “Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura” per la modernizzazione digitale delle infrastrutture di comunicazione del Paese, nella Pubblica Amministrazione e nel suo sistema produttivo; - “Rivoluzione verde e transizione ecologica”, quella con la maggiore dotazione finanziaria per poter rispondere al meglio agli obiettivi climatici; - “Infrastrutture per una mobilità sostenibile” che si concentra sulla rete stradale e la sua messa in sicurezza, inoltre sulla rete ferroviaria per miglio20 21 Pensare CON LE MANI Pensare CON LE MANI rare i collegamenti anche ad alta velocità e quelli regionali nel Sud, infine la rete portuaria affinché sia competitiva, green e meglio connessa; - “Istruzione e ricerca” che punta al miglioramento qualitativo ed all’ampliamento quantitativo dei servizi di istruzione e formazione, oltre che sul rafforzamento della ricerca anche in sinergia tra università e imprese; - “Inclusione sociale” che procede tramite politiche attive del lavoro, infrastrutture sociali, famiglie, comunità e terzo settore con particolare attenzione ai soggetti più fragili e con disabilità, inoltre per mezzo di interventi speciali per la coesione territoriale soprattutto nelle aree interne; - “Salute” che si focalizza su reti di prossimità, strutture intermedie e telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale, oltre a innovazione, ricerca e digitalizzazione del servizio sanitario nazionale. La vastità dei finanziamenti previsti e l’impegno politico del Parlamento sono tali da prevedere una forte svolta del sistema economico e istituzionale nazionale, con una ricaduta importante sul mercato del lavoro e sui profili professionali che vi operano. L’Italia è il principale beneficiario dei contributi del piano europeo; è per noi una sfida molto critica in quanto la possibilità di avviare in questa fase politiche pubbliche per il rilancio – e non solo per la ripartenza – passa per tre condizioni, tutte assai impegnative: - la presenza di un ceto politico che sappia perseguire vere e proprie missioni di rinnovamento dell’economia del Paese e non solo interventi assistenziali basati su un mix di ideologia e consenso (il caso del reddito di cittadinanza è emblematico di come non si deve procedere); - la capacità della Pubblica amministrazione nell’adottare uno stile dinamico ed effettivamente stimolante la rinascita dell’economia e della società; - la possibilità di realizzare una vera partecipazione di tutti i soggetti in gioco pubblici e privati, evitando il solito metodo top-down in quanto incapace di dialogare con le forze vive del rinnovamento, di cui vanno invece sollecitate le qualità generative. Sono condizioni molto impegnative perché richiedono di superare i vizi storici del nostro sistema-Paese ed esigono un risveglio culturale e morale prima ancora che finanziario. Infatti, la possibilità di evitare che il grande investimento europeo connesso al programma Next Generation UE si traduca in una mera operazione redistributiva, peggio ancora con caratteri clientelari, dipende dalla capacità del Paese di essere fedele al meglio della sua tradizione, quella che emerge solitamente quando ci troviamo “sull’orlo dell’abisso”. Occorre però chiarirsi circa il significato del termine “sostenibilità”, visto che il mondo della comunicazione se n’è appropriato oltre ogni limite euristico, tanto che alcuni parlano di “sosteniblabla”…24 Nella prima Conferenza ONU sull’ambiente tenutasi nel 1992, anno in cui è comparso nel linguaggio pubblico, il termine sostenibilità era riferito ad un «modello di sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri», con enfasi posta essenzialmente sull’aspetto ecologico, senza considerare l’interdipendenza con tutti gli altri fattori in gioco. Nel corso del tempo il suo significato si è ampliato sulla base di una nuova idea di benessere che tiene conto della qualità della vita delle persone in una prospettiva più ampia che considera i legami che si instaurano tra le diverse dimensioni della vita personale, sociale e ambientale. Nell’accezione attuale, il termine «sostenibilità» comprende infatti tre fattori: 1. la sostenibilità ambientale che indica la responsabilità di ogni opera umana nell’utilizzo delle risorse limitandone progressivamente l’impatto ambientale allo scopo di preservarne gli equilibri; 2. la sostenibilità economica che segnala la capacità di una società di generare reddito e lavoro, condizioni indispensabili perché vi sia una giusta crescita; 3. la sostenibilità sociale che riguarda la garanzia della sicurezza e la tutela della salute, la giustizia e la distribuzione equa della ricchezza. Il cambiamento linguistico non riguarda solo l’area dei fenomeni posti in gioco e le reciproche relazioni, ma tende anche a considerare una varietà di contenuti: - innanzitutto, esso indica il principio morale della responsabilità degli esseri umani in riferimento alla natura ed ad ogni manifestazione di vita; - inoltre definisce l’insieme delle norme cui ci si deve attenere nelle diverse azioni umane che hanno a che fare con l’ecosistema inteso in senso lato; - infine indica la missione finalizzata ad un cambio culturale, sociale ed economico dal valore epocale in quanto modifica radicalmente l’idea di progresso e di benessere. La vastità della posta in gioco e del cambiamento necessario per perseguirla, trova un deciso riscontro nelle caratteristiche di conoscenza, competenza e sensibilità richieste ad una vasta platea di figure professionali presenti in differenti settori in 24 Si veda il rapporto State of the World 2013 del Worldwatch Institute È ancora possibile la sostenibilità? Edizioni Ambiente, Milano. 22 23 Pensare CON LE MANI Pensare CON LE MANI cui l’impatto della svolta della sostenibilità risulta già ora decisamente considerevole: Agroalimentare, Edilizia, Logistica, Trasporti, Energia, Medico-Farmaceutico, Finanza, Consulenza. Ma quando si passa all’analisi delle figure professionali maggiormente coinvolte si corre il rischio di considerare unicamente quelle iperspecialistiche, divise solitamente in quattro categorie: - Figure molto richieste: bioarchitetto, informatico ambientale, mobility manager, esperto in gestione dell’energia. - Figure a media richiesta: contabili green, esperti di marketing ambientale, eco-designer, avvocati green. - Figure digital: sviluppatori di software o applicazioni, responsabili dei servizi clienti e chi si occupa della gestione degli e-commerce. - Tra i green job più richiesti rientrano inoltre: l’ecobrand manager, il responsabile di acquisti verdi, il responsabile nella commercializzazione dei prodotti di riciclo, il risk manager ambientale che si occupa del rispetto delle norme in materia ambientale e di sicurezza sul lavoro, il meccatronico green e il green manager. Secondo il Centro Studi Confcooperative25 solo un anno fa il fabbisogno di lavoratori con competenze green era di 1,6 milioni. A distanza di un anno è avvenuto un grande balzo che porterà la richiesta a 2.375.000 unità per gli anni 2021 - 2025. Di questi 1.448.000 sono figure con competenze green elevate. Le imprese, che già da alcuni anni stanno aumentando spesa e investimenti in sostenibilità, saranno pertanto pronte ad assumere, fino a 2,4 milioni di lavoratori con competenze green entro il 2025, ma in cinque anni la mancanza di occupati con tali caratteristiche sarà di 741mila unità che possono pesare fino al 2,5% del Pil. L’errore dell’iperspecialismo ci riporta alla svolta tecnologica degli anni ’90 in cui i “futurologi” più accreditati prevedevano che l’informatica avrebbe coinvolto poche decine di migliaia di superesperti su cui gravare la gran parte dello sforzo dell’informatizzazione26, mentre la realtà ha mostrato che l’effetto più dirompente è avvenuto tramite l’informatizzazione della totalità dei lavoratori, indipendentemente dal contesto di riferimento e dal livello di attività svolta. Lo stesso esito accadrà presumibilmente nel caso della cosiddetta “svolta green” che comporterà un cambio di cultura nell’intero arco delle figure professionali richieste dal mondo economico, tenendo conto del fatto che la gran parte di esse 25 https://www.confcooperative.it/LInformazione/Primo-Piano/sostenibilit224-le-nostre-cooperative-hanno- speso-1-miliardo-nel-2020 26 Si veda ad esempio Cacace N. (1994). Verso il 2000, FrancoAngeli, Milano. sviluppano un lavoro fondato sull’intelligenza delle mani. Secondo l’analisi realizzata da Randstad sugli annunci di lavoro di inizio 2022, i quindici profili più richiesti in Italia sono27: - Magazziniere - Operaio metalmeccanico/addetto al montaggio - Infermiere - Addetto al call center - Impiegato amministrativo - Operatore di macchine utensili - Operatore sociosanitario - Elettricista - Sviluppatore Java - Saldatore - Operatore alimentare - System administrator - Addetto alle macchine legno - Operatore pluriservizi nella Gdo/horeca - Addetto all’help desk. Come si vede, ben 9 figure su 15 si caratterizzano per la spiccata manualità, e rappresentano una porzione importante dell’intero mercato del lavoro, coinvolto in un importante cambiamento che mira ad una modifica rilevante dell’idea di progresso e di benessere, del rapporto tra attività umana e natura, del modo di intendere il legame con la comunità e la responsabilità per il futuro. 27 http://www.businesspeople.it/Lavoro/Lavoro-15-professioni-piu-richieste-Italia-Randstad-119029 24 25 Pensare CON LE MANI Pensare CON LE MANI 5. Il lavoro buono Il lavoro è buono quando procura un beneficio reale alle persone (le rende maggiormente capaci di libertà positiva), alla comunità (favorisce i legami, la solidarietà, l’impegno comune) ed all’equilibrio ecologico (persegue la sostenibilità e la cura del territorio); è fatto a regola d’arte, secondo i migliori criteri della qualità; è sicuro (rispetta la vita); porta con sé l’impronta riconoscibile dell’autore; è affidabile, ovvero fondato su una relazione duratura dove il cliente è posto al centro dell’attenzione di chi opera. Tramite il lavoro buono, accade l’umano e si genera vita. Intelligenza, bontà e manualità, le tre componenti del lavoro buono, ci ricordano che l’umanità della persona viene esaltata dall’unità del sapere – non la sua frammentazione e neppure l’iperspecialismo - che a sua volta rimanda all’unità della vita, ossia all’unità ed unicità della persona in quanto ciascuno, con il proprio nome, porta con sé una novità di cui il mondo ha bisogno. Il lavoro non è il valore ultimo di una vita realizzata in quanto occorre nutrire la nostra “arte” tramite esperienze di vita di comunità, relazioni con gli altri e con la natura, sapendo cogliere il lato poetico dell’esistenza. La saggezza risiede nella capacità di svolgere il nostro compito al meglio, ma anche di smettere l’opera, traendo alimento per la nostra anima dall’alternanza di lavoro, riposo e festa. La prospettiva da cui guardare la realtà del lavoro nel prossimo futuro deve quindi tenere in forte considerazione il legame tra gli aspetti occupazionali e quelli culturali, entro un intreccio che necessita di una visione più profonda rispetto a quella puramente funzionale del rapporto domanda-offerta. Tale approccio è motivato dalla densità di significati presente nei seguenti fattori che caratterizzano le dinamiche attuali dei contesti di lavoro: l Un’economia complessa è anche disorientante. La poliformità che evolve continuamente sospinta da un dinamismo incessante di tutti i fattori in gioco, conferisce all’economia e al mercato del lavoro le caratteristiche proprie di un contesto postmoderno. Essa porta con sé la rottura dell’uniformità e della linearità del modello sociale del tempo moderno e l’aumento della complessità derivante dalle crescenti interdipendenze tra dimensione locale e dinamiche della globalizzazione. Secondo Ulrich Beck la seconda modernità è in grado, da un lato, di portare a compimento alcuni dei processi iniziati nella “prima modernità”, dall’altro di radicalizzare tali processi fino a metterne in discussione le premesse stesse28. Tutto ciò comporta due fenomeni che accomunano la caoticità dei processi propri di questo tempo liminale: l’aumento di possibilità, perlomeno potenziali, a disposizione degli individui, e il disorientamento degli stessi, conseguente alla perdita di punti di riferimento che erano dati per scontati. Ne deriva una sorta di inquietudine soggettiva che alimenta la ricerca di esperienze che consentano di esprimere la propria identità e unicità, spesso estremizzata entro una compulsiva attenzione al proprio io. l La duplice strategia del lavoro. A causa di quanto indicato, emerge una disarticolazione di quello che costituiva il mondo comune nel tipico contesto sociale della modernità, con il declino delle appartenenze tradizionali e la scomparsa degli automatismi sociali, sostituiti da un’affinità emotiva e identitaria29. Le relazioni sociali sono sempre più “disaggregate” ed ambivalenti nel senso che risultano in una certa misura svincolate dalla tradizione e dalle condizioni socioeconomiche, ma nel contempo sono anche fortemente ancorate al luogo fisico e al tempo in cui si svolge la vita del soggetto. Al centro della scena del lavoro, che costituisce sempre una componente rilevante e significativa dell’esistenza delle persone, si dispiega una rappresentazione inedita del rapporto tra individuo e mondo sociale, dove il primo cerca di orchestrare la propria vita muovendosi tra due strategie: quella dell’adattamento alla realtà vista come un insieme di vincoli imposti da dinamiche della convivenza di cui non si sente attore, e quella della relazione di appartenenza io-noi costituito da una cerchia di persone con cui si sente in consonanza e con le quali condivide progetti di vita, e di lavoro, il cui senso risulti espressivo di una peculiare disposizione sul mondo. Nel primo corno di tale tensione il lavoro è visto come una necessità, nel secondo costituisce un fattore determinante in quanto portatore di significati propri di una precisa scelta di vita e identificativi della comunità-tribù cui il soggetto appartiene. Il variegato gioco delle opportunità, dei vincoli e dei moventi, offerto da un mondo del lavoro fluido e mutevole, concorre a disegnare uno scenario nuovo nel quale sono all’opera dinamiche differenti rispetto a quelle della prima modernità: se nel passato i percorsi di ingresso dei giovani al lavoro si muovevano in gran parte in continuità rispetto alla traccia segnata dalle generazioni dei genitori e dei nonni, ora il singolo individuo si trova a prendere le decisioni che riguardano il proprio lavoro in quanto vita pubblica, potendo scegliere entro un menù estremamente variegato, condizione che impone un approccio molto 28 Beck U. (2020), I rischi della libertà. L’individuo nell’epoca della globalizzazione, Il Mulino, Bologna. 29 Maffesoli M (2004). Il tempo delle tribù. Il declino dell’individualismo nelle società postmoderne, Guerini, Milano 26 27 Pensare CON LE MANI Pensare CON LE MANI più riflessivo ed introspettivo rispetto al passato, ed assumendo il rischio delle proprie scelte specie quando fuoriescono dalla cerchia del proprio contesto di provenienza e dal reticolo delle relazioni di appartenenza. Va segnalato, sul lato della domanda, come la diminuzione della consistenza numerica della leva giovanile a causa del calo di natalità, rende meno possibile per le imprese l’adozione di una pratica semplificata di reperimento del personale, ed inoltre che l’assunzione – fosse anche a tempo indeterminato – non costituisce comunque una sicurezza di stabilità del rapporto con il giovane collaboratore. Ambedue i fenomeni, la comparsa di un mondo soggettivo posto in tensione tra adattamento e realizzazione di sé, e la necessità da parte delle imprese di dedicare un’attenta cura ai fattori sensibili della relazione con giovani e giovani adulti, indicano l’aumento della dimensione culturale, ovvero simbolica e relazionale del lavoro che assume la forma di una scena in cui si rappresentano le poche certezze e le tante tensioni che concernono la vita dei cittadini del tempo liminale che stiamo attraversando. l Liminalità e insoddisfazione. La liminalità, caratteristica del tempo che stiamo vivendo, indica il frammezzo, lo spazio che si pone al limite tra un’epoca che sta declinando ed una nuova che ancora non si manifesta appieno. La nozione di “liminalità” rimanda a un testo del 1909 dell’antropologo Arnold van Gennep in cui l’autore individua tre momenti distinti dei riti di passaggio: riti preliminari o di separazione dal mondo anteriore, riti liminari posti in atto durante lo stadio di margine e riti postliminari di aggregazione al nuovo mondo30. Nello stadio liminale, il protagonista vive entro una sorta di doppia sospensione; è il tempo che Victor Turner definisce Social Drama, una fase nella quale individui, gruppi e movimenti si dedicano con grande vigore alla decostruzione degli apparati istituzionali e simbolici, cercando confusamente nuovi spazi di libertà, ma senza una direzione precisa verso cui orientare le proprie energie31. In questo contesto essi possono accedere a nuove esperienze di vita connesse alle relazioni tra le persone, alla comunicazione, alla mobilità ed al divertimento, in una sorta di sperimentalismo diffuso; in tale spazio liminale gli individui ed i gruppi tendono a vivere sentimenti di sfiducia verso le varie tipologie di autorità, rafforzando la convinzione che i fondamenti dell’intera costruzione sociale possano essere messi in discussione. Sullo sfondo si pone una crescente e diffusa insoddisfazione dei cittadini circa l’indirizzo dell’economia e della società. Si tratta di una critica crescente che riguarda il rapporto tra azione umana e tutela della natura, ma anche il forte disagio provocato da un sistema sociale dominato dall’acce- 30 Van Gennep A. (2012). I riti di passaggio, Bollati Boringhieri, Torino. 31 Turner V. (1986), Dal rito al teatro, Il Mulino, Bologna. lerazione senza controllo tipica della tarda modernità. Questa porta alla desincronizzazione intersoggettiva e ad «inevitabili frizioni e tensioni sulla linea di confine tra istituzioni e pratiche veloci e lente»32, tanto da creare un vorticoso e frenetico tumulto riguardante la tecnologia, il mondo sociale ed i ritmi di vita dei cittadini, ovvero le tre ruote motrici dell’era moderna. Tale insoddisfazione influisce sulla minore o maggiore attrattività dei settori di esercizio del lavoro: mentre in comparto industriale sembra perdere di attrazione, emergono ambiti a maggiore pathos come nel caso citato del neoruralismo. La nostra società è dominata dall’accelerazione, un fenomeno che nella sua veste totalitaria conduce a forme gravi di alienazione sociale, considerate come il principale ostacolo alla realizzazione della “vita buona”, quindi all’esperienza di felicità. Le persone sono quindi alla ricerca della “risonanza” ovvero la «relazione primaria col mondo» espressa simbolicamente dai due movimenti di affezione ed emozione. In una liaison risonante soggetto e mondo si toccano reciprocamente e si trasformano contemporaneamente. Nella relazione di risonanza è all’opera, perciò, una dialettica di chiusura e apertura, di autoaffermazione ed esposizione all’altro, il cui esito è sempre superiore alle premesse. La risonanza è un’esperienza che l’uomo può perseguire coltivando gli “assi di risonanza”: amore e famiglia, natura e religione, cultura e amicizia. Soprattutto nel lavoro il soggetto umano ricerca la possibilità di suscitare una relazione risonante con le cose e con gli altri, partecipando ad un’esperienza in cui i suoi talenti sono resi disponibili per il miglioramento della vita comune, secondo una triplice esigenza di sostenibilità, significatività e integrità personale che consiste nella capacità pratica volta a mantenere l’allineamento tra i propri comportamenti e le proprie convinzioni. Tale prospettiva richiede la consapevolezza delle tensioni tra le forze che influiscono sul lavoro rendendolo corrispondente o meno ai tre principi indicati. Tre sono i caratteri del lavoro “cattivo”: - in primo luogo quello titanico, arrogante e gnostico tipico della mentalità moderna, che pensa alla realtà come “materia” da manipolare a piacimento per trasformarla in base alle nostre pretese di possesso di beni piuttosto che di perseguimento del “bene”; - quello disincantato che concepisce il lavoro come una parentesi dell’esistenza “significativa”, da svolgere esclusivamente come un contratto di compravendita senza coinvolgimento soggettivo, provocando l’inaridimento dell’anima; 32 Rosa H. (2015). Accelerazione e alienazione. Per una teoria critica del tempo nella tarda modernità, Einaudi, Torino, p. 78. 28 29 Pensare CON LE MANI Pensare CON LE MANI - quello manipolativo basato su una tecnica comunicativa tesa a proporre un messaggio non corrispondente alla realtà, fatto per sedurre piuttosto che per rendere il destinatario consapevole e capace di esercizio positivo della propria libertà. Diversamente, un lavoro è buono quando: - è in grado di procurare un beneficio reale a) alle persone in quanto amplia la loro possibilità di esercizio positivo della libertà tramite consapevolezza, riflessività e capacità di scelta; b) alla comunità in quanto favorisce la crescita dei legami, sollecita rapporti di solidarietà e di impegno comune; c) all’equilibrio ecologico poiché persegue la sostenibilità e la cura del rapporto tra ambiente, economia e società; - è fatto a regola d’arte, al meglio delle possibilità dell’autore e dell’organizzazione in cui si svolge la sua azione; - è sicuro poiché rispetta l’integrità della vita di chi opera, delle altre figure coinvolte, degli utenti e del contesto in cui si applicano i prodotti/servizi erogati; - porta con sé l’impronta riconoscibile dell’autore che in tal modo si rende presente a coloro che beneficiano della sua attività; - è affidabile, ovvero fondato su una relazione duratura con i destinatari, rendendo vero quanto viene solitamente dichiarato ovvero che il cliente è posto costantemente al centro dell’attenzione di chi opera. È interessante a tale proposito quanto proposto dalla Fondazione GiGroup circa il rapporto tra lavoro e vita: «Vive il lavoro una persona consapevole del proprio valore, personale e professionale, e lo vede riconosciuto. Una persona attiva, che si prende cura del proprio benessere psico-fisico, e che vuole continuare a crescere in un’ottica di continua employability. Vive il lavoro un’azienda sana, che cresce stabilmente abbracciando i cambiamenti del mercato e che investe sulla formazione delle proprie persone. Un’azienda che si sviluppa in modo solidale con il territorio in cui è inserita. Vivono il lavoro le istituzioni che lottano contro ogni forma di lavoro non regolare. Che privilegiano le politiche attive del lavoro in un’ottica di occupabilità delle persone lungo l’intera vita lavorativa, e che creano le migliori condizioni per fare incontrare domanda e offerta.»33 33 https://fondazione.gigroup.it/lavoro-sostenibile/ Guardare alle organizzazioni in chiave antropologica ed esistenziale significa, dal lato delle imprese, andare oltre l’indicazione dei requisiti di conoscenze e competenze, ma anche di soft skill intese come una “aggiunta” correttiva di un dispositivo meccanicistico, come ingredienti essenziali per un candidato ideale. Queste descrizioni fanno spesso riferimento ad un sapere depotenziato, costituito soprattutto di informazioni di natura procedurale e strumentale, ovvero disincantato, in quanto incapace di leggere non solo i funzionalismi interni, ma anche la propria aura costituita da scopi, moventi e stili che ne rappresentano la componente sensibile. In questo senso, si può affermare che le organizzazioni capaci di affrontare la propria porzione di mondo in modo creativo necessitano di un sapere “che incanta”, un tipo di sapere «intrinsecamente in contrasto con l’adattamento»34, quindi capace di visione, di produzione di alternative. Un sapere associativo in quanto rende possibile un contesto di dialogo e confronto reciproco nel gruppo, da cui scaturiscono livelli di comprensione, giudizio e azione ben più rilevanti rispetto alla mera ricerca del fattore comune tra opinioni differenti. Si può sostenere che le imprese che fanno uso di saperi non addomesticati ma vitali possiedono le qualità proprie di un’opera culturale comune capace di incrementare il saper-fare ed il saper-vivere, così da essere espressione di desiderio e di risonanza. Tutto ciò ha conseguenze importanti in tema di formazione, proponendo due diversi scenari: - le imprese che perseguono una formazione di primo livello, di natura eminentemente adattiva, tendono a formare persone capaci di orchestrare le risorse disponibili localmente in modo da trovare risposte contingenti ai problemi ed alle opportunità esistenti; - le imprese che perseguono una formazione di secondo livello mettono in moto nei propri collaboratori un apprendimento radicale35, che si sostanzia nella capacità di guardare alla propria opera come ad un contributo alla vita della città dotato di valore, ed alla tecnologia entro un’associazione creativa che la collochi entro una strategia di rinnovamento, e non solo di adattamento, che apre ad opportunità impreviste e non segnate da “pensieri già pensati”. Come afferma De Michelis: “Si passa così da una prospettiva globalizzante, in cui vi sono una conoscenza e una intelligenza, sempre più statica e conformista e sempre 34 Stiegler B. (2012). Reincantare il mondo. Il valore spirito contro il populismo industriale, Orthotes, Napoli, p. 143. 35 Costa G.; Gubitta P. (2008). Organizzazione Aziendale, Mercati, gerarchie e convenzioni, Mc- Graw-Hill, Milano. 30 31 Pensare CON LE MANI Pensare CON LE MANI più distaccata dagli esseri umani, ad un sistema in cui la molteplicità e diversità delle persone diventa il motore della continua creazione di conoscenza ed innovazione e ad esse è lasciata la responsabilità delle decisioni”36. Ciò significa che, per una specifica civiltà, il carattere antropologico ed esistenziale del lavoro lo rende la principale forma operosa che assume l’amore per la comunità quando si alimenta della speranza nel futuro. È un’operazione collettiva, ed insieme personale, nella quale si realizza il cammino di scoperta e perfezionamento dell’umano, perché impegna molto tempo del soggetto, ma soprattutto perché vi sono concentrate più forze umane: bisogno, relazioni, tecnica, potere, sensibilità, solidarietà, creatività, talenti, vocazione. 36 De Michelis G. (2017), op. cit, p, 572. 6. Cinque proposte per il rilancio del lavoro manuale Gli ultimi decenni di svalutazione del lavoro manuale hanno provocato nel nostro Paese una grave carenza di persone in grado di svolgere attività che richiedono un’intelligenza delle mani, e contemporaneamente hanno concorso all’aumento di disoccupati, neet e persone in condizione di disorientamento. Per invertire questa tendenza serve una decisa svolta politica sui seguenti ambiti: - orientamento: un piano di promozione del lavoro manuale rivolto sia agli studenti della secondaria di primo grado ed alle loro famiglie sia ai giovani dei tecnici e dei licei attratti da una prospettiva lavorativa vocazionale concreta e soddisfacente; - educazione al lavoro: una politica di rilancio dei percorsi formativi che insegnano il lavoro, in modo da allineare l’Italia ai livelli degli altri paesi europei (Vocational Education and Training - VET), anche tramite Accademie dei mestieri da realizzare in tutti i territori; - politiche del lavoro: tramite strumenti quali borse lavoro, dispositivi di sostegno del lavoro giovanile, imprese formative, contratti ad hoc per la successione di impresa, vanno sostenuti percorsi di accesso ai lavori manuali in tutti i settori che soffrono per la mancanza di collaboratori competenti; - rilancio del lavoro artigianale: un piano di sostegno delle imprese artigiane con innovazioni tecnologiche, organizzative e di marketing che consentano di qualificare i prodotti, ottimizzare le risorse e sviluppare strategie di marchio del Made in Italy; - tutela del lavoro manuale: una revisione dei contratti di lavoro allo scopo di valorizzare anche sul piano retributivo il lavoro manuale, oltre ad una lotta vigorosa allo sfruttamento dei lavoratori dotati di competenze operative. Il rilancio del lavoro buono, realizzato tramite la valorizzazione dell’intelligenza delle mani, avviene perseguendo la convergenza di iniziative educative, politiche e legislative miranti a superare il contrasto tra il pensiero delle élite e degli intellettuali e la realtà che, come abbiamo visto, è ricca di segnali di riscoperta del lavoro manuale. Cinque sono le piste su cui si indirizza la “politica del lavoro buono”: ORIENTAMENTO Senza nascondere i problemi, l’approccio orientativo corretto è quello che ricerca gli scopi buoni dell’opera umana e coglie le tensioni in atto tra le forze della stagnazione e quelle generative. Tale piano dovrà prevedere una varietà di strumenti caratterizzati dal fattore decisivo dell’esperienza: 32 33 Pensare CON LE MANI Pensare CON LE MANI - raccolta di video: la rete presenta una importante quantità di videoclip nei quali i diretti interessati presentano la loro professione mostrandone le attività svolte nei diversi contesti in cui viene esercitata. Questi video forniscono una visione più realistica di quello specifico lavoro, anche se per coglierne la natura è necessario un incontro con un testimone esperto ed un’esperienza diretta. - Testimonianze nelle scuole: è la formula relazionale più semplice da organizzare, dotata di una buona efficacia in rapporto alle risorse mobilitate. Spesso usata dai Cavalieri del lavoro, da ex dirigenti ma anche da parenti e conoscenti invitati magari il sabato mattina a presentare il loro lavoro. - Presentazioni pubbliche: in diversi casi di settori “orfani” di vocazioni, le associazioni imprenditoriali e professionali organizzano incontri pubblici con notevole investimento in mezzi e testimoni. È molto utile anche qui la possibilità di un colloquio faccia a faccia con questi ultimi da parte dei giovani. - Fiere: è una formula un po’ obsoleta ed in parte anche ambivalente perché può scivolare nel marketing degli organismi ed anche perché molti ragazzi la vivono come una gita che interrompe l’attività scolastica quotidiana. Ma nelle migliori esperienze vi sono rappresentate simulazioni realistiche del lavoro, con testimoni ed esperti di orientamento con cui gli utenti possono dialogare. - Visite: se troppo brevi possono consentire una visione solo generale del lavoro svolto nel contesto, ma quando sono organizzate in due tempi (l’esposizione per tutti seguita da un incontro con il gruppo di chi è davvero interessato) è possibile un approfondimento più mirato e dialogico. - Workshop: sono approfondimenti specifici per settori e figure professionali con utenze motivate. Il workshop permette di creare una sintonia di gruppo e di valorizzare al meglio gli incontri, alcune esercitazioni tipiche della professione, il confronto, le informazioni ed i consigli. - Colloqui: per chi desidera confrontarsi con un esperto per chiarire la sua situazione, rispondere a specifiche domande e ottenere una conoscenza che vada oltre la mera impressione, non c’è nulla di meglio della possibilità di fissare un colloquio – anche con un piccolo gruppo di compagni con esigenze simili – con esperti convocati da un organismo come la CCIAA. - Microstage per studenti: sono piccole esperienze di “cimento” su compiti semplici, ma inseriti nel contesto tecnologico e professionale reale, dove lo studente si mette in gioco per realizzare un prodotto/servizio sotto la guida di un esperto che gli fornisce anche una restituzione circa i segnali di consonanza / dissonanza che ha potuto vedere il lui. - Microstage per insegnanti: sono attività di grande importanza perché consentono agli insegnanti di conoscere l’effettiva realtà del mondo elle imprese, delle figure professionali e delle dinamiche economiche, sociali e culturali che vi si muovono, così da superare stereotipi e visioni non più attuali. - FabLab: è un laboratorio dotato di tecnologie innovative, oltre che di esperti qualificati, che opera secondo l’approccio del CoWorking, la costruzione di una community tra gli utenti, per promuovere nuove progettualità condivise. Il potere orientativo del FabLab è molto elevato poiché crea un clima fortemente proteso alla conoscenza tramite la pratica guidata da adulti molto preparati. EDUCAZIONE AL LAVORO Il sistema italiano di educazione al lavoro si trova in uno stato di crisi che lo rende una debole versione del sistema europeo denominato VET (Vocational Education and Training). Ciò è dovuto a diversi fattori: - frammentazione delle competenze tra le diverse istituzioni (Stato, Regioni e Province autonome) secondo una ripartizione istituzionale centrata sul principio delle aree di esclusività e di concorrenza che porta ad un contesto nazionale per certi versi caotico, dove la possibilità da parte dei cittadini di poter vedere rispettato il loro diritto-dovere di istruzione e formazione dipende da fattori esterni come l’orientamento politico delle amministrazioni locali, l’equa disponibilità e distribuzione delle risorse, la corretta applicazione delle norme e degli accordi previsti in sede di Conferenza Stato-Regioni; - frammentazione degli interventi e delle loro denominazioni divenute tanto differenti ed insieme cacofoniche (istruzione tecnica, istruzione professionale, istruzione e formazione professionale, istruzione tecnica superiore, istruzione e formazione tecnica superiore...) da creare in qualsiasi interlocutore, pur dotato di buona volontà e di buon senso, una barriera insormontabile che respinge ogni tentativo di comprensione della corrispondenza tra quanto offerto e le proprie necessità; - sovrapposizione tra natura educativa e natura socioassistenziale degli interventi, in riferimento ad un’utenza tendenzialmente sempre più problematica e di una pressione esterna che provoca esiti imprevisti di medicalizzazione e di abbassamento dei livelli dell’offerta formativa e quindi degli apprendimenti; - eccesso di normazioni e di procedure di vario genere che ingabbiano l’opera delle istituzioni coinvolte e dei loro operatori, obbligati a dedicare una parte considerevole del proprio tempo ad una proliferazione crescente di schede, progetti relazioni. L’occasione del PNNR è preziosa in quanto consente di mettere mano ad un rilancio dell’intero settore dei percorsi formativi che insegnano il lavoro, secondo una 34 35 Pensare CON LE MANI Pensare CON LE MANI conformazione facile da capire da parte dei cittadini e sulla base di un approccio autenticamente formativo e quindi vocazionale e non assistenziale, in modo da allineare l’Italia ai livelli degli altri paesi europei. Andrebbe anche esplorata la strategia – di cui si intravvedono già segnali interessanti – delle Accademie dei mestieri da realizzare in tutti i territori con il concorso delle diverse istituzioni coinvolte, delle imprese e delle CCIAA. Fa parte della politica di qualificazione dei percorsi formativi professionalizzanti il rilancio dell’Alternanza scuola-lavoro integrata entro la modalità dei PCTO intesi come componente strutturale del curricolo volto a rendere i giovani più consapevoli di sì e della realtà, ed inoltre meglio formati all’assunzione di un ruolo attivo nella società. POLITICHE DEL LAVORO Diversi sono gli interventi necessari a modernizzare le politiche attive del lavoro nel nostro Paese, al fine della costruzione di un sistema di ingresso, sostegno e tutela di tutte le figure interessate, ovvero coloro che si trovano nelle transizioni scuola-lavoro, in situazioni di difficoltà nell’inserimento a causa del disallineamento del proprio bagaglio rispetto alle richieste delle imprese, nello stato di disoccupazione per la perdita del posto di lavoro, oppure intenzionati a cambiare il proprio lavoro con un altro più soddisfacente. Anche in questo ambito, è prezioso il ruolo del PNRR in quanto possibilità di riformare, rimodernare e favorire la crescita dell’Italia tramite la leva delle politiche attive del lavoro operanti sui seguenti punti: - la riforma complessiva degli ammortizzatori sociali associandoli ad interventi sulla formazione dei lavoratori che beneficiano di un sostegno, per aiutarli a sfruttare il tempo di Cassa integrazione verso percorsi formativi volti ad ampliare le competenze o a formare nuove professionalità attraverso la riqualificazione professionale; - l’ampliamento degli strumenti di accompagnamento quali le borse lavoro, i dispositivi di promozione del lavoro giovanile, i contratti ad hoc per la successione di impresa, incentivi per chi intraprende percorsi di accesso ai lavori manuali in tutti i settori in cui vi è carenza cronica di nuovi collaboratori dotati delle necessarie competenze; - l’adozione da parte dei servizi di una metodologia di reale presa in carico dei lavoratori, dei disoccupati e dei giovani che non studiano e non lavorano (i Neet) in modo da favorire un accompagnamento efficace, continuativo e soprattutto che si avvale di dispositivi personalizzati e tempestivi, compresa la possibilità di monitorarne l’efficacia e di correggerne se necessario la traiettoria. Sulla carta, il PNRR appare ricco di tutti gli interventi citati che risultano coerenti con le necessità di un sistema di politiche attive del lavoro fondate sulle migliori esperienze europee e strutturato su tutto il territorio nazionale. Ora va posta l’attenzione sul processo di implementazione, affinché non si ripresentino i nodi che già nel passato si sono rivelati molto critici: - il superamento della cultura sostenuta dalle organizzazioni imprenditoriali e dai sindacati dei lavoratori, che ha da sempre associato le politiche del lavoro all’esclusiva finalità di protezione del reddito del lavoratore ed al sollievo dei bilanci delle imprese, invece che al perseguimento prioritario della riqualificazione e del reinserimento lavorativo, oltre che del rilancio imprenditoriale; - l’ampliamento del ventaglio degli interventi tramite strumenti di accompagnamento nella fase successiva alle crisi, allo scopo di proteggere il reddito del lavoratore e il suo posto di lavoro; - la creazione di un dispositivo di coordinamento e di cooperazione tra i diversi attori in gioco - centri per l’impiego ed enti di formazione, superando – come già indicato in precedenza – delle notevoli differenze presenti nei sistemi regionali di formazione professionale, un fattore che crea una ingiustificabile disparità di rispetto dei diritti sanciti dalla Costituzione. RILANCIO DEL LAVORO ARTIGIANALE In tema di artigianato occorre guardarsi da due comportamenti inadeguati, purtroppo molto diffusi: - da un lato la retorica del lavoro artigiano e del made in Italy visti attraverso la lente della nostalgia di un tempo che è inesorabilmente declinato, per il rilancio del quale non bastano iniziative folcloristiche centrate sugli antichi mestieri, che spesso si rivelano essere operazioni di marketing turistico dei centri minori; - dall’altro gli interventi di natura assistenzialistica a protezione del reddito di botteghe che, nella loro configurazione tradizionale, non consentono al titolare di ottenere un reddito dignitoso che non si limiti all’integrazione dell’assegno pensionistico. Ciò che serve è una politica non frammentaria che, mobilitando le associazioni di settore su piani realistici di sviluppo, miri alla salvaguardia dei mestieri a rischio di estinzione, alla promozione ed alla valorizzazione delle produzioni e dei servizi, delle conoscenze e delle pratiche di eccellenza, associando gli interventi di integrazione del reddito, oggi molto diffusi nelle politiche degli enti locali, ancorché frammentari e fini a se stessi, ad iniziative innovative concentrate su pochi obiettivi rigorosamente monitorati: 36 Pensare CON LE MANI - l’innovazione dei processi produttivi e di servizio tramite la digitalizzazione, l’adozione di tecnologie mirate alle singole produzioni e nel contempo rispettose della qualità artigianale, un processo organizzativo più razionale che miri all’ottimizzazione delle energie ed all’incremento dei prodotti; - una strategia di marketing artigianale strettamente integrata con le proposte degli enti locali finalizzate alla riscoperta dei territori minori e delle aree interne, con pacchetti che vadano oltre le presenze estemporanee e puntino a fidelizzare un numero significativo di ospiti che condividano un sentimento di appartenenza al territorio che alimenti la responsabilità di garantire ad esso un futuro positivo; - una politica formativa di giovani artigiani basata sull’imparare facendo e svolta mediante un metodo misto che preveda l’affiancamento di figure esperte con il supporto di consulenti circa le innovazioni citate sopra, unitamente a stage culturali in cui approfondiscono i nuclei del sapere connessi alla storia, al territorio, alle pratiche lavorative ed al significato di “vita buona”. TUTELA DEL LAVORO MANUALE Potrà apparire banale, ma alle imprese che non trovano candidati per lavori ad alta specializzazione manuale, è sensato rispondere “prova a pagarli di più”. Alla loro risposta “non ci sono margini di profitto” si può replicare sollecitando la visita ad esperienze italiane e straniere che hanno saputo retribuire giustamente il lavoro adottando strategie innovative che prevedano anche la creazione di marchi territoriali, produzioni di alto livello qualitativo e capacità di marketing internazionale presso le fasce di consumatori disponibili a pagare prezzi più elevati per prodotti di vera eccellenza. Si impone inoltre la revisione dei contratti di lavoro che risultano per la gran parte ancorati ad una classificazione delle figure professionali che collocano sistematicamente i lavoratori manuali nella fascia del basso reddito. Va infine condotta una lotta vigorosa allo sfruttamento dei lavoratori dotati di competenze operative e per contrastare ogni forma di lavoro non regolare. La tutela del lavoro manuale è indice del grado di civiltà in quanto favorisce le condizioni della formazione e della promozione del genius loci; gli argomenti pauperistici che vengono addotti per giustificare – o perlomeno tollerare – forme ataviche di sfruttamento del lavoro sono indice di un’arretratezza culturale prima che economica.

Coi tempi e con Don Bosco - Lettera da Roma 10 maggio 1884

Autore: 
CNOS-FAP
Categoria pubblicazione: 
Fuori collana
Anno: 
2020
Numero pagine: 
38
Codice: 
Lettera, Roma, cortile, condizione giovanile, educatore, oratorio, giovani, Chavez

Politiche educative di istruzione e di formazione

Autore: 
Malizia G.
Categoria pubblicazione: 
Fuori collana
Anno: 
2019
Numero pagine: 
288
Codice: 
Questo libro è nato dall’esperienza di quaranta anni di insegnamento (Guglielmo Malizia) nel curricolo di Pedagogia per la Scuola e la Formazione Professionale della Facoltà di Scienze dell’Educazione dell’Università Salesiana e dal confronto con la Presidenza del CNOS-FAP (Mario Tonini). Il corso è quello tradizionale di Legislazione e Organizzazione Scolastica, ma gli studenti sono italiani solo in una minoranza estremamente ridotta, mentre la grande maggioranza proviene da una gamma ampia di Paesi, situati in tutti i continenti: quest’ultima specificità ha impedito di parlare dell’Italia e ha imposto di fare riferimento alle dimensioni europea e internazionale della disciplina. Inoltre, molti degli allievi, quando si iscrivono al curricolo menzionato sopra, possono già vantare un’esperienza più o meno lunga di insegnamento o di coordinamento e talora pure di dirigenza. Per questi motivi, è sembrato che il libro potesse essere proposto con utilità anche ad una platea di formatori e di dirigenti della Formazione Professionale del CNOS-FAP. Inoltre, il volume può interessare pure quanti si trovano nella medesima condizione, anche se non sono studenti dell’Università Salesiana od operatori del CNOS-FAP, quali: studenti che si preparano all’insegnamento, docenti, formatori, dirigenti, studiosi e professori di politica educativa, ammini-stratori e politici della scuola e della FP. Nel titolo del libro si è usato il termine politica e con esso si intende indicare l'insieme degli in-terventi posti in essere dall'autorità pubblica sul piano macrostrutturale nel sistema educativo di istruzione e di formazione in vista del raggiungimento del bene comune. In altre parole, il volume si occupa di quella disciplina che gli studiosi europei chiamano “amministrazione scolastica” e che all’interno delle scienze dell'educazione studia la gestione della scuola a livello di sistema (Federa-zione, Stato, Regione, Provincia, Distretto) allo scopo di conoscerla meglio e di renderla più efficace (Girod, 1983; Butera et alii, 2002; English Fenwick, 2006; D’Addazio, 2008; Malizia, 2008a e b; Bush, 2011; Malizia e Tonini, 2015; Castoldi e Chiosso, 2017). A questo punto è opportuno ricordare in sintesi l’evoluzione di tale disciplina sul piano degli ap-procci scientifici adottati. Fino alla metà del secolo scorso ha dominato la prospettiva giuridica ha coinciso con la legislazione scolastica. L'approccio delle scienze sociali ha esercitato un forte influsso sull'evoluzione della politica e dell’amministrazione scolastica e formativa per tutto il XX secolo, soprattutto tra la metà degli Anni '50 e '70. Lo scopo era di potenziare l'insegnamento universitario e la ricerca, facendoli uscire da uno stile prevalentemente esortatorio e impressionistico; d'altra parte, gli amministratori e i politici operavano in organizzazioni, comunità, gruppi, in situazioni cioè studiate proprio dalle scienze sociali. In particolare sono le teorie organizzative a influire sulla politica e sull’amministrazione scolastica e formativa. Così le posizioni tayloristiche risultano visibili nell'enfasi sull'efficienza, i risultati, la competenza, la responsabilità, soprattutto nei paesi an-glosassoni; la concezione weberiana della burocrazia nella costruzione dei sistemi centralizzati nelle nazioni in via di sviluppo; la teoria delle relazioni umane nella domanda diffusa di democrazia e di una “leadership” partecipativa; le impostazioni sistemiche nell'affermarsi dell'autonomia e della pe-dagogia del progetto. Agli inizi degli Anni '70 il panorama delle scienze sociali è percorso da forti dinamiche orientate al cambiamento. Anzitutto, è la società ad essere scossa da un intenso attivismo politico che trova la sua espressione paradigmatica nella contestazione giovanile. Inoltre, viene denunciato da più parti il positivismo delle scienze sociali, cioè la pretesa che gli unici criteri di verità siano la verifica empirica e la logica analitica, che la metodologia delle scienze naturali debba essere trasferita senza adat-tamenti alle scienze sociali, che l'obiettivo di queste ultime consista nella elaborazione di leggi, che la ricerca debba essere neutrale sul piano dei valori. Emergono nuove prospettive tra cui va ricordato il “soggettivismo” che rifiuta ogni scientismo per affermare la necessità di tener conto nella politica e nell’amministrazione scolastica e formativa anche dei valori e dei sentimenti. Pertanto, il campo degli studi va esteso dagli aspetti descrittivi a quelli normativi e la ricerca empirica non può limitarsi al quantitativo, ma deve affrontare anche temi come la volontà, le intenzioni, il linguaggio, ciò che è giusto o sbagliato nella politica e nell’amministrazione scolastica e formativa: di conseguenza la metodologia si orienta verso gli studi etnografici e qualitativi. Le carenze maggiori di tale prospettiva riguardano la concezione superata di scienze sociali che prende in considerazione il re-lativismo in cui rischia di cadere per la mancanza di criteri oggettivi di valutazione. Le “teorie critiche”, che si ispirano alla scuola di Francoforte, focalizzano l'analisi sulla falsa coscienza che viene creata nella massa della gente da sottili meccanismi sociali, istituzionalizzati nel mondo del lavoro, nell'educazione, nei mass media, nel tempo libero, in funzione degli interessi della classe dominante. Sul piano della politica e dell’amministrazione scolastica e formativa si parte dalla constatazione della funzione riproduttiva della scuola e del diverso trattamento prestato agli studenti secondo la classe sociale per affermare che i politici e gli amministratori sarebbero al servizio dei ceti dirigenti e, pertanto, non si impegnerebbero per realizzare una maggiore eguaglianza delle opportunità nell'Istruzione e nella Formazione. Le teorie critiche riflettono tutti i limiti delle po-sizioni marxiste: nell'ambito della politica e dell’amministrazione scolastica e formativa hanno espresso più critiche che proposte, appaiono estranee alla realtà scolastica e formativa e le loro ipotesi sulla funzione riproduttiva della scuola sono messe in discussione dai risultati della ricerca empirica. Altri approcci da ricordare sono: il “postmodernismo” o “poststrutturalismo” che, a motivo del suo orientamento antintellettuale e antistituzionale, si rivela particolarmente critico nei confronti della scienza e della maggior parte delle forme di organizzazione e di amministrazione; l'area degli studiosi impegnati nella promozione dei gruppi svantaggiati a causa del sesso, della razza o della nazionalità, che evidenziano la situazione di sottorappresentazione e di disparità di tali gruppi nella politica e nell’amministrazione scolastica e formativa; le interpretazioni che rifiutano lo scientismo e il positivismo, ma accettano la scienza e una molteplicità di metodi e che si ispirano al pragmatismo, alla fenomenologia e al realismo. Gli Anni '90 e gli inizi del nuovo secolo offrono un quadro di riferimento sociale molto diverso: il crollo del socialismo reale, l'avvento di regimi moderati o conservatori, la sostituzione delle antiche controversie ideologiche con nuove problematiche come l'inquinamento ambientale, il rapporto Nord/Sud, il nazionalismo, l'intolleranza. Anche nelle scienze sociali, mentre perdono quota le im-postazioni radicali, prevalgono tendenze sia alla conciliazione tra analisi strutturale e culturale e fra prospettive macro e micro, sia a un empirismo pratico che fa comunque uso del metodo scientifico qualunque sia l'approccio teorico seguito. Anche nella politica e nell’amministrazione scolastica e formativa si affermano prospettive meno polemiche, più flessibili e anche più sofisticate e una co-scienza più acuta della complessità dell'oggetto porta sia all'accettazione di una pluralità di approcci e di metodologie sia ad un aumento della diversificazione, della frammentazione e della specia-lizzazione. Si placa lo scontro tra sostenitori della ricerca quantitativa e qualitativa, benché sia que-st'ultima a ricevere un forte impulso. I valori assurgono al centro della scena soprattutto nel contesto dei processi decisionali e della definizione di soluzioni alternative. La politica e l’amministrazione scolastica e formativa è riconosciuta come uno strumento indispensabile per il raggiungimento di obiettivi organizzativi e sociali. Il presente volume si ispira a questo orientamento fondato su una pluralità di approcci e in particolare a quelli delle scienze sociali, del soggettivismo e delle teorie critiche; naturalmente si è cercato di evitare i limiti di ciascuna di queste prospettive. Ritornando a questo libro, esso svolge una funzione di introduzione generale alla dimensione po-litica dei sistemi educativi di istruzione e di formazione. In particolare, esso vuole aiutare il lettore ad: acquisire una conoscenza generale dei modelli di sviluppo dei sistemi di istruzione e di forma-zione e una specifica delle politiche proprie dei diversi ordini e gradi di offerta; essere capace di va-lutare le politiche scolastiche e formative del proprio Paese a differenti livelli; essere in grado di analizzare l’offerta di una scuola o di un Centro di Formazione Professionale. L’anno scorso tutte le copie del presente volume si sono esaurite e la Presidenza Nazionale del CNOS-FAP ha chiesto il permesso di ristamparlo. La risposta è stata positiva; al tempo stesso si è proposto di procedere ad una vera e propria riedizione. Infatti, sono passati dieci anni dalla pubbli-cazione, troppi perché il testo potesse rimanere attuale rispetto ai ritmi accelerati del cambiamento sociale, per cui andava aggiornato. Vanno richiamate anche due ragioni più di sostanza per la riedi-zione; tra il 2008 e il 2018 il mutamento è stato particolarmente rapido e profondo sia per la crisi economica, una delle più gravi dal dopoguerra e da cui solo da poco si sta uscendo, sia per l’ampio dibattito che, prendendo le mosse dalle criticità dei sistemi di istruzione e di formazione, si è svi-luppato dall’inizio del terzo millennio e che mira a un loro sostanziale miglioramento (Castoldi e Chiosso, 2017; Bottani, 2002 e 2012; Unesco et alii, 2015). Pertanto, anche se l’impostazione gene-rale dei contenuti è stata mantenuta, tuttavia vengono rafforzate ed arricchite la descrizione del mo-dello di base con un secondo capitolo sulle ultime tendenze di politica dell’educazione e la tratta-zione dei vari livelli del sistema di istruzione e di formazione e delle questioni trasversali con il rife-rimento al nuovo Programma “Education 2030” dell’Unesco. Gli argomenti toccati prevedono anzitutto la presentazione del quadro generale delle politiche educative a livello internazionale che è stato articolato in due parti per evidenziare le critiche all’educazione permanente e le proposte che sono state avanzate per adeguare tale progetto alle pro-blematiche attuali. Seguono quattro capitoli in cui vengono illustrate le strategie secondo i vari gradi e ordini di scuola/FP: l’educazione di base; la scuola secondaria e l’istruzione e formazione tecnico-professionale; l’istruzione superiore; l’educazione degli adulti. Completano il panorama due tematiche di carattere trasversale: il ruolo e la formazione degli insegnanti; la governance della scuola e della FP tra autonomia e libertà. La gratitudine va alla Presidenza Nazionale del CNOS-FAP, e cioè a Don Luigi Enrico Peretti, a Don Mario Tonini (al tempo stesso sostenitore e coautore) e a Don Pietro Mellano, che hanno deciso di rieditare questo volume nella loro collana di opere. Un ringraziamento particolare va agli studenti di questi trent’anni che hanno aiutato a migliorare il presente saggio con i loro apprezzamenti, con le loro critiche e soprattutto con la loro vicinanza spirituale.

Sociologia dell'istruzione e della formazione

Autore: 
Malizia G., Lo Grande G.
Categoria pubblicazione: 
Fuori collana
Anno: 
2019
Numero pagine: 
205
Codice: 
978-88-917-8135-2
Questo libro è nato dall’esperienza dei due autori nell’insegnamento nel curricolo di Pedagogia per la Scuola e la Formazione Professionale della Facoltà di Scienze dell’Educazione della Università Salesiana . Il titolo del corso che costituisce il punto di riferimento di questa pubblicazione non è quello tradizionale di sociologia dell’educazione, ma di sociologia delle istituzioni scolastiche e formative. Si ritornerà successivamente sulle ragioni del nome, ma per il momento si desiderava sottolineare una coincidenza dell’inciso “istituzioni scolastiche e formative” con il binomio che ca-ratterizza il titolo di questo volume “istruzione e formazione” e con i destinatari del vo-lume che sono non solo i formatori e i dirigenti della FP del CNOS-FAP e degli altri Enti di FP, ma anche gli studenti che si stanno preparando per operare nella scuola/FP, gli insegnanti e i dirigenti della scuola e gli amministratori e i politici impegnati in questi settori. Un altro punto di contatto può essere trovato nella circostanza che molti dei nostri studenti all’università possono già vantare una esperienza più o meno lunga di in-segnamento o di coordinamento e talora pure di dirigenza sia nell’istruzione che nella formazione. Accenniamo anche a una altra somiglianza tra le due categorie di riferimento. L’esperienza suggerisce che i nostri studenti come anche i dirigenti e i formatori del CNOS-FAP sono esposti alla tentazione di ritenere che la dimensione sociologica non sia poi così necessaria per la loro preparazione. Non hanno dubbi sull’apporto della formazione antropologica perché hanno bisogno di un modello di uomo e di donna e anche di cristiano/a a cui educare i loro giovani, né su quella metodologica che li aiuta a stabilire buone relazioni e a creare una comunità fra tutte le parti interessate in vista di interventi efficaci, né su quella didattica in quanto consente loro di impostare corretta-mente il processo di insegnamento-apprendimento; da qualche tempo si sono convinti della rilevanza della prospettiva organizzativa poiché può assicurare il coordinamento di tutte le attività della propria scuola o del proprio centro di formazione professionale (CFP) in funzione della realizzazione del progetto educativo/formativo, mentre ritengo-no che la conoscenza delle condizioni psicologiche individuali dello sviluppo dei loro giovani siano un prerequisito necessario della efficacia della loro azione educativa. La dimensione sociologica sembra invece riguardare il funzionamento del macrosistema educativo che sfugge al loro controllo o, se entra nel micro, diviene di competenza di figure più specializzate come le assistenti sociali. Essi, però, non tengono conto che, per esempio, anche oggi lo strumento diagnostico più sicuro del successo di un giovane a scuola e nella vita è rappresentato dalla sua condizione socio-culturale ed economica. Precisiamo subito, senza aspettare di entrare nelle varie tematiche del volume, che l’affermazione fa pensare ad una sorta di profezia che si auto-avvera , tesi formulata in forma di teorema per la prima volta dal fondatore della Scuola di Chicago, Thomas e ri-presa poi da Merton nell’asserzione che una supposizione o profezia per il solo fatto di essere stata pronunciata, fa realizzare l'avvenimento presunto, aspettato o predetto, con-fermando in tal modo la propria veridicità (Thomas e Znaniecki, 1968; Merton, 1968). Tornando all’affermazione circa la predittività delle condizioni socio-culturali, il teo-rema prevede la resistenza strutturale al cambiamento che rende difficile la mobilità ver-ticale dei figli delle classi meno abbienti. Se tale resistenza fosse rigidamente vera, renderebbe superflua l’opera educativa della scuola che intende promuovere la cultura e, di conseguenza, anche le condizioni di vita delle nuove generazioni. Per evitare sconforto o atteggiamenti di disillusione, rimandiamo alla conclusione del testo in cui, tirate le fila delle varie teorie e affermata l’insufficienza degli approcci clas-sici e la necessità di un approccio multi-dimensionale, sosteniamo, a ragion veduta, la possibilità di un’azione istruttiva e formativa della scuola/FP che, almeno dove sono ga-rantite le libertà essenziali, promuova sia le condizioni culturali, sia di vita anche delle classi popolari. L’azione educativa tende proprio a far prendere coscienza agli educandi dei propri condizionamenti perché possano “gestirli” in modo da non lasciarsi sopraffare da essi. Ma forse la rilevanza della dimensione sociologica per l’azione di un insegnan-te/formatore o di un dirigente potrà apparire in tutta la sua chiarezza solo dopo aver cer-cato di definire cos’è la sociologia dell’istruzione e della formazione, cosa che ci accin-giamo a fare, o probabilmente solo alla fine del volume, se i lettori avranno la pazienza di percorrerlo tutto.

40 anni di STORIA e di ESPERIENZE della Federazione CNOS-FAP in ITALIA e nelle REGIONI

Autore: 
Malizia G. - Tonini M.
Categoria pubblicazione: 
Fuori collana
Anno: 
2018
Numero pagine: 
202
Codice: 
Introduzione La formazione professionale qualifica in modo originale la scuola dei Salesiani fino ad assurgere a criterio di riconoscimento di essi e delle loro opere (Viganò, 1978). La Federazione Nazionale CNOS-FAP è la struttura associativa che in Italia attualizza l’esperienza di don Bosco e dei suoi fi-gli in quest’area. La Federazione CNOS-FAP è dotata di un proprio Statuto e ispirato ad una cultura associativa e a scelte istituzionali che fanno riferimento all’Ente Promotore denominato “Centro Nazionale Opere Salesiane – CNOS”. Sulle motivazioni di questa scelta, le origini e gli sviluppi del CNOS ha scritto don Pasquale Ransenigo al quale rimandiamo per un approfondimento (CNOS-FAP, 2012, pp. 9-25). Nostro compito è di presentarne sinteticamente i primi 40 anni di storia . Il periodo di tempo da illustrare è notevole e l’intreccio degli avvenimenti risulta molto complesso. Abbiamo cercato pertanto di concentrare l’attenzione su quattro fasi: - il primo decennio di attività tra la fine degli anni ’70 e della prima decade ’80; - la realizzazione del Centro di Formazione Professionale (CFP) polifunzionale nella prima metà del ’90; - la costruzione di un sistema maturo ma disomogeneo di Formazione Professionale (FP) nella prima decade agli inizi del terzo Millennio; - la resilienza della FP e del CNOS-FAP negli anni della grande crisi. Inoltre, abbiamo inquadrato l’evoluzione della Federazione all’interno delle dinamiche sociali che le hanno fatto da sfondo durante questi 40 anni e, a conclusione di questa breve storia, ne abbiamo tracciato un bilancio. In questa breve introduzione non poteva mancare un richiamo alla riflessione e all’esperienza sa-lesiana in campo professionale. Ci serviamo delle parole di uno dei nostri maggiori esperti in materia, José Manuel Prellezo: «Nel lungo e laborioso cammino percorso dai laboratori di Valdocco alle scuole tecnico-professionali salesiane sono riscontrabili tappe differenziate nelle quali, pur con qualche ombra o incertezza, emerge sempre più chiaramente l’impegno per i giovani operai come aspetto essenziale della missione dei figli di don Bosco. […] I laboratori e le scuole professionali hanno consentito ai Salesiani di attuare in modo privilegiato la loro missione giovanile e popolare, attirando le simpatie anche degli ambienti laici. Specialmente in momenti di depressione economica e di scarsa attenzione pubblica all’istruzione professionale, i laboratori e le scuole tecnico-professionali salesiane hanno offerto a numerosi ragazzi/e dei ceti meno agiati un mezzo di promozione sociale. In sintonia con lo spirito delle origini, i documenti più recenti e autorevoli ribadiscono con forza la proposta di mettere i ‘centri d’insegnamento professionale in funzione dei più bisognosi’. Nella lunga strada - 150 anni ca. - dell’impegno a favore del mondo giovanile per il mondo del lavoro non sono mancati momenti di arresto, situazioni di incertezza, scarsità di personale qualifica-to, offerte meno adeguate alle urgenze nuove del sistema produttivo in trasformazione. Ma neppure sono mancate, d’altro canto, spinte al superamento di tale stato di cose. Dagli studiosi e dagli stessi vertici della Società Salesiana è stato caldeggiato l’invito a sviluppare la creatività e lo spirito di in-ventiva e a puntare sulle professioni ‘più favorite sul mercato del lavoro’. Tale invito è stato sinte-tizzato felicemente, all’inizio del nostro secolo, con l’espressione: ‘coi tempi e con don Bosco’» (Prellezo, 1997, 50-51; Prellezo, 2013). In sintesi, si può affermare che l’originalità dell’apporto della Congregazione Salesiana e del suo Fondatore in questo campo consiste: - nella intenzionalità educativa che punta allo sviluppo integrale della personalità del giovane ap-prendista; - nella concezione promozionale che mira alla sua professionalità; - nella maturazione etica e socio-politica in vista della formazione dell’“onesto cittadino” (Viganò, 1988). 1. La nascita del CNOS-FAP e il primo decennio di attività È il momento dell’inizio formale e del periodo di consolidamento della Federazione. Ab-biamo collocato ambedue gli eventi nel trapasso socio-culturale ed economico che si è verificato fra gli Anni ‘70 e ‘80. 1.1. Tra due culture dello sviluppo formativo Un segno della profonda trasformazione che si è compiuta tra le due Decadi, ‘70 e ‘80, è of-ferto dal ricorso alla categoria della complessità che a partire dagli Anni ‘80 è divenuto sempre più frequente da parte dei sociologi per qualificare globalmente la situazione dei sistemi dei paesi occi-dentali (Malizia - Frisanco, 1991). Essa sta ad indicare la numerosità e la varietà delle componenti sociali, la forza del dinamismo che le muove e le rinnova, le incongruenze non superabili che carat-terizzano le loro relazioni. Sul piano macrostrutturale il referente è dato dalla presenza talmente ab-bondante e diversificata di rapporti che rende impossibile, o quasi, tracciare il quadro unitario di una società, mentre sul micro si sottolinea la distanza che separa le capacità di conoscenza, di scelta e di controllo del singolo da quelle del sistema. I principi d'azione si qualificano per la loro natura settoriale in quanto sono finalizzati al conseguimento degli obiettivi temporanei e specifici dei singoli sottosistemi. Riguardo a questa raffigurazione della società alcuni tendono a evidenziare la moltiplicazione delle possibilità e delle opportunità e l’ampliamento dell’organizzazione, mentre altri sottolineano la graduale ingovernabilità dei sistemi, l’assenza di un centro organizzatore e l’aumento della entropia sociale. La progressiva terziarizzazione del mondo economico e soprattutto l'intreccio terziario delle culture, che stavano portando l'Italia verso una fase di sviluppo post-industriale, implicavano una trasformazione culturale e sociale di vaste proporzioni, in quanto significavano una razionalizza-zione dei comportamenti, una ristrutturazione dei processi decisionali, un allargamento delle ca-pacità conoscitive. Il trend in questione poneva tra l'altro l'esigenza di un'alfabetizzazione informa-tica dei giovani e delle generazioni adulte e di un apprendimento attraverso le nuove tecnologie, ed era destinato a far lievitare le nuove offerte formative a fianco e in concorrenza alla scuola. Inol-tre, dopo il raggiungimento del traguardo di una soddisfazione diffusa dei bisogni primari, il paese viaggiava verso la qualità sofisticata e non era pensabile che le istituzioni formative potessero con-tinuare a limitare la loro attenzione alle sole problematiche di ordine quantitativo, pena la pro-gressiva emarginazione dalle dinamiche sociali. Nonostante i segni di crescita e di sviluppo enumerati sopra, non sono mancate problemati-che gravi rappresentate in particolare dai seguenti fenomeni: il mantenimento di forme tradizionali di povertà, anche quantitativamente appariscenti, e l'emergerne di nuove; il permanere di tassi ele-vati di disoccupazione, soprattutto giovanile; l'affermarsi di una competitività sfrenata e di un indi-vidualismo esasperato; una società polarizzata tra una forza lavoro ristretta, impegnata in attività di spessore culturale particolarmente gratificanti, e una porzione quantitativamente molto consistente di persone che svolgono mansioni ripetitive di scarso contenuto culturale. Nel 1983 il Rapporto Censis sulla situazione sociale del paese faceva notare che il sistema scolastico e di FP si trovava in una situazione di transizione fra due culture dello sviluppo formativo. Negli Anni ‘50-‘70 era prevalso «una sorta di modello lineare e semplice di sviluppo [...], basato su presupposti di quantità, unicità, centralizzazione» (Censis, 1983, 164; Malizia, 1988). Durante il periodo accennato si è assistito a un'esplosione quantitativa della domanda di scolarizzazione, si è passati da una scuola elitaria a una di massa, lo Stato si è sforzato di adeguare il sistema formativo alla domanda sociale, dando priorità alle fasce giovanili, senza però riuscire a soddisfare pienamente e in modo tempestivo le esigenze emergenti. Educazione e scuola risultavano identificate secondo la logica di una società semplice mentre il servizio statale e l'impegno finanziario del Ministero della Pubblica Istruzione occupavano un ruolo centrale rispetto alla formazione organizzata da altri enti pubblici e dai privati. L'offerta formativa si qualificava inoltre per l'uniformità in risposta ad esi-genze comuni e per il prevalere di una situazione di stabilità. Le nuove tendenze che stavano emergendo sembrano puntare verso «una specie di modello (o meglio di spunti per un modello) complesso [...] basato su presupposti di qualità, di differenziazio-ne e personalizzazione dei servizi, di molteplicità di risorse formative, di decentramento» (Censis, 1983, 164). Mentre l'offerta pubblica continua a restare agganciata ai bisogni tradizionali, la do-manda sociale pur non rinunciando al minimo garantito dallo Stato si orientava decisamente verso la qualità e l'individualizzazione dei percorsi formativi. L'eguaglianza non veniva più ricercata nell'uniformità, ma nel rispetto delle esigenze personali; si affermava la prospettiva della mobilità, della transizione, del passaggio. Emergeva l'alternanza studio-lavoro soprattutto nella fase di primo inserimento professionale in cui si venivano a intrecciare attività lavorative e di formazione, mentre l'utenza potenziale si estendeva agli adulti. Diminuiva il monopolio della scuola sull'educazione, si allargava l'offerta formativa al di là dell'istruzione formale e crescevano i soggetti che offrivano formazione oltre lo Stato. Si sentiva la necessità di superare la contrapposizione fra centralizzazione e decentramento in un'ipotesi di governo dell'istruzione che prevedeva un coordinamento e un controllo centrali accanto a un forte potere locale d'iniziativa. La formazione non poteva più essere identificata con l'azione dello Stato, ma andava considerata come un sistema allargato e diversificato che abbracciava, oltre all'intervento statale, tutto un complesso di risorse e di agenzie che agivano nell'area dell'educazione. Il “sistema formativo allar-gato” verrebbe ad includere: una pluralità di soggetti che intervengono nel settore della formazione (lo Stato, le Regioni, gli Enti locali, altri enti e privati) tra i quali realizzare ipotesi di coordi-namento, integrazione o almeno interdipendenza; iter formativi differenziati in risposta alle esi-genze di personalizzazione dei percorsi; obiettivi diversificati di apprendimento che dovrebbero essere determinati esplicitamente, valutati con mezzi idonei e certificati con modalità nuove; colle-gamenti diversificati con gli altri sistemi confinanti con il formativo (famiglia, lavoro e tempo li-bero). In tale prospettiva il compito del potere pubblico non veniva annullato, ma trasformato in un ruolo di stimolo, valutazione e supporto. Quanto in particolare alla FP, con l’approvazione nel 1978 della legge quadro n. 845/78 si concludeva una lunga evoluzione che iniziatasi negli Anni ‘50 aveva gradualmente innalzato la fi-nalità educativa globale del settore dalla prevalenza dell’addestramento alla trasmissione di una cul-tura professionale (Ghergo, 2009a). Il sistema di FP delineato dalla normativa appena richiamata «appare organico e strutturato. Esso fa riferimento ad una rete di CFP, dotati di una notevole libertà di iniziativa nel territorio di riferimento, in stretta relazione con le imprese. Il sistema di FP è inteso in senso alternativo alla scuola, (per questo motivo è stato denominato in modo forse un po’ spre-giativo ‘scuola di serie B’), volto ad offrire alla gran parte degli adolescenti e dei giovani quelli che non proseguivano gli studi dopo la terza media un’opportunità di ‘elevazione culturale’ e di qualificazione professionale, in modo da posticipare l’ingresso nel mondo del lavoro e da garantire loro una migliore dotazione umana e professionale. Dal punto di vista strategico tale impostazione conduce alla delineazione di un sistema regolato come il sistema d’istruzione ma parallelo ad esso, con tipologie formative e ordinamenti didattici definiti, ma che in un secondo tempo sono divenuti in certa parte sostanzialmente rigidi e iterativi, tanto da dare vita ad una componente di CFP a carat-tere para-scolastico» (Gandini - Nicoli, 1999, 270-271; Ghergo, 2009a). La FP di base, destinata cioè ai giovani con o senza licenza media e con bassa qualifica, aveva registrato negli anni successivi una crescita costante che però si era interrotta nel 1985-86 quando si era verificato un calo significativo degli iscritti; al contrario risultava in aumento la do-manda di corsi professionalizzanti da parte dei diplomati, degli adulti, della forza lavoro in ricon-versione, del grande pubblico (Malizia - Chistolini - Pieroni, 1990). Comunque, dopo la crisi quan-titativa della metà degli Anni ‘80 alla fine della decade (1988-89) si osserva un aumento nel dato globale che però premia i corsi di 2° livello e quelli di formazione sul lavoro, mentre quelli di 1° li-vello presentano una ripresa che, tuttavia, non li riporta sui valori degli inizi del decennio. Al di là delle problematiche di ordine quantitativo il sottosistema pubblico – Stato, Regioni ed Enti convenzionati – denotava difficoltà di slancio. Le cause erano varie: le carenze del quadro legislativo quali lo stallo della riforma della secondaria superiore che manteneva in una condizione di grave incertezza le sorti della FP di base; il prestigio non molto elevato di cui godeva la FP re-gionale, come di una scuola di serie B; l’inadeguatezza a rispondere ai bisogni del mercato di lavoro, per cui non infrequentemente la decisione sui corsi era condizionata dall’offerta più che dalla domanda; una burocratizzazione pervasiva che si manifestava tra l’altro nella trasformazione ten-denziale delle convenzioni da atto contrattuale ad atto autoritativo, nella standardizzazione soffo-cante di interventi e costi, nell’eccessivo garantismo e nella scarsa flessibilità della politica del per-sonale; la conoscenza insufficiente dei dati della spesa e la mancanza di meccanismi di controllo dei risultati reali (Relazione del Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, 1987). Indubbiamente a monte incidevano le connotazioni del nuovo ciclo economico accennato sopra quali la progressiva terziarizzazione dei processi produttivi, lo sviluppo impressionante della scienza e della tecnologia, l’internazionalizzazione del mercato. In altre parole, la FP stava attraver-sando una fase di trasformazione caratterizzata dal passaggio da una mono-utenza tradizionale a una pluriutenza di portatori di esigenze nuove e diversificate, dall’ampliamento della gamma dei servizi, dalla crescita e dalla differenziazione delle offerte extrascolastiche, dall’introduzione di nuove tec-niche di autoformazione e di formazione personalizzata. 1.2. La nascita della Federazione Nazionale CNOS-FAP (fine Anni ’70) e il suo consolida-mento (Anni’80) Entro il quadro di una società in profondo cambiamento, in data 9 dicembre 1977 veniva creata presso notaio la Federazione Nazionale CNOS-FAP (Centro Nazionale Opere Salesiane - Forma-zione e Aggiornamento Professionale). Contestualmente si approvava lo Statuto e si stabilivano le cariche sociali. La Federazione era promossa dall’Ente CNOS. Questo è «un Ente con personalità giuridica ci-vilmente riconosciuta con D.P.R. 20/9/1967 n. 1016, modificato con D.P.R. 2/5/1969» (Statuto CNOS=STC, a.1) (CNOS, 1977). Il CNOS «fa parte a tutti gli effetti della Congregazione Salesia-na» che lo ha costituito per assicurare ai Salesiani la titolarità giuridica ad inserirsi nell’assetto civi-listico della società e a svolgere attività culturali, formative, educative, ricreative, assistenziali, arti-stiche e sociali, anche con finanziamenti pubblici (STC, a.2). Per conseguire le proprie finalità isti-tuzionali, il CNOS ha promosso la costituzione di Associazioni o di Federazioni settoriali a raggio nazionale, interregionale e regionale in diversi ambiti dell’attività salesiana in Italia, nelle quali esercita un’azione di guida e di controllo in ordine alla ispirazione salesiana, coinvolgendo le istitu-zioni della Congregazione che svolgono attività omogenee (STC, a 2 e 4). Una delle Federazioni settoriali che il CNOS ha costituito per realizzare i suoi scopi istituzionali è la “Federazione Nazionale Centro Nazionale Opere Salesiane-Formazione e Aggiornamento Pro-fessionale” (CNOS-FAP) (Statuto del CNOS-FAP=StF, a.1) (CNOS-FAP, 1981). Essa persegue i seguenti scopi: «a. coordinare le attività di formazione professionale svolte dagli Enti Associati, promuovendo eventuali associazioni; b. promuovere iniziative di studio, ricerca e sperimentazione in rapporto ai problemi inerenti all’orientamento e alla formazione professionale […]; c. curare la formazione e l’aggiornamento del personale docente nei Centri di Formazione Pro-fessionale; d. collaborare […] a iniziative tendenti alla formazione, qualificazione e riconversione dei lavo-ratori ad ogni livello; e. promuovere iniziative per l’orientamento professionale e scolastico […]; f. aderire alle organizzazioni regionali, nazionali e ultranazionali che perseguano le stesse finalità […]» (StF, a. 2). Anche la Federazione CNOS-FAP, al di là delle attività atte a conseguire i propri fini istitu-zionali, opera in prevalenza per la promozione e il coordinamento delle Sedi periferiche e lo fa principalmente attraverso le rispettive Delegazioni Regionali che assicurano alle suddette Sedi iden-tità associativa e servizi culturali e gestionali nel rispetto delle loro autonomie e responsabilità dirette (StF, a.2 e 6). I soci sono, essenzialmente, di quattro tipi: i soci fondatori di cui all’atto costitutivo; le isti-tuzioni salesiane, le Associazioni promosse dalle stesse o dalla Federazione Nazionale CNOS-FAP che svolgono attività di FP; membri qualificati della società salesiana; istituzioni non salesiane pur-ché operanti nell’ambito della formazione professionale ispirandosi alla Proposta formativa CNOS-FAP (StF, a.9). Organi sociali e articolazioni della Federazione sono: l’Assemblea Generale che è l’organo su-premo della Federazione; il Consiglio Direttivo Nazionale che è l’organo esecutivo delle delibera-zioni e degli indirizzi determinati dall’Assemblea Nazionale; la Giunta e la Sede Nazionale che at-traverso i propri Uffici e i relativi responsabili assicura piani annuali di attività, ricerca e sperimen-tazione a tutti i livelli; le Delegazioni Regionali; i Settori Professionali; il Collegio dei Revisori dei Conti. All’interno, poi, della Conferenza degli Ispettori Salesiani di Italia e Medio Oriente (CISI) è con-templata la presenza di un Superiore Provinciale (Ispettore) il quale, assumendo la Presidenza della Federazione CNOS-FAP, assicura il coordinamento e la coerenza con le iniziative nazionali della Congregazione Salesiana nel campo della FP e della scuola, garantendo la fedeltà della Federazione al sistema educativo, alle metodologie e allo stile di S. Giovanni Bosco. Nell’assetto istituzionale della Federazione è previsto un ruolo significativo per le Delegazioni Regionali a cui presiede il Delegato Regionale, chiamato a svolgere funzioni di rappresentanza della Federazione di fronte alle Amministrazioni Regionali e Locali (StF, a.9). A livello locale sono attive le Associazioni e/o Federazioni Locali che la Federazione promuove attraverso le delegazioni. I loro compiti si riferiscono prevalentemente alla gestione del personale e delle risorse umane e strumentali dei rispettivi CFP. Alla costituzione del CNOS-FAP hanno portato anzitutto le stesse ragioni che sono alla base del-la creazione dell’Ente CNOS e delle Associazioni da questo promosse. In particolare, hanno giocato una incidenza significativa su questa decisione: l’esigenza di legittimazione della presenza e dell’azione educativo-pastorale dei Salesiani; il bisogno di garantirsi spazi di libertà in un momento di montante statalismo; la ricerca del dialogo e del confronto con le istituzioni pubbliche, con altri enti e con le associazioni in vista di un servizio culturale ed educativo sempre più efficace alla gio-ventù; il reperimento di finanziamenti pubblici per poter esercitare l’opzione preferenziale per i più poveri (Rizzini, 1988). Passando più nello specifico della Federazione CNOS-FAP, si possono richiamare alcune moti-vazioni particolari: - la dipendenza da una associazione civile era necessaria al personale salesiano per operare nella FP ed essere retribuito con finanziamenti pubblici, non potendo tale personale es-sere alle dipendenze del medesimo Ente ecclesiastico di appartenenza; - inoltre, tali finanziamenti in base alla legge quadro erano erogati mediante conven-zioni a strutture di enti che risultassero emanazione di organizzazioni specifiche o di associazioni con finalità educative sociali; - sul piano strettamente congregazionale, si consentiva di aggregare le strutture e le iniziative locali mediante un coordinamento di livello nazionale o almeno regionale, uscendo dal settorialismo delle province religiose, o ispettorie nel linguaggio salesiano; va sottolineato che la medesima esigenza di aggregazione emergeva anche nella società civile (Viganò, 1978). Nel mondo delle politiche della formazione e del lavoro il dialogo culturale per portare avanti le nostre proposte non poteva svolgersi solo nell’ambito del singolo CFP ma richiedeva di elevarsi a livelli più alti per essere introdotto nei punti chiave dove si gioca il futuro in particolare dei giovani. Solo una Federazione che costituisse un corpo organico, sostenuto nella sua azione anche da studi di natura scientifica quali quelli condotti dall’Università Salesiana, poteva effettuare in modo vincente il confronto con i vertici del potere decisionale o con i centri di ricerca che plasmano l’opinione pubblica di un paese. Condizione di un confronto alla pari era anche la disponibilità di un personale qualificato: pure da questo punto di vista la dimensione nazionale del CNOS-FAP offriva una gran-de opportunità positiva. La natura civilistica dell’Associazione poteva facilitare il passaggio da un CFP gestito da soli religiosi come padroni a una comunità educativa che ricerca il massimo di par-tecipazione da tutti coloro che intervengono in questo progetto di crescita umana. La formula si dimostrò subito positiva. In cinque anni (1977-78/1981-82) gli allievi crebbero del 5% quasi, passando da 8.937 a 9.365, i formatori dell’8% da 714 a 777 e i Centri di 4 unità da 36 a 40 (cfr. Tav.1). Ma il balzo in avanti fu soprattutto qualitativo: i CFP si inserirono dinamicamente nel contesto sociale, mettendo a disposizione della comunità locale civile ed ecclesiale il loro patri-monio culturale, educativo e pastorale, corresponsabilizzando i laici e concorrendo mediante lo strumento dell’associazione del privato-sociale alla elaborazione delle politiche formative a livello locale e nazionale. A ciò ha concorso il rapido consolidamento del CNOS-FAP che si è compiuto negli Anni ‘80 (Rizzini, 1988). Nel 1980 all’assetto previsto dallo Statuto si aggiungeva quello normativo dei Re-golamenti della Sede Nazionale e delle Delegazioni Regionali che dotava la Federazione di artico-lazioni efficaci sul piano territoriale. Nel 1982 venivano istituiti i Settori Professionali (meccanico, elettromeccanico, elettronico, grafico e le commissioni culturale e matematico-scientifica), mentre il relativo Regolamento diveniva definitivo nel 1987: con questa nuova struttura veniva potenziata la dimensione associativa del CNOS-FAP nel senso che ogni formatore in quanto membro di un set-tore professionale specifico o di una commissione contribuisce a definire le linee generali della pro-grammazione formativa e a tradurle in pratica. Nel 1984 la rivista “Rassegna CNOS” iniziava le pubblicazioni; l’intento era di offrire ai formatori e agli operatori della FP, ai centri di studi impe-gnati in questo ambito, agli amministratori e ai politici un «periodico saggio degli studi e delle ri-cerche degli esperti e l’esperienza degli operatori dei suoi 41 Centri, impegnati oggi particolarmente nella innovazione e sperimentazione della didattica e delle tecnologie formative» (Editoriale, 1984; cfr. anche Editoriale, 1993). In questo modo, si pensava di poter dare un contributo determinante a realizzare uno dei compiti, appena ricordato, che il Rettore Maggiore dei Salesiani, don Egidio Vi-ganò, aveva assegnato fin dall’inizio alla Federazione, quello cioè di realizzare un confronto rigoroso con il mondo culturale e politico a livello nazionale ed europeo sui problemi delle politiche del lavoro e della formazione (1978). Da ultimo, nel 1989 veniva elaborata la Proposta Formativa CNOS-FAP che articolava l’attività della Federazione intorno a quattro strategie fondamentali: la costruzione della comunità formativa come soggetto e ambiente di formazione; la qualificazione educativa e professionalizzante del CFP; la tensione verso una professionalità fondata su una valida e significativa cultura del lavoro ed un progetto di vita; l’offerta del servizio di orientamento profes-sionale. Pertanto, si può senz’altro condividere il giudizio che il presidente del CNOS di allora, don Felice Rizzini, ha dato sul primo decennio del CNOS-FAP: «La consistenza della Federazione CNOS-FAP, le salde tradizioni maturate in centoquarant’anni di storia e l’assistenza prestata dagli organismi federativi, specie quelli centrali e regionali […] l’hanno resa partecipe di un forte dialogo con il Ministero e le Regioni, con gli Enti di FP, specie con quelli di ispirazione cristiana attraverso la CONFAP, e con gli altri organismi e l’hanno resa capace di esprimere una propria cultura profes-sionale e di fare scelte adeguate, conservando un certo prestigio ed autorevolezza per l’esperienza acquisita, per le ricerche di studio portate avanti con la collaborazione del laboratorio CNOS istituito presso la Facoltà di Scienze dell’Educazione dell’U.P.S., per le pubblicazioni (sussidi e rivista specializzata) e per le iniziative assunte di sperimentazione, specie sotto il profilo didattico ed a fa-vore di giovani in difficoltà e a rischio» (Rizzini, 1988, 174; cfr anche Editoriale, 1994b). In questo periodo l’attività formativa principale era quella di primo livello che però venne profondamente rinnovata nei contenuti e nell’organizzazione sulla base anche dei risultati di numerose maxisperi-mentazioni affidate dalle Regioni e dal Ministero a livello di singolo CFP. La scelta dei giovani e delle famiglie continuava a orientarsi in maniera consistente verso i Centri CNOS-FAP, anche se nel 1986-87 si notava una leggera diminuzione degli iscritti (cfr. Tav.1) anche a seguito del blocco delle iniziative in alcune Regioni, di alcuni esperimenti di pubblicizzazione del personale, della limitazione dei finanziamenti e del ricorso di alcune Regioni a forme generalizzate di aggiornamento che causarono la sospensione delle attività corsuali. Efficace fu l’attività di orientamento che i Centri di Orientamento Scolastico Professionale e Sociale (COSPES), promossi dagli Enti CNOS e CIOFS, offrivano alla Federazione, partecipando alla programmazione educativa, accompagnando gli allievi ed assistendo i formatori e i genitori. Una conferma della consistenza qualitativa e quantitativa delle attività formative poste in essere si può desumere anche dal riconoscimento della Federazione come Ente Nazionale di primo livello per poter fruire dei contributi finanziari previsti dalla legge n. 40/87. Da ultimo non si può non sottolineare un aspetto che, però, non è specifico di questo periodo, ma che costituisce una costante dei 40 anni di attività del CNOS-FAP. Si tratta dell’impegno “a fare della formazione professionale un vero e proprio sistema”, (Rizzini, 1988, 176) a cui riconoscere parità e autonomia nei confronti del sistema scuola. 2. La Federazione CNOS-FAP durante gli anni ‘90 Agli inizi della decade ’90 l'Italia ha attraversato una fase di attesa e di stanca in cui sembrava che alla fiducia nello sviluppo ulteriore si fosse sostituito il demone della de-costruzione (Censis, 1991). In ogni caso le ombre, anche molto fosche, che gravavano sul nostro cielo, non esaurivano il quadro globale che era molto più vario e complicato: accanto alle crisi e alle sfasature che si erano imposte all'attenzione generale, non andavano dimenticate le lunghe derive positive, né gli spazi e i varchi che si stavano aprendo per rinnovare e adeguare il nostro paese. Tuttavia, nel prosieguo l’attenzione verrà concentrata sugli aspetti negativi perché consentiranno di capire meglio le pro-blematiche della FP e le risposte della Federazione CNOS-FAP. 2.1. Una società inquieta in fase di attesa Nei primi anni ’90 il processo di sviluppo a lungo termine del nostro paese si trovava in un periodo di stasi e di blocco. Il sovraccarico dei soggetti, dei processi e dei comportamenti aveva portato a una ridondanza non regolata che creava più rigonfiamento che strategia. Al tempo stesso sembrava essere entrata in crisi la tensione ad innovare e a fare qualità: fantasia e creatività, che avevano accompagnato e, soprattutto, preceduto lo sviluppo degli ultimi decenni, apparivano deci-samente in ribasso, mentre la scena denotava una crescente presenza di ordinarietà, ripetitività e routine. Un altro trend negativo poteva essere visto nella tendenziale deresponsabilizzazione dei di-versi centri di decisione ad incominciare dalla famiglia sempre più propensa al consumo che all'investimento o al risparmio. Una grave sfasatura era riscontrabile anche a livello di intervento pubblico che si caratteriz-zava da una parte per l'aumento incontrollabile del suo costo e dall'altra per la caduta in verticale della sua incidenza e utilità e per la situazione di frammentazione e di crisi in cui versava il sistema di rappresentanza. Ma il pericolo più serio era costituito senz'altro dal fatto che la forza del credere si era molto ridotta sia nei riguardi della politica sia entro la società civile, mentre si affermava il fenomeno, a cui si è già accennato sopra, della de-costruzione: sembrava che si volesse abbattere tutto dall'assetto costituzionale, ai partiti di massa, ai sindacati, agli ordinamenti regionali per, poi, ripartire di nuovo da zero. Passando infine agli aspetti socio-economici della situazione del paese nella decade ’90, ci si limiterà a sottolineare i mutamenti profondi in atto nel mercato del lavoro per poterli mettere a confronto con la FP. Da una parte si riscontrava un calo delle occupazioni industriali e dei mestieri tradizionali, mentre dall'altra emergevano nuove professioni e quasi-professioni nell'industria e nel terziario: queste ultime rinviavano a paradigmi di lavoro molto diversi dai profili a cui tradizio-nalmente aveva preparato la FP (Butera, 1989). Il mercato del lavoro assumeva un carattere sem-pre più frammentato, mentre la FP si era attrezzata ad offrire formazione solo ad alcuni di questi segmenti, per cui non riusciva a soddisfare la domanda globale. Si registrava inoltre una notevole polarizzazione fra settori forti e deboli della forza lavoro e l'insorgere di una nuova stratificazione sociale; anche in questo caso storicamente la FP si era occupata quasi esclusivamente delle fasce marginali. Altri cambi nel sistema sociale ponevano problemi non semplici alla FP: l'importanza determinante della qualità della persona umana nelle aziende; l'aumento della rilevanza dell'atmo-sfera di un'organizzazione e della sua cultura; una relazione più adulta fra singolo e organizzazione; una domanda diffusa di riconversione delle proprie competenze lavorative; l'esigenza di abilità sempre più complesse; la maggiore mobilità; la richiesta di interventi in tempo reale. In ogni caso non si trattava più di formare persone che dovevano svolgere dei paradigmi di lavoro già de-finiti, ma di preparare operatori che portavano valori e capacità di innovazione, di creatività, di impegno, di qualità e di eccellenza. Va riconosciuto che la FP aveva conseguito notevoli traguardi negli ultimi 20 anni: una defini-zione più adeguata, una corrispondenza più stretta con il sistema produttivo, un'accettazione cre-scente della sua rilevanza strategica e un riconoscimento più ampio della sua autonomia (Conferenza Nazionale sulla Formazione Professionale, 1992; Ruberto, 1992; Ghergo, 2009a). Tuttavia, il mondo della FP, pur essendosi reso conto sufficientemente dell'evoluzione in atto nella realtà formativa, stentava a tradurla nel proprio sistema in strategie efficaci e generalmente accettate. Inoltre, sebbene si fossero realizzate sperimentazioni valide, i risultati tardavano a ricadere sulle strutture non solo a causa della rigidità degli ordinamenti, ma anche di operatori contrari all'innovazione. I CFP dimostravano sufficiente dinamismo, ma trovavano un freno nella propria origine perché ritenute per lo più strutture di serie B. Le imprese si rivelavano più esigenti quanto all'efficacia controllabile degli interventi e più aperte alla collaborazione con le scuole e i CFP, ma limitavano il loro interesse alla stretta funzionalità delle azioni formative con i miglioramenti produttivi e orga-nizzativi, mentre trascuravano la formazione in vista dello sviluppo prioritario delle competenze dei lavoratori e della ricerca. È stata anche rimproverata alla FP di quegli anni una considerazione inadeguata del rapporto tra la domanda e l’offerta formativa: infatti, da una parte si registrava un eccesso di offerta forma-tiva rispetto alla domanda sociale da cui seguivano non infrequentemente sovrapposizioni e irra-zionalità, mentre dall'altra l'offerta formativa si rivelava inadeguata nei confronti della domanda economica sia per la preparazione carente degli operatori pubblici sia per la scarsa disponibilità delle imprese ad assumere parte dei costi. Il dibattito sull'offerta tendeva a concentrarsi sul curricolo, sulle metodologie e sulle esigenze occupazionali dei formatori e degli operatori piuttosto che sulla formazione da acquisire al termine del percorso di FP; a sua volta la progettazione curricolare si dimostrava insufficiente soprattutto nel momento dell'analisi della professionalità presente nell'impresa. In aggiunta si riscontrava una eccessiva diversificazione tra le Regioni e non manca-vano aree ad alta concentrazione di condizioni problematiche per cui la situazione stava rasentando la polarizzazione. Il sistema di certificazione era assente o assolutamente inadeguato perché privo del fondamento solido di criteri oggettivi. Nonostante ciò, il carattere strategico della FP era riconosciuto da una porzione importante di ricercatori e di operatori che la consideravano una variabile determinante della crescita socio-economica. La FP era il sottosistema formativo che nel nostro paese si qualificava per la più grande concretezza in quanto operava nello snodo tra domanda e offerta di lavoro; in particolare essa in-terveniva nella fase di raccordo fra tre gruppi di sistemi: produttivo e scolastico; lavorativo e for-mativo; della stratificazione sociale e della promozione degli strati più deboli della società. Inoltre, presentava un grado notevole di flessibilità e di apertura verso il contesto esterno, anche se non nella misura voluta. In sostanza le strutture della FP erano chiamate a costituire il perno del sistema regionale della transizione-reinserimento, in altre parole del passaggio dalla scuola alla vita attiva e della riqualificazione dei lavoratori. Cinque erano le aree di cui essa di fatto si occupava: la FP di 1° e di 2° livello, la formazione sul lavoro, i corsi speciali, i corsi di altro tipo (Isfol, 1990). Un ruolo così impegnativo esigeva cambiamenti notevoli nelle strutture di FP: emergevano nuovi compiti di integrazione e coordinamento, si richiedeva flessibilità di organizzazione, strutture e curricoli, biso-gnava rendere i CFP capaci di gestire l'innovazione. Accanto ai problemi organizzativi, l’altra questione centrale degli inizi della decade ’90 era costituita dalla situazione degli operatori della FP che vedeva anzitutto una giustapposizione e fre-quente sostituzione o integrazione delle figure di processo (progettisti, tutor, coordinatori) alle figure di contenuto (docenti, istruttori) (Isfol, 1992). Inoltre, i compiti dei formatori tendevano a com-binarsi nelle forme più varie sia nel momento dell'assunzione che dell'organizzazione del lavoro. Si registrava anche una situazione di elevata instabilità nei ruoli per cui questi non sempre corri-spondevano alle articolazioni precedenti delle figure, né d'altra parte ne emergevano di nuovi che ottenevano un consenso generale e la loro differenziazione era talora molto forte. La struttura del mondo del lavoro in cui coesistevano modalità tradizionali e nuove e una gamma di forme interme-die esigeva dai formatori il possesso non tanto delle abilità di adattamento al cambio quanto la ca-pacità di prevenirlo e di fornire strategie adeguate di risposta. Di qui l’esigenza di disporre di categorie anche contrattuali che affrontassero la tematica dell’innovazione dei profili professionali e del relativo inquadramento. 2.2. Il CNOS-FAP e il CFP polifunzionale Le linee fondamentali della politica della Federazione CNOS-FAP agli inizi degli anni ’90 possono essere sintetizzate nei seguenti orientamenti assunti a livello di Assemblee Generali e di Consigli Direttivi Nazionali della Federazione medesima: «a) un serio impegno da parte di tutti i membri della Federazione, secondo ruoli e responsabilità diversi, coinvolgendo allievi e genitori, per approfondire i valori caratterizzanti la attività formativa salesiana. […] b) […] le iniziative assunte perché l’elevamento dell’istruzione obbligatoria dai quattordici ai sedici anni possa essere soddisfatto in una pluralità di canali, compreso quello della formazione pro-fessionale. […] c) La qualificazione del personale, salesiano e laico impegnando: il singolo CFP a diventare fulcro della formazione permanente dello stesso; le Sedi Regionali a progettare un piano regionale adegua-to; e la Sede Nazionale ad organizzare con i Settori Professionali, corsi di qualificazione di aggior-namento, seminari di studio e convegni, ed a riservare negli incontri, previsti dagli statuti e dai regolamenti, temi formativi. A questo scopo vengono ulteriormente valorizzati: la rivista «Rassegna CNOS»; gli studi-ricerche del Laboratorio CNOS; la sperimentazione di nuovi testi e sussidi mul-timediali […]. d) il potenziamento degli organismi nazionali, regionali e locali con personale specializzato e con attrezzature aggiornate e la valorizzazione delle strutture associative, conforme allo statuto ed ai vari regolamenti» (Rizzini, 1988, 176-177). A nostro parere e anche in relazione alla presentazione della situazione della FP sopra indi-cata, l’aspetto più innovativo dell’attività del CNOS-FAP nei primi anni ’90 va identificata nella elaborazione di un nuovo modello organizzativo del CFP. Come si è osservato sopra, i CFP erano stati raggiunti agli inizi della decade ‘90 da fenomeni di involuzione burocratica (Isfol, 1995). Infat-ti, non infrequentemente si notava una focalizzazione eccessiva sui bisogni degli operatori a scapito dei destinatari; inoltre, non mancavano casi in cui si privilegiava il controllo normativo sulle procedure rispetto alla verifica sostanziale sui risultati. In reazione a questi segnali degenerativi si andava diffondendo l'esigenza di elaborare un modello alternativo al CFP tradizionale. A tal fine il Laboratorio “Studi e Ricerche” del CNOS-FAP ha realizzato nella prima metà de-gli anni ‘90 quattro ricerche, tre su finanziamento del Ministero del Lavoro (Malizia et al., 1991 e 1993; Malizia et al., 1996) – rispettivamente sul coordinatore progettista, su quello di setto-re/processo e sul direttore e lo staff di direzione – e una dello stesso CNOS-FAP sul coordinatore delle attività di orientamento (Pellerey - Sarti, 1991). Sulla base dei risultati di tali investigazioni è stato possibile elaborare un modello di organizzazione delle azioni di FP che si qualifica per essere al tempo stesso formativo, comunitario, progettuale, coordinato, aperto, flessibile e qualificato (Malizia et al., 1993). In sostanza si tratta del modello del CFP polifunzionale che, mentre da una parte cerca con la pluralità delle sue offerte di adeguarsi alla complessità della società odierna, dall'altra non rinuncia, anzi mira a rafforzare il suo ruolo formativo al servizio di una gamma molto ampia di destinatari. Esso si contrappone alla formula dell’agenzia formativa (Isfol, 1995) che però non sembra trovare il conforto dei dati delle ricerche menzionate sopra. I risultati di tale impegno associativo hanno costituito il quadro di riferimento entro il quale si è collocato anche un articolo (n.7) del CCNL della formazione professionale convenzionata (1994-1997) 2.2.1. Un modello formativo e comunitario Gli studi a medio e lungo termine coincidevano in generale su una previsione: l'avvio del terzo millennio sarebbe stato contraddistinto da una vera e propria esplosione delle conoscenze in tutti i campi (Cresson - Flynn, 1995). Nel nuovo modello di società, ricerca, sapere e formazione diventavano il fondamento del sistema sociale e non sarebbero più soltanto fattori di sviluppo: in altre parole, la formazione con la ricerca e il sapere rappresentava il fondamento stesso della società post-industriale o post-moderna. Anche nella FP la centralità della formazione significa promozione integrale delle persone; in questo caso, tuttavia, tale finalità prioritaria viene raggiunta attraverso l'acquisizione di un ruolo professionale qualificato e di una specifica cultura che è professionale, umanistica ed inte-grale. In altre parole tale cultura deve essere focalizzata sulla condizione produttiva che, a sua volta, va inquadrata in una concezione globale dell'uomo e che ottiene la sua piena significatività nella dimensione etica e religiosa. La formazione è opera comune, presuppone un accordo di base sulle finalità, i contenuti, le metodologie da parte di tutte le componenti della FP, giovani e adulti, animatori e operatori, geni-tori e collaboratori. La centralità della formazione esige la costruzione di una comunità che sia allo stesso tempo soggetto e ambiente di educazione. I dati delle ricerche evidenziano la convergenza delle opinioni degli operatori della FP sulla centralità della formazione (e di una formazione di qualità) e sul modello comunitario (Malizia et al., 1991 e 1993). È chiaro che la centralità della formazione e la costruzione di una comunità sono esigenze che si impongono in ogni Centro. Esse vanno realizzate in qualsiasi tipo di CFP, qualunque sia la sua dimensione o il contenuto della sua offerta. Né la complessità delle azioni intraprese dal Centro, né la presenza o la preponderanza di corsi mirati a un pubblico adulto possono indurre a pensare che il CFP si sia trasformato in un'azienda o in un'agenzia. Il CFP rimane un'istituzione formativa e la sua riorganizzazione, pur necessaria ed urgente, resta al servizio della scelta educativa e comunitaria la quale conserva il primato anche nella FP. Ed è questa logica di fondo che distingue principalmente il CFP polifunzionale del CNOS-FAP da certe concezioni agenziali della FP. 2.2.2. Un modello progettuale In quegli anni si era andato delineando un consenso generale sulla necessità di rinnovare il modello organizzativo delle istituzioni formative, in quanto appariva del tutto superato rispetto alle esigenze attuali della società. La strategia principale di azione andava ricercata nella crescita e nella diffusione di un'adeguata cultura organizzativa che significava fondamentalmente sviluppo della capacità di avviare prassi progettuali di sistema. In altre parole, bisognava anzitutto passare da un approccio organizzativo individualistico e disintegrato ad uno integrato che si traducesse in proposte unitarie e qualificanti di Centro e di corso. In secondo luogo la dimensione progettuale non poteva essere solo una caratteristica dell'azione del singolo formatore, ma doveva connotare l'attività di tutto il sistema. Inoltre, la progettazione doveva includere come componente imprescindibile il controllo; altrimenti i risultati dell'azione organizzativa avrebbero continuato a presentarsi come casuali. In ogni caso dalle ricerche più volte menzionate emerge chiara ed inequivocabile la do-manda degli operatori di introdurre nella FP la funzione/figura del coordinatore di progetto che viene inteso come un'articolazione della funzione del formatore (Isfol, 1992; Malizia et al., 1991). In altre parole si fa strada una impostazione di natura educativa che parte dal presupposto che il CFP sia principalmente una comunità formativa e più specificamente una comunità di formatori. Ne segue che la progettazione degli interventi impegna la corresponsabilità di tutti e diventa strumento prezioso attraverso cui la comunità formativa si crea e si sviluppa: infatti, tale azione consente alla comunità del CFP di identificare la domanda sociale di formazione, di fissare gli obiettivi dei propri interventi in relazione alle esigenze del contesto, di elaborare strategie educative valide in risposta al territorio, di valutare la propria attività in rapporto alle mete che ci si è posti. In altre parole la progettazione è il cemento che unifica la comunità formatrice e il dinamismo che la fa crescere. 2.2.3. Un modello al servizio della persona La promozione integrale della persona significa che l'educando occupa il centro del sistema formativo e che pertanto questo deve fare dell'oggetto dell'educazione il soggetto della sua propria educazione. A ogni persona va assicurato il diritto ad educarsi scegliendo liberamente il proprio percorso tra una molteplicità di vie, strutture, contenuti, metodi e tempi; in sostanza, è il sistema formativo che deve adattarsi all'educando e non viceversa. Indubbiamente, tutti gli operatori, i formatori, l'intero CFP e la FP nel suo complesso sono primariamente impegnati a promuovere lo sviluppo integrale della personalità degli allievi. Tra le nuove funzioni/figure che emergono dalle nostre ricerche, una che è chiamata a svolgere partico-larmente tale servizio è senz'altro quella del coordinatore delle attività di orientamento (Pellerey - Sarti, 1991). Negli ultimi anni si era passati progressivamente dalla considerazione dell'orientamento come un insieme di servizi, spesso esterni alle istituzioni formative o almeno autonomi da esse, ad una in cui l'orientamento si presentava come un processo educativo, continuo, finalizzato a far acquisire e a far utilizzare alla persona le conoscenze, le abilità e gli atteggiamenti necessari per rispondere adeguatamente alle scelte che continuamente era chiamata ad operare, soprattutto in re-lazione all'attività professionale. Per ottimizzare, armonizzare, sincronizzare le attività formative e didattiche con valenza orientante dei diversi operatori e del Centro nel suo complesso, si è ritenu-to necessario individuare una persona, il coordinatore delle attività di orientamento, che, pur con-tinuando a far parte del corpo docente, in modo particolare si facesse carico della realizzazione coordinata e finalizzata di questo insieme di attività. 2.2.4. Un modello coordinato e integrato Nella FP era in atto un processo di differenziazione e di moltiplicazione delle funzioni, un tempo accentrate nelle figure del direttore e del formatore anche a motivo della prevalenza di strut-ture semplici, fondate su attività generalmente consolidate (Nicoli, 1991a,b,c). Queste dinamiche di riarticolazione si manifestavano con particolare chiarezza a livello di personale formativo dove sempre più si richiedevano precise specializzazioni di ruoli e funzioni. Esse a loro volta rinviavano alla introduzione di forme nuove di integrazione attraverso la creazione di figure di raccordo quali i coordinatori, in particolare di settore/processo. A sua volta l’indagine del Laboratorio “Studi e Ricerche” del CNOS-FAP sul direttore aveva messo in risalto una diffusa insoddisfazione nei confronti dell'articolazione dei suoi compiti quale delineata nel CCNL-FP (Malizia et al., 1996). Sembrava necessario un riaccorpamento e una semplificazione di quell’elenco frammentato di mansioni in un disegno sintetico ed essenziale di grandi funzioni. In particolare, sulla base dei risultati dell'indagine si sono proposte le seguenti sei: responsabilità della gestione del CFP nei confronti dell'Ente locale o di formazione; leadership della comunità degli operatori, in particolare attraverso la presidenza dell'organo collegiale dei formatori e la responsabilità della gestione del personale; motivazione del personale e cura del suo aggiornamento; direzione e coordinamento delle attività; coordinamento delle attività progettuali; innovazione dell'organizzazione del CFP. La stessa indagine ha messo in risalto anche l’emergere di un altro organismo, lo staff di direzione. In proposito, la funzione che viene indicata al primo posto è quella relativa al collegamento tra il CFP e il sistema delle imprese presenti sul territorio. A questa si aggiungono il coordinamento tra le varie attività promosse all'interno del CFP, la preparazione delle principali decisioni da prendere, la pianificazione e l'organizzazione delle attività del CFP in vista del raggiungimento degli obiettivi formativi. Lo staff non è pensato come un contraltare al direttore, ma come un sostegno al ruolo direttivo e una compartecipazione alle attività di conduzione del CFP. Dovrà svolgere consulenza al direttore, presentargli proposte, partecipare alle decisioni, eseguire le iniziative promosse e decise dal direttore, verificare le azioni formative. 2.2.5. Un modello aperto Nel campo delle istituzioni formative un impatto decisivo è stato esercitato dal nuovo mo-dello di sviluppo, l'educazione permanente: in proposito si possono ricordare due dei suoi assunti principali (Malizia, 1988). Anzitutto, lo sviluppo integrale della persona umana e in particolare, l'educazione di ogni persona, di tutta la persona, per tutta la vita, richiede il coinvolgimento lungo l'intero arco dell'esistenza, oltre che della scuola, di tutte le agenzie educative in una posizione di pari dignità formativa, anche se ciascuna di esse interverrà in tempi e forme diverse secondo la propria natura, la propria metodologia e i propri mezzi (policentricità formativa). In secondo luogo, l'educazione è una responsabilità della società intera, comunità e singoli, che sono chiamati a gestire democraticamente le iniziative formative (società educante). L'esigenza dell'apertura al contesto attraversa tutte le figure/funzioni della FP. I compiti del coordinatore di progetto convergono in questa direzione: si tratta di individuare la domanda sociale di formazione, di fissare gli obiettivi degli interventi formativi in relazione alle esigenze del con-testo, di elaborare strategie educative valide in risposta al territorio (Malizia et al., 1991). A sua volta il coordinatore di settore/processo costituisce uno snodo tra il CFP, le aziende e i singoli for-matori (Malizia et al., 1993). La funzione del coordinatore delle attività di orientamento è finalizzata tra l'altro a mantenere il coordinamento e il collegamento fra la struttura formativa e i soggetti istituzionali e sociali, il sistema scolastico e formativo, nonché gli eventuali specialisti e Centri specifici di orientamento (Pellerey - Sarti, 1991). Da ultimo, il direttore è chiamato ad assumersi la responsabilità della gestione del CFP nei confronti dell'Ente locale o di formazione. 2.2.6. Un modello flessibile La flessibilità rappresenta una caratteristica che è connessa strettamente con la nozione di si-stema aperto. Con tale aspetto si è inteso riferirsi ai problemi di sede, di organico di appartenenza, di status. Ciò che si vuole sottolineare è che il sistema del CNOS-FAP è a “geometria variabile”: la sua realizzazione può essere la più varia, tutto dipende dalle particolari condizioni di ogni Centro per cui si può andare da un'attuazione molto elementare alla più complessa; quello che va assicurato in ogni caso è la presenza in ciascun CFP delle funzioni e non delle figure e, nel contesto territoriale, delle necessarie unità specialistiche di supporto (CFP complessi, sede regionale di Ente, servizi territoriali regionali). 2.2.7. Un modello qualificato Con il termine qualificazione si è voluto significare il tipo di formazione necessario per l'e-secuzione dei vari compiti. La ricerca in questo caso fornisce indicazioni in relazione al coordinatore di progetto, al coordinatore di processo/settore, al coordinatore delle attività di orientamento e al direttore, indicando per ognuno conoscenze e competenze. Quanto ai requisiti per l'accesso alle quattro funzioni/figure, si riscontra un accordo generale su un’esperienza previa di docenza (e di managerialità per il direttore) e su un corso di formazione in servizio finalizzata. Gli operatori, però, si dividono sulla laurea che per il momento non poteva essere imposta a tutti, ma che dovrà essere introdotta in futuro in relazione anche con la generale elevazione dei livelli culturali di base per l'insegnamento. 3. Agli inizi del terzo millennio: verso un sistema maturo ma disomogeneo di FP Secondo il Libro Bianco su istruzione e formazione della Commissione europea, nella seconda metà degli anni 90 «la società europea è entrata in una fase di transizione verso una nuova forma di società», la società della conoscenza (Cresson - Flynn, 1995, 22). Tutto ciò significa che la colloca-zione di ogni individuo nella società dipenderà fondamentalmente dalle conoscenze che egli possie-de. «La società del futuro sarà quindi una società che saprà investire nell’intelligenza, una società in cui si insegna e si apprende, in cui ciascun individuo potrà costruire la propria qualifica. In altri termini una società conoscitiva» (Ibidem, 5). 3.1. L’avvento della società della conoscenza Le nuove tecnologie della comunicazione, informatiche e telematiche, hanno provocato nell’ultimo decennio uno scenario di radicale transizione sociale verso nuove forme di vita e di or-ganizzazione sociale che ha fatto parlare di “società della conoscenza” (Malizia - Nanni, 2010a e bibliografia ivi citata; Cresson - Flynn, 1995; Margiotta, 1997; Nanni, 2000). I micro-processori stanno inducendo sotto i nostri occhi una “rivoluzione globale” dagli esiti non ancora chiari e scon-tati. Ciò si estende non solo alla produzione e alla comunicazione sociale, ma anche ai modi di vita e dell’esistenza individuale, familiare, sociale, mondiale. Si sono accresciute enormemente le op-portunità di accedere all’informazione e al sapere, ma d’altra parte si richiedono adattamenti e competenze nuove che, se mancano, possono provocare emarginazione ed esclusione sociale. 3.1.1. I fattori strutturali Semplificando al massimo il discorso, si può probabilmente affermare che sul piano econo-mico lo scenario appare dominato da sei dinamiche principali: il passaggio graduale da un'economia di scala ad una della flessibilità, la progressiva terziarizzazione dei processi, l'avvento delle nuove tecnologie, la globalizzazione dei processi, l'emergere del concetto di qualità totale, la transizione da un modello meccanico di organizzazione e di gestione ad uno organico (Giovine, 1998; Malizia - Nanni, 2010a). In particolare, l'economia della flessibilità ha attribuito il primato al mercato rispetto alla produzione: la riduzione dei costi di produzione conserva la sua rilevanza, ma diviene prioritaria la capacità di risposta alla domanda del mercato nel momento, nel luogo e nel modo appropriato. L'or-ganizzazione del lavoro si contraddistingue di conseguenza per la flessibilità delle tecnologie e delle strutture, per il primato del conseguimento dei risultati sulla esecuzione fedele di prescrizioni e per l'importanza assunta dal piccolo e dal decentramento. In questo contesto i servizi finali o per la produzione si espandono dando vita ad aziende e amministrazioni specializzate (terziarizzazione esterna) o a strutture specializzate entro la grande impresa (terziarizzazione interna). Il fenomeno è connesso con due altri "trends", uno alla differen-ziazione strutturale e un altro alla integrazione. Il dato di partenza consiste nel fatto che tra i prodotti assumono rilevanza sempre maggiore i servizi immateriali ad alta tecnologia intellettuale. Il terzo fattore è dato dall'avvento delle nuove tecnologie dell'informazione. Queste sono nuove perché muta l'oggetto che non è più la produ¬zione di un pezzo o la scrittura a macchina di una lettera, ma sono operazioni di natura più intellettuale, come il controllo di processo o l'innovazione. Esse creano problemi per le occupazioni tradizionali in quanto tendono ad assumerne i compiti e perché restringono le possibilità di lavoro. Inoltre, il quasi monopolio che viene esercitato sulle nuove tecnologie dell’informazione dalle grandi potenze o, peggio, da gruppi particolari di interesse, attribuisce a questi ultimi un reale potere culturale e politico su ampi strati dell’opinione pubblica mondiale, soprattutto quelli che sono sprovvisti di sufficienti capacità di interpretare e criticare le informazioni ricevute; non solo, ma anche opera come un fattore potente di omologazione culturale che tende ad annullare le specificità delle varie entità nazionali e dei differenti gruppi. La libera circolazione mondiale delle immagini e delle parole costituisce tra l’altro uno dei grandi acceleratori della mondializzazione. Più in generale, lo sviluppo im¬pressionante della scienza e della tecnologia, che sta rivoluzio¬nando le nostre società, si caratterizza anche per la globalizzazione dei processi che non si limita alle multinazionali. Di fatto, si estende la cooperazione tra aree geografiche e si sta sviluppando l'integrazione nelle produzioni, nei mercati e negli stili di consumo. Per effetto della deregolamentazione e dell’apertura dei mercati finanziari tutte le economie sono largamente condizionate dai movimenti di masse enormi di capitali che passano con grande velocità da un luogo all’altro, attratti dalle differenze nei tassi di interesse e dalle anticipazioni speculative, e che sembrano imporre le loro esigenze persino ai governi nazionali. Al tempo stesso non si può non riconoscere che l’espansione del commercio mondiale ha esercitato un influsso positivo su vari paesi e che la crescita mondiale è stata fortemente stimolata dalle esportazioni. L'affermarsi della qualità totale significa che è quest'ul¬tima, intesa come soddisfazione del cliente, e non il profitto, a occupare il primo posto nelle finalità di un'impresa: in altre parole diviene decisiva la qualità percepita dal cliente. A monte dell'emergere di tale concezione vi sarebbe la riscoperta della finalizzazione del processo produttivo all'uomo, che tornerebbe a occupare di nuovo il centro della scena. Le conseguenze sono molto rilevanti anzitutto nei rapporti con l'esterno, in quanto diviene centrale l'impegno per identificare la domanda del clien¬te. Pertanto, in ambienti complessi, turbolenti, dinamici, incerti, imprevedibili come gli attuali, il modello organizzativo non può più essere centrato sulle procedure della dipendenza e dell'esecu-zione e sugli aspetti formali e strutturali dell'organizzazione, per cui tutto è razionalmente e scienti-ficamente predefinito attraverso una dettagliata descrizione dei sistemi di divisione e controllo del lavoro. Nel nuovo modello si vengono a richiedere alle persone capacità di innovazione, di governo dell'imprevisto e delle varianze, competenze di problem solving, abilità comunicative e relazionali. Non vi sono organizzazioni, attività professionali, competenze "al sicuro''. A tutti i diversi attori è richiesta una grande capacità, quella di governare l'incertezza, di affrontare attivamente il cambia-mento. Adattarsi, anticipare, innovare, rischiare diventano abilità "trasversali", attrezzi culturali di sopravvivenza di soggetti e organizzazioni. Questo contesto più mutevole ed incerto, se da una parte è fonte di minacce, apre dall’altra la via verso nuove opportunità. In altre parole, si sta compiendo il passaggio da un modello industriale di economia ad uno post-industriale. Il primo pone l'accento su una concezione quantitativa della crescita (“trarre più dal più”), sul volume della produzione, su una impostazione lineare, atomistica, gerarchica, dualistica e manipolativa del lavoro e della sua organizzazione. Il secondo sottolinea la qualità e l'intensità dello sviluppo (“ottenere più dal meno”), il valore della produzione, la natura simbolica, interattiva, conte-stuale, partecipativa, autonoma e intellettuale dell'attività occupazionale e della sua strutturazione. Il mondo delle aziende è dominato da imprese piccole, flessibili, dinamicizzate dalla risorsa “conoscenza”, capaci di produrre una vasta gamma di beni e servizi che sono molto spesso immateriali. Ciò comporta, “negativamente”, che le grandi imprese riducano le loro attività: le funzioni produttive di base sono conservate, mentre i servizi di supporto vengono affidati a ditte o persone esterne. Per questa via, la grande industria è riuscita a ridurre la forza lavoro in maniera anche molto drastica. Il passaggio al post-industriale si accompagna anche ad un aumento dei fenomeni di precarizzazione e di de-regolazione del lavoro che mettono in crisi il tradizionale sistema di relazioni sociali. Nel contempo la globalizzazione e la informatizzazione contribuiscono ad aumentare la disoccupazione o sotto-occupazione che, a differenza della prima e della seconda “rivoluzione industriale” del passato, non riesce più ad essere interamente assorbita dai settori emergenti (il co-siddetto “quaternario”). Ciò spinge ad un aumento delle diseguaglianze e della forbice delle profes-sionalità, tra una ristretta élite di “ingegneri della conoscenza” e una massa di persone destinate a lavori dequalificati. Sembra quasi che i nostri sistemi sociali non riescano ad assicurare a tutti un accesso equo alla prosperità, a modalità decisionali democratiche e allo sviluppo socio-culturale personale (Consiglio dell'Unione Europea, 2001). In questo contesto tra i gruppi più vulnerabili vanno senz'altro annoverate le persone che presentano specifici problemi di apprendimento e in ge-nere le fasce più deboli della popolazione (disabili, donne, giovani, popolazione rurale, ecc…). Ritornando ora alla questione occupazionale, si può dire in sintesi che il passaggio alla so-cietà della conoscenza trasforma il senso e il modo di lavorare: nascono nuove professioni, vecchi mestieri cambiano “pelle”, altri scompaiono definitivamente. Si diversificano i lavori, e prima an-cora le tipologie e le forme giuridiche dei rapporti di lavoro. C’è un’indubbia “intellettualizzazione” del lavoro. È richiesta la flessibilità e la mobilità occupazionale e la polivalenza della cultura professionale. Per rispondere al meglio a queste esigenze del mondo dell'occupazione si dovrà pensare a una nuova figura di lavoratore che non solo possieda i necessari requisiti tecnici, ma anche nuovi saperi di base (informatica-informazione, inglese, economia, organizzazione), capacità personali (comunicazione e relazione, lavoro cooperativo, apprendimento continuo) e anche vere e proprie virtù del lavoro (affrontare l'incertezza, risolvere problemi, sviluppare soluzioni creative). 3.1.2. Le dinamiche culturali La cultura della società della conoscenza risulta forte¬mente segnata dalla rivoluzione silen-ziosa dei microprocessori (Malizia - Nanni, 2010a; Nanni - Rivoltella, 2006; Botta, 2003; Malizia, 2006). L'avvento delle nuove tecnologie dell'informazione origina spinte contrastanti: moltiplicazione delle opportunità di informazione e di formazione e creazione di nuove forme di analfabetismo e di nuove marginalità; elevazione dei livelli di Cultura Generale e di competenze per l’accesso al mondo del lavoro e parcellizzazione che ostacola ogni tentativo di sintesi; poten¬zialmente personalizzante e al tempo stesso generatrice di consu¬mo passivo da parte soprattutto degli strati più deboli della popolazione; fattore di pluralismo, ma anche all’origine del relativismo etico. In altre parole i giovani portano nella scuola e nella FP la cultura del frammento che, se ha il merito di aver contribuito a mettere in crisi il dogmatismo delle grandi ideologie, pone gravi proble-mi al sistema educativo. Infatti, la cultura di quest’ultimo presenta caratteristiche opposte: tende a trasmettere una visione sistematica e organica della realtà, vorrebbe offrire ad ogni allievo gli stru-menti per costruire un proprio progetto di vita, radicato nel passato e aperto al futuro, intende aiutar-lo ad elaborare un quadro di riferimento unitario, organico, coerente, trasmette il meglio delle con-quiste della storia in continuità con il passato, forma all'impegno per il bene comune e al rispet¬to dei diritti umani che considera valori perenni da approfondire e da ampliare, ma non da ribaltare. Sul piano culturale le grandi narrazioni “metafisiche”, i grandi miti dell’Occidente – come ha scritto Lyotard – non riescono più a difendere le loro pretese di assolutezza, di unicità ed egemonia veritativa, cioè di guida vera e ideale per tutti (Lyotard, 1981). Ad un pensiero prevalentemente analitico, logico, dimostrativo si viene a contrapporre (o a preferire) un pensiero più narrativo, più espositivo; alle concettualizzazioni generali si controbilan-ciano le molte forme dell’autobiografia, del saggio esplorativo attento alle sfumature, alle contami-nazioni cognitive, ai giochi linguistici, alle ibridazioni dei punti di vista. L’assolutezza della scienza lascia il passo a modi di vedere e di esprimersi più “ermeneutici”(cioè insieme più soggettivi, più interpretativi, più comprensivi). Si parlò per questo, negli anni ottanta del secolo scorso di “pensiero debole” (Vattimo - Rovatti, 1983). Alle grandi ideologie, sulla scena delle idee di moda, sono succedute i molti racconti, le più disparate offerte di conoscenza e di saperi. La perdita delle totalità significative spesso diventa definitiva. Frequentemente il frammento non si compone ulteriormente e scade nella frammentazione irrelata (Pera, 1994; Mari, 1995). La secolarizzazione religiosa (cioè una vita sociale senza religione), più che come “logica conseguenza” del trionfo della scienza e dello sviluppo tecnologico, si è attuata a livello pratico, vale a dire nel senso che le menti e i cuori della gente si sono rivolti più che altro al consumismo, al benessere e al divertimento ma, d’altro canto, ha provocato o comunque è stata controbilanciata da un ritorno di fiamma del sacro, della magia, dei riti, di nuove forme di religiosità e da quella diffusa tendenza ad una religiosità soggettivistica e cosmica, che nelle società del soprasviluppo o comun-que in via di sviluppo ha avuto la sua classica espressione nei movimenti della New Age. Si è parlato in Occidente di neopaganesimo e di politeismo post-cristiano, ma anche di mercato del sacro, di fiera dei misteri, di nuovi percorsi di religiosità e di mistica e di nuove denominazioni religiose (Volli, 1992; Terrin, 1992). Ciò non ha solo posto problemi alle religioni ufficiali, ma dice quanto l’attenzione alla buona qualità della vita, al mondo delle emozioni e dell’affettività chiede di essere presa in considerazione poiché non esaudita né dalle agenzie tradizionali di senso (chiese, partiti, politica, scienza, tecnica), né da quella che è stata detta la “speranza tecnologica” (Nanni, 2000). Certamente lo statuto del sapere e del conoscere si è trasformato. Agli studi della mente e della logica c’è da affiancare quelli sull’intelligenza emotiva, dei bisogni, del desiderio. In questo clima si comprende come la coscienza della parzialità di ogni affermazione e della sua inevitabile configurazione storica e culturale vada bilanciata con la irriducibile pretesa di verità e certezza che ognuno viene ad avere quando fa un percorso conoscitivo. Il problema dell’identità va “composto” con quello della molteplicità, del pluralismo, della complessità, senza per forza avere la sensazione teorica e pratica di cadute nel relativismo, nell’incertezza e nella confusione “babelica” (a cui segue solo lo scetticismo) o nella perdita dell’identità personale e etnico-culturale (Morin, 1995; Nanni, 2000; Malizia - Nanni, 2004). Questi andamenti dei processi storici dell’Occidente vengono a combinarsi e a scontrarsi con gli spostamenti delle popolazioni per i motivi più svariati, da quelli di tipo economico a quelli di tipo politico, culturale, turistico, dando luogo al fenomeno della multicultura. Questa viene a ca-ratterizzare sempre più la vita interna delle nazioni e il quadro internazionale. A livello di cultura ciò tende ad esaltare il fenomeno del pluralismo a tutti i livelli; e inoltre mette in crisi i tradizionali modelli di uomo, di cultura e di sviluppo. Tutto ciò non è senza riflessi sull’istruzione e sulla formazione. 3.2. Un decennio di riforme Entro questo quadro, a partire dalla prima decade ’90 si è andata diffondendo nell'opinione pubblica la convinzione che non bastasse intervenire sull'uno o l'altro dei livelli del sistema educativo per risolvere i problemi alla radice, ma che si dovesse procedere a una ridefinizione dell'intera struttura (Malizia - Nanni, 2010a e bibliografia ivi citata; Malizia - Nanni, 2010b; Ghergo, 2009a). Più in particolare, l'esigenza di una nuova architettura nasceva anzitutto dalla riflessione sulle tra-sformazioni della società. Il contesto di accelerazione del cambiamento e gli effetti conseguenti dell'obsolescenza delle professioni e della disoccupazione rendevano urgente sostituire il modello tradizionale focalizzato sulla trasmissione delle conoscenze con uno centrato sull'acquisizione di competenze e di metodi. Al tempo stesso, si dimostrava altrettanto necessario rafforzare la forma-zione culturale generale in modo da abilitare la persona a gestire situazioni complesse dagli sviluppi imprevedibili. Inoltre, appariva urgente che il sistema educativo uscisse dalla autoreferenzialità ed entrasse in relazione con il mondo della produzione. La riforma della scuola rispondeva anche a esigenze di tipo personalistico e socio-politico, nella linea della Costituzione che disegna una co-munità nazionale fatta di membri al contempo persone, cittadini, lavoratori. Sulla domanda di riforma globale incideva la considerazione delle criticità del sistema edu-cativo esistente. Infatti, si trattava di superare la discontinuità esistente tra i diversi livelli della sco-larizzazione, di togliere l’eccessiva parcellizzazione degli indirizzi della scuola superiore e la loro eccessiva rigidità, di raccordarsi non solo con l’università e il mondo del lavoro, ma anche con i di-versi vissuti culturali delle persone, che si muovono tra i poli opposti dell’analfabetismo di ritorno e l’esigenza di una sempre più incisiva educazione permanente, fra divari non solo economici ma globalmente vitali fra Nord e Sud, fra una generazione e l’altra, fra sviluppo crescente e nuove po-vertà, fra faticosi e lenti processi di integrazione e rinnovate forme di esclusione e disagio. Il decennio delle riforme inizia con la riforma Berlinguer, legge n. 30/00 . Per quanto ri-guarda la secondaria superiore, questa aveva conservato la tradizionale durata quinquennale. Era cambiata, però, l'età minima dell'entrata, che era ormai di 13 anni in seguito alla fusione tra elemen-tare e media nella scuola di base e la riduzione a 7 anni da 8 della durata complessiva. Il percorso successivo prevedeva sia uno sbocco al termine dei primi due anni per l'assolvimento dell'obbligo formativo in altri sottosistemi - anche tramite forme di integrazione con la FP - sia un'altra uscita alla fine dei cinque verso l'istruzione universitaria o verso quella non universitaria, come la FP di secondo livello, e l'istruzione e formazione tecnica superiore. Il curricolo si articolava in aree: classico-umanistica, scientifica, tecnica e tecnologica, artistica e musicale; ciascuna di queste a sua volta era ripartita in indirizzi (tendenzialmente in numero inferiore agli attuali). Pertanto, le finalità venivano ripensate in funzione di questo complesso quadro di riferimento: da una parte si rinunciava a ogni pretesa di preparazione specialistica e si aboliva qualsiasi strutturazione gerarchica tra i differenti tipi di formazione; dall'altra si decideva di puntare a una diffusione più larga e qualificata di livelli di formazione generale, con l’intenzione di assicurare a tutti i fondamenti culturali della professione futura. Tutto questo però era previsto all’interno di un modello fortemente scuolacentrico. Infatti, né la legge n. 30/00 né il successivo piano quinquennale di attuazione traducevano in termini concreti la reciprocità e la necessaria integrazione tra scuola e FP; e non era reso operativo il principio secondo cui non è sostenibile, né culturalmente, né socialmente, l’idea di un sistema educativo composto unicamente da scuole. Sicché si continuava a mantenere la FP in una posizione di fondamentale marginalità e di subalternità rispetto alla sostanziale unicità del percorso scolastico. E ciò, mentre nella gran parte dei paesi dell'Unione Europea la FP veniva riconosciuta come parte legittima e non sussidiaria dell'offerta formativa, come canale percorribile di pari dignità con la scuola e come un ampliamento reale del diritto alla formazione. La riforma Berlinguer aveva confermato l’istituzione dell’obbligo formativo fino a 18 anni, introdotto dalla legge n.144/99 in base al quale per gli studenti che avevano assolto l’obbligo di istruzione si profilavano tre possibili percorsi che era possibile realizzare anche in forma integrata: proseguire gli studi nella scuola secondaria superiore; frequentare la FP ai fini del conseguimento di una qualifica professionale; iniziare il percorso di apprendistato, caratterizzato dalla alternanza for-mazione/lavoro. La successiva riforma Moratti, legge n. 53/03, compie in proposito un ulteriore salto di qualità, assicurando a ognuno il diritto all'istruzione e alla formazione, per almeno 12 anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica professionale entro il diciottesimo anno di età. Secondo la riforma appena citata, il sistema educativo si articola nella scuola dell'infanzia (3-6 anni), in un primo ciclo che comprende la scuola primaria (6-11) e la scuola secondaria di primo grado (11-14) , e in un secondo ciclo di cui fanno parte il sistema dei licei (14-19) e quello dell'istruzione e della formazione professionale (14-21). Quanto ai licei, sono confermati gli assi culturali tradizionali, classico, scientifico e artistico; al tempo stesso ne nascono dei nuovi, econo-mico, tecnologico, musicale, linguistico, delle scienze umane. Essi hanno durata quinquennale: l'at-tività didattica si sviluppa in due periodi biennali e in un quinto anno che prioritariamente completa il percorso disciplinare e prevede inoltre l'approfondimento delle conoscenze e delle abilità caratte-rizzanti il profilo educativo, culturale e professionale del corso di studi. Si concludono con un esame di Stato il cui superamento rappresenta titolo necessario per l'accesso all'università. Ferma restando la competenza regionale, il sistema dell'istruzione e della formazione profes-sionale (IeFP) realizza profili educativi, culturali e professionali ai quali conseguono titoli e qualifi-che professionali di differente livello, valevoli su tutto il territorio nazionale se rispondenti ai livelli essenziali di prestazione definiti su base nazionale. Inoltre, i giovani che seguono questi percorsi non soltanto si vedono garantita anno dopo anno una passerella per trasferirsi nei licei, ma hanno anche modo di proseguire dopo i quattro anni per un quinto, un sesto e un settimo anno, così da acquisire una qualifica professionale superiore. Potranno altresì disporre di un quinto anno per affrontare l'e-same di Stato per l'iscrizione all'università. L’introduzione di un percorso graduale e continuo di istruzione e formazione professionale parallelo a quello scolastico e universitario dai 14 ai 21 anni è in piena linea con le tendenze più diffuse e avanzate del nostro continente. Infatti, la FP non viene più concepita nella gran parte dei paesi europei come un addestramento finalizzato esclusivamente all'insegnamento di destrezze ma-nuali, ma rappresenta un principio pedagogico capace di rispondere alle esigenze del pieno sviluppo della persona secondo un approccio specifico fondato sull'esperienza reale e sulla riflessione in or-dine alla prassi che permette di intervenire nel processo di costruzione dell'identità personale. L’Accordo Stato-Regioni su istruzione e formazione del 2003 ha consentito di avviare già da quell’anno la sperimentazione dei percorsi triennali di istruzione e di formazione previsti dalla ri-forma Moratti. Questa offerta ha ottenuto un grande successo tra i giovani e le famiglie. Infatti, tra il 2003-04 e il 2008-09, cioè in appena 6 anni, il numero degli iscritti ha registrato un vero balzo in avanti in quanto si è quintuplicato raggiungendo la cifra di 150.489 (Isfol, 2009, 80). In discontinuità con i suoi predecessori il Ministro della Pubblica Istruzione, on. Fioroni, del governo di centro-sinistra decideva di non elaborare un’altra riforma complessiva del sistema e ha adottato un metodo diverso più pragmatico. Lo stesso approccio, anche se con finalità, contenuti e strategie differenti, è stato assunto dalla on. Gelmini che l’ha sostituito nel 2008 quando il centro-destra è tornato al governo: ma sull’azione di quest’ultima ritorneremo nella sezione successiva quando presenteremo in generale i nuovi regolamenti relativi alla secondaria di 2° grado. Con la legge n. 296/06 e il decreto 22 agosto 2007, n. 139 l’obbligo di istruzione è stato ele-vato a 16 anni, come anche l’età minima per l’ingresso nel mercato del lavoro. In proposito, va su-bito precisato che, sebbene rappresenti un passaggio necessario nella carriera formativa di un ragaz-zo, esso non possiede una natura terminale perché rientra nell’ambito del diritto-dovere di istruzione e di formazione e pertanto non è una fase di un percorso che si conclude con il conseguimento di un titolo di studio. Inoltre, esso non deve essere confuso con l’obbligo scolastico, perché può essere adempiuto anche frequentando percorsi di istruzione e formazione professionale Un altro aspetto importante dell’azione del Ministro Fioroni è stato la revisione del secondo ciclo. In particolare, sono stati reintrodotti gli istituti tecnici e professionali e al tempo stesso sono stati aboliti il liceo tecnologico ed economico, con il pericolo però di una ulteriore emarginazione della FP dato il carattere professionalizzante degli istituti, soprattutto di quelli professionali. È pur vero che il titolo che potranno conferire di norma è il diploma di istruzione secondaria superiore, ma è anche previsto che in via sussidiaria e su domanda delle Regioni questi ultimi potranno rilasciare anche qualifiche professionali. C’è da dire, in positivo, che sono attribuiti alla competenza delle Regioni le qualifiche e i diplomi professionali, inclusi in uno specifico repertorio nazionale. Con l’approvazione il 4 febbraio 2010 in seconda e definitiva lettura da parte del Consiglio dei Ministri di tre Regolamenti, uno per i licei (DPR n. 89/10), uno per gli istituti tecnici (DPR n. 88/10) e uno per quelli professionali (DPR n. 87/10), il ministro Gelmini ha avviato il completamento del progetto di riorganizzazione del sistema educativo italiano di istruzione e di formazione riguardo al suo segmento da più lungo tempo non riformato, quello dell’istruzione secondaria superiore (Tonini - Malizia, 2010; Cicatelli, 2010c). Prima di passare al loro esame, procediamo a una contestualizzazione (Malizia - Nanni, 2010a; Malizia - Nanni, 2010b). I dati mettono in evidenza che la mobilità sociale in Italia è limitata e che la scuola tende a svolgere una funzione riproduttiva delle diseguaglianze piuttosto che una funzione di lotta alle disparità sociali. Da sempre si va affermando che una strategia per affrontare questo nodo problematico con-siste nell’assicurare a tutti gli studenti i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali in tema di istruzione e di formazione. In concreto, a fronte dell’elevarsi della complessità, tipica della società globalizzata e della conoscenza, si punta su interventi a favore dell’innalzamento della preparazione di base a livello di diritto-dovere di istruzione e di formazione e di obbligo di istruzione; al tempo stesso si cerca di evitare lo spezzettamento dei saperi. Un’altra strategia fa capo alla personalizzazione del processo di insegnamento-apprendimento. Infatti, l'eguaglianza delle opportunità nell'istruzione non significa eguaglianza di trattamento, ma eguale possibilità di essere trattati in maniera diversa per poter realizzare le proprie capacità. Pertanto, il processo formativo va organizzato in modo che ciascun alunno possa procedere nell'apprendimento secondo il ritmo che gli è più congeniale. In questa linea si può leggere l’azione del Ministro Gelmini circa la revisione del secondo ciclo del sistema educativo. La finalità da lei proclamata è stata quella di elevare tutta l’offerta alla “serie A”. Piuttosto che prolungare in maniera indefinita il dibattito sulla precocità o meno della scelta a 14 anni tra secondaria di 2° grado da una parte e istruzione e formazione professionale dall’altra, il Ministro ha inteso evitare le contrapposizioni ideologiche e misurarsi in maniera con-vergente con la sfida di elaborare percorsi capaci di aiutare tutti gli studenti a trovare la strada più adeguata. “L’indifferenziazione dei percorsi, la pretesa di uccidere le propensioni individuali per pretendere, ope legis, che ogni adolescente percorra la stessa strada è la traiettoria più sicura verso gli abbandoni e le dispersioni. Diamo ad ogni persona la sua scuola, e ogni persona troverà nella sua scuola le ragioni per frequentarla con profitto” (Gelmini, 2008, 14). Ovviamente, si dovrà mantenere sempre aperta la possibilità di ripensare la propria scelta e questo per l’intero arco dell’esistenza, assicurando un sistema efficace di apprendimento per tutta la vita. Tale orientamento del ministro ha trovato da subito un’attuazione importante. Uno dei suoi primi interventi è consistito nella conferma della presenza di un canale di istruzione e formazione professionale nel nuovo obbligo di istruzione già elevato dal Ministro Fioroni a 16 anni (cfr. art. 64 della legge n. 113/08). Più articolata è la valutazione dei tre Regolamenti citati anche per la com-plessità della materia. Entrando nel merito, mentre la riforma Berlinguer aveva adottato una impostazione unitaria (tutti Licei) e quella Moratti una formula binaria (i sottosistemi dei licei e dell’istruzione e forma-zione professionale), il Ministro Gelmini in continuità con il suo predecessore, l’on. Fioroni, sembra aver optato per un modello a tre poli: i licei; gli istituti tecnici e gli istituti professionali; l’istruzione e la formazione professionale. Come ha affermato S. Cicatelli, la proposta dei Regolamenti costituisce «un riassetto operato su un impianto sostanzialmente confermativo dell’ordinamento da sempre vigente nella scuola italiana. Nessuna ‘riforma Gelmini’, dunque. E ormai anche addio alla ‘riforma Moratti’» (Cicatelli, 2010c, 1). In altre parole, si tratta di una pura e semplice razionalizzazione e modernizzazione dell’esistente sulla base del modello tradizionale della nostro secondo ciclo, con l’aggravante che i percorsi di istruzione e formazione professionale regionale tornano ad essere l’offerta per i “falliti” dei tre percorsi delle scuole statali (licei, istituti tecnici e istituti professionali), ammesso che le Regioni non decidano di affidarli agli istituti professionali. Detto questo non si può neppure non essere d’accordo con quanto Giuseppe Bertagna evi-denzia di positivo in questi Regolamenti, sempre che il Ministro Gelmini intervenga decisamente per rendere i percorsi di IeFP un canale nazionale e stabile. Riportiamo alla lettera le sue affermazioni: «Cosicché oggi si può dire che entri in vigore la ‘Morfiormini (Moratti, Fioroni, Gelmini)’, davvero la prima riforma dell’impianto degli studi secondari a partire dal ministro De Vecchi (1936) in poi. Non è perfetta. Si poteva fare meglio e forse in maniera anche più strategica. Ma il risultato ‘epoca-le’, viste le abitudini per lo più verbose della nostra classe politica e sindacale, è che finalmente c’è ed entra in vigore. E che fra tre anni il parlamento ha chiesto una seria verifica della sua applicazione. C’è da augurarsi che questa sia condotta coinvolgendo maggioranza ed opposizione, stato e regioni, governo e parti sociali perché al di là delle esasperazioni ideologiche tipiche della lotta politica contingente, la scuola è una cosa troppo seria per essere lasciata al pendolo della maggioranza e agli interessi corporativi» (Bertagna, 2010, 10). Una valutazione che fa sintesi tra queste posizioni è possibile trovarla nell’analisi di P. Fer-ratini. A suo parere la politica scolastica del ministro Gelmini consiste in un tentativo serio di ripen-sare il nostro sistema educativo sulla base di una ideologia tradizional-moderata che potrebbe essere espressa nello slogan del ritorno alla scuola del tempo che fu con la correzione apportata dai tre “i”, internet, inglese, impresa. Nello stesso tempo non si può contestare il traguardo raggiunto di aver concluso il decennio delle riforme e il sessantennio delle attese deluse introducendo un punto fermo da cui ripartire. In ogni caso, la salvezza del sistema italiano di istruzione e di formazione va cercata fondamentalmente in un ritorno al passato, in un ieri da ripristinare e in recupero della scuola di prima. Nelle parole del Ministro «Autorevolezza, autorità, gerarchia, insegnamento, studio, fatica, merito. Sono queste le parole chiave che vogliamo ricostruire, smantellando quella costruzione ideologica di vuoto pedagogismo che dal 1968 ha infettato come un virus la scuola italiana» (Ferra-tini, 2009, 725). Si tratta di richiami che hanno esercitato finora una forte efficacia di persuasione nei confronti della opinione pubblica, riducendo di molto l’incidenza delle critiche ed evitando che confluissero in un rilevante dissenso sociale. Non solo i licei e gli istituti tecnici e professionali, ma anche il sottosistema di IeFP è stato raggiunto da un processo parallelo di cambiamento. Esso si è realizzato in una forma più graduale e maggiormente attraverso lo strumento degli Accordi in Conferenza Stato-Regioni piuttosto che me-diante il ricorso ad interventi legislativi (Malizia - Nanni, 2010b; Tonini - Malizia, 2010; D’Agostino, 2010; Frisanco, 2010; Gaudio - Governatori, 2010; Poggi, 2010; Salerno, 2010). Il primo passo è stato compiuto con l’Accordo Stato-Regioni su istruzione e formazione del 2003 (a cui si è già accennato sopra) che, senza attendere lo specifico decreto legislativo, ha consentito l’attivazione in via sperimentale dei corsi di istruzione e di formazione professionale, rivolti alle ragazze e ai ragazzi che, concluso il primo ciclo di studi, manifestano la volontà di accedervi preferendoli all’offerta della secondaria di 2° grado. L’Accordo ha stabilito che i percorsi formativi debbano avere una durata almeno triennale, anche allo scopo di agevolare i passaggi fra sottosistemi, attraverso il riconoscimento di crediti formativi acquisiti non solo negli itinerari appena ricordati, ma anche nell’apprendistato. Ha inoltre deciso di attivare un percorso articolato di partenariato istituzionale a livello nazionale in raccordo con il livello regionale. La cooperazione tra Stato, Regioni e autonomie locali ha permesso di definire nel 2004 gli standard formativi minimi relativi alle competenze di base; i dispositivi di certificazione finale e in-termedia; e le modalità per riconoscimento dei crediti formativi ai fini dei passaggi tra i sistemi. Nel 2006 sono stati approvati gli standard formativi minimi delle competenze tecnico-professionali rela-tivi a 14 figure in uscita dai percorsi sperimentali. A sua volta, come si è ricordato sopra, con la legge n. 113/08 il Ministro Gelmini ha ricono-sciuto definitivamente la possibilità di adempiere il nuovo obbligo di istruzione, già elevato dal mi-nistro Fioroni a 16 anni, nei percorsi triennali sperimentali di IeFP. Infine, l’accordo Stato-Regioni del 2010 ha approvato il primo Repertorio nazionale che comprende 21 figure professionali come sbocco dei corsi triennali e 21 al termine di quattro anni. Esso, inoltre, sancisce la possibilità di ottenere qualifiche e diplomi professionali utilizzabili a livello nazionale e corrispondenti al terzo e quarto livello europeo. Ma ciò che sembra degno di rilievo è il fatto che – oltre all’evoluzione realizzata sul piano ordinamentale – la IeFP sia riuscita anche a predisporre un modello formativo proprio e avanzato. I capisaldi sono da una parte la definizione di una chiara strategia d’azione focalizzata sulla conce-zione della “persona competente” e dall’altra l’affermazione della centralità dell’“esperienza reale” nei processi di apprendimento. La prima ha permesso di superare ogni forma di giustapposizione tra istruzione e formazione professionale mediante la messa a punto di un’offerta unitaria dal valore pienamente educativo, culturale, sociale e professionale. La seconda ha consentito di costruire un processo di apprendimento su compiti reali, basati sui principi della personalizzazione, della parte-cipazione degli allievi, del compito reale, della comunità di apprendimento, del coinvolgimento della società civile. Nel complesso si può affermare che l’introduzione dei percorsi sperimentali triennali e qua-driennali ha innovato e migliorato in misura significativa il sottosistema dell’IeFP. Essi «sono di-venuti, infatti, un efficace strumento di prevenzione della dispersione scolastica e di acquisizione di una professionalità competente, accogliendo circa 150.000 giovani (Isfol, 2009); hanno un costo in-feriore rispetto al parallelo percorso scolastico statale triennale (cfr. Rapporto sul futuro della for-mazione in Italia, 2009); si sono rivelati un efficace strumento di promozione della occupabili-tà/occupazione dei giovani (cfr. i monitoraggi regionali)» (Tonini - Malizia, 2010, 16). L’offerta, inoltre, dimostra una evidente natura popolare in quanto gli iscritti provengono in prevalenza dalle classi sociali meno abbienti, da famiglie immigrate e da condizioni disagiate. Del resto, essa non si presenta come concorrenziale rispetto alla secondaria di 2° grado, ma piuttosto come complementa-re: in quanto, in caso di assenza, non verrebbe supplita da alcuna modalità scolastica. C’è purtroppo da dire che i percorsi di IeFP sono attuati a macchia di leopardo: non si ri-scontrano in tutte le Regioni e solo nel Nord vi è una copertura soddisfacente, mentre la situazione è molto carente nel Centro e nel Sud, tranne che nel Lazio e nella Sicilia. Un discorso simile va ripe-tuto per le risorse che si sono dimostrate inadeguate rispetto alla domanda dei giovani e che oltre tutto sono state oggetto negli ultimi anni di notevoli tagli. Del tutto diversa da quella sostanzialmente positiva dei percorsi sperimentali dell’IeFP è la valutazione della situazione dell’apprendistato per i minori in vista dell’adempimento del diritto-dovere all’istruzione e alla formazione (Tonini - Malizia, 2010; D’Agostino, 2010; CNOS-FAP, 2010). Infatti, esso è sempre meno utilizzato dalle imprese ed è in crisi sotto l’aspetto formativo: statistiche di fonte regionale parlano di appena 36.905 minori assunti con contratto di apprendistato e di un numero intorno ai 6.500 – che è anche in calo nel tempo – di soggetti che nel 2007 hanno frequentato attività di formazione esterna rispetto ai 125.853 adolescenti tra i 14 e i 17 anni che sono fuori dei percorsi scolastici e formativi (CNOS-FAP, 2010, 2-4). Peraltro, la stessa normativa sull’apprendistato trova problemi di implementazione anche a causa della mancanza della intesa in-teristituzionale tra Ministeri (Lavoro e Istruzione) e Regioni. Certamente, un rilancio potrebbe venire dall’approvazione del Disegno di legge 3 marzo 2010, n. 1167B, che consente l’assolvimento dell’obbligo d’istruzione anche nei percorsi di apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere all’istruzione e alla formazione. Tuttavia, a nostro parere, tale provvedimento potrà raggiungere ri-sultati positivi solo a condizione che sia riorganizzata la dimensione formativa, migliorata la prepa-razione dei formatori e valorizzato l’apporto della IeFP. 3.3. Il cammino della Federazione CNOS-FAP In questo contesto l’azione della Federazione non poteva limitarsi a semplici ritocchi anche se numerosi, o concentrarsi su determinati ambiti particolarmente carenti. Al ripensamento dell’architettura del sistema educativo di istruzione e di formazione doveva corrispondere un rinno-vamento profondo della FP del CNOS-FAP. È quanto è stato avviato con coraggio e lungimiranza dalla Federazione e che non è ancora compiuto, anche se sono state poste solide fondamenta. Prima di parlare delle grandi linee di intervento del disegno complessivo è opportuno ricordare l’impegno del CNOS-FAP per una riforma del sistema educativo di istruzione e di formazione che mettesse al centro gli allievi, soprattutto quelli più marginali. 3.3.1. La promozione della Formazione Professionale Iniziale (FPI) nella riforma Una delle direttrici dell’azione del CNOS-FAP è stata quella di opporsi alla legge n.9/99 sull'elevazione dell'obbligo scolastico nelle disposizioni che collocavano la FP in una condizione di marginalità e di subalternità rispetto alla scuola. Al contrario la posizione della Federazione era che tale innalzamento doveva essere realizzato in strutture distinte, ma formativamente equipollenti e interagenti, quelle cioè della scuola e della FP accreditata. In altre parole bisognava prevedere un sistema di offerte plurime con una collaborazione istituzionalizzata tra il sottosistema scolastico e regionale e una mobilità orizzontale garantita tramite crediti didattici certificati. L'elevazione andava attuata sulla base dei principi della diversificazione delle opzioni, della individualizzazione e della personalizzazione dei percorsi, della flessibilità dei modelli di intervento, della continuità dei livelli del sistema formativo, della integrazione delle offerte. Inoltre, ai giovani che, dopo il soddisfa-cimento dell'obbligo, non intendevano continuare gli studi nella secondaria superiore, doveva essere garantito il diritto alla formazione fino al diciottesimo anno di età, prevedendo offerte atte a consen-tire il conseguimento almeno di una qualifica professionale. E alla fine di una lunga battaglia la Fe-derazione è riuscita ad ottenere l’abrogazione della legge. Una presa di posizione analoga è stata assunta, successivamente, dalla Federazione CNOS-FAP nei confronti del Governo Prodi II, 2006-08 che aveva, tra i suoi punti programmatici, l’innalzamento dell’obbligo scolastico a 16 anni. Si riproponeva, ancora una volta, la tesi che solo la scuola era il luogo idoneo per l’istruzione obbligatoria: quindi, obbligo da assolvere a scuola fino a 16 anni e solo dopo tale data era proposta agli allievi la facoltà di scegliere la Formazione Profes-sionale Iniziale. Le proposte elaborate dalla Federazione CNOS-FAP in sintonia con gli Enti ade-renti a CONFAP e a FORMA hanno portato ad una soluzione condivisa. La sintesi normativa è sta-ta, infatti, l’obbligo di istruzione fino a 16 anni e non l’obbligo scolastico in quanto la “nuova istru-zione” poteva essere assolta anche nei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale (Nicoli, 2006, 47). Intorno agli anni duemila il CNOS-FAP è stato uno degli ispiratori dell’introduzione dell’obbligo formativo che ha consentito di estendere il diritto alla formazione a complessivi dodici anni per tutti i giovani tra i 6 e i 18 anni. Sull'esempio di altri paesi dell'UE, questa è la strada da percorrere se si vuole veramente assicurare ai giovani quell'ampia formazione di base idonea a promuovere la crescita personale, l'orientamento, la prosecuzione degli studi, l'inseri¬mento nell'atti-vità lavorativa e la partecipazione responsabile alla vita democratica. L’introduzione dell’obbligo formativo può essere considerato il momento del rilancio della FPI intesa come sistema e con finan-ziamento proprio. Solo dopo questa legge, infatti, è stato avviato in Italia il rilancio della FPI anche dal punto di vista normativo. La Federazione non ha mancato di riconoscere anche gli altri progressi significativi che si sono fatti con la legge n. 30/00 e con gli altri interventi del governo dell’Ulivo. In proposito si pos-sono ricordare la Formazione Integrata Superiore (FIS) e il potenziamento dell'apprendistato e dei tirocini. Nonostante ciò, l’azione del governo rimaneva lontana dal riconoscimento di una piena pa-rità tra scuola e FP. A ciò si giunge con la riforma Moratti almeno in linea di principio. Infatti, come si è già os-servato sopra, questa configura la FP come percorso alternativo alla scuola, al pari di questa capace di accompagnare gli allievi verso il conseguimento di obiettivi educativo-formativi. A partire dai 14 anni i ragazzi possono inserirsi nel sotto-sistema di istruzione e formazione professionale e, dopo tre anni, acquisiscono una “qualifica professionale”, dopo quattro un “diploma professionale” e at-traverso corsi triennali di formazione superiore, possono ottenere un “diploma professionale supe-riore”, in una prospettiva di crescita professionale verso ruoli tecnici di responsabilità. Dopo un decennio di acceso dibattito e di aspre contrapposizione (Campione - Ferratini - Ribolzi, 2005) riportato anche nei paragrafi precedenti, oggi, la normativa vigente stabilisce che i giovani assolvono il diritto–dovere all’istruzione e alla formazione almeno fino al conseguimento di una qualifica professionale entro il 18° anno di età, titolo professionalizzante che si consegue presso strutture formative accreditate dalle Regioni (i CFP), nel rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni definiti dalle norme generali dello Stato (legge n. 53/03; D. Lgs. n. 76/05; D. Lgs. n. 226/05, capo III). Leggi ulteriori hanno precisato il secondo ciclo che oggi risulta composto dal (sotto)sistema dell’istruzione secondaria superiore, articolato in licei, istituti tecnici e istituti professionali e dal (sotto)sistema dell’istruzione e formazione professionale, di competenza delle Regioni, nel quale i giovani possono assolvere l’obbligo di istruzione fino al sedicesimo anno di età e il diritto-dovere all’istruzione e alla formazione fino al diciottesimo anno di età (legge n. 296/06, legge n. 40/07, legge n. 133/08). Il quadro legislativo, sommariamente richiamato, recepisce molte delle istanze espresse nei documenti prodotti e socializzati dalla Federazione CNOS-FAP e condivisi anche in quelli di CONFAP e di FORMA. Questo quadro, pur ancora incompleto, presenta, a giudizio della Federa-zione CNOS-FAP, elementi strutturali positivi. La Federazione CNOS-FAP ha giudicato positivamente, in primo luogo, la possibilità offerta ai giovani di scegliere la FPI all’età di 14 anni. Si tratta di una tappa, ormai, profondamente assimi-lata dai giovani e dalle famiglie come “età idonea per una prima scelta”; collocare la scelta della FPI accanto a quella scolastica a questa età appare ragionevole perché permette di prevenire, tra l’altro, la prassi di riservare alla FPI solo i giovani che ripiegano dopo un fallimento scolastico. La normativa, sotto questo aspetto, ha recepito le istanze degli Enti di FP aderenti a CONFAP e FORMA superando le posizioni di quanti volevano riservare il prolungamento dell’istruzione obbligatoria alla sola istituzione scolastica. L’obbligo scolastico, pur storicamente meritevole, oggi appare insufficiente ad indicare il conseguimento di un livello di istruzione e di formazione adeguato ai bi-sogni di una persona che vive consapevolmente nella nostra società. La normativa vigente sulla FPI va, in secondo luogo, nella direzione della “diversificazione e dell’ampliamento dell’offerta formativa”, una via sempre sottolineata dalla Federazione CNOS-FAP e dagli Enti di Formazione Professionale aderenti a CONFAP e FORMA, una via peraltro europea, necessaria anche in Italia sia perché la scuola italiana deve affrontare il problema della dispersione scolastica che è collocata in modo particolare nei “bienni” dei percorsi del sistema dell’istruzione secondaria superiore sia perché, nell’attuale società, la scuola in generale «deve proporre sempre meno modelli omologanti e sempre più rispondere alle sfide della differenziazione, dinanzi ad un destinatario sempre più disomogeneo e ad una utenza caratterizzata, da qualche anno, dalla crescente presenza di stranieri» (Campione - Ferratini - Ribolzi, 2005, 69; Ghergo 2009a). Assumere la FPI come parte dell’intera offerta del secondo ciclo è, senza ombra di dubbio, l’esito più complesso ma anche tra i più positivi del cammino percorso in questi decenni per l’affermazione del successo formativo. Il riferimento ai soggetti che erogano la FPI rimanda, in terzo luogo, al nodo della “sussidia-rietà orizzontale”. L’introduzione del principio di sussidiarietà in tutto l’ordinamento politico e amministrativo dell’Italia, soprattutto a livello regionale, è una questione importante e, a giudizio di molti, anche decisiva. Se non si riconosce il valore pubblico delle iniziative personali e sociali, infatti, si rischia di indebolire la responsabilità dei cittadini e di rendere sempre più inefficiente il servizio pubblico. È alla luce di questa riflessione che la Federazione CNOS-FAP giudica positivo il co-involgimento degli Enti di FP nello svolgere le attività di FPI a favore dei giovani. Si tratta di una scelta che va nella direzione della valorizzazione degli organismi della società civile senza replicare a livello regionale nuove forme di centralismo. Questo risultato è il frutto di un cammino piuttosto difficile e lungo. Negli anni Ottanta del secolo scorso, infatti, la FPI era stata ricondotta all’interno delle politiche attive del lavoro; era dunque una formazione fuori del sistema scolastico ma poteva essere realizzata, oltre che direttamente dalla Regione, anche da Enti che potevano essere emana-zione delle organizzazioni democratiche dei lavoratori o associazioni con finalità formative e sociali (Legge 845/78, art. 5, comma b). Nel decennio successivo si era registrata una proposta dell’on. Mezzapesa che prevedeva che anche il sistema di FP potesse contribuire all’assolvimento dell’obbligo scolastico, allora ipotizzato fino a 16 anni. Ma la proposta non fu accolta. Negli anni duemila, il Ministro Berlinguer, dopo un obbligo scolastico innalzato fino a 15 anni, introdusse un obbligo formativo extra scolastico fino a 18 anni. La riforma complessiva, però, fu bloccata; nelle Regioni si avviò, in maniera differenziata, solo l’obbligo formativo, in molti casi svolto da una isti-tuzione scolastica che integrava il percorso con moduli di formazione professionale (i c.d. percorsi integrati). Nel periodo successivo, il Ministro Moratti, riformulando l’obbligo scolastico e l’obbligo formativo nel diritto-dovere, coinvolse anche le istituzioni formative nell’assolvimento di tale diritto-dovere. Ma anche questa proposta fu rivista nella legislatura successiva e le Regioni reagirono in modo molto differenziato, avviando modelli diversi di percorso formativo. Con il Ministro Fioroni si ripropose il dilemma tra innalzamento dell’obbligo scolastico e l’allungamento dell’istruzione obbligatoria. La soluzione fu a favore di quest’ultima, ma inquadrata in una fase temporanea. Il Ministro Gelmini, intervenendo ancora una volta sulla materia con la Legge 133/2008, ha stabilito che l’obbligo di istruzione si assolve anche nei percorsi di istruzione e formazione professionale, e sino alla completa messa a regime delle disposizioni contenute nel capo III del D.Lgs. n. 226/05, anche nei percorsi sperimentali di istruzione e formazione professionale. Le istituzioni formative, emanazione delle organizzazioni democratiche dei lavoratori o associazioni con finalità formative e sociali possono concorrere, con la FPI, all’assolvimento del diritto-dovere all’istruzione e formazione fino al diciottesimo anno di età. Questo punto di arrivo, che la Federazione CNOS-FAP giudica positivamente, è aperto ad una nuova sfida, la riforma federale dello Stato. A giudizio della Federazione CNOS-FAP la riforma si giocherà anche su questo aspetto, cioè nel progressivo supe-ramento delle differenze che esistono fra le Regioni in fatto di applicazione del principio di sussi-diarietà orizzontale al campo della FPI. Solo così si avrà un “pluralismo” anche dal punto di vista istituzionale. Non è esagerato affermare che la Federazione CNOS-FAP ha potuto dare il proprio apporto originale e qualificato soprattutto nell’organizzazione dell’offerta formativa. Ha dato le “ali” al per-corso formativo, qualificandolo sia dal punto di vista pedagogico che metodologico e didattico. La Federazione CNOS-FAP, attiva all’interno di FORMA, da subito, ha contribuito ad elaborare un PROGETTO PILOTA, un idealtipo di percorso caratterizzato da specifici obiettivi da raggiungere, da un preciso modello formativo, da standard professionali e formativi e da una peculiare metodo-logia formativa (FORMA, 2002). La sperimentazione, poi, avviata in molte Regioni, è stata segnata da una notevole documentazione che attesta la vitalità della Federazione CNOS-FAP e degli Enti dove, o come protagonisti o sotto la regia regionale, hanno partecipato attivamente al monitoraggio e alla innovazione del percorso formativo progettato. Si riportano, per offrire al lettore la vastità e la varietà delle tematiche affrontate, i titoli delle principali pubblicazioni prodotte durante la sperimen-tazione. Molte di esse sono state realizzate a livello nazionale e offerte alla Federazione come stru-mento di lavoro o di formazione, altre sono sorte nelle Regioni soprattutto come documentazione del monitoraggio effettuato. 3.3.2. L’aggiornamento del CFP polifunzionale All’inizio del 1999, la Sede Nazionale CNOS-FAP ha affidato all'Istituto di Sociologia FSE-UPS la realizzazione di un’indagine mirata alla rilevazione di elementi della situazione dei Centri del-la Federazione in riferimento ai requisiti richiesti dal regolamento attuativo della legge 196/97, art. 17, e in vista della individuazione di indicatori di qualità per un CFP polifunzionale (Malizia - Pieroni, 1999). La Federazione avvertiva infatti l'esigenza di individuare nuove forme di aiuto e di supporto soprattutto al direttore e alle figure di staff presenti nei CFP o nella Sede Regionale (impe-gnate in attività di orientamento, coordinamento, analisi, progettazione e valutazione dei fabbiso-gni), essendo questi i ruoli più coinvolti nel processo di cambiamento/rinnovamento. Più in partico-lare, avendo presente un modello organizzativo di CFP dinamico, orientato al sistema qualità e ri-spondente alla logica dell'accreditamento, si intendeva elaborare, con la collaborazione di un gruppo di esperti, un progetto di fattibilità inteso a predisporre un processo permanente di monitoraggio e valutazione delle attività della FP CNOS-FAP. Dall’indagine emerge che se molto è stato attuato in questi ultimi anni e l'obiettivo della po-lifunzionalità si è rivelato una realtà per molti Centri, la fase di completamento di certi obiettivi ri-chiede ancora ulteriori sforzi e nuove strategie d'intervento. Pertanto, stando ai risultati ottenuti at-traverso il rilevamento, si suggeriscono i seguenti passi da intraprendere, ai fini di una più completa realizzazione del modello CNOS-FAP di CFP polifunzionale. 1) Una prima proposta riguarda il conseguimento della “certificazione” del “sistema qualità”, con tutti requisiti che tale obiettivo comporta. 2) Tra essi va indubbiamente annoverata la introduzione di nuove figure: oltre a quelle che già esi-stono nella più parte dei Centri vanno previsti (meglio ancora se come figure di sistema nello staff) il responsabile dei servizi di sicurezza ed il responsabile della qualità; non ci si nasconde però che saranno sempre più richieste in un immediato futuro anche quella del responsabile delle reti informatiche e del coordinatore delle attività di integrazione (in vista di una FP indirizzata a vantaggio delle fasce deboli, sempre più ampie ed attuali in una società in rapida trasformazione tecnologica), coerentemente anche all'esigenza (avvertita in oltre la metà dei Centri e spe-rimentata in una parte degli stessi) di potenziare l'orientamento e le azioni formative a favore di questi soggetti. 3) Un altro passo da compiere in tempi brevi è quello di una sempre più decisa apertura del CFP al territorio così da assumere una piena posizione di collaborazione, concertazione, integrazione con le varie realtà di riferimento. 4) Continuare, come era stato fatto egregiamente fino a quel momento, nell'organizzazione di corsi di formazione per i formatori nelle due principali direttrici: a. corsi per tutti, mirati cioè al costante aggiornamento della formazione delle varie figure di formatori; b. corsi "ad hoc" per la preparazione di figure specialistiche, con particolare riferimento a quelle da introdurre ex-novo. 5) Effettuare un costante monitoraggio sulla “qualità” della formazione erogata nei CFP della Fe-derazione, sulla base di un modello aggiornato di CFP polifunzionale e di standard minimi di qualità e nel rispetto della giusta autonomia di ogni Centro. 6) Creare una rete informatizzata, in grado di collegare tutti i Centri, così da realizzare una infor-mazione in tempo reale su problematiche emergenti e da socializzare innovazioni e sperimenta-zioni in atto. 7) Ampliare e/o rendere accessibile a un maggior numero possibile di Centri la partecipazione a progetti/programmi multiregionali e transnazionali. Sulla base dei risultati di questa ricerca la Federazione ha ritenuto opportuno orientare lo sforzo di rinnovamento soprattutto in tre direzioni: il potenziamento della formazione dei formatori, l’attuazione dell’obbligo formativo e del diritto-dovere all’istruzione e formazione e la realizzazione di un modello organizzativo di qualità. 3.3.3. Il potenziamento della formazione dei formatori Anche in questo caso si è partiti con una ricerca che è stata realizzata dalla Sede Nazionale del CNOS-FAP nel gennaio-giugno 2000 con lo scopo sia di approfondire la conoscenza della si-tuazione della formazione del personale del CNOS-FAP, sia di elaborare la proposta di un sistema di qualità per una preparazione più adeguata degli operatori, sia di predisporre un'ipotesi di standard formatori (Malizia - Pieroni - Salatin, 2001). L’indagine evidenzia un posizionamento professionale medio attuale più che buono degli operatori CNOS-FAP (in rapporto ad altri enti italiani), ma se-gnala più o meno indirettamente alcune criticità del sistema organizzativo: - una situazione con significative eterogeneità tra gli operatori, sia a livello di percezione che di situazioni professionale (es. tra Nord e Sud, tra generazioni e tra salesiani e non salesiani); - un sistema ancora non adeguatamente orientato all’utenza e al territorio: abituato ad aspettare gli utenti più che ad andare verso di loro (forse perché non ha mai avuto gravi problemi di do-manda e di risorse), non particolarmente preoccupato di ascoltare (non a caso risultano sottodi-mensionate le competenze marketing e valutazione); - un sistema non molto aperto e tendenzialmente autoreferenziale, che collabora ancora poco con altri soggetti nel territorio; ciò può essere un limite nella prospettiva del “fare rete”; - un sistema non adeguatamente differenziato nei suoi servizi e funzioni: molto focalizzato sulla erogazione formativa tradizionale con ancora debole presenza di altri servizi (orientamento, ac-compagnamento, counselling, …) e un po’ indietro sulle nuove tecnologie didattiche e sulla FAD. Circa il dispositivo formativo proposto, sono condivisibili le indicazioni della ricerca con un impianto flessibile basato su: - formazione d’ingresso: corso formatori (master di primo ciclo o di secondo ciclo per i livelli più alti); - formazione in servizio: interventi ricorrenti con attenzione all’identità dell’Ente e alla formazione comportamentale (in presenza); sviluppo delle formule a distanza (moduli FAD) e degli stage all’estero. I dati della ricerca non vanno letti solo in sé, ma anche in rapporto ai trend osservabili a li-vello nazionale. A questo livello e in particolare in rapporto allo scenario dell’accreditamento degli operatori: - il livello generale degli operatori appare in grado di reggere la copertura delle funzioni previste e dei relativi standard (c’è anche di più rispetto agli standard minimi); - ci sono segnali incoraggianti di apertura all’innovazione, visto il rilievo dato all’analisi della nuova domanda di formazione implicito nelle risposte relative alla figura del direttore; - il modello organizzativo può reggere un orientamento alla qualità senza enormi rivoluzioni; - è possibile rilevare inoltre una complementarità tra il rilievo delle competenze “salesiane” (si-stema preventivo, carisma pedagogico...) collegate alla “mission” e le competenze professionali richieste. Sulla base di questi dati è stato elaborato un piano con una prospettiva poliennale. Esso s'in-serisce nella missione di servizio della Federazione CNOS-FAP Nazionale alle sedi locali e do-vrebbe integrarsi agli eventuali piani formativi di CFP, ai piani formativi regionali e ai piani formativi individuali, anche in funzione della implementazione delle nuove normative in materia di formazione continua e dello sviluppo della contrattazione collettiva di comparto. Dal punto di vista degli obiettivi, il piano ha carattere strategico e si propone di sistematizza-re un dispositivo di formazione iniziale degli operatori, in grado di equilibrare le componenti valoriali e professionali, di fornire le linee guida per il consolidamento di un dispositivo di formazione per-manente in servizio, compatibile e coerente con i processi d'accreditamento interno ed esterno in atto, e fornire delle proposte di percorsi per l’acquisizione e/o lo sviluppo delle competenze indivi-duate più necessarie dalla ricerca e/o segnalate dai responsabili dell’Ente. Il piano assume come criteri di base metodologici la distinzione tra la formazione di ingresso e quella in servizio, di base e specialistica, il principio di interazione tra formazione e attività professionale e la pluralità dei modi di formazione (presenziali e non presenziali). Esso muove inoltre dalla consapevolezza della triplice articolazione degli interventi a livello nazionale, regionale e locale, pur sviluppando solo le proposte relative al livello nazionale. Per facilitare la traduzione operativa del piano, si è ritenuto opportuno predisporre un cata-logo che contenga una offerta formativa permanente e sistematica per gli operatori, basata sulle buone prassi in atto presso le singole sedi. Più specificamente esso è finalizzato ai seguenti obiettivi: - «sistematizzare la formazione iniziale degli operatori, in modo da equilibrare le componenti va-loriali e professionali, soprattutto attraverso la proposta di moduli ‘comportamentali’; - fornire le linee guida per il consolidamento della formazione permanente in servizio, compatibile e coerente con i processi di accreditamento interno ed esterno in atto; - fornire delle proposte di percorsi per l’acquisizione e/o lo sviluppo delle competenze più neces-sarie individuate dalla ricerca e/o segnalate dai responsabili dell’Ente; - mettere a sistema la formazione in atto e quella in fase di progettazione e facilitare l’accesso alle informazioni disponibili per quanto riguarda le opportunità di crescita professionale» (CNOS-FAP - CePOF, 2003, 8). Pertanto, la formazione dei formatori ha raggiunto una metodologia ed una strutturazione sufficientemente stabile. Vengono proposte attività corsuali residenziali nazionali legate soprattutto alla crescita dei settori professionali, attività residenziali locali connesse in particolare ai bisogni delle varie Delegazioni regionali, attività di formazione per il personale direttivo, attività di formazione a distanza per tutti gli operatori. Il catalogo, nella sua globalità, copre tutti i settori, dall’area pedago-gico-salesiana, a quella della dottrina sociale della Chiesa, a quella metodologico-didattica, a quella tecnologica. 3.3.4. La sperimentazione dell’obbligo formativo e del diritto-dovere Si è trattato di una ricerca-azione che intendeva contribuire allo sviluppo della FP conte-stualmente e in sinergia con la riforma in corso del sistema educativo di istruzione e di formazione (Malizia - Nicoli - Pieroni, 2002). Più specificamente, l’innovazione, a cui l’indagine si è collegata dal momento del suo avvio nel 2000, è costituita dall’introduzione dell’obbligo formativo fino a 18 anni di età, che ha riconosciuto la possibilità (attraverso la Legge 144/99, art. 68) di assolvere tale obbligo in percorsi anche integrati di istruzione e formazione: 1) nel sistema di istruzione scolastica; 2) nel sistema di formazione professionale di competenza regionale; 3) nell’esercizio dell’apprendistato. Sulla base delle indicazioni legislative, il CNOS-FAP e il CIOFS/FP hanno dato vita ad un progetto sperimentale a carattere nazionale che ha occupato 2 anni, il 2000-01 e il 2001-02. Di se-guito, alcune delle dimensioni più significative. Anzitutto, l’impostazione seguita integra le esigenze professionali con le culturali e con le educative. In secondo luogo, va sottolineata l’articolazione del modello formativo in saperi (insieme di nozioni strutturate in una materia/disciplina o area culturale), competenze (un saper agire o reagire riconosciuto) e capacità personali (il complesso delle caratteristiche, quali tratti, disposizioni, vo-cazione e attitudini, che il soggetto mette in atto in diverse situazioni e che ne connotano la persona-lità) (Nicoli, 2000). Questa impostazione tiene conto degli aspetti più validi dei modelli dell’IFSOL e della Tecnostruttura delle Regioni e al tempo stesso li supera perché considera i saperi di base, trasforma correttamente le competenze trasversali in capacità personali, arricchisce il gruppo delle competenze professionali e distingue al suo interno un ambito specifico e uno trasversale. In terzo luogo, viene riconosciuta una rilevanza centrale alle istanze della personalizzazione attraverso i moduli dell’orientamento, dell’accoglienza e dell’ac-compagnamento. I Centri dell’inizio della sperimentazione sono 73 in tutto e si distribuiscono quasi alla pari tra CNOS-FAP e CIOFS/FP, 41.1% l'uno e 38.4% l'altro, mentre i Centri di Formazione Professionale degli altri Enti costituiscono un quinto del totale (20.5%). Tra il 2000-01 e il 2001-02, gli iscritti al 1° anno della sperimentazione sono cresciuti di 234, pari all’8%, passando da 2.915 a 3.149: il dato attesta del successo dell’iniziativa. Nel 2001-02 van-no aggiunti gli allievi del secondo anno, 1.918, per cui a regime si raggiunge la cifra di 5.067. Sia nel 2000-01 che nel 2001-02, la grande maggioranza degli iscritti al 1° anno della speri-mentazione (70,1% e 68,1%) si trova in una situazione di difficoltà dal punto di vista scolastico in quanto semplicemente “prosciolti dall'obbligo”: non hanno cioè conseguito la promozione al secondo anno della scuola secondaria superiore e si sono potuti iscrivere alla FP Iniziale perché al com-pimento del quindicesimo anno di età hanno dimostrato di aver osservato per almeno 9 anni le nor-me sull'obbligo scolastico. Il dato evidenzia ancora una volta i gravi limiti della legge n.9/99 sull’elevazione dell’obbligo scolastico, in quanto i ragazzi che volevano iscriversi alla FP erano co-stretti a un anno di parcheggio nella scuola secondaria superiore, senza conseguire nessun risultato utile per il loro percorso formativo neppure quello del passaggio al secondo anno della secondaria. Passando ad esaminare i flussi degli allievi, si nota che il vero abbandono è inferiore al 10% dei casi, nel 1° anno, e al 5%, nel 2° anno. Le cifre non sono drammatiche, ma rimangono significative e devono spingere a trovare le strategie per rendere solo fisiologiche le uscite prima della conclusione. In ogni caso, l’andamento complessivo dei flussi, in particolare per quanto riguarda il rapporto allievi ritirati/aggiunti, permette di attribuire alla sperimentazione un indubitabile successo in quanto le perdite, a lungo andare, si sono ridotte già a partire dal 2° anno. Nel 2001-02, i formatori coinvolti nella FPI sperimentale sono 553 e si ripartono tra 398 del CNOS-FAP (72%) e 155 del CIOFS/FP (28%). Il gradimento degli allievi relativamente al sperimentazione dell’obbligo formativo si situa globalmente sull’“abbastanza” e, in un certo numero di casi, è andato pure oltre (anche se non si ar-riva al “molto”, ci si avvicina ad esso in modo sostanziale). A sua volta, la soddisfazione dei formatori, si colloca complessivamente sull’ “abbastanza” e, in un certo numero di casi, si è spinta oltre. In generale, appare una buona predisposizione degli organismi formativi verso una prospet-tiva pedagogica orientata alla personalizzazione dei percorsi formativi, con un approccio che privi-legia la valorizzazione delle modalità attive quali il laboratorio, i compiti reali e non raramente le simulazioni ed i casi di studio. Soprattutto l’analisi delle prassi pedagogiche e didattiche rivela una ricchezza di intenti ed una concentrazione di risorse in direzione di una metodologia completa, or-ganica, ancorata ad un’impostazione educativa, culturale e professionale esplicita. Questo significa che gli organismi indagati – appartenenti alla tradizione “educativo-professionale” – si sono trovati molto a loro agio nel cogliere l’opportunità dell’obbligo formativo al fine di rilanciare la loro pro-posta formativa. Emerge anche un notevole investimento degli Enti e dei Centri in tema di metodologie di-dattiche (dopo anni di scarsa applicazione in tale ambito), segno di una tendenza profonda che può portare a frutti importanti per l’intero settore. Nasce in tal senso l’esigenza di delineare una modalità di valorizzazione stabile di tale produzione, sotto forma di un “Centro risorse educative per l’apprendimento” (CREA), ovvero una struttura di supporto alla didattica (d’aula, alternativa all’aula, mista), che può essere presente in ogni CFP, e nel contempo inserita in una rete nazionale, nella quale concentrare le risorse che consentono di dare vita a processi di formazione basati su una strategia attiva. In proposito la Federazione ha avviato subito un apposito progetto a livello naziona-le. Gli esiti della rilevazione consentono di evidenziare alcuni punti chiave dell’impegno dei Centri indagati: a) l’esigenza del rispetto dell’età evolutiva degli alunni nella fase dell’obbligo formativo; b) l’attenzione alla continuità tra i cicli, che favorisca il superamento della dispersione, e la necessità di una corretta impostazione dell’orientamento; c) l’esigenza di predisporre le condizioni per un’effettiva scelta, da parte degli alunni, dei percorsi di scuola o di FP, che abbiano pari dignità culturale, educativa e professionale, a partire dal termine della scuola secondaria di I grado, con inizio dal 14° anno di età, analogamente a quanto avviene in quasi tutti i paesi europei. In conclusione, la ricerca ribadisce l’importanza della FP come percorso alternativo alla scuola, al pari di questa capace di accompagnare gli allievi verso il conseguimento di obiettivi educativo-formativi e, quindi, all’acquisizione di una “Qualifica professionale” e di un “Diploma professionale” e, attraverso corsi triennali di formazione tecnica superiore, un “Diploma professionale superiore”. La riforma Moratti accoglie questa istanza. Dopo la sperimentazione dell’obbligo formativo la Federazione CNOS-FAP si è impegnata nel monitoraggio della sperimentazione dei percorsi trien-nali e quadriennali di qualifica e di diploma professionale i cui esiti sono documentati nel paragrafo precedente, il 3.3.1. 4. Gli anni della grande crisi: la resilienza della FP e del CNOS-FAP Come negli altri Paesi Occidentali, l’Italia ha vissuto tra il 2008 e il 2016 un periodo di profonda recessione economica. Il Rapporto Censis del 2012 ne fa una descrizione che ci sembra degna di essere riportata alla lettera perché ci fa entrare a fondo nella situazione: «La realtà si è rivelata diversa da quella che ci aspettavamo, più complicata che nelle crisi precedenti e così “perfida” da imporci una radicale rottura di schema anche interpretativo (prima ancora che decisionale e operativo). Ci siamo infatti trovati dentro fenomeni e processi non padroneggiabili, e in parte neppure comprensibili. […] ‒ sono entrati in gioco “fenomeni enormi” per dimensione e complessità fuori della nostra portata intellettuale e politica (la speculazione internazionale, la crisi dell’euro, la impotenza dell’apparato europeo, la modifica degli assetti geopolitici e altro ancora); ‒ ci sono piovuti addosso “eventi estremi” quasi con caratteristiche di catastrofi naturali (basterebbe pensare a come abbiamo vissuto la dinamica dello spread e il pericolo di default […]; ‒ e soprattutto ci siamo ritrovati nella progressiva crisi della sovranità, a tutti i livelli, visto che nessuno, in Italia e altrove, è stato in grado di esercitare un’adeguata reattività decisionale» (p. XII; Malizia - Nanni, 2015). 4.1. Elementi di scenario e le principali riforme Nonostante le gravi problematiche accennate sopra, la IeFP in generale e soprattutto quella del CNOS-FAP hanno dimostrato una notevole capacità di affrontare con successo le sfide della crisi. Citiamo solo due dati per tutti: tra il 2008-09 e il 2015-16 la prima ha aumentato i propri iscritti nel triennio da 150.489 a 300.328, ossia del doppio quasi, anche se il picco è stato raggiunto nel 2014-15 con 316.599 (e la leggera diminuzione tra il 2014-15 e il 2015-16 è del tutto comprensibile dopo 12 anni di continua crescita) (Crispolti - D’Arcangelo, 2010; Istituto Nazionale per l'Analisi delle Politiche Pubbliche-Inapp, 2017); a sua volta, gli allievi della seconda sono saliti da 18.779 nel 2008-09 a 26.472 nel 2016-17 (l’anno del 40.mo), cioè del 30% circa (Cnos-Fap - Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, 2017). Nelle due sezioni in cui si articolerà questa parte del testo si preciseranno le difficoltà del periodo e le dimensioni della relisienza della IeFP del CNOS-FAP. 4.1.1. I nodi problematici della situazione sociale Il Rapporto annuale dell’Istat mette a disposizione del Parlamento e dei cittadini i risultati dell’analisi che l’Istituto effettua ogni anno riguardo alla condizione sociale ed economica dell’Italia. Il volume del 2017 offre una sintesi delle dinamiche sociali del periodo della crisi eco-nomica non solo in retrospettiva, ma anche con uno sguardo all’attualità e alle prospettive, non sul piano delle criticità, ma anche degli aspetti positivi (Istat, 2017; Malizia et al., 2017b). I nuclei te-matici principali su cui si concentra l’esame sono sostanzialmente due: la struttura sociale interpretata attraverso i gruppi sociali in cui si distribuisce; la situazione del sistema Paese. Tale impostazione costituirà l’articolazione di base della sezione che segue. 4.1.1.1. Nove gruppi per analizzare il sistema sociale Per descrivere i gruppi in cui si distribuisce la società italiana, l’Istat ha adottato un metodo nuovo incentrato sulle famiglie piuttosto che ricorrere all’approccio tradizionale delle classi. Infatti, quest’ultimo ha perso gran parte della sua efficacia originaria a motivo della frammentazione del tessuto sociale e i suoi criteri principali di riferimento, titolo di studio, occupazione e reddito, non sembrano in grado di cogliere in maniera soddisfacente la complessità della situazione attuale. Il concetto di famiglia, invece, consente di far entrare in gioco altri criteri in aggiunta a quelli già citati e anch’essi importanti come: la dimensione familiare, l’età, il genere, la presenza di uno straniero, la disponibilità di un’abitazione. La classificazione seguita colloca nel gradino inferiore quattro tipi di famiglie: a basso red-dito con stranieri e di soli italiani, tradizionali della provincia e, infine, anziane sole e giovani di-soccupati. Esse sono tutte in condizioni economiche difficili. Le famiglie a basso reddito con stranieri ammontano a 2 milioni quasi (il 7,1% del totale) e comprendono 4,7 milioni di persone (7,8%). Le loro caratteristiche più rilevanti sarebbero le se-guenti: la presenza di almeno un componente straniero; la maggiore povertà; l’età più giovane della persona di riferimento (il principale percettore di reddito); la composizione media di 2,6 persone con un numero consistente di individui soli; la prevalenza di occupazioni non qualificate; il possesso da parte della persona di riferimento di un titolo di secondaria superiore; la residenza nel Centro-nord. Il secondo tipo di famiglie è costituito da quelle di basso reddito di soli italiani il cui numero è sostanzialmente pari a quello delle precedenti (2 milioni circa o il 7,5%), mentre i componenti sono di più (oltre 8 milioni o il 13,6%) perché includono più membri. Si contraddistinguono per: il reddito basso; l’età relativamente giovane; la composizione media di 4,3 persone; la titolarità di un contratto a tempo indeterminato e l’inquadramento come operai o addetti a operazioni manuali; il possesso di licenza media inferiore; la residenza al Sud. Il gruppo meno numeroso sia di famiglie (850 mila e 3,3%) che di membri (3,6 milioni e 6%) è rappresentato dalle famiglie tradizionali della provincia. Si differenziano per le seguenti ca-ratteristiche: l’età più avanzata; la prevalenza del modello tradizionale di capofamiglia maschio; la composizione media elevata; la predominanza di commercianti e artigiani; il possesso al massimo di licenza media inferiore; la residenza nel Meridione e nei comuni fino 50 mila abitanti. La presenza contemporanea di un titolo di studio basso e di un numero elevato di membri si riflette negativa-mente sul reddito, abbassandolo in maniera significativa. Il raggruppamento delle anziane sole e dei giovani disoccupati include 3,5 milioni di famiglie (13,8%) e 5,4 milioni di persone (8,9%). Venendo a ciò che lo specifica, si può dire che: l’età media della persona di riferimento è elevata, 65,6 anni, la sua condizione professionale si caratterizza per l’inattività e in qualche caso per la disoccupazione e il titolo di studio è basso; l’esposizione al pericolo di povertà è notevole, anche perché, oltre ai motivi appena accennati, nel 60% dei casi si tratta di persone sole. Due dei gruppi si collocano a metà della classifica, nel senso che si possono definire a reddito medio. In concreto, si tratta dei giovani blue-collar e delle famiglie degli operai in pensione. Il primo raggruppamento comprende 3 milioni circa di famiglie e 6,2 milioni di membri, cifre che tradotte in percentuali corrispondono all’11,3% e al 10,2%. Le loro caratteristiche più rilevanti sarebbero le seguenti: l’età relativamente giovane; una ridotta esposizione al pericolo della povertà; la composizione media di appena 2,1 persone; la titolarità di un contratto a tempo indeterminato e l’inquadramento come operai o addetti a operazioni manuali; il possesso di una licenza di scuola media o di un diploma di secondaria superiore; la residenza in abitazioni in affitto. A loro volta le famiglie di operai in pensione costituiscono il gruppo più numeroso a livello di famiglie (6 milioni o il 22,7%), ma non in termini di persone (10,5 milioni o il 17,3%). L’età media della persona di riferimento è alta, 72 anni, il reddito raggiunge quasi la cifra media a livello na-zionale, si tratta in prevalenza di persone sole o di coppie senza figli, il capofamiglia risulta nella più gran parte dei casi in pensione e possiede al massimo una licenza media. La classificazione dei gruppi sociali ne colloca tre nei gradini più alti. In concreto si tratta delle famiglie di impiegati, delle pensioni d’argento e della classe dirigente. Tutte e tre vengono qualificate come benestanti. Le famiglie di impiegati rappresentano il raggruppamento più numeroso quanto alle persone che lo compongono (oltre 12,2 milioni o il 20% circa), ma non in termini di famiglie (intorno a 4,6 milioni o il 17,8%). Le caratteristiche principali sarebbero le seguenti: l’età relativamente giovane della persona di riferimento che in quattro casi su dieci è una donna; la sua posizione professionale di carattere impiegatizio o di lavoratore autonomo e le buone condizioni di vita della famiglia; la prevalenza di coppie con figli e una composizione media di 2,7 persone; il possesso di almeno un diploma di secondaria superiore. Il raggruppamento indicato come pensioni d’argento include 2,4 milioni di famiglie (9,3%) e oltre 5 milioni di persone (8,6%). Si contraddistinguono per: il reddito elevato; l’età alta; la com-posizione contenuta di 2,2 persone; la condizione di pensionato; il possesso almeno di un diploma della secondaria superiore. La classe dirigente abbraccia 2 milioni circa di famiglie (7,2%) e 4,6 milioni di persone. (7,5%). Si differenziano per le seguenti caratteristiche: l’età media di 56,2 anni; la composizione di 2,5 membri; il reddito più alto con il vantaggio del 70% circa rispetto alla media e una maggioranza relativa di dirigenti e di quadri; il possesso generalizzato di un titolo universitario. Il Rapporto ha cercato di approfondire anche il tema delle diseguaglianze di reddito. In pro-posito, una precisazione da fare consiste nel distinguere due tipi di disparità: quelle tra i gruppi e quelle interne ai gruppi. Riguardo alle prime, va osservato che, se le percentuali della popolazione presenti in ciascun gruppo e le relative quote di reddito coincidessero, tutti i gruppi disporrebbero del medesimo reddi-to medio e non ci sarebbero disparità fra i gruppi, ma questo non si registra per esempio tra i gruppi che si collocano agli estremi della ripartizione dei redditi che, pertanto, sperimentano i benefici maggiori nel primo caso e gli svantaggi più rilevanti nel secondo. In particolare, la percentuale delle famiglie a basso reddito di soli italiani o con stranieri nella popolazione è significativamente supe-riore alla porzione di reddito che spetta loro. L’andamento è invece opposto per la classe dirigente, le pensioni d’argento e gli impiegati. In relazione all’anno di inizio della crisi, il 2008, lo svantaggio delle famiglie a basso reddito con stranieri cresce per cui esse sono il gruppo che più ha sofferto per la recessione, mentre la situazione di svantaggio delle famiglie a basso reddito di soli italiani è ri-masta la stessa nel tempo e quella delle famiglie di operai in pensione è in parte migliorata. Passando alle disparità nei gruppi, unicamente le anziane sole e i giovani disoccupati pre-sentano una variabilità notevole all’interno; al contrario le famiglie degli impiegati e degli operai in pensione evidenziano il livello più basso di differenze. Globalmente si può dire che nel 2015 le di-seguaglianze nei redditi dipendono per l’80% da fattori interni ai gruppi e per il 20% da disparità fra i gruppi. 4.1.1.2. La situazione economica e sociale del 2016 A livello demografico, l’invecchiamento della popolazione è l’andamento che caratterizza l’Italia nel contesto internazionale. Le nascite diminuiscono e nel 2016 si è raggiunto il record nega-tivo di sole 474 mila all’anno, il numero delle morti (608 mila) è alto in linea con l’invecchiamento, il saldo naturale si presenta negativo (-134.000), il secondo peggiore di sempre, e il saldo migratorio non colma le diminuzioni. Di conseguenza, si riscontra un calo nella popolazione residente che si riduce a 60,6 milioni. In un contesto mondiale in sviluppo sul piano economico, anche se con una lieve decelera-zione nel 2016 (+3,1% rispetto al +3,4% dell’anno precedente), la ripresa del nostro Paese, avviata nel 2015, si consolida, registrando un aumento dello 0,9% del Pil; anche quest’anno tale andamento è da attribuire alla domanda interna che sale dell’1,4%. Nonostante ciò, il trend positivo trova diffi-coltà ad affermarsi pienamente a motivo della elevata volatilità dei principali indicatori congiunturali e della disomogeneità dei dati provenienti dal comparto dei servizi, non sempre favorevoli; pure la sostanziale stabilità dell’inflazione negli ultimi tre anni non è un segnale confortante perché indica una stasi del mercato per cui, tra l’altro, la notizia dei primi mesi del 2017 su una risalita dell’inflazione va vista con favore. Inoltre, la ripresa non riesce a raggiungere nella stessa misura tutti i gruppi sociali e l’indice di grave deprivazione materiale sale dall’11,5% del 2015 all’11,9% del 2016 e incide in maniera più negativa sulla situazione dei genitori soli, in particolare con figli minori, e dei residenti nel Sud. Un segnale certamente positivo è la crescita degli investimenti fissi lordi in continuità con il 2015. In aggiunta, le importazioni di beni e servizi sono aumentate in volume più delle esportazioni, benché l’interscambio commerciale in valore sia caratterizzato da un andamento opposto. Pertanto. la quota delle esportazioni di merci italiane è aumentata rispetto a quelle mondiali, dimostrando che la capacità delle imprese italiane di competere sui mercati internazionali si sta rafforzando. Come si sa, le difficoltà dell’economia italiana sono dipese in misura considerevole anche dalla prolungata stagnazione della produttività che si è accumulata tra il 2000 e il 2014. In questo momento è in atto un lento recupero che, però, rimane fragile in quanto è da attribuire maggiormente al rinnovamento esogeno della tecnologia produttiva e meno a cause endogene connesse a un mi-glioramento delle strategie delle imprese. Tuttavia, dato che secondo le previsioni del Fondo Mone-tario Internazionale il mercato mondiale registra un’accelerazione del prodotto e del commercio che è da collegarsi con il miglioramento delle prospettive dei Paesi sviluppati, si può ragionevolmente ipotizzare sulla base degli attuali indicatori qualitativi dell’Italia che quest’ultima sia destinata a sperimentare una fase di crescita benché a tassi moderati. Le dinamiche a livello internazionale sono positive anche a livello occupazionale. Negli ultimi tre anni l’UE ha registrato in proposito un aumento costante e nel 2016 sono stati superati i tassi pre-crisi. Pure l’Italia ha partecipato a questo trend positivo, anche se in misura inferiore alla media. Il tasso di occupazione registra un aumento pure nel 2016 (+0,9%), raggiungendo la cifra del 57,2% che, però, è più bassa di quella dell’UE (66,6%), soprattutto riguardo alle donne (-13,3%). Venendo ai particolari, la crescita riguarda tutti i gruppi di età anche quello dei più giovani (15-34 anni); al tempo stesso, va tenuto presente che sono i 50enni ed oltre ad averne beneficiato maggiormente. Le donne hanno registrato l’aumento più elevato (+1,5%), ma il dato globale le vede al 48,1% rispetto agli uomini che si collocano al 66,5%. Inoltre, questa dinamica positiva coinvolge particolarmente i gradi elevati di istruzione e principalmente i laureati confermando che la formazione costituisce un fattore protettivo nel mondo del lavoro. A livello territoriale questa volta è il Sud a fare meglio delle altre circoscrizioni a riguardo alla crescita del tasso di occupazione, anche se il dato globale lo svantaggia rispetto al Centro-nord. Non ci sono differenze significative tra le percentuali di crescita degli occupati permanenti e a termine, mentre la quota del lavoro indipendente risulta leggermente in diminuzione: in ogni caso si riduce l’aumento del lavoro dipendente a termine. Diminuisce anche il tasso di disoccupazione dello 0,2% e si colloca all’11,7% e il numero dei giovani non occupati e non in formazione (Neet) continua a scendere, attestandosi a 2,2 milioni, e tra loro prevalgono quanti intendono lavorare. Inoltre, il tasso di inattività diminuisce del 2,9% e di conseguenza aumenta quello di attività. Rima-ne il problema di una situazione che colloca il nostro Paese negli ultimi posti delle classifiche UE. Il Rapporto termina con delle osservazioni di sintesi e delle indicazioni di prospettiva di cui si riportano le più rilevanti. Anzitutto, si fa notare che i gruppi sociali, emersi dalla disamina iniziale, presentano una natura strutturale e tendono a conservarsi sostanzialmente immutati nel tempo: queste loro caratteristiche spiegano come mai la nostra società non possa definirsi liquida, ma al contrario si rivela molecolare e circolare. Tali caratteristiche sono alla base di uno dei nodi proble-matici che sperimenta il nostro Paese e che consiste nella difficoltà del sistema sociale di raggiungere con i meccanismi redistributivi i settori più emarginati della popolazione come per esempio le famiglie a basso reddito con uno straniero, mentre le imposte e i contributi ricadono soprattutto sulle fasce più svantaggiate. Per affrontare questa sfida, il Rapporto richiama l’attenzione delle pubbliche autorità soprattutto su tre tipi di intervento: sarà necessario potenziare l’innovazione tecnologica, economica e sociale e modernizzare le istituzioni; si tratta anche di investire in misura adeguata nell’istruzione e nella formazione del capitale umano in quanto è una strategia di primaria importanza per realizzare la promozione sociale; altro campo di azione sono le politiche attive del lavoro perché è soprattutto nel mondo del lavoro che si riscontrano gli ostacoli maggiori allo sviluppo, in particolare per i più giovani. 4.1.2. La riforma della “Buona Scuola” e i decreti attuativi Il tema è molto ampio e sotto vari aspetti fuoriesce dagli obiettivi del presente studio. Per-tanto focalizzeremo l’attenzione sulle tematiche che interessano l’IeFP; tuttavia, all’inizio si pre-senterà brevemente la situazione della istruzione e della formazione nella quale si inseriscono i provvedimenti sotto esame. 4.1.2.1. Il sistema educativo di istruzione e di formazione: andamenti quantitativi La prima considerazione da fare riguarda i livelli di scolarizzazione degli italiani che conti-nuano ad aumentare; sul piano meno positivo va evidenziato che l’andamento in crescita si caratte-rizza per dei ritmi ancora lenti e soprattutto che il 50,9% della popolazione di 15 anni e oltre – e non si tratta solo di persone in età più avanzata – è senza titolo o ha ottenuto al massimo quello di licenza media; complessivamente la percentuale appena citata è diminuita tra il 2015 e il 2016 dello 0,4% (Censis, 2017; Istituto Giuseppe Toniolo, 2017; Malizia, 2018). Sul lato favorevole i diplomati e i qualificati della secondaria di 2° grado e della IeFP si collocano al 35,7%, guadagnando lo 0,1%, e i laureati al 13,3% con un aumento dello 0,2%. Se si fa riferimento a questi ultimi, la loro quota sale al 24,8% nella coorte 15-29 anni e tra le donne si raggiunge il 30,8% ‒ sempre nel medesimo gruppo di età. Su questa stessa linea la ripartizione degli occupati per livello d’istruzione evidenzia una modesta crescita – l’unica importante da segnalare – dei lavoratori in possesso di una laurea dal 21% al 21,3% tra il 2015 e il 2016 e che, comunque, dipende unicamente dalle donne con il loro 27,2%. Malgrado questo andamento, tuttavia le laureate sono sovrarappresentate nelle occupazioni intermedie e impiegatizie, mentre sono sottorappresentate tra quelle dirigenziali: in proposito il dato positivo è che la loro porzione tra queste ultime risulta in aumento nel tempo, anche se di poco. Prosegue il trend della riduzione degli iscritti al sistema educativo di istruzione e di forma-zione che tra il 2015-16 e il 2016-17 registra globalmente un calo dell’1%; esso, però, è inferiore nelle scuole statali dove si ferma allo 0,6% per effetto principalmente dell’aumento degli studenti della secondaria di 2° grado. La diminuzione più cospicua si riscontra nella scuola dell’infanzia e la relativa percentuale è del 4%: tale andamento va attribuito alla riduzione della natalità che in questi ultimi anni sta caratterizzando le dinamiche demografiche dell’Italia come pure al decremento del tasso di scolarizzazione nell’educazione prescolastica dal 99,9% del 2012-13 al 96,5% del 2016-17. Inoltre, a questo livello del sistema di istruzione e di formazione si registra anche un abbassamento dell’1% nel numero degli iscritti con cittadinanza non italiana che, però, costituisce una eccezione rispetto agli altri ordini e gradi di scuola i quali evidenziano ciascuno una crescita, per cui global-mente gli studenti stranieri guadagnano l’1,4% tra il 2015-16 e il 2016-17. Da ultimo, va segnalato che gli iscritti al primo anno della secondaria di 2° grado registrano nel complesso una sostanziale stabilità in quanto il loro calo si ferma allo 0,6%; anche nel 2016-17 quest’ultimo colpisce gli istituti tecnici (-0,8%) e in particolare quelli professionali (-6,5%), mentre il liceo classico segnala un in-cremento dell’1,8% per cui prosegue il processo di licealizzazione con il liceo classico, scientifico e delle scienze umane al 45,8% dei neoiscritti (a cui bisogna unire il 4,2% dell’istruzione artistica) rispetto al 32,1% degli istituti tecnici e al 17,9% dei professionali. Ben diverso rispetto a questi ultimi è il trend della IeFP (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche-Inapp, 2017; Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Direzione Generale per le Politiche Attive, i Servizi per il Lavoro e la Formazione, febbraio 2016; Malizia et al., 2016; Crispolti - D’Arcangelo, 2010). È bene ricordare che la IeFP è nata in via sperimentale nel 2003 ed è stata riconosciuta come ordinamentale solo nel 2011. In pratica si è partiti quasi da zero e nel 2015-16 si è raggiunta nel complesso dei quattro anni la cifra di 322.322 allievi in una crescita continua che solo nell’ultimo anno ha registrato una diminuzione del 2,1% che, però, si è concentrata tutta nella tipologia della sussidiarietà integrativa (realizzata presso gli istituti professionali di Stato quinquennali) mentre i CFP accreditati (o istituzioni formative = IF) guadagnano in percentuale. Le ragioni del grande successo della IeFP tra le famiglie e i giovani, vanno ricercate anzitutto nella passione educativa e nelle metodologie formative partecipative, dei formatori. Un altro motivo può essere visto nell’efficacia della IeFP nella lotta all’abbandono scolastico; in aggiunta va anche richiamata la rilevante capacità inclusiva della IeFP nei confronti degli allievi stranieri e dei disabili, di molto superiore a quella del sottosistema dell’istruzione secondaria Pure gli esiti occupazionali della IeFP sono lusinghieri. Nel 2015-16 prosegue anche il ridimensionamento del livello universitario che vede un calo dei corsi, dei docenti di ruolo e non e degli iscritti; al tempo stesso, però, continuano ad emergere segnali in senso opposto quali la crescita delle immatricolazioni e soprattutto dei laureati che rag-giungono il numero più elevato degli ultimi tre anni, come anche quella della produttività universi-taria (Censis, 2017; Istituto Giuseppe Toniolo, 2017; Malizia, 2018). Significativo è pure l’aumento degli studenti stranieri e degli iscritti alle università telematiche e a quelle non statali. Nel 2016 riprende a salire la frequenza a iniziative di apprendimento permanente degli adulti del gruppo di età 25-64 che si colloca all’8,3%, al di sopra cioè della percentuale più elevata degli ultimi anni. Si confermano gli andamenti recenti che evidenziano dati più positivi tra le donne, i re-sidenti al Centro-Nord e gli occupati, mentre coloro che non hanno lavoro sono meno coinvolti, sebbene ne abbiano maggiore bisogno. Tra i Neet, i giovani di 15-29 anni che non studiano né lavorano, si rafforza il trend alla ri-duzione che registra ancora un calo tra il 2015 e il 2016 in quanto si scende dal 25,7% al 24,3%. Il decremento si registra in tutte le Regioni tranne che nel Piemonte e nel Molise. Sul lato negativo va segnalato che 5 Regioni del Sud si collocano oltre il 30% e che l’Italia continua ad occupare il primo posto nella UE con una quota superiore al 20% rispetto alla media, 14,2%. Proseguendo il paragone a livello internazionale, la situazione si colloca sul negativo anche riguardo al possesso di un diploma di secondaria di 2° grado. Infatti, in Italia la relativa quota sul gruppo di età 25-64 raggiungeva nel 2015-16 appena il 60,1% rispetto alla media Ocse del 77,6%: peggio di noi fanno solo la Spagna, il Portogallo e la Turchia. Sul lato positivo va, però, notato che, se si guarda ai gruppi età più giovani, i divari evidenziano un trend a diminuire. Tra il 2015 e il 2016 gli investimenti in istruzione del nostro Paese sono rimasti stabili sia in percentuale del Pil (3,5%) che come quota della spesa complessiva delle pubbliche amministrazioni per consumi finali (18,5%). Il paragone con l’UE a 28 Stati è possibile solo per il 2015 e vede l’Italia al di sotto delle medie (3,8% e 18,6%), anche se di poco riguardo al secondo valore. Un aumento si registra invece riguardo alla spesa in ricerca scientifica e sviluppo (R&S) che tra il 2011 e il 2015 è cresciuta dall’1,21% del Pil all’1,33%. Nonostante questo andamento positivo, l’Italia si colloca lontano dalla media dell’UE a 28 (2,02%) e soprattutto dai dati di Paesi comparabili come Germania (2,87%) e Francia (2,23%). Dopo aver trattato degli andamenti quantitativi del sistema educativo di istruzione e di for-mazione, passiamo a quelli qualitativi che, però, saranno concentrati sulla IeFP come è stato preci-sato sopra. Le sezioni sono due, una sulla “Buona Scuola” e l’altra sul decreto legislativo n. 61/2016 che regolamenta la revisione dei percorsi dell’istruzione professionale. 4.1.2.2. La riforma della “Buona Scuola” e la IeFP Il testo originario non conteneva riferimenti alla IeFP. Tuttavia, nell’approvazione definitiva si è riusciti in parte ad ovviare a questa grave carenza e la legge n. 107/2015 ha accolto i contenuti di 3 dei 4 emendamenti di Forma che erano stato introdotti in prima lettura proprio alla Camera e poi mantenuti al Senato (Malizia et alii, 2015; Malizia - Nanni, 2015; Forma, 2015; Fidae 2015; Cisl Scuola, 18.07.2015; Diesse, 09.07.217; Flc Cgil, 14.07.2015; Guida alla nuova scuola, 10.07.2015; Tuttoscuola, agosto 2015; Falanga - Pruneri - Rivoltella - Santerini, 2014). Anzitutto, si è ottenuta la soppressione di un comma secondo il quale tutte le scuole secon-darie di 2° grado (inclusi i licei) potevano permettere ai loro studenti di conseguire in apprendistato qualifiche e diplomi professionali. Infatti, la norma non teneva conto che esse hanno un ordinamento del tutto diverso da quello dei percorsi di IeFP per obiettivi, struttura, durata, impianto pedagogico e risultati di apprendimento, e quindi non erano idonee per ottenere i titoli appena menzionati; inoltre, secondo il Titolo V della Costituzione le materie relative all’apprendistato e ai percorsi di IeFP sono di esclusiva competenza delle regioni. Nell'attuale comma 44 sono stati sostanzialmente accolti altri due emendamenti che riguar-dano le tematiche più rilevanti per l’IeFP e in particolare il riconoscimento della parità con il sotto-sistema della istruzione secondaria di 2° grado: «Nell'ambito del sistema nazionale di istruzione e formazione e nel rispetto delle competenze delle regioni, al potenziamento e alla valorizzazione delle conoscenze e delle competenze degli studenti del secondo ciclo nonché alla trasparenza e alla qualità dei relativi servizi possono concorrere anche le istituzioni formative accreditate dalle regioni per la realizzazione di percorsi di istruzione e formazione professionale, finalizzati all'assolvimento del diritto-dovere all'istruzione e alla formazione. L'offerta formativa dei percorsi di cui al presente comma è definita, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. Al fine di garantire agli allievi iscritti ai percorsi di cui al presente comma pari opportunità rispetto agli studenti delle scuole statali di istruzione secondaria di secondo grado, si tiene conto, nel rispetto delle competenze delle regioni, delle disposizioni di cui alla presente legge. All'attuazione del presente comma si provvede nell'ambito delle risorse finanziarie disponibili a le-gislazione vigente e della dotazione organica dell'autonomia e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica». Non è stato invece recepito il quarto emendamento ed è stata una grave carenza. Secondo la proposta di Forma si sarebbe dovuto cogliere l’opportunità della legge su “La Buona Scuola” per innovare complessivamente l'attuale modello di organizzazione dell'istruzione tecnico professionale, in corrispondenza con i settori che contraddistinguono il mondo produttivo del XXI secolo (la tecnologia, l'economia e la finanza, i servizi alla persona e al territorio), abolendo l'anacronistica di-stinzione tra i percorsi scolastici di istruzione tecnica e professionale e le sovrapposizioni con quelli di IeFP. Tuttavia, di questo non si trova traccia nella riforma. 4.1.2.3. La revisione dei percorsi dell’istruzione professionale e il raccordo con l’IeFP Il riordino in questione trova la sua ragion d’essere nell’esigenza di garantire una identità precisa al settore dell’istruzione professionale attraverso una differente strutturazione delle offerte formative, una loro articolazione più soddisfacente e il riconoscimento di un’autonomia che non sia solo formale, ma anche reale (Decreto Legislativo 13 aprile 2017, n. 61; Relazione illustrativa dello schema di decreto legislativo recante revisione dei percorsi dell’istruzione professionale…, febbraio 2017; Malizia et al., 2017a; Miur, aprile 2017; Rete Imprese Italia, marzo, 2017; Commento della CISL Scuola, maggio 2017; Decreti attuativi della legge 107/15. Non fidarsi è meglio, maggio 2017). Di conseguenza, le finalità più rilevanti del relativo provvedimento possono essere indivi-duate nelle seguenti: ovviare alle sovrapposizioni dell’istruzione professionale con l’istruzione tec-nica e i percorsi della IeFP; contemplare la possibilità per gli istituti professionali di allargare l’offerta formativa anche attraverso la realizzazione dei percorsi della IeFP, purché congruente con la programmazione regionale; potenziare gli indirizzi di studio quinquennali dell’istruzione profes-sionale e delle figure nazionali di riferimento per le qualifiche e i diplomi di IeFP in rapporto ad at-tività economiche in crescita o nuove; garantire la presenza sull’intero territorio nazionale di un si-stema di istruzione professionale e di IeFP che si estenda fino al livello terziario attraverso la realiz-zazione di una rete nazionale. Entro questo ampio quadro di finalità il decreto legislativo concentra l’attenzione su due obiettivi. Nel riordino dell’offerta dell’istruzione professionale si dovrà puntare alla revisione degli indirizzi e al rafforzamento delle attività didattiche laboratoriali in maniera coerente con i percorsi della IeFP. In secondo luogo, bisognerà preparare gli studenti ad arti, mestieri e professioni deter-minanti per lo sviluppo del sistema produttivo in vista di un saper fare di qualità, definito sintetica-mente come “made in Italy” e al tempo stesso assicurare che le competenze apprese facilitino il pas-saggio al mondo del lavoro. Per raggiungere le finalità e gli obiettivi appena menzionati, il testo in esame prevede nuovi indirizzi di studio che, di conseguenza, aumentano da 6 a 11: essi riguardano attività economiche di rilevanza nazionale, referenziate ai codici statistici ATECO (ATtività ECOnomiche) quelli, cioè, che vengono utilizzati dall’Istat per le sue indagini. Ogni istituto potrà adattarli alle necessità del contesto, tenendo conto in ogni caso delle priorità stabilite dalle Regioni. Pur confermando la strut-tura quinquennale dell’offerta, il decreto legislativo ne regolamenta una nuova articolazione, sia ri-guardo alla gestione complessiva degli orari che a quella di gruppi classe, modificando in misura notevole l’assetto organizzativo attuale che, al contrario, riproduce in gran parte il percorso ordinario della secondaria di 2° grado. Da un lato, si assume il modello dell’istruzione degli adulti, con-traddistinto da una notevole flessibilità gestionale, adeguandolo alle caratteristiche proprie dell’istruzione professionale; dall’altra, si abbandona la distribuzione dei “due bienni più uno” e si cambia adottando il biennio e il triennio unico per cui nel biennio si adempirà l’obbligo di istruzione, mentre al triennio specialistico viene riservata una impostazione più professionalizzante. Venendo ai particolari, il biennio può contare su complessive 2.112 ore, distribuite tra 1.188 di attività e insegnamenti di istruzione generale aggregati in assi culturali – di cui si parlerà più am-piamente dopo – e 924 di attività e di insegnamenti di indirizzo che includeranno il tempo da dedi-care al rafforzamento dei laboratori; all’interno del totale delle ore, una porzione che, però, deve ri-manere entro le 264 ore, è dedicata alla personalizzazione degli apprendimenti e alla realizzazione del Progetto Formativo Individuale. Inoltre, a ogni anno del triennio sono destinate 1.056 ore, ripar-tite tra 462 di attività e di insegnamenti di istruzione generale e 594 di attività e di insegnamenti di indirizzo, nel quadro di una forte caratterizzazione laboratoriale e lavorativa. Da ultimo, agli istituti professionali è permesso di organizzare in via sussidiaria percorsi di IeFP ai fini del conseguimento della qualifica e del diploma professionale purché vengano osservati i parametri stabiliti da ogni Regione. Novità sono state introdotte anche riguardo all’assetto didattico. Ricordiamo in particolare: la personalizzazione del percorso di apprendimento; la definizione di un Progetto Formativo Indivi-duale, per cui il dirigente scolastico, sentito il parere del consiglio di classe, identificherà l’insegnante che svolgerà il ruolo di tutor per sostenere gli studenti nella realizzazione del proprio Progetto; il ricorso a metodologie induttive; l’analisi e la soluzione dei problemi attraverso laboratori e in situazioni operative; il lavoro cooperativo per progetti; la gestione dei processi in contesti or-ganizzati. Di particolare rilevanza è anche l’opportunità stabilita dal decreto di avviare l’alternanza scuola-lavoro e l’apprendistato a partire dal secondo anno del biennio. Inoltre, come è stato accen-nato sopra, sempre nel biennio sono previsti gli assi culturali e cioè l’asse dei linguaggi, matematico, storico-sociale e scienze motorie: in pratica essi consistono in aggregazioni di insegnamenti tra loro omogenei che dovrebbero facilitare l’apprendimento delle competenze chiave di cittadinanza che sono incluse nell’obbligo scolastico. Ai fini della piena realizzazione delle finalità formative dell’istruzione professionale, ciascun istituto dispone di vari strumenti per l’attuazione dell’autonomia. Anzitutto, le scuole possono fare ricorso, entro l’organico dell’autonomia, alla quota del 20%, cosiddetta “dell’autonomia”, tanto nel biennio che nel triennio per perseguire gli obiettivi di apprendimento relativi ai profili in uscita di ciascun indirizzo e per rafforzare gli insegnamenti obbligatori con speciale riferimento alle attività laboratoriali; inoltre, nel triennio è loro consentito di utilizzare gli spazi di flessibilità, intesa come possibilità di articolare gli indirizzi del triennio in profili formativi, con riguardo al 40% dell’orario complessivo fissato per il terzo, il quarto e il quinto anno. Altri strumenti sono: stipulare contratti d’opera con persone del mondo del lavoro e delle professioni; avviare partenariati territoriali; istituire dipartimenti come articolazioni funzionali del collegio dei docenti; creare un comitato tecnico-scientifico; utilizzare gli spazi dell’autonomia per realizzare collegamenti con il sistema della IeFP. Il decreto stabilisce per la prima volta che gli istituti professionali e i CFP accreditati con-vergano all’interno di una Rete nazionale delle scuole professionali, collegandosi tra di loro in forma stabile e organizzata. La finalità è di promuovere l’innovazione e di rafforzare il raccordo con il sistema produttivo. In aggiunta, è prevista la creazione della “Rete nazionale dei servizi per le poli-tiche del lavoro” che è destinata a riunire le medesime istituzioni, menzionate sopra, con lo scopo di potenziare gli interventi di supporto alla transizione verso un’occupazione. Dalla nuova normativa sono disciplinati pure i passaggi tra l’istruzione professionale e la IeFP. La finalità è quella di consentire agli studenti di seguire un percorso personale di apprendi-mento, di orientamento graduale e di sviluppo, congruente con le proprie capacità, attitudini e inte-ressi. Più precisamente, si è inteso assicurare a quanti dispongono di una qualifica triennale il pas-saggio al quarto anno della istruzione professionale o della IeFP, sia presso le istituzioni scolastiche che quelle formative accreditate, in modo da ottenere un diploma professionale di tecnico. Infine, viene creato un sistema di monitoraggio dell’offerta dell’istruzione professionale per valutarne la validità e aggiornare i percorsi almeno ogni cinque anni. Tale finalità viene perseguita mediante l’istituzione di un tavolo, coordinato dal Miur, con la partecipazione degli Enti locali, delle Parti sociali e degli altri Ministeri interessati, facendo ricorso anche all’assistenza di diversi orga-nismi di natura tecnica. Venendo poi a una valutazione complessiva del decreto delegato, si può in primo luogo af-fermare che la normativa in esso contenuta risulta congruente con la nostra Costituzione e in specie con la ripartizione delle competenze tra lo Stato e le Regioni (Salerno, febbraio, 2017;Malizia et al., 2017a;Testi delle audizioni, marzo 2017; Forma, 31.01.2017 e 31.03.2017; Malizia - Nanni, 2017). In aggiunta, all’interno del diritto-dovere all’istruzione e alla formazione è attribuito agli studenti un diritto soggettivo di scelta, al termine della secondaria di I grado, tra l’offerta dei diplomi quin-quennali dell’istruzione professionale e quella triennale e quadriennale della IeFP. La revisione ha notevolmente approssimato l’istruzione professionale alla IeFP rispetto all’assetto organizzativo, didattico e curricolare, introducendo nella prima gli assi culturali, le unità di apprendimento per co-noscenze, abilità e competenze, le metodologie didattiche e laboratoriali, la certificazione delle competenze, l’articolazione dei profili in uscita in termini di competenze, abilità e conoscenze, il rafforzamento dell’alternanza e dell’apprendistato: la nuova impostazione segna sicuramento un miglioramento a paragone con il modello precedente caratterizzato dalla priorità attribuita alle di-scipline, al trasferimento delle conoscenze e allo studio rispetto alle esperienze lavorative, determi-nando un parallelismo tra i due sottosistemi e permettendo all’istruzione professionale di situarsi accanto alla IeFP in una posizione di eguale dignità. Certamente positiva è la creazione della Rete nazionale delle scuole professionali che, istituita sulla base di un accordo tra Stato e Regioni, do-vrebbe assicurare l’aggiornamento dei percorsi, la definizione di un fondamento comune di riferi-mento dei profili, il conseguente riconoscimento delle figure professionali della IeFP su tutto il ter-ritorio nazionale e il confronto sistematico tra le parti interessate. È invece negativo che nel passaggio dallo schema di decreto al testo definitivo non si trovino più né il principio secondo il quale l’offerta formativa dell’istruzione professionale e quella della IeFP dovevano essere unitarie, articolate e integrate e, quindi, complementari e non concorrenziali o sostitutive, né la previsione nell’istruzione professionale di un apposito terzo anno in classi distinte per ottenere le qualifiche della IeFP: sono cambiamenti che potrebbero essere interpretati nel senso che, nonostante la revisione della normativa operata dal decreto delegato, resta la sussidiarietà inte-grativa e, quindi, sostitutiva dell’istruzione professionale nei confronti della IeFP. In aggiunta, non sono state accolte le proposte di Forma di ripristinare le classi distinte, di introdurre i livelli essenziali delle prestazioni dei percorsi di IeFP in modo che essi risultino disponibili su tutto il territorio nazionale, di procedere a una ridefinizione degli standard formativi e del repertorio dei percorsi del-la IeFP. In ogni caso, anche se si fossero risolte le problematiche appena ricordate, non si sarebbe superato il nodo fondamentale, menzionato nella sezione precedente, quello cioè di rimuovere alla radice l'anacronistica distinzione tra i percorsi scolastici di istruzione tecnica e professionale e le sovrapposizioni con quelli di IeFP; in altre parole e più radicalmente – a nostro giudizio – si sarebbe dovuto ripristinare la proposta della riforma Moratti che articolava il secondo ciclo unicamente in due canali, i licei e la IeFP. 4.1.3. La riforma del mercato del lavoro e il potenziamento della formazione professionale Oltre alla riforma della scuola, durante la XVII legislatura è stato affrontato anche la riforma del “mercato del lavoro” caratterizzato, in questo periodo, soprattutto da profonde divisioni interne tra garantiti, precari ed esclusi (Ichino, 2011; Ichino, 2015; Nicoli, 2015) e da profonde modifiche nelle mappe geografiche del lavoro a livello globale (Bentivogli – Castelvecchi 2016, Passerini 2017, De Biase 2018, Assolombarda, 2018). Dovendo restringere la vasta problematica, in questa sede ci concentriamo solo su tre aspetti. Innanzitutto presentiamo le linee essenziali della riforma del lavoro denominata Jobs Act; in secondo luogo illustriamo la sperimentazione del sistema duale, una proposta avanzata dal MLPS (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali) nel 2015; da ultimo affrontiamo la tematica emergente del rapporto tra formazione professionale e politiche passive/attive del lavoro. 4.1.3.1. La riforma del mercato del lavoro: il Jobs Act Il provvedimento più noto della XVII legislatura in materia di lavoro è certamente quello denominato Jobs Act. Appare utile richiamare alcuni aspetti della riforma, soprattutto quelli che hanno avuto dei riflessi sul sistema della formazione professionale . Il Jobs Act è, secondo vari esperti, una riforma strutturale, i cui effetti si possono vedere solo dopo alcuni anni. Tre sono, a loro giudizio, le parole che caratterizzano la riforma: flexicurity, em-ployability, europeizzazione. In estrema sintesi, la riforma punta ad aumentare la flessibilità alle im-prese affinché queste possano avvantaggiarsi di ogni opportunità per svilupparsi, combinandola, pe-rò, con la sicurezza, le tutele e i diritti per i lavoratori. Il Jobs Act interviene, innanzitutto, sul con-tratto di lavoro a tempo indeterminato rimuovendone le rigidità e incentivando le assunzioni. Avvia, in secondo luogo, la riforma dei servizi al lavoro e delle politiche attive con la finalità di spostare l’asse della spesa pubblica dalle politiche passive a quelle di attivazione delle persone disoccupate. Rimodula, infine, i vari istituti contrattuali alla luce della flessibilità, razionalizzandone la quantità ed eliminando quelli più precarizzanti (De Cesari – Pizzi – Prioschi, 2015; Studio Tirifò & Partners, 2015). Delle riforme della scuola e del lavoro si sono formulati giudizi positivi e critici. Dal nostro punto di vista possiamo riportare le posizioni nella scheda formulata da Guglielmo Malizia in uno degli Editoriali di Rassegna CNOS il quale, dopo aver illustrato il nuovo modello di stato sociale che si sta affermando in Europa, ispirato ai paradigmi dell’investimento sociale e del welfare attivo, conclude: «Se si tenta un confronto tra il paradigma dell’investimento sociale presentato sopra e le politiche del Governo Renzi riguardo al lavoro e al sistema di istruzione e di formazione (Jobs Act e Buona Scuola), si possono mettere in risalto aspetti in cui si nota una concordanza e punti in cui si registrano diversità. Tra i primi va segnalato il potenziamento del segmento 0-6 anni, il rafforzamento delle competenze trasversali e generali, il miglioramento dell’alternanza scuola-mondo del lavoro, il consolidamento dell’autonomia, l’introduzione della flexicurity e l’attenzione accresciuta alla riconciliazione tra la vita familiare e il mondo del lavoro. Tra i secondi, suscita ancora qualche interrogativo una certa deriva di scuola-centricità e stato-centricità; un altro limite può essere visto nel modesto sviluppo in Italia delle strategie del life-long learning; in aggiunta, si nota una eccessiva fiducia nelle politiche attive del lavoro e nell’offerta di lavoro; mentre si tende a trascurare le misure di protezione sociale passiva e la necessità di sostenere la domanda di lavoro da parte delle imprese; da ultimo va evidenziata la debole attenzione alla Formazione Professionale» (Malizia et al., 2015, 25-32). 4.1.3.2. La sperimentazione del sistema duale promossa dal MLPS Le riforme del mercato del lavoro e della scuola hanno introdotto anche in Italia il sistema duale, un modello formativo integrato tra scuola e lavoro mutuato dalla Germania e già applicato con successo in molti Paesi del Nord Europa. Nel sistema della formazione professionale italiano, mentre fino ad ora il rapporto con l’azienda era legato soprattutto a stage o tirocini, con questa riforma il rapporto formativo con l’impresa diviene più consistente e continuativo. Sotto questo aspetto le due riforme richiamate so-pra, il Jobs Act e la “Buona Scuola”, hanno introdotto in tutto il sistema educativo di istruzione e formazione una modalità strutturale di raccordo tra mondo formativo e mondo produttivo. Gli stru-menti più riformati sono stati l’apprendistato e l’alternanza scuola-lavoro. Va precisato, comunque, che il sistema duale non rimanda solo ad uno o alcuni interventi specifici, ma ad un approccio ge-nerale verso le politiche di transizione tra scuola e lavoro, che mira a consentire ai giovani, ancora inseriti nel percorso del diritto/dovere all’istruzione e formazione, di orientarsi nel mercato del lavo-ro, acquisire competenze spendibili e accorciare i tempi del passaggio dalla formazione all’inserimento lavorativo. Nel dettaglio, soprattutto tre sono gli strumenti introdotti dalle riforme: - l’alternanza scuola-lavoro nell’ambito del secondo ciclo di istruzione, resa obbligatoria in ogni tipo di indirizzo; - l’impresa formativa simulata che consente di sperimentare modalità didattiche strettamente legate al funzionamento aziendale e implica il rapporto con un’impresa partner; - l’apprendistato che diventa, in questo quadro, la forma privilegiata di inserimento dei giovani nel mercato del lavoro poiché consente, da un lato, il conseguimento di un titolo di studio e, dall’altro, l’esperienza professionale diretta. Per incoraggiare il ricorso a tali strumenti contrattuali, le due riforme hanno introdotto van-taggi consistenti anche per le imprese. Con il messaggio / slogan “Imparare lavorando. In Italia si può”, il MLPS, nel 2015, ha lanciato la proposta di una sperimentazione nel sistema della IeFP. Ha dato gambe a questa speri-mentazione l’Accordo Stato-Regioni del 24 settembre 2015. In estrema sintesi, la proposta prevede da una parte lo sviluppo e il rafforzamento dei sistemi di placement dei CFP e dall’altra il sostegno dei percorsi di IeFP pensati e realizzati nella modalità duale. La proposta ministeriale, nella sua globalità, ha previsto anche uno specifico piano di comu-nicazione, come la realizzazione di un evento di lancio della sperimentazione, l’elaborazione di un vademecum per le imprese sull’apprendistato di primo livello da veicolare mediante mezzi di stampa nazionale, l’organizzazione di un Roadshow sull’intero territorio nazionale, in collaborazione con Unioncamere, una campagna pubblicitaria con un sito dedicato , materiali cartacei, video, ecc.). Rapporti dell’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Attive-INAPP (ex Isfol) hanno documentato la potenzialità della proposta in termini sia quantitativi (oltre 20 mila allievi in un solo anno di sperimentazione, coinvolgimento della maggior parte delle Regioni, crescita quantitativa del ricorso all’istituto dell’apprendistato di 1° livello) che qualitativi (l’avvio di un rapporto strutturato ed organico con il mondo del lavoro, il potenziamento della dimensione formativa dell’impresa). L’aspetto più critico della sperimentazione, invece, è, a giudizio di molti, la persistenza della disomogeneità del sistema di Istruzione e Formazione Professionale. In altre parole, nelle Regioni dove il sistema di IeFP non c’è o + debole, anche la sperimentazione del sistema duale ha stentato a decollare. 4.1.3.3. Rapporto fra sistema della formazione professionale e politiche attive del lavoro È soprattutto la riforma dei servizi al lavoro e delle politiche attive a far emergere una que-stione nuova ma anche strutturale per l’Italia, quella del rapporto stretto fra politiche della forma-zione e politiche attive. All’origine di questo rapporto, oltre a quanto legiferato in Italia (D. Lgs. n. 150/2015, Di-sposizioni per il riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive), c’è la politica dell’Unione Europea. Le politiche comunitarie, infatti, nell’attuale programmazione 2014-20, hanno affiancato al tradizionale obiettivo della occupabilità delle persone – politica che negli anni ha sostenuto una offerta formativa finalizzata allo sviluppo delle competenze professionali – il nuovo obiettivo dell’occupazione, finalizzato all’inserimento e al reinserimento occupazionale, attraverso misure di politica attiva del lavoro. Di qui la spinta a mettere in sinergia politiche formative e politiche attive del lavoro. In tale contesto, il programma europeo Garanzia Giovani, attuato anche in Italia attraverso un programma nazionale gestito dal Ministero del Lavoro in stretto raccordo con le Regioni che hanno svolto il ruolo di Organismi Intermedi, ha rappresentato un ter-reno preparatorio che, forte di linee di finanziamento significative, ha reso necessario per le istitu-zioni centrali e regionali la definizione degli elementi base di un sistema di politiche attive. Tra questi, la declinazione dei servizi e le misure da erogare ai beneficiari, la dorsale del flusso dei dati amministrativi e di monitoraggio dell’avanzamento del programma, la costituzione di una rete di soggetti accreditati ai servizi al lavoro, il rapporto tra i servizi pubblici del lavoro ed i servizi privati accreditati. L’esito del referendum costituzionale, svolto nel mese di dicembre 2016, ha influenzato la strutturazione delle politiche attive del lavoro e, di riflesso, quelle della formazione professionale. Il testo di riforma costituzionale, bocciato dal responso delle urne, prevedeva un trasferimento allo Stato delle competenze in materia di politiche attive del lavoro. Il D.lgs. n. 150/2015, anticipando la prevista ricentralizzazione, aveva definito un sistema in larga parte centralizzato, dando un ruolo centrale nella governance al Ministero del Lavoro e ad Anpal, la nuova Agenzia nazionale dedicata alle politiche attive, con uno stretto coordinamento dell’azione regionale. Dopo l’esito del referen-dum costituzionale si è quindi venuta a creare una situazione per cui da un lato le competenze sulle politiche attive sono rimaste alle Regioni, mentre il quadro della normativa nazionale riconosceva un ruolo centrale allo Stato. Ciò ha avuto l’effetto di indebolire la possibilità per il livello statale di coordinare l’azione regionale e ha determinato la necessità di trovare puntuali Accordi tra Regioni e Stato sui diversi e numerosi decreti attuativi del sistema delle politiche attive italiane. Solo a dicem-bre 2017 è stata raggiunta un’Intesa istituzionale tra Stato e Regioni che intende costituire un ele-mento di raccordo tra tutti i fondi che a diverso titolo insistono sulle politiche attive, allo scopo di razionalizzare la strategia complessiva ed individuare gli interventi sui singoli target. Anche le risorse comunitarie per il sostegno delle politiche del lavoro sono destinate, in parte al livello regionale che definisce gli interventi da finanziare e l’ammontare delle risorse da destinare a ciascun obiettivo attraverso i Programmi Operativi Regionali (POR) ed in parte al livello ministeriale con i Programmi Operativi Nazionali (PON). Ciò determina azioni autonome dello Stato e delle Regioni nell’attivazione di misure, che in diversi casi si sovrappongono e sono in concorrenza. Una ricerca recentissima, realizzata dal CNOS-FAP in collaborazione con Noviter, ha fatto emergere, tra l’altro, spunti interessanti e utili per ogni decisore politico, quali la prevalenza delle risorse destinate alle politiche attive del lavoro rispetto a quelle della formazione, la scelta politica per la c.d. formazione professionale “ordinamentale” rispetto a quella non ordinamentale, l’estrema parcellizzazione delle politiche attive del lavoro. «È ipotizzabile, concludono i curatori del Rapporto, che le iniziative di politica attiva del la-voro si struttureranno in un quadro più organico nel prossimo futuro, a partire da alcuni punti di riferimento comuni, quali la recente approvazione dei Livelli Essenziali delle Pre-stazioni da garantire ai cittadini, l’avvio a regime dell’Assegno di ricollocazione ed il con-seguente previsto raccordo tra le policy nazionali e regionali» (Cnos-Fap – Noviter, 2018, p. 9). Il 23 marzo 2018 è iniziata la XVIII legislatura della Repubblica Italiana. Il primo Governo, il Governo Conte, è in carica a partire dal 1º giugno 2018. Si tratta di un governo di coalizione nato da un accordo tra Movimento 5 Stelle e Lega dopo le elezioni politiche italiane del 2018; l'accordo è stato trovato sulla base di un programma comune denominato "Contratto per il governo del cam-biamento" (maggio 2018). Di questo contratto riportiamo quanto scritto in materia di scuola e lavo-ro, per cercarne le principali linee di tendenza nelle materie che ci riguardano: 22. SCUOLA La scuola italiana ha vissuto in questi anni momenti di grave difficoltà. Dopo le politiche dei tagli lineari e del risparmio, l’istruzione deve tornare al centro del nostro sistema Paese. La buona qualità dell’insegnamento, fin dai primi anni, rappresenta una condizione indispensa-bile per la corretta formazione dei nostri ragazzi. La nostra scuola dovrà essere in grado di fornire gli strumenti adeguati per affrontare il futuro con fiducia. Per far ciò occorre ripartire innanzitutto dai nostri docenti. In questi anni le riforme che hanno coinvolto il mondo della scuola si sono mostrate insufficienti e spesso inadeguate, come la c.d. “Buona Scuola”, ed è per questo che intendiamo superarle con urgenza per consentire un necessario cambio di rotta, intervenendo sul fenomeno delle cd. “classi pollaio”, dell’edilizia scolastica, delle gra-duatorie e titoli per l’insegnamento. Particolare attenzione dovrà essere posta alla questione dei diplomati magistrali e, in generale, al problema del precariato nella scuola dell’infanzia e nella primaria. Una delle componenti essenziali per il corretto funzionamento del sistema di istruzione è rappresentata dal personale scolastico. L’eccessiva precarizzazione e la continua frustrazione delle aspettative dei nostri insegnanti rappresentano punti fondamentali da affrontare per un reale rilancio della nostra scuola. Sarà necessario assicurare, pertanto, anche attraverso una fase transitoria, una revisione del sistema di reclutamento dei docenti, per garantire da un lato il superamento delle criticità che in questi anni hanno condotto ad un cronico precariato e dall’altro un efficace sistema di formazione. Saranno introdotti nuovi strumenti che tengano conto del legame dei docenti con il loro territorio, affrontando all’origine il problema dei trasferimenti (ormai a livelli record), che non consentono un’adeguata continuità didattica. Un altro dei fallimenti della c.d. “Buona Scuola” è stato determinato dalla possibilità della “chiamata diretta” dei docenti da parte del dirigente scolastico. Intendiamo superare questo strumento tanto inutile quanto dannoso. Una scuola che funzioni realmente ha bisogno di strumenti efficaci che assicurino e garantiscano l’inclusione per tutti gli alunni, con maggiore attenzione a coloro che presentano disabilità più o meno gravi, ai quali va garantito lo stesso insegnante per l’intero ciclo. Una scuola inclusiva è, inoltre, una scuola in grado di limitare la dispersione scolastica che in alcune regioni raggiunge percentuali non più accettabili. A tutti gli studenti deve essere consentito l’accesso agli studi, nel rispetto del principio di uguaglianza di tutti i cittadini. La cultura rappresenta un mondo in continua evoluzione. È necessario che anche i nostri studenti rimangano sempre al passo con le evoluzioni culturali e scientifiche, per una formazione che rappresenti uno strumento essenziale ad affrontare con fiducia il domani. Per consentire tutto ciò garantiremo ai nostri docenti una formazione continua. Intendiamo garantire la presenza all’interno delle nostre scuole di docenti preparati ai processi educativi e formativi specifici, assicurando loro la possibilità di implementare adeguate competenze nella gestione degli alunni con disabilità e difficoltà di apprendimento. La c.d. “Buona Scuola” ha ampliato in maniera considerevole le ore obbligatorie di alternanza scuola-lavoro. Tuttavia, quello che avrebbe dovuto rappresentare un efficace strumento di formazione dello studente si è presto trasformato in un sistema inefficace, con studenti impegnati in attività che nulla hanno a che fare con l’apprendimento. Uno strumento così delicato che non preveda alcun controllo né sulla qualità delle attività svolte né sull’attitudine che queste hanno con il ciclo di studi dello studente, non può che considerarsi dannoso. 14. LAVORO Sul tema del lavoro appare di primaria importanza garantire una retribuzione equa al lavo-ratore in modo da assicurargli una vita e un lavoro dignitosi, in condizioni di libertà, equità, sicurezza e dignità, in attuazione dei principi sanciti dall'articolo 36 della Costituzione. A tal fine si ritiene necessaria l'introduzione di una legge salario minimo orario che, per tutte le categorie di lavoratori e settori produttivi in cui la retribuzione minima non sia fissata dalla contrattazione collettiva, stabilisca che ogni ora del lavoratore non possa essere retribuita al di sotto di una certa cifra. Similmente non potranno essere più gratuiti gli apprendistati per le libere professioni. Al fine di favorire una pronta ripresa dell'occupazione e liberare le imprese dal peso di oneri, spesso inutili e gravosi, occorre porre in essere da un lato una riduzione strutturale del cuneo fiscale e dall'altro una semplificazione, razionalizzazione e riduzione, anche attraverso la digitalizzazione, degli adempimenti burocratici connessi alla gestione amministrativa dei rapporti di lavoro che incidono pesantemente sul costo del lavoro in termini di tempo, efficienza e risorse dedicate. La cancellazione totale dei voucher ha creato non pochi disagi ai tanti settori per i quali questo mezzo di pagamento rappresentava, invece, uno strumento indispensabile. La sua sostituzione con il c.d. «libretto famiglia» e con il «contratto di prestazione occasionale» ha soltanto reso più complesso il ricorso al lavoro accessorio, col rischio di un aumento del lavoro sommerso. Occorre pertanto porre in essere una riforma complessiva della normativa vigente volta ad introdurre un apposito strumento, chiaro e semplice, che non si presti ad abusi, attivabile per via telematica attraverso un'apposita piattaforma digitale, per la gestione dei rapporti di lavoro accessorio. Al fine di tutelare la sicurezza occupazionale e sociale, è importante lo sviluppo e il rafforzamento di politiche attive che facilitino l’occupazione, la ricollocazione ed adeguate misure di sostegno al reddito e di protezione sociale. Ciò potrà essere attuato anzitutto procedendo ad una profonda riforma e ad un potenziamento dei centri per l'impiego. Particolare attenzione sarà rivolta al contrasto della precarietà, causata anche dal “jobs act”, per costruire rapporti di lavoro più stabili e consentire alle famiglie una programmazione più serena del loro futuro. Favorire gli investimenti in imprese giovani, innovative e tecnologiche, significa scommettere sul futuro e valorizzare il merito e la ricerca. A tal fine appare necessaria anzitutto una profonda riorganizzazione della formazione finalizzata all’effettivo impiego e di qualità, che guardi non solo alla realtà odierna ma che investa sui settori del futuro al fine di adeguare il lavoro ai cambiamenti tecnologici e di offerta, attraverso processi di formazione continua dei lavoratori. Si dovrà inoltre favorire, nell'ambito delle scuole secondarie di secondo grado e dell'università, la nascita di nuove figure professionali idonee alle competenze richieste dalla quarta rivoluzione industriale ed in possesso degli opportuni profili, nonché prevedere misure di sostegno alle micro e piccole imprese nel rinnovamento dei loro processi produttivi, quale presupposto per lo sviluppo di una strategia che miri alla più ampia diffusione delle tecnologie avanzate. È necessario inoltre introdurre misure volte a garantire un’adeguata formazione secondaria superiore di tipo tecnico professionale, capace di assicurare ai nostri giovani l’accesso al mondo del lavoro e delle professioni manuali, tecniche e artigianali. La Federazione CNOS-FAP ha elaborato una prima valutazione del programma soprattutto attraverso la Rivista Rassegna CNOS (Malizia et al., 2018; Malizia et al. in corso di pubblicazione). Al di là dei molteplici giudizi già apparsi sulla stampa, un aspetto emerge con chiarezza: la “discontinuità” rispetto al cammino percorso soprattutto in fatto di politiche formative e del lavoro. Non c’è traccia, infatti, del sistema duale che da sperimentale è divenuto ordinamentale con la legge di Bilancio 2018 (Legge 27 dicembre 2017, n. 205), mentre c’è la volontà dichiarata di intervenire sull’Alternanza Scuola – Lavoro, sul Jobs Act e su altri provvedimenti per correggerli. Al momento in cui scriviamo questo documento è prematura ogni valutazione. Di fronte a questo scenario così articolato e complesso come sta agendo/reagendo la Federa-zione CNOS-FAP? 4.2. Il cammino della Federazione CNOS-FAP La grave crisi degli anni 2008-16 non ha fermato lo sviluppo della IeFP del CNOS-FAP; anzi le difficoltà incontrate hanno offerto l’opportunità di un ripensamento e di una revisione che hanno finito per rafforzare la Federazione. E che queste affermazioni non sono solo parole emergerà con chiarezza nella presentazione delle iniziative del quarto periodo della storia del CNOS-FAP. 4.2.1. Gli apporti di tre sperimentazioni A fronte di uno scenario così complesso, ricco di punti di forza ma connotato anche da nu-merose criticità, oltre che dal cambio di legislatura, la Federazione CNOS-FAPè riuscita a scrivere un’altra pagina, giudicata da più parti “positiva” sulla formazione professionale rendendosi prota-gonista soprattutto di tre sperimentazioni i cui risultati possono diventare patrimonio per il cammino futuro: - la sperimentazione del sistema duale; - la sperimentazione di un modello di valutazione per la IeFP; - l’introduzione delle tecnologie mobili nella didattica della IeFP. 4.2.1.1. La via duale: “Imparare lavorando. In Italia si può” La Federazione CNOS-FAP ha promosso e svolto, congiuntamente a CONFAP e FORMA, la sperimentazione del sistema duale. Si tratta di una iniziativa ancora aperta a sviluppi e approfon-dimenti. Al momento della stesura del presente documento ci limitiamo a fare riferimento alle prin-cipali iniziative, soprattutto alla elaborazione di strumenti e monitoraggi (Forma-Confap, 2017; Cnos-Fap, 2017; Nicoli 2018 in corso di stampa). Rispetto ai 148 CFP della rete FORMA, 26 sono i CFP coinvolti dalla Federazione CNOS-FAP, 50 i percorsi svolti nella modalità duale (20 sono di durata triennale e 30 di 4° anno) e 10 le Regioni coinvolte (Abruzzo, Emilia Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Piemonte, Sicilia, Umbria, Veneto, Puglia) anche se le attività formative nella modalità duale si sono svolte soprattutto nelle Regioni del Nord. Dei 737 allievi del CNOS-FAP iscritti ai percorsi nella modalità duale, il 22% risulta essere in apprendistato, il 56% in alternanza rafforzata e il 22% in impresa formativa simulata. Una situazione davvero lusinghiera (si tratta del primo anno) dal momento che «il dato nazionale per gli apprendisti, registrato da INAPP, si attesta al 7%» (Forma, 2017, p. 5). Per una valutazione complessiva, pur legata solo al 1° anno della sperimentazione, è utile ri-portare le prime conclusioni contenute nei vari Report citati: - Un non scontato positivo riscontro L’esperienza del primo anno dei percorsi della sperimentazione, nonostante i timori iniziali e le dif-ficoltà incontrate, ha registrato un non scontato positivo riscontro da parte degli operatori dei CFP, così come delle imprese, degli allievi e delle loro famiglie. - La proposta della stabilizzazione della modalità duale Le difficoltà del primo anno, legate soprattutto alla scarsa conoscenza dello strumento contrattuale, rafforzano il giudizio sulla opportunità di proseguire lungo il sentiero tracciato dalla sperimentazione stabilizzandola, in modo da garantire la continuità dell’intervento e il suo progressivo consoli-damento, anche rispetto alla metodologia formativa condivisa con le imprese. Su questo aspetto si fa presente che con la legge di Bilancio 2018 ‒ Legge, 27/12/2017 n. 205, G.U. 29/12/2017 ‒ la stabilizzazione è stata sancita. Ora si è in attesa di quanto intende compiere il primo Governo della XVIII Legislatura. - Proposte di miglioramento per le Istituzioni, le Associazioni di categoria e gli Enti di FP Per quanto riguarda l’azione istituzionale di Ministero e Regioni, andrebbe opportunamente valoriz-zato il carattere nazionale dell’iniziativa, anche attraverso l’attivazione della cabina di regia prevista dall’Accordo Stato-Regioni, con una maggior convergenza di modelli di intervento e di scelte di ge-stione operative per ridurre le disfunzioni e gli inutili aggravi burocratici. Un chiaro dato che emerge dal monitoraggio, a conferma di quanto affermato anche dall’INAPP, è la frammentazione del sistema IeFP italiano, che si ritrova anche nella sperimentazione del sistema duale. Sarebbe inoltre auspicabile un intervento capillare ed organico da parte delle Associazioni di cate-goria e dei sistemi camerali, per fornire alle imprese massima conoscenza e supporto per le questioni di natura giuslavoristica e amministrativa, sia direttamente, sia indirettamente. Si dovrebbe convergere verso l’obiettivo comune di rafforzare la diffusione del contratto di apprendistato forma-tivo e contrastare il pregiudizio che vuole si tratti di un contratto difficile da gestire. Infine, il lavoro congiunto degli Enti di Formazione Professionale è un evidente valore innanzitutto per i CFP stessi, grazie alla possibilità di condividere e costruire insieme una comune visione e strumenti operativi. Inoltre, il lavoro rappresenta un valore anche per le istituzioni centrali e regionali per una duplice ragione: da un lato è importante l’esperienza e la percezione degli Enti di formazione professionale che realizzano concretamente le policy nazionali e regionali e quindi possono dare riscontri per il miglioramento delle stesse, e dall’altro perché è nei CFP che spesso si raggiunge una capacità di visione concreta dell’evoluzione dei sistemi, dei bisogni degli allievi e delle imprese. In tal senso è emblematico come l’esperienza del sistema duale, nel suo essere al crocevia tra i percorsi IeFP e le politiche del lavoro, abbia rafforzato la capacità dei CFP di aprirsi alle politiche del lavoro ed al rapporto tra servizi di inserimento lavorativo e formazione. Se da un lato i CFP hanno mostrato una significativa intraprendenza nell’attivare collaborazioni con il territorio (aziende, associazioni di categoria, soggetti pubblici, ecc.), seppur con differenze regionali basate sul livello di sviluppo del sistema IeFP di riferimento, dall’altro lato, la sperimentazione ha messo in atto anche un processo di trasformazione interna volta a trovare nuove modalità organizzative e didattiche. Ad esempio dall’indagine emerge come l’introduzione del sistema duale abbia incentivato un ripensamento in termini di raccordo tra formazione e servizi al lavoro. Nello specifico, è stata messa in risalto la necessità di definire e sviluppare un rapporto con l’area dedita alle Politiche Attive del lavoro. Attualmente dai CFP campione si evince la centralità del tutor formativo nello stabilire un contatto ed un rapporto fiduciario con le imprese anziché la presenza di un servizio strutturato. - Verso una nuova identità del CFP Ciò apre una riflessione che è organizzativa, ma che riguarda anche l’identità del CFP, in conside-razione del suo crescente ruolo di snodo tra allievi ed imprese, tra formazione e lavoro. In tal senso l’esperienza della sperimentazione duale pone nuove ed ulteriori sfide in relazione alla transizione tra scuola e lavoro (Garanzia Giovani), alle risposte da dare ai lavoratori in cerca di oc-cupazione (Politiche attive nazionali e regionali), all’impatto sul lavoro della quarta rivoluzione in-dustriale (Formazione per tutto l’arco della vita). In tal senso, il CFP sempre più può considerarsi non solo luogo di formazione dei giovani, ma partner strategico delle imprese per la cura e lo svi-luppo del capitale umano. - Dalle prime incertezze alla soddisfazione generale A completamento di tutti questi aspetti che raccontano l’impegno profuso e le difficoltà affrontante dai CFP, il dato sulla elevata soddisfazione e sui risultati positivi è probabilmente il più forte ele-mento d’interesse, soprattutto in un contesto di sperimentazione che è per sua natura esplorativo, ricco di incognite e per certi versi può rappresentare il modo e la capacità dei soggetti coinvolti di affrontare il cambiamento. Da questo punto di vista la sperimentazione del sistema duale si presenta agli Enti di formazione professionale come momento di opportunità di crescita e di orientamento strategici. In conclusione, anche i soli pochi dati riportati sopra permettono di affermare che l’assunzione della modalità duale ha permesso alla Federazione CNOS-FAP, innanzitutto, di au-mentare l’attività formativa (soprattutto con i quarti anni) oltre a quella esistente e di avviarla o raf-forzarla anche in Regioni fino ad oggi piuttosto resistenti. In secondo luogo ha permesso agli opera-tori di capitalizzare una esperienza per molti aspetti “nuova” (il rapporto con le imprese, la “co-progettazione” formativa con esse, la familiarizzazione con la contrattualistica dell’apprendistato, l’impatto sull’organizzazione del CFP …) che la costringerà a ripensare e ad aggiornare anche il proprio modello organizzativo su molti aspetti. 4.2.1.2. La valutazione della IeFP: il progetto sperimentale VALEFP Dopo l’avvio del nuovo Sistema Nazionale di Valutazione (SNV), istituito con il DPR. n. 80 del 28 marzo 2013 e con l’emanazione del relativo Regolamento (settembre 2014), i processi e le procedure di autovalutazione di istituto ‒ previsti inizialmente per le scuole statali e paritarie – hanno affrontato in via sperimentale, e anche su stimolo della Federazione CNOS-FAP, le Istituzioni formative accreditate. Con questa sperimentazione la Federazione CNOS-FAP ha cercato di giocare d’anticipo: proporre alle Istituzioni competenti che devono adottare apposite linee guida per il sistema di IeFP un modello di valutazione sperimentato. Così, infatti, recita il comma 4 dell’art. 2 del DPR. n. 80/2013 “Regolamento sul sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione”: «4. Con riferimento al sistema di istruzione e formazione professionale previsto dal Capo III del decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, e ferme restando le competenze dell'Invalsi di cui all'articolo 22 di detto decreto legislativo, le priorità strategiche e le modalità di valutazione ai sensi dell'articolo 6 sono definite secondo i principi del presente regolamento dal Ministro con linee guida adottate d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 9 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, previo concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali». Per affrontare concretamente la problematica il CNOS-FAP, insieme al CIOFS/FP, nel 2015 ha sottoscritto con l’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI) un protocollo di Intesa per definire le modalità tecniche di accesso al Si-stema Nazionale di Valutazione (SNV) e per sperimentare un modello peculiare di valutazione in grado di mettere in evidenza gli aspetti specifici della IeFP e, nello stesso tempo, comparare questo modello con quello scolastico. Due sono state le questioni affrontate nella sperimentazione: la valutazione degli apprendi-menti basata su prove standardizzate per gli allievi della IeFP; l’impostazione dell’autovaluzione del CFP (la realizzazione di un modello “RAV” specifico per la IeFP). Il progetto sperimentale ha coinvolto, da subito, varie Istituzioni, oltre all’INVALSI: il Coordinamento Tecnico delle Regioni, la IX Commissione, l’INAPP (ex ISFOL), il MIUR, il per-sonale degli Enti di FP (sia per la scrittura delle prove con 12 formatori del CNOS-FAP e del CIOFS/FP ‒ 6 formatori per le prove di Italiano e 6 formatori per la matematica ‒ che per la speri-mentazione del modello RAV) e i vari Enti di FP per la sperimentazione. La sperimentazione della valutazione degli apprendimenti degli allievi nel contesto della IeFP è stata voluta dagli Enti per verificare la possibilità di prevedere prove specifiche per la IeFP rispetto a quelle proposte da INVALSI per le scuole. Dunque si sono adottati esercizi più adeguati al target dei destinatari, il cui contesto culturale, gli interessi e l’approccio apprenditivo trovano più possibilità con applicazioni concrete in rapporto a competenze di tipo professionale. Non si tratta di prove più facili rispetto alla esigenza di misurazione degli obiettivi richiesti, ma della ricerca di prove equivalenti realizzate in contesti vicini al mondo e agli interessi pratici dei destinatari della IeFP. In questa prospettiva, nella somministrazione delle prove nel maggio 2016, gli stessi allievi sono stati sottoposti ad una doppia modalità: una con prove tradizionali, la seconda, dopo 10 giorni dalla prima, con prove CBT costruite con criteri di maggiore concretezza e applicabilità. L’ambiente laboratoriale quotidiano ha reso più familiare e disinvolta la partecipazione degli allievi e più possibi-lista l’utilizzo dal punto di vista educativo da parte dei formatori attestato anche dalla curiosa, accolta e dialogata restituzione dei risultati agli allievi. La seconda modalità di realizzazione e applicazione delle prove ha consentito all’INVALSI di verificare una possibilità equivalente di misurare le competenze base di matematica e italiano per allievi che non sono a loro agio in situazioni di apprendimento prevalentemente, se non esclusivamente verbali. La prima fase della sperimentazione è stata condotta su 50 CFP con 92 percorsi formativi di 2° anno e circa 1700 allievi (anno 2016). La seconda fase – con le prose esclusivamente in CBT – ha coinvolto 105 CFP, 293 percorsi formativi di 2° anno e 5.190 allievi (Anno 2017). Si è trattato, secondo i coordinatori della sperimentazione, di una sfida sotto molti punti di vista. Per i formatori, innanzitutto, che si sono misurati con una modalità di accertamento delle competenze e dei saperi standardizzata e con uno strumento di misurazione costruito con gli stessi criteri previsti dal Quadro di riferimento nazionale, adottato per la costruzione delle prove destinate ai Licei, agli Istituti Tecnici e agli Istituti Professionali. Per le direzioni, poi, che hanno, con la loro adesione alla sperimentazione, scelto di mettersi alla prova all’interno di un sistema di comparazione nazionale e di autovalutazione decisamente strutturato e impegnativo. Per gli allievi della IeFP, ancora, che si sono misurati, per la prima volta, con strumenti di valutazione esterni al loro mondo. Per le Istituzioni, infine, che hanno scommesso su questo progetto superando il pregiudizio che la proposta nascondeva la volontà di creare per la IeFP solo prove più semplici. Il progetto sperimentale non è concluso. Restano ancora azioni da compiere. Ad elencarle è Arduino Salatin: - relativamente al cantiere delle prove standardizzate sarà prevista anche la prova della lingua in-glese, oltre a quelle di italiano e di matematica; - relativamente al cantiere dell’autovalutazione si prevede la stesura di linee guida per la compi-lazione del Rapporto di Autovaluzione (RAV) e la relativa formazione, una restituzione pubblica dei dati raccolti ed elaborati, l’accesso al database del MIUR per la compilazione del RAV via web; - relativamente alla messa a regime del progetto occorre l’azione del MIUR per la compilazione dell’anagrafe nazionale dei CFP e l’impegno delle Istituzioni (Stato e Regioni) ad adottare il modello, come previsto dal comma 4 dell’art. 2 citato sopra. Il progetto ha riscontrato nelle Istituzioni da subito interesse per la sua novità. Il Presidente dell’Invalsi, Anna Maria Ajello, ne richiama soprattutto due: «In primo luogo rappresenta il tentativo di predisporre e realizzare prove che siano adatte a una po-polazione scolastica abituata a curricoli diversi da quelli realizzati nelle scuole ordinamentali; ciò non vuol dire semplificare o ridurre le difficoltà per una popolazione studentesca nel senso meno provvista sul piano accademico, ma di riconoscere una specificità cognitiva, contestuale e culturale che richiede da parte di chi vuole condurre valutazioni realmente efficaci, uno sforzo di ideazione di prove che colgano quelle specificità. L’efficacia delle valutazioni, infatti, si connette alla possibilità di utilizzarne gli esiti perché coerenti e in linea con le possibilità di interventi ulteriori. In secondo luogo, la possibilità di predisporre prove diversificate smentisce le tesi di quanti ritengono rigidamente codificate le prove standardizzate e pertanto non adeguabili, che nel caso in questione invece, appaiono curvate alla necessità della popolazione studentesca di riferimento, senza venir meno ai criteri generali che presiedono alla costruzione di prove metodologicamente corrette e affidabili. In tal senso, perciò, la messa a punto di prove così articolate rappresenta anche una interessante pista di ricerca per l’INVALSI che, rispondendo ad una richiesta istituzionale di valuta-zione di sistema – in questo caso riferita potenzialmente a quello della Formazione Professionale – vede dischiudersi direzioni di ricerca innovative e più largamente rispondenti ad una popolazione studentesca la cui diversità – culturale e cognitiva – va progressivamente ampliandosi. Su un piano analogo, anche se diverso, si pone la predisposizione del Format del Rapporto di l’Autovalutazione (RAV) specificamente costruito per gli istituti di Istruzione e Formazione Professionale. L’adattamento del RAV per consentire una più perspicua riflessione a coloro che devono compilarlo, rispetto alle caratteristiche delle loro attività, rappresenta un modo ulteriore di venire incontro alla specificità dell’agire formativo nella prospettiva di servire davvero a indurre promozione di ri-flessività e a promuovere cambiamenti positivi» (Forma, 2017, pp. 5-6; Salatin, 2016, pp. 155-165). La Federazione CNOS-FAP si augura che il progetto possa trovare la necessaria conclusione e, perché il lavoro degli operatori e degli Enti di Formazione Professionale non sia vanificato, anche l’adozione del modello sperimentato da parte delle istituzioni competenti. 4.2.1.3. L’introduzione delle tecnologie mobili nella didattica della IeFP Nel 1964 usciva un saggio di Umberto Eco destinato a diventare celebre, Apocalittici e Inte-grati, in cui l’autore definiva, in relazione alle “comunicazioni di massa” e alle “teorie della cultura di massa”, i due tipi di atteggiamento che l’intellettuale tendeva alternativamente ad assumere. Gli “integrati” erano coloro che valorizzavano gli aspetti positivi della nuova realtà mentre gli “apoca-littici” evidenziavano i risvolti negati di tali novità. Noi pensiamo che si possa affermare che, in questi anni, rispetto ai cosiddetti “new media” (computer, tablet, smarphone, internet, social net-work) si sia definita un’analoga polarizzazione. Il mondo salesiano impegnato nella scuola e nella formazione professionale ha raccolto la sfida senza pregiudizi, avviando due sperimentazioni (una con la scuola salesiana e una con i CFP del CNOS-FAP) di durata triennale, supportate da consulenti e da un notevole investimento tecno-logico. Le sperimentazioni sono state arricchite dall’approccio a documenti mirati e ad esperienze all’estero: - lo studio del volume Flip your classroom di Sams e Bergmann; - Ørestad Gymnasioum di Copenaghen; - visita alla Future Tech Studio School di Warrington, Manchester. È stato costituito, allo scopo, anche un Comitato tecnico-scientifico, il cui compito è stato quello di mettere in atto una serie di interventi di supporto e di monitorare l’iter della sperimentazione. Di seguito, in maniera molto sintetica, si riportano le iniziative e gli orientamenti principali. Il supporto tecnico – scientifico alla sperimentazione Il Comitato tecnico - scientifico ha garantito in modo continuo ed estensivo un servizio di supporto per le problematiche tecnologiche, ivi compresa la consulenza sulle infrastrutture di rete e la predi-sposizione di un sito wiki per la scuola e la formazione professionale salesiana per condividere le riflessioni e le esperienze, insieme alla puntuale diffusione di news riguardanti l’individuazione di nuove App potenzialmente utili per la didattica e alla promozione di una banca-dati dove poter scambiare esperienze significative tra Scuole e CFP (esempi di UdA, prodotti significativi degli studenti e degli allievi, e-book, video a potenziale emulativo, etc.). - La declinazione della dimensione pedagogica nella sperimentazione. I membri del Comitato tecnico-scientifico hanno svolto interventi formativi nelle scuole paritarie e nei singoli CFP o aree territoriali onde discutere eventuali problematiche di carattere pedagogico e didattico (esempio: effettiva possibilità di cambiare elementi organizzativi, resistenze e vincoli, problematiche pedagogiche, come ad esempio la congruenza tra le UdA, le modalità didattiche e gli standard nazionali, cambiamento nella modalità di valutazione, etc.). Infine, i membri del Comitato tecnico-scientifico, d’intesa con i referenti delle scuole paritarie e dei Centri di Formazione Profes-sionale, hanno, fissato in modo condiviso alcuni indicatori, utili a scandire tappe di progressiva at-tuazione del progetto. Questi obiettivi minimi riguardavano sia elementi di carattere tecnologico (introduzione di metodologie di condivisione dei documenti, utilizzo di sistemi di Mobile Device Management) che di carattere organizzativo e pedagogico (definizione di un regolamento sull’uso del tablet, produ-zione di ebook sia da parte dei docenti e formatori che da parte degli allievi, introduzione di propo-ste innovative nella definizione degli orari e dello spazio scolastico/formativo, rilancio della biblio-teca come luogo dove gli allievi possono rintracciare materiali utili alla costruzione e condivisione di conoscenze, ecc.). Gli indicatori così delineati dovevano servire ad una progressiva valutazione di efficacia di un progetto del quale si intravedevano le potenzialità, ma anche le difficoltà che un’istituzione seco-lare come quella scolastica incontra quando affronta temi di innovazione didattica, cioè tra paura di cambiamento e incertezza sugli esiti. Ci si augurava così di poter analizzare compiutamente vantaggi e limiti della pad-agogia, per analogia con studi similari, che in realtà avevano già evidenziato il positivo impatto dell’introduzione del tablet sugli stili di apprendimento e sulle competenze dei no-stri allievi. a. Sperimentazione nel mondo scolastico salesiano I risultati della sperimentazione nel mondo scolastico, coordinati dal prof. Michele Pellerey, sono stati documentati nella pubblicazione del 2015 dal titolo: “La valorizzazione delle tecnologie mobili nella pratica gestionale e didattica dell’Istruzione e Formazione a livello di secondo ciclo”. La ricerca ha sviluppato, a un adeguato livello di profondità di analisi e di plausibilità delle conclusioni operative, uno studio attento delle potenzialità, e dei limiti, che queste tecnologie offro-no a livello di apprendimento scolastico, soprattutto per il secondo ciclo di istruzione e formazione. È stata esaminata la documentazione disponibile sia italiana, sia straniera, in merito a una possibile valorizzazione delle tecnologie mobili nella pratica gestionale e didattica della scuola. Sono state prese in considerazione le politiche europee in merito, le politiche scolastiche italiane, la valorizza-zione delle tecnologie digitali mobili nella vita scolastica a partire dall’esperienza italiana e da quella internazionale, la gestione dei processi di apprendimento tramite tecnologie mobili, tenendo conto dell’esperienza italiana e di quella internazionale, le tecnologie digitali e la loro valorizzazione nei differenti insegnamenti scolastici, sempre considerando il quadro che si evidenzia in Italia e all’estero. È stata accompagnata dalla sperimentazione dell’uso didattico delle tecnologie mobili nelle scuole salesiane coinvolte. L’autore, al termine dell’indagine e della sperimentazione condotta in numerose scuole sale-siane, ha formulato alcuni suggerimenti: «A conclusione della nostra indagine sembra emergere come decisiva la necessità di invertire la prospettiva di analisi da molti adottata: partire dalla considerazione delle tecnologie digitali, in par-ticolare mobili, e dalle opportunità, affordance, che esse offrono, per esaminare le problematiche relative al loro inserimento nei percorsi istruttivi e formativi del secondo ciclo del sistema d’educazione italiano. Si ritiene, invece, necessario tener conto in primo luogo delle finalità fonda-mentali e degli obiettivi di apprendimento essenziali che li caratterizzano, riletti, certo, nel contesto culturale, tecnologico e comunicativo attuale, per rimanere fedeli all’identità propria dell’istituzione educativa nella quale ci si trova ad operare. […] In tale contesto, tenendo conto della letteratura esaminata e delle esperienze prese in considerazione, emerge come prospettiva essenziale ai fini di una integrazione valida e feconda di tali tecnologie nel contesto scolastico o formativo l’attività di progettazione educativa e didattica che ai vari livelli, ma soprattutto a livello di singoli curricoli d’apprendimento, l’istituzione formativa deve tenere conto: delle finalità educative e formative dell’istituzione stessa; degli obiettivi generali e specifici che la normativa vigente indica per i vari canali istruttivi e formativi; delle caratteristiche peculiari degli studenti convolti e del loro effettivo stato di preparazione in vista del raggiungimento di tali obiettivi; delle risorse disponibili in termini di spazi, tempi, strumenti comunicativi effettivamente disponibili; delle competenze metodologiche, che i docenti sono in grado di attivare nella quotidia-nità del loro lavoro. L’esplorazione sistematica condotta nel corso di questa indagine ha portato quindi a individuare come elemento centrale della problematica derivante dall’impatto delle tecnologie digitali mobili nei processi educativi scolastici e formativi proprio l’azione progettuale di dirigenti e docenti. Come principio di riferimento è stato poi individuato quello di promuovere più che una radicale trasfor-mazione della realtà educativa a causa della loro presenza, quello di sviluppare una valida e feconda integrazione di tali strumenti nel progetto formativo proprio dell’istituzione ai suoi vari livelli di at-tuazione»” (Pellerey, 2015, pp. 163-164). b. Sperimentazione nel mondo formativo salesiano A curare la sperimentazione dei CFP salesiani è stato Roberto Franchini, il quale, oltre che coordinare la sperimentazione, ha scritto anche il Report finale pubblicato nel 2016: “L’apprendimento mobile attivo in presenza di tecnologie digitali. Rapporto finale della sperimen-tazione iCNOS del CNOS-FAP”. L’idea della sperimentazione era nata al termine di un’indagine svolta nel corso dell’anno 2012 sull’utilizzo dei dispositivi didattici nei CFP del CNOS-FAP. Quella ricerca si era posta come obiettivo la verifica della congruenza tra gli strumenti didattici allora in uso nella Federazione (con particolare riferimento ai sussidi – libri, software, etc. - e ai mediatori - es. Lavagna Interattiva Mul-timediale o altro) con il paradigma pedagogico proprio della didattica costruttivista e con la descri-zione dei traguardi di apprendimento del Quadro Europeo delle Qualifiche (ed in generale degli standard in vigore nei percorsi formativi di durata triennale). In questo modo si aveva l’intenzione di esplicitare il cosiddetto hidden curriculum (curriculum nascosto) dei formatori e dei CFP in generale, attraverso un percorso induttivo che, al posto di presupporre la pedagogia delle competenze, per immaginarne le ricadute didattiche, esplora le pratiche didattiche in essere, per mettere in evidenza i loro presupposti impliciti. Tra gli innumerevoli aspetti di pratica educativa, dal punto di vista metodologico, l’analisi ha operato nella direzione di una rassegna ragionata dei sussidi e ausili in uso nei percorsi triennali, attraverso la costruzione e la distribuzione di un questionario, volto a indagare quali sussidi/ausili erano di uso più frequente, e in quali ambiti e la raccolta mirata di evidenze (libri, software, etc.) e la loro analisi di contenuto, alla luce dei descrittori del Quadro Europeo delle Qualifiche (livello di complessità nelle conoscenze, abilità e competenze coinvolte). I risultati della ricerca evidenziarono un uso consistente dei libri di testo, come strumento utilizzato in modo pervasivo sia nel lavoro a scuola che nello studio a casa. Il libro di testo sembrava essere risorsa in qualche modo esclusiva: infatti, la biblioteca, presente in un certo numero di Centri di Formazione Professionale, non risultava utilizzata come luogo di ricerca e di apprendimento. Anche dal punto di vista dei media didattici si ottenne una conferma di un impianto didattico tradizionale prevalente, basato su strumenti di “presentazione” frontale, o nella forma classica (la-vagna) o nella forma più evoluta (PC con videoproiettore, LIM). La ricerca aveva raccolto inoltre una rassegna dei libri di testo più adottati nei CFP nell’ambito dell’insegnamento degli assi culturali ed era stata fatta un’analisi qualitativa sulla loro congruenza rispetto all’insegnamento di tali assi. A seguito di questa analisi, e dei suoi risvolti critici in qualche modo scioccanti, in un am-biente come quello salesiano, da anni impegnato nel movimento per le competenze, è nato l’interesse alla promozione della cosiddetta classe digitale, vale a dire di un’aula ove le nuove tecnologie (con particolare riferimento ai Tablet e alle applicazioni multimediali che essi hanno in dotazione) potenziano elementi di interattività, interazione e costruzione dei saperi e delle competenze. L’ipotesi, tutta da verificare, era che l’impiego estensivo del tablet potesse facilitare la didat-tica per competenze e motivare, quindi, gli allievi dal punto di vista dell’apprendimento, modellan-dosi intorno ad alcune caratteristiche: - trasformazione del ruolo del formatore, da fornitore di conoscenze a educatore, oltre che a faci-litatore di processi di ricerca e di interazione significativa; - ricerca e utilizzo attivo di risorse disponibili (conoscenze distribuite) in funzione di mandati di lavoro complessi e interdisciplinari; - produzione di oggetti multimediali che reticolano conoscenze di vari ambiti disciplinari, rappor-tandole a scopi comunicativi e costruttivi; - valutazione intesa come stima di compiti reali. L’intento progettuale consisteva dunque in una modifica profonda nell’approccio al rapporto tra insegnamento e apprendimento, spostando il baricentro dall’insegnante all’allievo, dalla parola all’azione, dall’ascolto alla collaborazione e alla negoziazione. La sperimentazione è stata accom-pagnata anche da un notevole investimento tecnologico (tablet) oltre che da supporti consulenziali. Riassumendo la storia della sperimentazione si possono richiamare tre fasi. Al termine del primo anno, che nel Report viene definita la «fase pioneristica», i curatori della sperimentazione scrivono: «In sintesi, l’esperienza del primo anno ha dimostrato che il tablet, all’interno di un uso semplicemente migliorativo, se da una parte migliora il piacere di stare in classe, dall’altra ha un impatto dubbio, se non addirittura peggiorativo, sull’apprendimento degli allievi. Occorreva dunque riflettere e fare un passo in avanti, alla ricerca delle condizioni organizzative, prima che didattiche, che potessero consentire un uso efficace dello strumento». Durante il secondo anno, la «fase di stallo», riscontrata l’insufficienza di misure semplice-mente formative (aggiornamento, confronto periodico, ecc.), si andò alla ricerca di uno strumento che potesse costituire una leva di cambiamento organizzativo, responsabilizzando direttori e coordi-natori didattici intorno ad obiettivi comuni: «In questo scenario, nacque l’idea di elaborare una Li-nea Guida sull’uso del tablet nelle organizzazioni formative, un testo concreto che rappresentasse il consenso della comunità educativa salesiana intorno agli elementi essenziali della nuova didattica. Il gruppo di progetto stese la prima bozza, che fu in seguito sottoposta ad una capillare azione di modifica, correzione e integrazione da parte dei responsabili di tutti i centri coinvolti, e infine ap-provata unanimemente» (Franchini 2016, p. 23). Il terzo anno di sperimentazione, l’anno della «ripartenza», partì dunque sotto l’egida dell’adozione delle Linee Guida, e dunque sotto un accordo sostanziale di scenario e di obiettivi concreti. Parallelamente, mentre l’adesione dei Centri di FP aumentava a macchia d’olio, cresceva la sensazione di trovarsi di fronte non semplicemente ad un miglioramento tecnologico o all’impiego di una nuova metodologia didattica, ma ad un vero e proprio cambiamento di paradigma, un terremoto paragonabile a quello provocato nel Seicento dall’invenzione della stampa. In questo scenario, si generò un nuovo slancio che, pur facendo i conti con i retaggi e i limiti delle attuali organizzazioni, contribuì a creare una rete di contatti, iniziative formative, azioni di sistema ed esperimenti organizzativi, naturalmente a densità variabile. Come supporto, in questo anno, si decise anche di consegnare ai Centri di FP coinvolti un ulteriore strumento di verifica, consistente in una check-list sulle raccomandazioni e le indicazioni operative delle Linee Guida, al fine di agevolare il confronto e l’analisi organizzativa continua dei CFP. Volendo tracciare un bilancio di questo terzo anno, si può affermare che è cresciuta sensibilmente l’adesione dei formatori, attenuando o persino annullando la divaricazione tra entusiasti e critici riscontrata all’inizio del secondo anno; parallelamente, sembra rimanere oggettivamente debole il ruolo dei direttori/coordinatori, non tanto al riguardo della loro adesione al progetto, quanto alla loro effettiva possibilità (o capacità) di indurre e strutturare il cambiamento, trasformandosi in leader educativi, oltre che responsabili organizzativi ed amministrativi. «L’impressione, si legge nella conclusione del Report, è che la rotta sia oramai tracciata, e che la forza educativa del carisma salesiano, l’iniziativa delle persone che se ne lasciano contagiare e l’effetto dirompente delle nuove tecnologie alla fine prevarranno, a disegnare, prima sperimentalmente e poi istituzionalmente, un nuovo paradigma formativo, capace di esaltare la dimensione laboratoriale, la creatività, il senso critico e la collaborazione, nel solco della vitalità della scuola salesiana e cristiana in Italia e nel mondo. In questo modo, la scuola delle competenze per la vita cesserà definitivamente di rappresentare una semplice parenetica pedagogica, per diventare lo scenario per la crescita di buoni cristiani e onesti cittadini» (Franchini, 2016, p. 25). Le due sperimentazioni hanno prodotto una vera ricchezza di stimoli, suggestioni e indica-zioni operative per continuare a innovare la scuola e la formazione professionale dei Salesiani. 4.2.2. La formazione dei formatori: i risultati di un’indagine nazionale Poiché l’ultima ricerca sui formatori risaliva a più di dieci anni prima (Malizia, Pieroni e Sa-latin, 2001), nel 2014 è parso necessario e urgente avviare uno studio su di loro, non tanto su tutti gli aspetti del loro complesso ruolo, quanto su ciò che ne rende possibile l’esercizio efficace, e cioè la formazione specialmente in servizio (Malizia - Piccini - Cicatelli, 2015). Gli obiettivi sono riassumibili nei seguenti tre: 1) descrivere lo stato dell’arte della formazione dei formatori e, in connessione, di tutto il personale del CNOS-FAP, senza tralasciare di considerare con attenzione anche quelli che non partecipano alle offerte di corsi, per determinarne la consistenza quantitativa, la distribuzione territoriale e per settori, le motivazioni e i giudizi; 2) valutare l’adeguatezza, l’efficienza e l’efficacia dell’offerta di formazione dei formatori e, in connessione, di tutto il personale, utilizzando una molteplicità di referenti come per esempio gli stessi formatori e gli altri operatori, i docenti dei corsi di aggiornamento, i Direttori dei CFP, i Segretari nazionali dei settori, i Delegati regionali; questa valutazione dovrebbe mettere in rilievo i punti di forza (eccellenze) e i quelli deboli del sistema di formazione dei formatori CNOS-FAP; 3) sulla base dei risultati delle analisi quantitative e qualitative e tenendo conto delle suggestioni dei referenti principali, elaborare una serie di proposte per correggere le possibili criticità, per adeguare la formazione dei formatori e degli altri operatori alle attuali esigenze, per introdurre le necessarie innovazioni e per potenziare l’efficienza e l’efficacia (Ghergo, 2009b 2011; Cssc…, 2006 e 2008; Cavalli - Argentin, 2010). Quanto al disegno di analisi, la ricerca ha utilizzato una pluralità di strumenti in relazione ai diversi referenti. In questa maniera si è pensato di poter assicurare un’analisi in profondità e una sufficiente oggettività nelle valutazioni. In particolare sono stati elaborati i risultati delle schede di gradimento che vengono applicate al termine di ogni corso. Allo scopo di costruire il database di tutti i frequentanti i corsi di formazione e di quelli che non hanno mai partecipato, si sono analizzati l’Archivio dei dipendenti, l’Elenco dei corsi e dei Seminari dei settori professionali. Inoltre, si sono raccolti mediante un questionario i giudizi di operatori che occupano indubbiamente un posto cen-trale dal lato dell’offerta di formazione e cioè, i Delegati regionali, i Direttori dei Centri e i Segretari nazionali dei settori e delle aree professionali. Attraverso dei focus group si è realizzato uno studio di casi con cui si sono raccolte le opinioni delle componenti principali dei CFP. La presentazione della ricerca si articolerà in due parti, una dedicata ai risultati e l’altra alle proposte. Inoltre, si concentrerà l’attenzione sugli aspetti qualitativi, mentre per quelli quantitativi rimandiamo per i dati essenziali sui formatori alla sezione n. 5.1. 4.2.2.1. La formazione in servizio nel CNOS-FAP: qualità e gradimento I dati sono attinti principalmente da tre indagini: il sondaggio tra i Delegati regionali, i Di-rettori dei Centri e i Segretari dei settori professionali, le schede di gradimento applicate al termine dei corsi e i focus group tenuti in 12 CFP rappresentativi della totalità. a. La prospettiva di referenti significativi sulla qualità della partecipazione Da un punto di vista complessivo, i corsi di formazione appaiono secondo le valutazioni dei focus group come un’esperienza importante e ricorrente nella vita dei formatori e sono percepiti come un appuntamento qualificante, sia per la sistematicità del loro svolgimento, sia per i risultati attesi e raggiunti. Per quanto riguarda i soggetti coinvolti, in genere sembra di poter dire che l’offerta di corsi riesca a raggiungere un po’ tutto il personale e che rimanga fuori solo chi proprio non vuole lasciarsi coinvolgere. La maggior parte degli intervistati è decisamente soddisfatta di questa esperienza, anche perché con l’andare del tempo, una volta sperimentata l’opportunità formativa, si partecipa volentieri e si vorrebbero avere ancora più occasioni di formazione. Nonostante il dato positivo sia il più frequente, sia quantitativamente che qualitativamente, rimane l’impressione di una partecipazione piuttosto disuguale: da una parte qualcuno rimane un po’ isolato e non vuole o non riesce a partecipare; dall’altra si nota un atteggiamento di sufficienza per cui i corsi sono frequentati più per dovere che per piacere o per interesse personale, salvo poi ricredersi a cose fatte. Sui corsi organizzati in modalità FAD il giudizio degli intervistati è pressoché unanimemente negativo: sono poco funzionali, di fatto inutili; qualcuno addirittura non ricorda nemmeno l’argomento del corso scelto e in genere parzialmente frequentato; la frequenza è piuttosto distratta e la qualità dei materiali formativi sembra essere talvolta scadente. Per rimanere all’interno degli strumenti di comunicazione a distanza, un po’ diverso è il giu-dizio sulla Newsletter Cnos, che è invece ritenuta utile, anche se talvolta contiene troppe informa-zioni e finisce per essere consultata superficialmente (si segnalano parecchi disguidi nella ricezione per posta elettronica). I più attenti utilizzano anche la rivista cartacea Rassegna Cnos, alla quale viene riconosciuto un alto livello di qualità, anche se pochi la usano come materiale di studio e ag-giornamento. I corsi regionali in genere sono dedicati ad argomenti di più immediata spendibilità nell’area professionale, mentre quelli di livello nazionale trattano tematiche più trasversali e generiche. I primi sono forse più apprezzati e partecipati in quanto rispondono ad esigenze immediate di aggior-namento ed offrono una facile trasferibilità dei contenuti appresi nella quotidiana attività d’aula. I corsi nazionali sono in genere considerati di maggior valore, sia per l’impegno che richie-dono, sia per il numero ristretto di partecipanti ammessi. I corsi di Cultura Generale o di formazione pedagogica hanno inevitabilmente una ricaduta a più lunga distanza e talvolta se ne scopre la validità e la stessa utilità solo a posteriori. Sul piano della socializzazione, i corsi nazionali sono ovviamente quelli che offrono maggiori occasioni di incontro e di scambio e sono quindi apprezzati anche per la rete di relazioni che consentono di stabilire o di rafforzare. I corsi regionali rispondono di più a esigenze pratiche locali e di aggiornamento tecnico, consentono l’incontro di operatori che probabilmente già si conoscono e sembrano essere più concentrati sul compito. Se si fa riferimento ai destinatari, i corsi per i direttori sembrano essere quelli di maggior successo: la partecipazione è ampia e regolare e, nonostante il ricordo di qualche isolato disguido organizzativo, assicurano una buona socializzazione tra persone che svolgono la stessa funzione in contesti e condizioni diverse. Spesso risultano aver partecipato non solo i direttori ma anche i coor-dinatori. Tra le categorie coinvolte viene lamentata la apparentemente scarsa attenzione alle cosiddette figure di sistema, cui si vorrebbe venissero dedicati specifici corsi almeno ogni certo numero di anni. I corsi per i formatori sono invece la maggioranza e devono affrontare un’ampia varietà di argomenti e competenze. Accanto ai corsi di carattere tecnico, che vengono apprezzati ma limitata-mente all’aggiornamento che producono, la domanda principale che viene dai partecipanti è quella di fornire strumenti per affrontare le situazioni di emergenza quasi quotidiana che si trovano a vivere con gli allievi. I corsi per formatori lasciano spesso fuori gli amministrativi, che trovano soddisfazione alle loro esigenze solo in corsi specifici. I corsi sono in genere rivolti al personale in servizio e ciò lascia emergere come fattore di-scriminante la durata del contratto di coloro che hanno un rapporto di lavoro a tempo determinato e che, quindi, possono restare esclusi se il corso cade in un periodo che non rientra nella vigenza del contratto. È generalmente apprezzata la possibilità di avere un coinvolgimento nella progettazione dei corsi, cosa che incide positivamente sui livelli di partecipazione. Come è ovvio, non è sempre pos-sibile far decidere alla base tutte le tematiche da affrontare, anche perché occorre mediare tra opi-nioni ed esigenze diverse, ma rimane il dato positivo della consultazione allargata. E quanto più è partecipata la decisione, tanto più è avvertito come un limite il numero ristretto di partecipanti, che può lasciare fuori qualcuno ancora sinceramente interessato. Una sintesi di queste posizioni, ma più critica, si può trovare nei risultati del questionario applicato ai Direttori dei Centri, ai Delegati regionali e ai Segretari nazionali dei settori e delle aree professionali, che costituiscono l’universo di quanti svolgono un ruolo di leadership nella organiz-zazione e nella gestione dell’Ente. La prima constatazione è che in nessuna delle offerte di Formazione in servizio promosse dalla Sede Nazionale la qualità della partecipazione viene ritenuta dagli intervistati molto soddisfa-cente o quasi. Tuttavia, la frequenza di un gruppo consistente di iniziative riceve una valutazione più che abbastanza positiva: si tratta dei corsi residenziali regionali/locali, del contributo dell’apporto tecno-logico e formativo delle imprese ai settori/aree, dei seminari per il personale direttivo, di quelli tec-nici per i formatori e dei corsi nazionali nell’area delle competenze tecnico professionali. La qualità della partecipazione è considerata abbastanza soddisfacente nel caso dei corsi re-sidenziali nazionali nell’area delle competenze di base, nei progetti internazionali e nelle attività formative con Fonder e si avvicina a tale livello nei seminari tematici legati ad eventi esterni e nei convegni promossi dalla CISI. La valutazione scende a poco soddisfacente riguardo ai corsi FAD. Un indicatore significativo dell’utilità delle offerte di Formazione in servizio promosse dal CNOS-FAP può essere identificato nella valorizzazione che gli operatori riservano alle risorse messe a disposizione a tale scopo dalla Sede Nazionale; in particolare, si tratta della Rassegna CNOS, delle Newsletter, delle pubblicazioni/ricerche, del Sito del CNOS-FAP, della ricerca sul successo formativo degli allievi del CNOS-FAP e del Concorso nazionale dei capolavori dei settori profes-sionali. Anche in questo caso la valutazione dei Delegati, dei Direttori e dei Segretari risulta più cri-tica di quella dei partecipanti ai focus. In sintesi, le risorse messe a disposizione dalla Sede Nazio-nale per la Formazione in servizio vengono utilizzate tra abbastanza e poco oppure poco. La ragione principale di questa situazione va ricercata in una criticità esterna alle risorse, cioè nella inadeguata socializzazione all’interno dei CFP. In secondo luogo pesa anche una carenza intrinseca ad esse e cioè il fatto che non aiutano a risolvere i problemi dei Centri. Al tempo stesso, va segnalato che in generale non sono eccessivamente teoriche o di livello troppo elevato se non la Rassegna CNOS e le pubblicazioni/ricerche e, comunque, non si possono considerare poco aggiornate. La ricerca sul successo formativo e il Concorso dei capolavori sono le risorse che presentano maggiori forme di valorizzazione e la Rassegna CNOS e le Newsletter quelle che ne hanno di meno. Il Nord è più po-sitivo del Centro e del Sud, i laici dei salesiani, i diplomati dei laureati, i Segretari dei Delegati, i più anziani dei più giovani e i più esperti dei meno. b. Il gradimento delle attività di formazione in servizio del CNOS-FAP Da quando ha ottenuto la certificazione, la Sede Nazionale CNOS-FAP provvede alla som-ministrazione di questionari di soddisfazione al termine degli interventi di Formazione in servizio, al fine di ottenere suggerimenti e indicazioni utili per le azioni future. I questionari vengono proposti agli operatori a conclusione delle diverse iniziative (corsi residenziali nazionali e regionali, seminari dei settori professionali e corsi per il personale direttivo) e, nel caso dei corsi residenziali nazionali e regionali, dall’anno 2012, una versione modificata del questionario viene proposta anche ai docenti responsabili della conduzione delle iniziative stesse. In estrema sintesi, analizzando i risultati della rilevazione sistematica del livello di soddisfazione per le attività di Formazione in servizio offerte dal CNOS-FAP ai suoi operatori, si individua una ampia area di soddisfazione, soprattutto per quanto concerne gli aspetti legati ai principali soggetti coinvolti, ossia la qualità della docenza e il coinvolgimento dei partecipanti, ma anche l’interesse e l’approfondimento dei temi affrontati. Qualche criticità relativa, anche se in termini molto contenuti, si riscontra riguardo all’approfondimento dei temi trattati, ai materiali didattici e alla funzionalità di aule e di luoghi; la Sede nazionale è già intervenuta per ovviare ai primi due problemi, limitando le problematiche da proporre nelle attività di formazione e impegnandosi a migliorare i materiali messi a disposizione. Queste indicazioni sono sostanzialmente coerenti con quanto riscontrato attraverso il que-stionario somministrato, a distanza di tempo, a Direttori, Delegati e Segretari a cui si è accennato sopra. In particolare, nel caso dei rispondenti a quest’ultimo questionario l’area della soddisfazione ammonta complessivamente all’89,9% (con un giudizio medio che si colloca fra “abbastanza” e “molto soddisfatto”). Al tempo stesso va segnalato che la maggioranza assoluta dei giudizi favore-voli si concentra sulla sufficienza, mentre solo poco più di un terzo dà una valutazione molto positi-va. Pertanto, la Sede Nazionale dovrà impegnarsi nei prossimi anni a invertire l’attuale rapporto tra abbastanza e molto soddisfacente. E, nel dettaglio, risultano essere prevalentemente motivo di soddisfazione, anche in questo caso, aspetti dell’attività formativa, quali la significatività dei contenuti proposti nelle diverse attivi-tà, l’idoneità della docenza, la trasferibilità nei CFP e il conseguimento degli obiettivi formativi. c. Punti di forza e di debolezza della formazione in servizio del CNOS-FAP Secondo i partecipanti ai focus group, i punti di forza della offerta della Sede nazionale del CNOS-FAP possono essere divisi in due categorie: da una parte ci sono le varie e numerosissime dichiarazioni che insistono sulla dimensione relazionale e sui contatti umani che accompagnano la frequenza di ogni corso; dall’altra ci si sofferma sui contenuti dei corsi e anche su alcuni aspetti par-ticolari non facilmente classificabili in maniera unitaria. Per quanto riguarda la prima categoria, gli intervistati sono pressoché unanimi nell’indicare come principale punto di forza l’occasione offerta di confrontarsi di persona e di scambiarsi espe-rienze. I corsi di formazione offrono inevitabilmente l’occasione di: incontrare nuove persone, rive-dere vecchi colleghi, stabilire relazioni interessanti e visitare nuovi luoghi. Un aspetto decisivo è infine rappresentato dai contenuti dei corsi, in relazione ai quali i giu-dizi sono ampiamente positivi. Si va da chi dice che i temi proposti costituiscono «una carta vincen-te» a chi giudica i «contenuti veramente di alto livello». Ma c’è anche chi trova che, al di là delle occasioni di incontro e della validità formativa per le persone che vi partecipano, la ricaduta è piut-tosto scarsa. Rimane quindi il dubbio se l’offerta di formazione sia correttamente tarata sulle esi-genze dei formatori – e indirettamente degli allievi – o se talvolta si raggiungano solo obiettivi di buona socializzazione. È probabile che sia oggettivamente difficile raggiungere una posizione una-nime, quanto meno per il numero dei formatori che partecipano ai corsi, ma in genere si ha l’impressione di una diffusa efficacia delle iniziative formative e che i casi di delusione rimangano un po’ isolati. Tra i punti di forza sono anche presenti alcuni aspetti particolari che è difficile raggruppare organicamente. Un primo elemento positivo può essere costituito dalla metodologia coinvolgente. Dalle parole di alcuni intervistati emerge un particolare gradimento per corsi di carattere laborato-riale, in cui si sperimenta la possibilità di mettersi concretamente alla prova in situazioni di lavoro. Un ulteriore motivo di apprezzamento viene dalla certificazione delle competenze acquisite a fine corso. Un caratteristico punto di forza è poi costituito dal concorso dei capolavori, un’iniziativa ti-picamente salesiana, che viene giudicata «una bella vetrina per il mondo Cnos». Non è solo il con-corso in sé a valere, quanto «tutto quello che ci sta dietro», dato che il concorso nazionale mobilita una grande quantità di energie nel corso dell’intero anno. Esaurito l’esame dei punti di forza è necessario passare ai punti di debolezza, cioè ai problemi e alle difficoltà che caratterizzano i corsi, su cui ci soffermeremo più a lungo per offrire alla Sede nazionale elementi precisi su cui basare il proprio impegno migliorativo. Alla dimensione logistico-organizzativa possono riferirsi tutte le critiche mosse circa le date e i luoghi dei corsi, gli aspetti burocratici, le disfunzioni comunicative, gli squilibri nella composizione dei gruppi di corsisti, le difficoltà dei CFP a sostituire i formatori inviati ai corsi. L’aspetto che appare assumere maggiore rilevanza è la collocazione spazio-temporale dei corsi: ci sono infatti problemi di calendario e di collocazione geografica, che sono ovvi ma non per questo meno impor-tanti. Innanzitutto la collocazione temporale costituisce un problema pressoché insolubile, poiché è osservazione quasi unanime che non si possa trovare il periodo ideale per svolgere i corsi. Ma si ha l’impressione che l’insolubilità del problema derivi anche dalla varietà delle persone, che hanno esigenze diverse o vivono in contesti diversi ed è quindi impossibile riuscire a conciliare tutte le loro pur legittime pretese. Soprattutto per i corsi di carattere nazionale è inevitabile dover mediare tra situazioni diversissime e chiedere perciò un minimo di adattamento e sacrificio ad ognuno. Se i corsi si svolgono in luglio, alla fine delle lezioni, ci si arriva con la stanchezza di un intero anno di lavoro, «quando – come dice un formatore – uno è scarico, soprattutto di forze psicologiche perché ha dato tutto quello che poteva dare». Inoltre, finito il corso si va in ferie e si rischia di dimenticare buona parte di quello che si è appreso, quanto meno perché non c’è la possibilità di ap-plicarlo immediatamente. La collocazione estiva spesso va anche ad interferire con le attività di chiusura dell’anno, il riordino dei laboratori, le valutazioni, e si rischia di sommare alla fatica del lavoro di un anno anche l’affanno delle incombenze finali che si sommano. C’è poi anche il rischio della sovrapposizione con iniziative formative di tipo diverso, per cui è necessario dover decidere tra più proposte e quindi dover inevitabilmente rinunciare a qualcosa. A queste difficoltà si aggiungono quelle dei Centri che prolungano la loro attività ordinaria per tutto il mese di luglio e quindi si trovano a non poter mandare nessun formatore ai corsi. Ricorda infatti un direttore che, come CFP «non riusciamo a ricalcare quello che è il calendario scolastico tradizionale». Ed è ovvio che in questa situazione non si può far assentare un formatore (o addirittu-ra più di uno) per un’intera settimana, quale è la durata dei corsi nazionali. Se invece i corsi si spostano a settembre, vanno ad interferire con le attività di inizio anno; si passa dalle ferie al corso e alla normale attività formativa senza soluzione di continuità e l’affanno che veniva prima denunciato alla fine delle lezioni si trasferisce all’inizio del nuovo anno, andando a pesare su tutta l’attività didattica. Se infine i corsi vengono distribuiti durante l’anno c’è il problema della sostituzione dei partecipanti, con il rischio di bloccare l’ordinaria attività formativa di un Centro, soprattutto se piut-tosto piccolo. A giudicare dalla quantità di osservazioni emerse nei focus group, quello delle sosti-tuzioni sembra essere il problema principale. Si tratta di una circostanza ovvia, ma non per questo meno complessa, dato che il personale inviato a frequentare un corso deve per forza essere sostituito se ci si trova nel mezzo dell’anno formativo. Non c’è solo il sovraccarico di lavoro per i colleghi che restano in sede; c’è anche il rischio di non poter assicurare il normale servizio, soprattutto se ci si trova in un CFP di piccole dimensioni. In particolare il problema si può porre nel caso dei cosiddetti richiami a ottobre: anche se di solito si tratta solo di un paio di giorni, il problema rimane ed è particolarmente avvertito perché cade proprio nel mezzo dell’attività formativa. Più in generale c’è da dire che, al di là dell’esperienza comunque positiva di muoversi da casa e fare nuovi incontri, per molti la partecipazione a un corso comporta anche l’assenza dalla famiglia e, come osserva con una certa ironia un coordinatore, «stiamo diventando tutti un po’ grandi e abbia-mo tutti un po’ famiglia; non è che sia semplice andare via». Alle difficoltà di collocazione temporale si possono legare anche quelle di collocazione geo-grafica, dato che anche la sede dei corsi può creare problemi. Da questo punto di vista, i corsi re-gionali sono più apprezzati perché consentono di rientrare a casa in giornata. Quelli nazionali invece implicano necessariamente un viaggio, che talvolta può essere anche piuttosto lungo. A tale pro-posito vengono denunciate quelle che agli occhi di qualcuno appaiono delle incongruenze poco comprensibili. Possiamo dirlo con le parole di un orientatore: «i corsi sia a Udine che a Bari li ho trovati tanto fuori mano», soprattutto se poi «a Bari non c’è nessun collega della Puglia» e quindi si avverte come uno spreco di risorse il trasferimento forzato (e inutile) di tanti corsisti. Alla scelta della sede del corso si collegano infatti le spese di trasporto, che possono incidere notevolmente. Molti ad esempio lamentano le rigide regole di rimborso, che escludono talvolta di poter viaggiare in aereo anche se il biglietto aereo spesso è più conveniente di quello ferroviario. Inoltre, le stesse modalità di rimborso impongono di non acquistare i biglietti on line e di recarsi in stazione, dove qualcuno racconta di non aver più trovato posto dopo aver fatto due ore di fila. Si tratta di disfunzioni facilmente rimediabili, ma che sono avvertite sicuramente con fastidio da chi si trova ad esserne vittima. In genere le lamentele parlano genericamente di un eccesso di burocrazia di fatto legata soprattutto alle procedure di rimborso delle spese sostenute. Completa il quadro delle difficoltà organizzative la scarsa o imperfetta comunicazione che accompagna talvolta la proposta dei corsi. Se l’informazione non circola in maniera tempestiva ed efficace, è chiaro che si creano problemi. Racconta un formatore che il direttore di un Centro «aveva 1400 mail da guardare e non le aveva guardate e non aveva avvertito nessuno». Forse c’è un po’ di esagerazione in questo episodio, ma l’abitudine ai nuovi strumenti di comunicazione elettronica può creare talvolta situazioni del genere, per cui è bene utilizzare anche canali alternativi di comu-nicazione per essere certi di raggiungere effettivamente tutti i destinatari. Ancora sul piano organizzativo possono valere le critiche mosse alla composizione disuguale dei gruppi di corsisti. È ovvio che in un gruppo di apprendimento omogeneo si può procedere più speditamente, ma spesso, come osserva un formatore, soprattutto nei corsi di carattere più tecnico, nonostante siano precisati fin dall’inizio i requisiti di partecipazione, «viene gente che neanche ha letto quei requisiti, direttori che mandano formatori che non hanno niente a che vedere con quei re-quisiti» e allora «succede che il corso va male perché non puoi andare avanti, perché devi stare ap-presso a quelli che stanno indietro o che non sanno niente». Il secondo ampio raggruppamento dei punti di debolezza dei corsi di formazione è caratte-rizzato da alcuni limiti progettuali, che possono avere una ricaduta significativa sulla qualità com-plessiva degli stessi corsi. Alcuni aspetti sono già emersi sul piano organizzativo: quando per esempio si mandano a frequentare un corso formatori con competenze troppo diverse, è chiaro che si sta minando la riuscita del corso. Più in generale, però, vale qui la classica alternativa – già vista in altre circostanze – tra corsi teorici e pratici. D’altra parte, va anche ricordato che qualcuno ha lamentato l’eccessiva spe-cializzazione di alcuni corsi, che alla fine risultano poco spendibili in classe. In vari casi ritorna inoltre l’utilità di trovarsi a frequentare il corso con un collega dello stesso CFP, perché ciò consente di discutere immediatamente l’applicazione dei contenuti appresi nel proprio contesto di lavoro. Altro difetto denunciato è la ripetitività dei corsi. Ci son poi alcuni che hanno lamentato l’impossibilità di conciliare le situazioni diverse di ogni CFP. C’è chi dichiara di essere sempre andato a frequentare corsi nel Nord Est, «dove la situazione è decisamente migliore che non da noi» e di essersi quindi sentito «un po’ avvilito» (ma questo genere di confronti può essere anche stimolante). C’è invece chi vorrebbe che i corsi fossero «più tarati sulla realtà, non solo della FP, ma proprio del Centro stesso, perché comunque tre Centri hanno tipologie e target differenti; quindi fare un corso standard è sbagliato». Più in generale sembra di notare una certa insofferenza per alcune modalità di conduzione dei corsi, che in qualche caso appaiono poco attente alle singole persone. Da una parte c’è la richiesta di essere maggiormente ascoltati quando si promuove una consultazione per la programmazione di un corso. Dall’altra parte c’è il problema del tempo libero, che andrebbe valorizzato di più, se è vero – come dice un formatore – che è solo negli intervalli dei corsi che si possono discutere i problemi professionali particolari, «confrontare situazioni, metodologie e modi di affrontare gli argomenti del corso, ma anche argomenti esterni». Infine, sempre in relazione alla gestione del tempo libero, che deve essere tenuto presente e valorizzato in quanto tale, c’è chi lamenta «che venga gestito come se fosse una colonia. L’analisi dei punti di debolezza dei corsi può risultare alla fine ingenerosa, se ci si ferma a considerare la lista delle lamentele. Nel confronto con i dati positivi, sono questi a prevalere, ma non si devono sottovalutare i difetti, che possono creare malumori capaci di condizionare la stessa fruizione dei corsi. In conclusione, se la valutazione delle varie componenti certamente non boccia la formazione in servizio, ma anzi la promuove, non si può dire che lo faccia a pieni voti. Su tutti gli aspetti menzionati c’è spazio per il miglioramento, anche se in alcuni di più e in altri di meno. Il clima e i docenti (competenza, autorevolezza e disponibilità) sembrano soddisfare maggiormente per cui in questo ambito bisogna solo avere il coraggio di mirare al massimo: gli unici punti su cui si dovrà richiedere ai docenti dei corsi un impegno maggiore riguardano l’efficacia della metodologia didat-tica, l’approfondimento degli argomenti e dei temi e, anche se in misura inferiore, la chiarezza nell’esposizione degli argomenti. I formatori non sembrano molto coinvolti nei corsi e questa situa-zione si comprende se si tiene conto che le loro attese formative sono solo abbastanza soddisfatte e gli obiettivi dei corsi risultano solo sufficientemente raggiunti: ecco altri campi in cui si richiedono miglioramenti per passare da ina valutazione discreta ad una ottimale. Pure sul piano organizzativo sono necessari potenziamenti: anzitutto riguardo all’adeguatezza delle attrezzature, delle tecnologie didattiche e dei materiali e in secondo luogo circa calendario, orari, ospitalità e luogo dei corsi. 4.2.2.2. Proposte per un potenziamento della formazione in servizio del CNOS-FAP La soddisfazione manifestata dagli interessati nei confronti della Formazione in servizio promossa dalla Sede Nazionale è senz’altro notevole, ma la sufficienza rappresenta il voto maggio-ritario. Pertanto, la Sede Nazionale dovrà intervenire efficacemente per elevare il livello di tale va-lutazione a uno più positivo. Un ambito di miglioramento riguarda le mete principali su cui finalizzare in futuro l’offerta della Sede Nazionale. Dalle risposte di Delegati, Direttori e Segretari emerge una visione della Formazione in servizio centrata sul sistema di FP e funzionale alla qualità del servizio, mentre ap-paiono ignorate del tutto o quasi le attese individuali, non solo di ruolo, di carriera e di guadagno ma anche di formazione spirituale, cosa questa che suona strana in un Ente di ispirazione religiosa come il CNOS-FAP. Anche in questo caso si nota una certa polarizzazione tra salesiani e laici nel senso che i primi tendono a finalizzare la Formazione in servizio al sistema di FP generale e locale e i secondi a dimensioni più significative per i singoli formatori quali l’aggiornamento professionale e la motivazione/rimotivazione. Sarà compito della Sede Nazionale trovare un giusto equilibrio tra le due istanze. Un gruppo di suggerimenti si concentra sui contenuti e le tipologie di competenze su cui la formazione in servizio dovrebbe concentrare maggiormente le sue offerte. Iniziamo con le proposte che si riferiscono all’allargamento del ventaglio delle conoscenze degli operatori. Nulla o quasi è suggerito dai partecipanti ai focus group a proposito delle discipline tradi-zionali delle aree scientifica, professionale e delle scienze umane. Probabilmente la scarsità di sug-gerimenti in questo ambito dipende dall’abbondanza di corsi di aggiornamento nelle aree appena ci-tate. In questo campo i Delegati, Direttori e Segretari sono molto più espliciti. La tipologia di com-petenze su cui si dovrebbe focalizzare nei prossimi anni lo sforzo di rinnovamento è costituita dalle competenze trasversali, una indicazione che sorprende in positivo perché si tratta di competenze non sempre molto valutate dai formatori; al secondo posto e a poca distanza vengono indicate le competenze tecnico-professionali relative ai settori che, sebbene siano già una eccellenza della IeFP salesiana, tuttavia richiedono un costante sviluppo. Meno considerate sono le competenze relative allo sviluppo organizzativo e gestionale delle risorse umane e quelle riguardanti l’area formativa salesiana, ma ambedue esigerebbero una maggiore attenzione le prime perché si tratta di una tipo-logia in sviluppo e la seconda perché la proposta formativa dei Centri si ispira al carisma salesiano e bisogna riconoscere che i partecipanti ai focus group sono molto più favorevoli dei Delegati, Diret-tori e Segretari a questa proposta. Uno dei problemi più delicati e importanti che gli Enti di ispira-zione cristiana debbono affrontare è l’animazione della loro identità cristiana e carismatica sia per i formatori neoassunti che per quelli in servizio: da questo punto di vista si raccomanda di rafforzare iniziative già esistenti come i percorsi “Insieme per un nuovo progetto di formazione” ed “Etica e deontologia dell’operatore della FP” e di predisporne di nuove. Un certo numero di partecipanti ai focus raccomanda lo sviluppo di iniziative di formazione in servizio su tematiche come la salute (in particolare la prevenzione dalla abuso delle droghe), il benessere, l’ecologia e la sicurezza. Un altro gruppo di proposte mira a rafforzare e ad ampliare le competenze didattiche, ge-stionali e organizzative degli operatori del CNOS-FAP. Anzitutto, va registrata la domanda di potenziare l’offerta di formazione in servizio per pre-parare figure di sistema quali orientatori, tutor, responsabili DSA (disturbi specifici di apprendimen-to), DF (diagnosi funzionale) e BES (bisogni educativi speciali). Nella stessa linea si colloca la proposta di sviluppare i corsi per la gestione d’aula in modo da realizzare una IeFP sempre più inclusiva. Tenuto conto del clima generale che caratterizza in questo momento il sistema educativo di istruzione e di formazione e il dibattito su “La buona Scuola” del governo Renzi, non poteva man-care la richiesta di potenziare l’offerta di aggiornamento a proposito della valutazione Si riscontrano operatori che denunciano problemi di vario tipo nel relazionarsi con le fami-glie. La formazione in servizio del CNOS-FAP dovrebbe occuparsi più ampiamente ed efficace-mente anche di questa area. Tra l’altro, n una vera “comunità formativa”, genitori e docenti avreb-bero bisogno di fare formazione insieme, superando un certo protagonismo individuale e una certa auto-referenzialità. Oltre che riguardo ai contenuti e alle competenze, i partecipanti ai focus group, sono state avanzate proposte circa le metodologie che la Sede nazionale dovrebbe privilegiare nella formazione in servizio. Al primo posto viene indicata una metodologia mista articolata tra aula, formazione a di-stanza e autoformazione. La metodologia d’aula rimane centrale e la ragione va ricercata nella «presenza in essa del rapporto umano, del gruppo di lavoro, dello scambio e dell’attività operativa». Metodologia d’aula non significa soltanto lezione frontale, anche se questa non può mancare (ma potrebbe essere anche svolta online), ma i corsi devono essere interattivi, con molte opportunità di interrelazioni, pratici e di natura laboratoriale «perché si impara facendo», «stimolanti e accattivanti». Una formula che può aiutare è quella dei corsi «dove i formatori poi realizzano il materiale didattico». Qualcuno suggeri-sce il ricorso a delle testimonianze: queste possono essere offerte non solo da competenti di livello scientifico elevato, ma anche da colleghi esperti dello stesso Centro o di altri Centri. Da questo pun-to di vista possono essere importanti i richiami alla formazione purché però non tolgano risorse e forze al Centro che manda i formatori. Accanto a momenti di incontro fisico e di scambio diretto, dovranno essere previsti momenti di studio personale e di formazione a distanza. Non si può lasciare tutto online perché il lavoro nei Centri è molto e le scadenze sono tante e quindi si rischia di iniziare un corso e di non terminarlo più. Può servire per questi momenti fuori dall’aula la condivisione dei contenuti dei corsi e delle unità didattiche perché si tratta di vedere realizzati in pratica da colleghi i contenuti che si sono appresi nelle lezioni frontali. Un supporto significativo per attuare nel Centro ciò che si è appreso nei corsi può essere offerto da formatori dello stesso CFP che hanno partecipato alla medesima iniziativa per cui si suggerisce che la partecipazione alla formazione in servizio dovrebbe sempre coinvolgere più di un partecipante per Centro. Una proposta che viene avanzata ancora sul piano metodologico riguarda la previsione di un esame fiale e di un attestato di qualifica. Infatti, questo potrebbe dare «più di senso a quello che uno fa» e «spingerebbe qualcuno a vivere l’esperienza del corso in maniera un po’ meno passiva». Qualcuno suggerisce che ci sia una prova di inizio per verificare il livello di competenza e una finale per valutare gli obiettivi raggiunti. Al tempo stesso bisogna dosare i contenuti per evitare di voler affrontare in un corso di 30 ore un argomento di sei mesi. In questi casi non si tratterebbe più di ri-lasciare un semplice attestato di frequenza, ma una vera certificazione di competenza. Per la formazione in servizio degli insegnanti un ruolo determinante è rivestito dalla supervi-sione del dirigente. In prima battuta, questa va concepita come un aiuto fornito dai dirigenti agli in-segnanti allo scopo di migliorare la loro pratica nel rispetto della responsabilità primaria che essi hanno nel processo di insegnamento-apprendimento. E forse questo un ambito in cui il CNOS-FAP deve avviare un cammino di riflessione e di proposte. Quanto ai sussidi, sarà necessario potenziare la valorizzazione delle risorse erogate dalla Sede Nazionale, aiutando Delegati, Direttori e Segretari a saperle socializzare ai formatori e agli altri operatori e rendendole più facilmente utilizzabili per risolvere i problemi dei Centri attraverso un loro ripensamento sul modello della ricerca sul successo formativo degli allievi e del Concorso nazionale dei capolavori. Un ultimo gruppo di proposte riguarda i destinatari, cioè i formatori e più in generale gli operatori. La prima afferma il primato delle esigenze di questi ultimi, non solo professionali e di car-riera, ma anche umane, purché funzionali alla qualità del servizio. Due sono gli aspetti su cui si concentrano le indicazioni dei partecipanti ai focus group. Uno di carattere generale insiste sulla ne-cessità da parte della dirigenza del CNOS-FAP di sviluppare in estensione e in profondità la moti-vazione alla formazione in servizio «perché il formatore non può mai dire di aver finito di imparare» e «perché con il carico di lavoro che si ha rimane ben poco tempo per l’auto-apprendimento […] per cui abbiamo la necessità di essere costantemente formati in modo da poter offrire un’informazione puntuale». L’altra proposta è molto specifica, ma è opportuno citarla non solo in quanto riflette in modo chiaro il primato dei bisogni formativi degli operatori, ma anche per il riferimento a una istanza emersa dall’analisi quantitativa condotta riguardo ai dati dell’archivio, e cioè di una attenzione par-ticolare da prestare alle esigenze specifiche degli amministrativi e. Una proiezione del primato delle esigenze dei destinatari a livello di tutto il Centro è la pro-posta che le iniziative di formazione in servizio siano mirate sui singoli CFP. Infatti, «un corso fatto in sede è più comodo, è più fruibile, risparmi sul tempo e l’organizzazione e lo puoi fare in contem-poranea ai corsi e alle normali attività». Ma la ragione più vera è che la formazione in servizio ha senso se i suoi effetti si fanno sentire positivamente in ciascun Centro, nei singoli corsi e su ogni formatore e allievo; altrimenti, è solo spreco di risorse. Pertanto gli obiettivi a questo livello vanno identificati nel rinnovamento della IeFP dall’interno e nel miglioramento della pratica pedagogica. Determinante per il successo della formazione in servizio nel singolo CFP è la creazione di un am-biente che stimoli e sostenga le iniziative di aggiornamento. Inoltre, ai fini di migliorare la frequenza alla Formazione in servizio promossa dalla Sede Nazionale del CNOS-FAP bisognerà assicurare: una attenzione maggiore alla qualità della frequen-za, rendendo i contenuti più rispondenti alle esigenze dei formatori e curando meglio la loro sele-zione più mirata in relazione alle tipologie di offerta; un personale più numeroso nei CFP – ma ciò non dipende dagli Enti di formazione –; una migliore distribuzione del carico di lavoro; un calenda-rio di offerte più rispondente alle disponibilità di tempo dei formatori. 4.2.3. Il successo formativo degli allievi del CNOS-FAP Il monitoraggio del successo formativo degli allievi del CNOS-FAP costituisce una delle evidenze più convincenti della bontà dell’offerta formativa dei CFP della Federazione. Infatti, esso consiste in una valutazione esterna che, inoltre, è molto vicina nel tempo perché è stata realizzata a partire dal 2009-10. Più precisamente si tratta di indagini che da quella data ogni anno sono state ef-fettuate sugli ex-allievi a un anno dal titolo finale di qualifica o di diploma. Per motivi di tempo e di risorse la prima fase di questo tipo di ricerca è stata focalizzata sui qualificati nel 2008-09 dei settori meccanici auto ed elettro-elettronici della IeFP salesiana; la se-conda ha riguardato gli allievi dei percorsi biennali, triennali e quadriennali sperimentali di IeFP del Cnos-Fap, qualificati nell’anno formativo 2009-10, relativamente a 5 macro-settori (auto, elettro-elettronico, grafico, industria, turismo) più vari altri (edilizia, lavorazione artistica del legno, agri-coltura, benessere, amministrazione, punto vendita) che sono stati trattati insieme per la loro ridotta consistenza numerica (Malizia et al., 2016). La terza fase riguarda non solo gli ex-allievi che hanno ottenuto dopo un triennio di formazione una prima qualifica professionale e i macro-settori appena richiamati del 2009-10 (con l’aggiunta dell’energia nel 2011-12), ma per la prima volta anche quelli che hanno conseguito un diploma di tecnico professionale. Più precisamente, finora (ma è ancora in corso) tale fase ha incluso qualificati e diplomati negli anni formativi: 2010-11/2015-16 (Malizia e alii, 2016; Malizia e Gentile, 2016, 2017 e 2018). Riguardo alla terza fase, facciamo notare che per motivi di opportunità, connessi allo slitta-mento temporale eccessivo del calendario dell’anno formativo in Sicilia, neppure nel 2017 come nel 2015 e nel 2016, è stato possibile far partecipare al monitoraggio i CFP dell’Associazione CNOS-FAP di tale Regione. Dato il peso notevole di quest’ultima sul totale degli ex-allievi, rappresentando essa oltre il 10% del dato nazionale, l’universo dei tre anni, appena citati, non coincide con quello degli ex-allievi della IeFP salesiana, qualificati e diplomati degli anni 2009-10/2012-13, come nei relativi monitoraggi (2011-14) (Malizia et alii, 2016). La metodologia di ricerca è consistita nella ricostruzione dell’universo di riferimento attra-verso le segreterie dei CFP del CNOS-FAP e in un’intervista telefonica personalizzata realizzata sulla base di un questionario. Il campione di fatto raggiunto in ogni rilevazione non è statisticamente rappresentativo in senso stretto perché non sappiamo se il 10% circa degli ex-allievi che non sono stati raggiunti in ogni indagine si distribuiscano in maniera casuale; tuttavia, tenuto conto che quanti hanno risposto in tutti i sondaggi costituiscono il 90% quasi dell’universo, lo si può ritenere co-munque rappresentativo, se non statisticamente, almeno socialmente. Perciò, dai risultati è possibile trarre, con la dovuta prudenza, generalizzazioni accettabili (Frudà, 2007). Passando poi ai risultati dei monitoraggi, ci si concentrerà sull’ultimo del 2017 in paragone con i due che sono confrontabili, del 2015 e del 2016, mentre per i precedenti ci si limiterà a consi-derare gli andamenti che si basano su dati tra loro sostanzialmente conformi e quindi consolidati (Malizia - Gentile, 2018, 2016 e 2017; Malizia et al., 2016). Incominciamo con la distribuzione in base al sesso che registra una chiara predominanza dei maschi sulle femmine (monitoraggio del 2017 : 84,3% rispetto a 15,7%) (Malizia - Gentile, 2018). Il dato riflette la vocazione tradizionale del CNOS-FAP, nato per la preparazione dei giovani ai me-stieri cosiddetti “maschili”. In proposito, va evidenziato che l’andamento conferma sostanzialmente quanto emerso da tutti i monitoraggi precedenti. L’80% circa (78,6%) proviene direttamente da un percorso regolare nella secondaria di 1° grado, concluso con il superamento del relativo esame di stato: il dato costituisce un balzo in avanti positivo dopo che negli ultimi due anni si era registrata una notevole riduzione da tre quarti circa a due terzi quasi in contrasto anche con l’andamento precedente. Al contrario, soltanto poco più di un quinto (20,3%) si è iscritto alla IeFP dopo aver frequentato per uno o più anni la secondaria di 2° grado (e nei due monitoraggi precedenti confrontabili con l’attuale si era arrivati a oltre un terzo) e appena l’1,0% non possiede nessun titolo. Se il primo dato evidenzia che sempre di più la IeFP sta assumendo la fisionomia di una istituzione formativa normale, il secondo attesta il ruolo di recupero che la FP continua ad assolvere nei confronti dei “rottamati” dei sistemi scolastici, ossia di quei soggetti che vanno incontro ad insuccessi scolastici e/o che si ritirano spontaneamente perché non ce la fanno ad andare avanti. Se si passa a considerare il titolo conseguito al termine della frequenza della IeFP, il 90%quasi (89,1%) ha ottenuto la qualifica, più del 10% (10,9%) il diploma professionale e nessuno il diploma di IP (dell’istituto professionale, cioè il diploma di scuola secondaria di 2° grado a norma del DPR n. 87/2010), essendo ormai cessata la relativa sperimentazione come è stato più volte se-gnalato. Il confronto con i due monitoraggi precedenti tra loro comparabili evidenzia una sostanziale stabilità dei qualificati e una leggera crescita dei diplomati. Gli intervistati di origine migratoria (stranieri o italiani di seconda generazione) rappresen-tano poco più del 15% (16,8%), mentre gli italiani costituiscono oltre i quattro quinti (83,2%). L’andamento è sostanzialmente stabile negli ultimi tre anni; in ogni caso, va sottolineato in positivo che i primi costituiscono più del doppio degli studenti stranieri iscritti alla secondaria di secondo grado (7% nel 2015-16) (Censis, 2017, p. 136). La distribuzione per circoscrizioni geografiche vede al primo posto il Nord Ovest con il 60% quasi (57,1%) degli intervistati; seguono il Nord Est con il 30% circa (29,7%), il Centro con oltre il 10% (12,8%) e il Sud con appena lo 0,3% a motivo, come sappiamo, dell’assenza della Sicilia. La mancanza di queste ultime informazioni comporta ovviamente una certa distorsione dell’andamento della ripartizione territoriale; inoltre, il confronto con i monitoraggi comparabili, registra una sostanziale stabilità dei dati nel tempo. A un anno dalla qualifica/diploma gli ex-allievi dichiarano di trovarsi nelle seguenti situazioni dal punto di vista dello studio e del lavoro: - oltre il 50% (54,9%) ha continuato il proprio percorso nel sistema di istruzione e di formazione e più precisamente il 30,2% nella scuola e un quarto circa (24,7%) nella FP; - un terzo quasi (32,3%) ha trovato un’occupazione; - Intorno al 10% (10,2%) non studia né lavora: - il 2,6% (70) è impegnato in altre attività come il servizio civile e le patenti europee. Il confronto fra gli ultimi tre monitoraggi evidenzia un diverso andamento tra il 2017 e i due precedenti nel senso che: anzitutto cresce del 10% quasi (8,1%) la quota di chi continua gli studi e questo per effetto dell’aumento degli iscritti alla IeFP del 12% mentre si arresta la crescita del pas-saggio all’istruzione che segna una riduzione del 3,9%; in secondo luogo diminuisce del 7,5% la percentuale degli intervistati che non lavorano e non studiano. Al tempo stesso rimane sostanzial-mente stabile intorno a un terzo il dato chi ha trovato un’occupazione. Da ultimo va sottolineato che nel complesso si consolidano tre tendenze che si erano andate delineando nei monitoraggi preceden-ti: la crescita degli ex-allievi che proseguono gli studi dopo il conseguimento del titolo, la diminu-zione di quanti non studiano e non lavorano e la stabilità della percentuale di quelli che dichiarano di aver trovato un lavoro. Per cercare di determinare i fattori che facilitano l’occupabilità, si è iniziato con l’esaminare i comparti nei quali gli ex-allievi sono riusciti a reperire un lavoro. Se i settori si considerano in se stessi, i primi due posti si situano la meccanica industriale e il turistico-alberghiero che offrono maggiori opportunità e più precisamente a un quinto circa degli intervistati (rispettivamente al 22,2% e al 19,9%); tra il 15% e il 10% si collocano l’automotive (11,6%) e l’elettrico-elettronico (10,7%); al di sotto del 10% si riscontrano “altri” comparti (9,3%), l’energia (7,2%) e il punto ven-dita (6,1%) e in percentuali inferiori al 5% si trovano il benessere (4,8%), l’agricoltura (3,5%), il grafico (2,4%), la lavorazione artistica del legno (1,5%) e l’amministrazione (0,7%). Se i settori non si prendono in considerazione in sé stessi, ma in paragone con la ripartizione generale degli ex-allievi tra i comparti, emerge che il benessere e la lavorazione artistica del legno evidenziano una sostanziale corrispondenza tra le cifre dei comparti occupazionali e quelle della qualifica/diploma, che il turistico-alberghiero, il punto vendita, il meccanico industriale, l’energia e l’agricoltura presentano un capacità occupazionale superiore (le percentuali dei settori occupazionali sono maggiori di quelle dei comparti di qualifica/diploma) e che l’elettrico-elettronico, l’automotive, il grafico e l’amministrazione si contraddistinguono per una potenzialità minore (le percentuali dei settori occupazionali sono inferiori a quelle dei settori di qualifica/diploma). Mettendo insieme i due tipi di dati si può dire che la meccanica industriale e il turistico-alberghiero sono i comparti che possono assicurare una più grande occupabilità. Come nelle edizioni passate, tutti gli intervistati dichiarano di aver partecipato ad una espe-rienza di stage durante la frequenza della IeFP nei Centri salesiani; inoltre, per quasi totalità degli ex-allievi (99,7%) essa era del tutto corrispondente alla qualifica professionale ottenuta nei CFP del CNOS-FAP. I tre quarti quasi (73,9%) ritiene anche di aver imparato molto da tale esperienza e circa un quarto si dichiara (24,5%) abbastanza soddisfatto; chi opta per le alternative poco (1,0%) o nulla (0,1%), è una percentuale del tutto irrilevante, mentre lo 0,6% non risponde. Al riguardo, va evidenziato in positivo che negli ultimi tre anni la percentuale di chi risponde molto è salita del 4,2%. Un terzo quasi (33,1%) dei qualificati e dei diplomati che hanno reperito un’occupazione, si sono rivolti al Centro che frequentavano, mentre poco più di due terzi (66.8%) non l’hanno fatto e lo 0,1% non ha risposto. Siccome tra gli ultimi tre monitoraggi si riscontra una sostanziale stabilità riguardo alla prima percentuale, ci permettiamo di richiamare in sintesi le osservazioni in proposito contenute negli ultimi due articoli sull’argomento: «il numero di coloro che ricorrono al proprio CFP per reperire un’occupazione è senz’altro consistente se si tiene conto del comportamento gran-demente prevalente tra le imprese di servirsi di conoscenze dirette o di banche dati […]; tuttavia, ci si sarebbe attesa una percentuale più alta, anzi che tutti o quasi si fossero rivolti al Centro frequenta-to perché il servizio dei CFP del CNOS-FAP, cioè dei salesiani di Don Bosco, ai loro allievi non si può limitare al conseguimento del titolo e soprattutto non dovrebbe mancare in una fase così delicata della esistenza dei giovani come quella della ricerca di un’occupazione. In un’ottica migliorativa e sulla base dei riscontri avuti, in questo e nei precedenti monitoraggi, insieme con le famiglie e con gli allievi qualificati si è deciso all’interno della Federazione CNOS-FAP di avviare un progetto di supporto alla ricerca del lavoro attraverso gli sportelli dei Servizi Al Lavoro (SAL). Questi, presenti a poco a poco in un sempre maggior numero di Centri salesiani, offrono la possibilità agli ex allievi qualificati-diplomati e alle persone in cerca di una opportunità lavorativa di essere accompagnati e guidati con il supporto della figura di un operatore con competenze orientative. Il servizio erogato viene attuato attraverso una nuova metodologia di accompagnamento al lavoro che prevede un pri-mo colloquio e successive fasi di consulenza che consentono la valutazione delle competenze e delle potenzialità del candidato con lo scopo di ottimizzare e facilitare un processo di inserimento lavo-rativo che sia soddisfacente sia per le persone che per le aziende» (Malizia e Gentile, 2016, 96, 2017, 84 e 2018, 89-90). Passando alla tipologia contrattuale di assunzione, il 40% circa (38,8%) degli ex-allievi oc-cupati lavora con un contratto atipico, oltre un terzo (34,2%) con quello di apprendistato e più di un quinto (20,3%) con uno a tempo determinato; al di sotto del 5% si collocano il tempo indeterminato (4,9%) e altre modalità contrattuali non formalizzate (1,8%). I dati del 2017 confermano quelli del 2015 e alcuni andamenti precedente, dopo i cambiamenti di direzione del 2016; si tratta cioè dell’aumento dei contratti atipici, della stabilizzazione dell’apprendistato intorno a un terzo e della diminuzione delle tipologie non formalizzate. In altre parole viene evidenziata la crescita nel tempo della instabilità contrattuale che, a sua volta, riflette la situazione di crisi economica del Paese. La maggioranza quasi assoluta degli occupati (49,7%) dichiara di essere stata assunta entro tre mesi dalla qualifica/diploma, mentre più del 15% (17,1%) ne ha messi sei e intorno a un quarto (25,4%) un anno; altre risposte ottengono il 7,6% e lo 0,2% appena non si pronuncia. Le cifre degli ultimi tre monitoraggi risultano piuttosto oscillanti per cui non emergono tendenze chiare; rimane comunque il dato positivo che la percentuale di quanti trovano un lavoro entro i sei mesi varia nel tempo tra oltre il 60% e due terzi. Nella parte terminale del sondaggio, alla richiesta di effettuare una valutazione complessiva della propria esperienza formativa nella IeFP del CNOS-FAP, gli ex-allievi hanno fatto registrare percentuali vicine al massimo sia nel manifestare il loro grado di soddisfazione per la formazione ricevuta, sia perché sarebbero disposti a compiere nuovamente la stessa scelta e la consiglierebbero anche ad altri. Tale andamento è stato confermato dalle poche indicazioni di miglioramenti dell’IeFP del CNOS- FAP che sono state espresse dagli intervistati. In conclusione si può affermare che, sul piano quantitativo i risultati del 2017 si pongono in linea di continuità con quelli degli anni passati, mettendo in chiara evidenza che gli andamenti posi-tivi registrati precedentemente si sono ormai consolidati. Ricordiamo i principali esiti che più volte abbiamo evidenziato nei nostri articoli. Anzitutto, il monitoraggio del 2017 ha confermato il sorpas-so che si è compiuto negli ultimi sei anni, della scelta di continuare la formazione dopo la qualifi-ca/diploma, rispetto a quella di passare immediatamente al lavoro, la quale certamente sottolinea le potenzialità della IeFP di rimotivare allo studio giovani che a causa dei fallimenti sperimentati nei percorsi scolastici precedenti sono esposti al pericolo di abbandonare il sistema educativo. Inoltre, il monitoraggio rinsalda i risultatati favorevoli, ottenuti precedentemente a livello sia occupazionale che formativo, quali: l’incidenza positiva della IeFP sul passaggio dei giovani al lavoro nella coorte 15-25, quella cioè che si contraddistingue per le problematiche più serie nell’inserimento occupa-zionale; la quota contenuta degli inattivi; l’apporto significativo della frequenza della IeFP alla pre-parazione dei qualificati e dei diplomati; la brevità dei tempi di attesa per reperire un’occupazione; una valutazione generale molto positiva degli ex-allievi nei confronti della propria esperienza for-mativa nella IeFP del CNOS-FAP. Non mancano certamente alcune criticità come l’aumento della precarietà di chi viene as-sunto e un ricorso al proprio CFP per trovare un lavoro ancora non molto frequente. A queste già segnalate si sono aggiunte nel monitoraggio del 2017, tre nuove criticità che, sebbene non molto ri-levanti, non vanno però trascurate: più precisamente si tratta della diminuzione della soddisfazione nei confronti dell’IeFP salesiana, del calo di quanti la rifrequenterebbero e della riduzione degli in-tervistati che consiglierebbero ad altri di fare il percorso formativo, un andamento che in ogni caso va sempre giudicato sulla base di una percentuale dell’85% e oltre di risposte positive. Comunque, si tratta di carenze limitate e che potranno essere facilmente ovviate in tempi relativamente brevi. La possibilità di dialogare direttamente con gli ex-allievi e con le famiglie nelle interviste te-lefoniche ha consentito non solo di ascoltare le loro risposte alle domande del questionario ma anche di raccogliere il racconto del vissuto degli allievi all’interno dei CFP del CNOS-FAP in maniera informale: presentiamo qui di seguito una brevissima sintesi delle valutazioni libere date in occasione del monitoraggio del 2017. Dai giudizi emersi la frequenza del CFP è stata per gli allievi e le allieve una esperienza trasformante che ha comportato mutamenti, difficoltà, maturazioni, sacrifici e gioie. L’eco di questi cambiamenti sembra risuonare nelle parole dei genitori e degli allievi quando parlano con gratitudine dell’operato dei formatori. Potremmo dire che la formula salesiana dei CFP ha dato a molti giovani una prospettiva diversa, tutta da sperimentare. Nel CFP “l’io” molto spesso incerto e individualista nel periodo adolescenziale è diventato un “noi”, permettendo ai ragazzi e alle ragazze di identificare le loro potenzialità e di avviare il circolo virtuoso della fiducia. Molti commenti positivi hanno rafforzato le convinzioni degli operatori della Federazione sulla validità dell’offerta formativa ed educativa che caratterizza i Centri del CNOS-FAP e le criticità segnalate sono state fonte di riflessione per avviare una costante e minuziosa azione migliorativa delle attività dei CFP. Il contatto con famiglie e allievi resta in molti casi anche dopo la conclusione del percorso formativo e i ricordi degli anni vissuti presso i CFP salesiani sono pieni di affetto e riconoscenza. I giovani spesso riconoscono nei direttori, nei formatori e nei salesiani conosciuti durante l’esperienza formativa le figure attraverso le quali hanno potuto mettere a fuoco e concretizzare i propri obiettivi di vita, in un clima amicale caratterizzato da una fiducia reciproca. 4.2.4. La proposta di “Il lavoro buono”. Un manuale di educazione al lavoro per i giovani Su questa tema ci limiteremo a focalizzare, attraverso particolari momenti della storia della Federazione CNOS-FAP, la forte attenzione dedicata all’educazione al lavoro attraverso la forma-zione professionale. 4.2.4.1. “L’educazione al lavoro” nella Proposta Formativa Anche solo qualche cenno ad alcuni passaggi della Proposta Formativa della Federazione CNOS-FAP (1989) attestano la grande attenzione che la Federazione ha avuto riguardo a questo tema (Cnos-Fap, 2015, pp. 22-24). Si riporta, per memoria, un passaggio tratto dal capitolo “Cultura e professionalità nel CFP del CNOS-FAP”: La prioritaria caratterizzazione formativa della Federazione CNOS-FAP motiva la proposta di un itinerario di formazione culturale professionale che mira a: - umanizzare la formazione al lavoro e la scelta professionale; - integrare l’esperienza lavorativa nell’insieme della vita di relazione; - personalizzare la scelta e la pratica professionale all’interno delle strutture e delle procedure professionali e sociali; - inserire il soggetto con competenza professionale e vitale nel mondo del lavoro e nella società civile ed ecclesiale. Il testo prosegue riportando concreti suggerimenti di intervento: - promuovere iniziative per far acquisire agli allievi una adeguata consapevolezza del significato della scelta professionale; - approfondire la dimensione etico-religiosa della formazione e della scelta professionale; - promuovere l’assunzione graduale di una concezione del lavoro inteso come spazio sociale; - offrire opportunità per sviluppare una mentalità critica; - promuovere la cultura della formazione permanente; - fare esperienze di inserimento nel contesto civile, ecclesiale e lavorativo. Si può cogliere, da subito, la visione unitaria di una cultura che è - professionale, in quanto si focalizza sulla condizione produttiva in cui i soggetti in formazione vivono e vanno ad esercitare la loro capacità di lavoro; - umanistica in quanto inquadra la professionalità in una concezione globale dell’uomo radical-mente capace di costruire una storia a misura d’uomo e una convivenza sociale a servizio di una vita personale e comunitaria, civile ed umanamente degna; - integrale, in quanto la professionalità e il lavoro ottengono la loro piena significatività nella di-mensione etica e religiosa della vita, che in particolare motivano la ricerca e la solidarietà di tutti verso il bene comune e verso una storicità culturale aperta e stimolata dalla trascendenza. Si colgono anche, da subito, significative linee operative per realizzare l’educazione al lavoro: - far maturare la consapevolezza della scelta professionale; - cogliere nel lavoro umano storico un fattore di elaborazione di una cultura specifica; - sostenere una visione del lavoro inteso come spazio sociale nel quale si instaurano rapporti di conoscenza, di disponibilità e di partecipazione alla vita civile, alle istituzioni politiche, alle or-ganizzazioni sindacali e alle presenze ecclesiali. Sin dagli inizi, dunque, la Federazione CNOS-FAP ha messo a fuoco il tema del lavoro in chiave educativa. L’attenzione specifica al «laboratorio» nel CFP e la elaborazione di una specifica collana «Problemi d’oggi» a supporto dei formatori della Cultura Generale sono state due modalità concrete – ma non le uniche - per dare attuazione a quanto auspicato dalla Proposta Formativa. Il «laboratorio attrezzato, adeguato nelle tecnologie, organizzato» è stato sempre ritenuto il primo strumento di educazione e formazione al lavoro. Gli operatori della Federazione CNOS-FAP che hanno familiarità con la storia della formazione professionale salesiana conoscono l’attenzione di don Bosco e dei suoi successori per i laboratori: «Non v’ha quindi dubbio che se noi Salesiani vogliamo lavorare proficuamente a vantaggio dei figli del popolo, dobbiamo anche noi muoverci e camminare col secolo, appropriandoci quello che in esso v’ha di buono, anzi precedendolo, se ci è possibile, sulla strada dei veraci progressi, per potere, autorevolmente ed efficacemente, compiere la nostra missione. Le scuole professionali debbono essere palestre di coscienza e di carattere e scuole fornite di quanto le moderne invenzioni hanno di meglio negli utensili e nei meccanismi, perché ai giovani alunni nulla manchi di quella cultura, di cui vantasi giustamente la moderna industria» […] Le scuole professionali «devono essere palestre di coscienza e di carattere, e scuole fornite di quanto le moderne invenzioni hanno di meglio negli utensili e nei meccanismi, perché ai giovani alunni nulla manchi di quella cultura di cui vantasi giustamente la moderna industria». È quanto afferma la prima generazione di Salesiani – siamo nel 1910 – nel presentare il Programma di Cultura Generale comune a tutti gli artigiani e i Programmi professionali per ognuno dei diversi mestieri, che voleva essere « coi tempi e con don Bosco» (Prellezo, 2013, p. 36). Gli Accordi o Intese di collaborazione con le imprese dei Settori nei quali la Federazione CNOS-FAP opera, sono il segno della volontà di continuare lungo questa strada, indicataci da don Bosco e dai suoi primi successori. La collana «Problemi d’oggi», in secondo luogo, promossa dalla Sede Nazionale e realizzata con il coinvolgimento di numerosi formatori, ha affrontato ed organizzato, con un approccio didat-tico originale, temi di Cultura Generale, temi che dovevano essere stimoli culturali per giovani orientati verso il mondo del lavoro. Di questa collana ci piace sottolineare, in modo particolare, la «modernità» metodologica e contenutistica. Ogni volume è stato impostato secondo il seguente impianto metodologico. Citiamo la presentazione riportata in ogni volumetto: L’obiettivo della collana «Problemi d’oggi» è di offrire ai docenti e agli allievi dei CFP uno stimolo e un aiuto nel processo di formazione integrale aperto alle istanze dei tempi e alle nuove metodologie. Nell’intento di creare nel giovane lavoratore la capacità critica e l’unità armonica della sua per-sonalità, il metodo di apprendimento mira a coinvolgerne, mediante il confronto con i problemi e le realtà attuali, tutta la persona, fondendo la dimensione individuale con quella sociale e comunitaria. Nell’articolazione del testo ogni argomento viene sviluppato e approntato attraverso: - stimoli - informazione - ricerca - verifica Il momento della verifica è facilitato e reso concreto mediante letture e documenti di attualità. Il lavoro è maturato in anni di ricerca, sperimentazione e collaborazione tra docenti e allievi. I temi presentano quindi l’impronta di concretezza e aderenza alla realità quotidiana del giovane lavora-tore Circa l’aspetto contenutistico, nell’arco degli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, la Sede Nazionale ha curato i seguenti volumi stampati presso la Editrice LDC: Problemi d’oggi: 1/ Il paese in cui vivi, 1986; 2/ Il mondo del lavoro, 1987; 3/ Il movimento operaio, 1988; 4/ Le ideologie politiche e la società d’oggi, 1989; 5/ Cultura oggi e società, 1991; 6/ I problemi giovanili, 1992; 7/ La famiglia, 1993; 8/ Il mio progetto di vita, 1994. Quale sussidio per l’insegnamento della religione nelle scuole secondarie superiori e nei Centri perla Formazione Professionale veniva proposto il volume Chiesa, via della salvezza, 1997. 4.2.4.2. “Educazione al lavoro» nelle Linee Guida per i percorsi di IeFP (2003) Un altro momento importante ci sembra legato al periodo della sperimentazione dei percorsi formativi di durata triennale, iniziata nell’anno 2003. Questi anni sono ricordati come gli anni delle continue riforme. La riforma legata al Ministro della Pubblica Istruzione Luigi Berlinguer (Legge Quadro in materia di Riordino dei Cicli dell'Istruzione del 2000) sostituita dalla riforma del Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Letizia Moratti (Legge 28 marzo 2003 n. 53), quest’ultima preceduta dalla riforma del Ti-tolo V della Costituzione (Legge Costituzionale 3/2001). A seguire, poi, le modifiche profonde rea-lizzate dal Ministro dell’Istruzione Giuseppe Fioroni, fino al completamento della riforma comples-siva attuata dal Ministro Maria Stella Gelmini . Questi anni sono ricordati, anche, dall’avvio e dalla sperimentazione dei percorsi formativi di durata triennale, periodo in cui anche la Federazione CNOS-FAP ha svolto un ruolo molto attivo proponendo alle Istituzioni ai vari livelli un progetto complessivo e organico contenente Linee Guida generali e Guide specifiche per l’elaborazione di piani formativi personalizzati, frutto degli apporti dell’équipe della Sede Nazionale, dei Settori Professionali e di numerosi esperti coinvolti. Di questo lavoro ampio e qualificato ci preme sottolineare in questa sede, l’impostazione di fondo: l’attenzione alla valenza educativa del lavoro aggiornata alla nuova situazione: «L’elemento cardine del sistema di istruzione e formazione professionale risiede nella concezione olistica ed educativa del lavoro. Questo è inteso come una realtà composita che si rivela come opera (prodotto), azione personale e sociale e pensiero dell’uomo, ovvero frutto unitario di tutta la persona e, perciò, di ogni fattore che costituisce la realtà umana in quanto cultura. Il lavoro non è concepito come realtà esterna all’uomo, cui esso deve adeguarsi. È invece una con-dizione privilegiata attraverso cui il soggetto umano si confronta con la storia viva della civiltà, vive relazioni significative con gli altri, conosce ed esprime se stesso, agisce sulla realtà apportando ad essa un valore ed acquisendo, in tale dinamica, sempre nuove competenze. Per questo, il lavoro è concepito come occasione per l’educazione integrale della persona umana, proprio perché produrre bene, al meglio, qualsiasi cosa presuppone una persona che agisce e pensa coinvolgendo sempre tutta se stessa, l’intero della propria umanità. L’esperienza di istruzione e formazione professionale, quindi, consiste nella possibilità di fare espe-rienza, sul piano educativo, di un lavoro nel quale sia impossibile separare la teoria dalla pratica, il corpo dalla mente, la ragione dalla volontà e dai sentimenti, l’educazione intellettuale dall’educazione manuale, affettiva, sociale, espressiva, morale, religiosa, il rapporto economico da quello etico sociale, l’insegnamento dall’esempio e dalla testimonianza, la ragione strumentale da quella finale, la soggettività autonoma dalla relazione, l’indipendenza dalla dipendenza, l’istruzione dalla formazione professionale, la cultura generale da quella specifica e specialistica professionale. Così inteso, il lavoro è considerato, dai percorsi educativi dell’istruzione e formazione professionale, il giacimento educativo, culturale e didattico privilegiato che si propone all’allievo sotto forma di compiti-problemi che suscitano in esso il desiderio di mettersi alla prova in modo attivo e respon-sabile sapendo trovare quelle risposte che consentano di trasformare le proprie potenzialità in com-petenze che valorizzano conoscenze (sapere) e abilità (saper fare) consolidate nei saperi disciplinari e interdisciplinari, testimoniando in tal modo il contributo esclusivo, originale e creativo che ciascun essere umano porta anche quando svolge e ripete lo stesso lavoro di un altro. Tale impostazione comporta, in primo luogo, l’obbligo di organizzare i percorsi educativi dell’istruzione e formazione professionale con un sistematico coinvolgimento in sede di progetta-zione, di svolgimento e di verifica del mondo del lavoro. Inoltre essa implica considerare il lavoro, con i suoi compiti e i suoi problemi reali, come oggetto critico di studio e verificare se, come e quanto esso consente di realizzare le finalità del “Profilo educativo, culturale e professionale” non-ché gli obiettivi generali del processo formativo e gli obiettivi specifici di apprendimento dettati nelle “Indicazioni regionali per i piani di studio”. Ancora, questa impostazione conduce a una visio-ne del lavoro come realtà viva, non formale, che cresce con la persona, dentro la complessità sociale ed economica nella quale si svolge. A causa di ciò, i percorsi dell’istruzione e formazione profes-sionale abituano a considerare mai concluso ed autosufficiente l’apprendimento di qualsiasi lavoro, e aprono alle consapevolezze dell’educazione permanente e ricorrente che deve diventare una costante per tutti nella società e nel lavoro. Infine, quanto affermato conduce ad una visione della competenza come dimensione della persona umana sempre situata, perciò mai definibile astrattamente a priori, ma, come tale, verificabile solo a posteriori e inoltre sempre bisognosa, per essere riconosciuta, di persone competenti che la certifi-chino in azione grazie al loro giudizio» (Nicoli, 2004, pp. 13-14). Dunque, una educazione al lavoro aggiornata al nuovo contesto ma in continuità con le scelte com-piute dalla Federazione CNOS-FAP nella Proposta formativa. Va sottolineato che, in questo periodo, lo sforzo progettuale della Sede Nazionale, dei Setto-ri Professionali, degli esperti coinvolti è stato davvero notevole. La proposta, infatti, doveva tener conto del nuovo contesto istituzionale, normativo, organizzativo e progettuale. I temi affrontati sono stati numerosi: gli aspetti fondativi, la proposta di un modello di riferimento e di una coerente me-todologia, studio delle qualifiche professionali riorganizzate in comunità professionali, confronto con i modelli europei, ecc. I percorsi dovevano essere ripensati in un arco di tempo maggiore rispetto al passato: dai due anni dell’obbligo formativo ai tre o quattro anni della Istruzione e Formazione Professionale. Anche la formazione dei formatori doveva essere ripensata alla luce della nuova pro-posta. 4.2.4.3. La proposta di “Il lavoro buono. Un manuale di educazione al lavoro per i giovani” (2018) Anche in tempi molto recenti la Federazione CNOS-FAP riprende il tema del lavoro, questa volta non agganciato ad una particolare sperimentazione ma dettato dalla necessità di aggiornare l’idea di educazione al lavoro alla situazione attuale. La Federazione CNOS-FAP aveva realizzato, nel 2015, una indagine diretta da Dario Nicoli e volta a verificare la seguente tesi: se dietro alla grandissima disoccupazione giovanile, causa di una delle più grandi esclusioni delle giovani generazioni dalla vita sociale che la storia ricordi, non vi sia soltanto la crisi economica, ma un atteggiamento culturale, e di costume, di una società che ha ritenuto di sostituire al valore del lavoro – cioè della responsabilità pubblica – la prospettiva dell’estetica dei consumi, quindi dell’immagine pubblica del cittadino. Per sondare quest’ipotesi, la Federazione CNOS-FAP, avvalendosi di consulenti, ha pro-mosso un’indagine su come il lavoro viene presentato nei libri di testo dei vari corsi di studi, sia nella prospettiva dell’educazione alla cittadinanza sia in quella della storia e dell’insegnamento tecnico. L’indagine ha messo in evidenza come il tema “lavoro” non solo è un atteggiamento rilut-tante quasi che si tratti di un argomento di modesta rilevanza culturale, ma soprattutto una reale omissione come si riscontra nel caso di un tema ritenuto un vero e proprio tabù o un reale disvalore nella prospettiva della educazione dei giovani. L’esclusione del tema del lavoro dalla proposta for-mativa delle scuole sarebbe dipesa, secondo i curatori dell’indagine, da un pregiudizio di natura cul-turale e ideologica e dimostrerebbe che la disoccupazione giovanile attuale non è solo subita, ma perlomeno da una porzione non marginale della nostra società appare intenzionalmente perseguita nell’ottica di una vita che si considera umana solo quando viene liberata dal servaggio lavorativo. Il risultato della ricerca ha sollecitato i curatori ad approfondire le dimensioni culturali del problema emerso. Pertanto all’indagine sui libri di testo sono stati affiancati altri temi sulla riscoperta del valore del lavoro in un’epoca di crisi. In concreto è stata analizzata la letteratura non pre-giudizialmente critica relativa ai cambiamenti che riguardano l’area delle professioni e al tempo stesso viene offerta una riflessione compiuta sulla relazione che intercorre tra il lavoro e l’identità individuale. Un’altra sezione importante della ricerca è stata quella che approfondisce la proposta educa-tiva in alcuni Paesi di grandi tradizioni culturali: Usa, Brasile, Russia, Giappone, Cina e Turchia. In essi non solo non si riscontra l’esclusione registrata in Italia, ma si è potuto rilevare che i Paesi più attivi nella ripresa economica sono anche quelli più decisi nel proporre ai giovani il valore del lavoro come mezzo privilegiato di espressione di sé, apporto positivo al bene comune e opportunità di dare un significato profondo alla propria vita. Dopo questo lungo iter, la ricerca ha portato alla riformulazione dell’educazione al lavoro rivolta ai giovani. Determinante in proposito è l’adozione di una concezione che lo considera una esperienza fondamentale per la piena realizzazione umana e che permette alla persona di mettersi in gioco mostrando il proprio valore distintivo in quanto soggetto capace di rispondere ai bisogni e alle esigenze proprie e degli altri mettendo in gioco le proprie prerogative soggettive così da poter essere riconosciuti non da un’immagine precaria ed evanescente, ma da un ruolo legittimato dal contributo fornito in relazione al bene di tutti. In questa prospettiva ripresa economica e rilancio del valore educativo e culturale del lavoro devono andare di pari passo se si vuole veramente combattere la scandalosa esclusione dei giovani dalla vita pubblica e avvalersi della loro energia e del loro entu-siasmo per rilanciare la nostra produzione nel mondo. Tra la presentazione prevalentemente «negativa» del lavoro nei libri di testo in Italia e la ne-cessità di formulare una proposta rinnovata di educazione al lavoro, il passo è stato breve. Eccoci giunti, quindi, all’ultima opera dallo stimolante titolo: Il lavoro buono. Un manuale di educazione al lavoro per i giovani (2018). Ci limitiamo solo a tre sottolineature, rimandando alla lettura del volu-me. a. La prima è di contenuto. Perché il titolo «Il lavoro buono»? Il volume pubblicato contiene un corposo capitolo su questo particolare aspetto, importante perché fa riferimento ad una esperienza fondamentale per la piena realizzazione umana, che consente di fornire alla persona l’occasione di mettersi in gioco mostrando il proprio valore distintivo in quanto soggetto capace di rispondere ai bisogni ed alle esigenze degli altri mettendo in gioco le proprie pre-rogative soggettive, così da poter essere riconosciuti non da un’immagine precaria ed evanescente, ma da un ruolo legittimato dal contributo fornito in relazione al bene di tutti. b. La seconda è legata al lavoro nella storia. Dal momento che l’indagine ha messo in evidenza i forti limiti insiti nei libri di testo, la pubblica-zione ambisce ad offrire degli stimoli più corretti sul lavoro nella storia cercando di superare stereo-tipi e dimenticanze. Di qui la proposta di un consistente capitolo su «Il lavoro nella storia» che am-bisce completare, correggere e stimolare visioni più aggiornate di questo particolare tema. c. La terza è legata ai destinatari. A chi si rivolge questo manuale? Tra gli altri, gli studenti del secondo ciclo degli studi. Il testo, per come è formulato, può esser un testo di educazione alla responsabilità civica che, tramite un itine-rario storico, li aiuta a cogliere i dilemmi del nostro tempo e riconoscere nel “lavoro buono” una preziosa risorsa per il risveglio della nostra società; un testo di etica del lavoro per gli studenti dei percorsi tecnici e professionali, utile a coprire un grave vuoto di proposta, così che possono collocare la propria vicenda personale entro una prospettiva epica, come parte di un patrimonio comune; un testo di introduzione “alta” dei giovani alle attività di alternanza scuola-lavoro concepite come un’occasione speciale per inserirsi in modo adeguato nel reale, valorizzando le occasioni di appren-dimento e di crescita che questa propone. Dato ai formatori della Federazione, il manuale può diventare fonte di ulteriori declinazioni soprat-tutto dal punto di vista didattico; un vero laboratorio formativo. Una proposta da sviluppare, soprat-tutto, da parte dei formatori degli «assi culturali» con i giovani della IeFP e del duale. Ma questa è una storia ancora da scrivere! Al momento è importante fare riferimento a quest’ultimo percorso formativo di educazione al lavoro (Nicoli, 2018). 4.2.5. L’adattamento dell’Insegnamento della Religione Cattolica (IRC) alle esigenze della IeFP Anche su questo tema, il ripercorrere alcune tappe significative può essere di aiuto per guar-dare al futuro. 4.2.5.1. La “scelta” della dimensione etico-religiosa nella Proposta Formativa (1989) Su questo particolare ambito, l’educazione religiosa, la Federazione CNOS-FAP ha compiuto una scelta di campo sin dalle origini, la scelta della dimensione etico-religiosa quale parte integrante della Cultura Generale in quanto tale dimensione aiuta a cogliere le ragioni profonde e il significato plenario dell’attività lavorativa, della vita professionale e della formazione ad esse. E ciò diventa evidente quando si va al fondo delle questioni affrontate, oltre la pura e semplice abilitazione linguistico-comunicativa o l’informazione di tipo economico-giuridico o civico-politica. Dunque un approccio non disciplinare. Questa scelta è stata resa possibile da almeno due ragioni, una legata alla tradizione salesiana e una seconda dettata dalle opportunità offerte dalla Legge quadro 845/78. a. L’inscindibile legame con una ininterrotta tradizione di formazione professionale salesiana La tradizione educativa e pedagogica salesiana, in Italia e all’estero, ha avuto sempre quale scelta carismatica l’azione della formazione professionale per i giovani prossimi ad entrare nel mondo del lavoro. Tale azione si è costantemente qualificata per una sostanziale attenzione di for-mazione culturale, specifica e globale, organicamente articolata ai momenti di apprendistato vero e proprio o di tirocinio pratico all’attività lavorativa. A sua volta questa stessa attenzione ha trovato il suo senso nella precisa intenzione educativa che sorregge l’azione dei Salesiani a vantaggio dei gio-vani ed adulti dei ceti popolari. Tale intenzione educativa ha condotto i Salesiani a coniugare la formazione professionale con momenti di istruzione, con attività di orientamento, con iniziative formative e ricreative, con proposte di educazione religiosa e di catechesi, pur nella distinzione degli ambiti e dei tempi di intervento. Soggetto ultimo di questo complesso di iniziative educative sono state nel passato e sono tuttora le comunità formative che educano, non solo con l’insieme delle attività formative, ma con l’offerta di un ambiente per se stesso educativo attraverso un clima ispirato allo “spirito di famiglia salesiano” e a stili relazionali e didattici in linea con il trinomio pedagogico di don Bosco “ragione, religione, amorevolezza” nella prospettiva di formare «buoni cristiani ed onesti cittadini». Questa tradizione – afferma Carlo Nanni - si pone come “esperienza fondativa”, da cui non si può fare astrazione se si vuole intendere le posizioni attuali dei Salesiani in materia di formazione professio-nale. E nelle molteplici “questioni disputate” che si vengono ad avere e a vivere in questo campo, questa ispirazione di fondo funziona da «ragione forte» per prese di posizioni precise, identificative e distintive allo stesso tempo, nel contesto del legittimo pluralismo che la legislazione in materia permette e promuove (Nanni, 1991, pp. 89-105). b. L’impianto metodologico della formazione professionale data dalla Legge quadro n. 845/78 Una seconda ragione è data dall’impostazione della legge quadro 845/78 in materia di for-mazione professionale, impostazione che, per molti aspetti, è rimasta inalterata fino ai decenni re-centi. Questa legge è detta “legge quadro” in quanto è a fondamento dei vari sistemi formativi re-gionali, dal momento che questa materia è stata sempre di loro competenza. Per l’argomento che viene trattato, di questo testo legislativo evidenziamo solo due aspetti: l’oggetto della FP e il soggetto abilitato ad erogare il servizio. L’oggetto della formazione professionale si trova formulato nell’articolo 1: «La Repubblica promuove la formazione e l’elevazione professionale in attuazione degli articoli 3, 4, 35 e 38 della Costituzione, al fine di rendere effettivo il diritto al lavoro ed alla sua libera scelta e di favorire la crescita della personalità dei lavoratori attraverso l’acquisizione di una cultura professionale». Il testo legislativo, nel medesimo articolo, afferma che la formazione professionale è «stru-mento di politica attiva del lavoro», si svolge «nel quadro degli obiettivi della programmazione economica”, tende a favorire “l’occupazione, la produzione e l’evoluzione dell’organizzazione del lavoro in armonia con il progresso scientifico e tecnologico». In sintesi, diritto al lavoro e alla sua libera scelta, percorsi formativi imperniati su fasce di mansioni e di funzioni professionali omogenee, crescita della personalità del lavoratore attraverso l’acquisizione di una cultura professionale, nel rispetto dell’unitarietà metodologica tra contenuti tecnologici, scientifici e culturali sono gli aspetti salienti di un progetto che, progressivamente, ha dato vita ad un sistema formativo di competenza regionale, distinto da quello della scuola seconda-ria superiore. Circa il soggetto erogatore, la legge promuove nel sistema formativo professionale regionale il pluralismo dei soggetti basati sulle rispettive proposte formative. All’articolo 3, infatti, la legge-quadro fissa i principi cui le regioni devono uniformarsi per esercitare la potestà legislativa in materia di orientamento e di formazione professionale: «Le regioni esercitano, ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione, la potestà legislativa in materia di orientamento e di formazione professionale in conformità ai seguenti principi: … c) organizzare il sistema di formazione professionale sviluppando le iniziative pubbliche e rispettando la molteplicità delle proposte formative». L’articolo 7, ultimo comma, stabilisce che «I programmi, che devono fondarsi sulla poliva-lenza, la continuità e l’organicità degli interventi formativi, devono poter essere adattati alle esigenze locali ed assicurare il pieno rispetto della molteplicità degli indirizzi educativi». I vari soggetti, quindi, erogatori del servizio della formazione professionale, hanno trovato in questa legge lo spazio per elaborare, per gli allievi che frequentavano i loro Centri di Formazione Professionale, specifiche «proposte formative» e «piani didattici» coerenti con la loro natura di Enti, rispettosi della normativa nazionale e regionale e rispondenti alla domanda formativa degli utenti. Questo sistema, pur diverso in tanti aspetti in quanto rispondente ai vari bisogni territoriali, convergeva progressivamente su alcuni punti. Nella maggioranza delle Regioni si delineava uno specifico percorso formativo: - Unitario-articolato in varie aree (l’area pratico/operativa, l’area tecnologica, l’area scientifica, l’area culturale, l’alternanza formazione / lavoro o stage); - breve ed essenziale (4 cicli della durata massima di 600 ore ciascuno) e centrato su fasce profes-sionali omogenee, connotate da polivalenza, organicità e continuità; - connesso strettamente alle politiche attive regionali del lavoro; - certificato mediante un attestato di qualifica, utile per l’inserimento nel mondo produttivo. Nasceva anche in Italia, secondo una suggestiva immagine di Filippo Hazon, una vera “scuola del lavoro”, alternativa e distinta dalla scuola secondaria superiore, - connotata da interventi centrati sulla professionalità e flessibile dal punto di vista organizzativo, in quanto capace di formare a ogni tipo di lavoro; - dotata di un itinerario didattico imperniato soprattutto sull’alternanza tra formazione e lavoro; - caratterizzata da una metodologia fortemente induttiva; - legata strettamente al mercato del lavoro; - attenta, oltre che alle esigenze delle imprese, anche alle esigenze educative dei suoi utenti, ossia dei giovani che l’avrebbero frequentata (Hazon, 1986, pp. 255 e ss). In conclusione tradizione salesiana, impianto metodologico-didattico e pluralismo degli Enti sono stati alla base della proposta formativa elaborata dalla Federazione CNOS-FAP ed anche della dimensione etico-religiosa. 4.2.5.2. La dimensione etico-religiosa nella “Guida di Cultura Generale” per i CFP (1991) Sin dagli inizi la Federazione CNOS-FAP ha optato per l’espressione «Cultura Generale» all’interno della quale era declinata anche la dimensione etico-religiosa. Parlando di Cultura Generale ci si riferiva al senso antropologico-pedagogico di cultura, vale a dire all'insieme di idee, valori, modelli di comportamento, tecniche espressive ed operative proprie della formazione professionale. Era detta anche “generale”, in primo luogo perché era vista con funzioni di supporto alle altre aree formative (specialmente per ciò che concerneva le abilità cono-scitive di base e le metodologie di studio e di ricerca); in secondo luogo, perché, rispetto alle altre discipline culturali, aveva assegnato, come suo oggetto specifico, l'esplorazione dell'area cosiddetta del «significato» della formazione professionale, vale a dire le idee e i valori ispiratori di fondo di tale formazione. In tal senso in alcuni luoghi si parlava anche di «area umanistica». Posta nell'insieme del corso formativo di qualificazione professionale, la cultura generale ne riceveva una doppia specificazione: a. anzitutto una intenzionalità formativa, vale a dire funzionale alla globalità delle problematiche attinenti la professionalità non riducibile quindi, ad esempio, ad un asettico insieme di informa-zioni socio-economiche; b. in secondo luogo la determinazione contenutistica propria: la prospettiva culturale del lavoro, vista sia nella sua faccia oggettiva di produzione, che nella faccia soggettiva di professionalità. Dopo l’approvazione della Legge Quadro 845/78 le Regioni hanno promosso sperimentazioni per definire il corso di formazione professionale. Di queste sperimentazioni l’area che più ha riflettuto la visione culturale del soggetto pubblico o privato è stata quella dell’area comune o uma-nistica. Una presentazione di alcune sperimentazioni, anche se solo per cenni, ne mostra le peculiarità ma anche le forti differenziazioni. Nella sperimentazione della Regione Piemonte, ad esempio, la Cultura Generale aveva come finalità quella di «promuovere nell’allievo la comprensione del mondo del lavoro nelle sue compo-nenti fondamentali – economico-organizzativo, sindacale contrattuale, sanitario-antinfortunistico e socio-culturale – per porlo in grado di produrre comunicazioni scritte ed orali ad esso sostanzial-mente riferite e di partecipare attivamente e consapevolmente alla vita di lavoro e di relazione nella sua dimensione politica, sociale, economica, culturale», (Nanni, 1985, p. 23). La sperimentazione della Regione Lazio, invece, offriva una impostazione molto neutrale in quanto proponeva, come Cultura Generale, un “Insegnamento di informazione socio – economica” pur inserito in un quadro riferito alla globalità della personalità in sviluppo e alla molteplicità dei rapporti che la formazione professionale intrattiene con i diversi mondi. Una cultura generale, quin-di, attestata sul sociale, sull’economico, sul professionale ma senza alcun riferimento esplicito al personale e ai mondi vitali della vita professionale del giovane (la cultura del sé e la cultura dell’ambiente familiare, locale, civile e, tanto meno, etico-religioso). Più articolata e ricca era la proposta di Cultura Generale contenuta nella sperimentazione della Regione Veneto. In essa obiettivi e contenuti dell'area umanistica venivano scanditi in quattro ambiti disciplinari: - lingua italiana (leggere, scrivere, esprimersi correttamente, con proprietà, essenzialità e chia-rezza); - una lingua europea (leggere e capire, con l'aiuto del vocabolario, brani del linguaggio comune e tecnico-grafici); - storia (capire e ambientare le principali vicende e testimonianze storiche dell'umanità, con par-ticolare riguardo al perìodo che va dalla Rivoluzione Industriale ai nostri giorni); - cultura civica e sociale (conoscere: la Costituzione della Repubblica Italiana e le strutture poli-tico-sociali; i problemi attuali di ordine sociale, economico, industriale, sindacale, morale, reli-gioso e della comunicazione di massa; la legislazione sociale, riguardante il lavoro in generale e il settore grafico in particolare; il contratto collettivo nazionale della categoria). Una prima bozza di proposta di Cultura Generale, elaborata nella metà degli anni Ottanta del secolo scorso dalla Federazione CNOS-FAP, si caratterizzava e si distingueva per alcuni aspetti pe-culiari rispetto alle proposte accennate sopra: a. in primo luogo per ciò che riguardava la scansione dei contenuti. La proposta faceva interagire la professionalità non solo con la trama vitale essenziale entro cui è vissuta e si espande la vita professionale: il sé, gli altri, la società, il mondo oggettivo del lavoro (come è nella proposta della Regione Veneto); ma anche con le finalità assegnate ai singoli cicli (1° ciclo = umanizzare la formazione al lavoro e la scelta professionale; 2° ciclo = socializzare l'esperienza lavorativa nell'insieme della vita di relazione; 3° ciclo = personalizzare la scelta e la pratica professionale all'interno delle strutture e delle procedure professionali e sociali; 4° ciclo = inserirsi con competenza professionale e vitale nel mondo del lavoro), nelle loro articolate dimensioni (personale, sociale, professionale, etico-religiosa). b. in secondo luogo per ciò che riguarda i presupposti teorici. È stato reso esplicito non solo il possibile apporto cristiano alla problematica del lavoro, della professionalità, della formazione professionale, ma anche la specificità del metodo educativo della tradizione salesiana per tali problemi. c. in terzo luogo per la soluzione data alla dimensione etico-religiosa della formazione professio-nale. Così si affermava nella “Premessa” della proposta: «Nella prospettiva della Guida, la dimensione etico-religiosa appartiene di essenza alla cultura generale (sia come trattazioni specifiche, sia come specificazioni possibili all'interno di ciascun tema di modulo o unità didattica) in quanto attinente all'area del significato del lavoro, della professione, della formazione professionale. Essa viene trattata nel rispetto e nei limiti di un insegnamento disciplinare e di una realtà «laicale» quale è la formazione professionale; in tal senso non va equiparata o identificata con la catechesi. Tradizioni locali o esigenze particolari degli utenti possono condurre a prevedere un insegnamento religioso a parte, senza però che questo sia a danno o porti a trascurare la presa di coscienza e l'approfondimento di tale dimensione etico-religiosa, presente nella cultura del lavoro e nella formazione professionale, a vantaggio di utenti di età evolutiva», (Nanni, 1985, p. 29). Negli anni Novanta del secolo scorso la Federazione CNOS-FAP ha aggiornata la proposta della Cultura Generale giungendo ad una nuova formulazione: la Nuova Guida di Cultura Generale per i CFP del CNOS-FAP. Scrive Carlo Nanni, nel presentare la nuova versione: «Nel quadro della proposta curricolare dei CFP del CNOS-FAP, la dimensione etico-religiosa è parte integrante della Cultura Generale, in quanto aiuta a cogliere le ragioni profonde e il significato plenario della attività lavorativa, della vita professionale e della formazione ad esse. E ciò diventa evidente quando si va al fondo delle questioni affrontate, oltre la pura e semplice abilitazione lin-guistico-comunicativa o l'informazione di tipo economico-giuridico o civico-politica. La dimensione etico-religiosa esige uno specifico approfondimento proprio in ordine ad una for-mazione professionale competente e motivata, collocata nell'insieme della vita professionale e co-munitaria. Posta in tale quadro di riferimento, essa viene iene trattata nei limiti e nei modi tipici alla proposta curricolare dei CFP del CNOS-FAP e secondo la strategia pedagogico-didattica propria. Peraltro essa trova completamento e deve cercare coordinazione ed integrazione con le forme di catechesi e con le altre attività formative extracurricolari di tipo religioso che i Centri propongono lungo l'itinerario formativo, in linea con il loro preciso impegno educativo che mira ad una educa-zione globale delle persone degli utenti e con la tradizione pedagogica salesiana. A loro volta queste iniziative extra-curricolari non sostituiscono lo specifico approfondimento etico-religioso curricolare, né si sovrappongono ad esso, sia per contenuti, sia per metodi, sia per finalità dirette e specifiche. Le une e l'altro sono piuttosto da vedere in termini di complementarità e di apporto ad una strategia pedagogica globale, coerente e coordinata. In caso contrario verrebbe ad incrinarsi l'organicità della formazione professionale; si rischierebbero spaccature formative tra quanto viene appreso nell'una e nell'altra sede di apprendimento; si verrebbe a pensare la dimensione etico—religiosa come un corpo estraneo agli intenti della forma-zione professionale, imposto forzatamente dall'ente gestore agli utenti. Ad evitare tale perdita di significatività, potrà essere utile ponderare accuratamente, in sede di programmazione formativa, le modalità di approfondimento della dimensione etico-religiosa, nell'insieme degli interventi formativi, curricolari ed extracurricolari dei diversi Centri e secondo i diversi tipi di intervento o di progetti. E sarà preziosa l'opera di un qualche coordinatore, che curi l'attuazione organica dì quanto si è programmato a livello di Centro e a livello di corso o di progetto (Nanni, 1991, pp. 101-102)». 4.2.5.3. Un sussidio organico elaborato con il coordinamento di Giuseppe Ruta (2007) Una esplicitazione aggiornata degli obiettivi della Cultura Generale elaborata negli anni Novanta del secolo scorso è stata realizzata dalla Federazione CNOS-FAP nel 2007, avvalendosi del coordinamento di Giuseppe Ruta. L’aggiornamento era reso necessario dall’evoluzione normativa riguardante la formazione professionale: l’introduzione dell’obbligo formativo prima (1999) e del diritto-dovere all’istruzione e alla formazione poi (Legge n. 53/03), evoluzione che davano vita ad una nuova stagione di speri-mentazione dei percorsi formativi di durata triennale e quadriennale. Nel suo insieme l’opera realizzata si componeva di una “Guida” per i formatori e tre volumi per gli allievi. La Guida per i formatori aveva come titolo stimolante “VIVERE… Linee guida per i formatori di Cultura etica e religiosa nei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale”. Il percorso formativo di durata triennale era scandito dalla proposta etica e religiosa contenuta in tre volumi: VIVERE IN … 1. L’identità. VIVERE CON … 2. La relazione. VIVERE PER … 3. Il progetto. Rinviando alla lettura dell’opera per una sua conoscenza approfondita, in questa sede ci li-mitiamo ad illustrarne l’impianto complessivo anche per cogliere gli aspetti nuovi rispetto alle for-mulazioni precedenti. «Tre + una. Le grandi aree tematiche Nella strutturazione dei contenuti della Cultura etica e religiosa si è cercato di offrire una proposta unitaria e differenziata che potesse garantire concretamente l’apertura, l’orientamento e la flessi-bilità. È bene dichiarare i criteri dall’inizio. - La suddivisione tematica in quattro aree di cui tre “in verticale” ed autonome (identità - rela-zionalità - progettualità) e una “trasversale” e correlata alle precedenti (responsabilità) non solo permette una scansione temporale triennale (un’area per ogni anno), ma anche può offrire mate-riali per una proposta adeguatamente articolata per un secondo livello di FP. La scansione tripartita o quadripartita non è rigida, ma può garantire una buona flessibilità di-dattica (ad es. spigolando i nuclei tematici che interessano o privilegiando le UA “obbliganti” e tralasciando quelle «opzionali» d’amplificazione contenutistica). È possibile anche combinare insieme le UA per ottenere moduli ad hoc in vista di particolari finalizzazioni didattiche. Ad es. l’abbinamento delle prime UA delle tre aree può offrire un pacchetto di carattere antropologico di base, intersecando la ricerca d’identità, la sfera relazionale e la progettazione di sé in un unico movimento formativo. Si lascia al formatore e al team dei docenti-formatori la possibilità di associare le UA offerte. - Si tende a garantire sia la dimensione cognitiva sia quella riflessivo-esperienziale della CER nei CFP. Il motivo fondamentale che raccorda il cammino è la centralità del soggetto in formazione in corre-lazione con la proposta etico-religiosa del cristianesimo, dato che si sente forte e insopprimibile: «la necessità di accompagnare la persona nella scoperta di se stessa e delle sue ricchezze interiori, di speri-mentare la comunicazione gratuita e vera di questa sua ricchezza e di quella degli altri, accettati come diversi, ma non considerati come un pericolo, di imparare a pensare ed a vivere la propria esistenza come vocazione e missione al servizio degli altri nel mondo» (Domenech Corominas, 1998). Graficamente si ha: 1 IDENTITÀ 2 RELAZIONALITÀ 3 PROGETTUALITÀ 4 R E S P O N S A B I L I T À etica personale etica sociale etica progettuale Questo impianto ha richiesto una ricalibratura dei contenuti possibile mediante una migliore es-senzializzazione e una più adeguata disposizione metodologica «specifica» dei CFP. Per ogni area, che contempera nel proprio ambito dinamiche antropologiche e teologiche, sono of-ferti in connessione sinottica i prerequisiti (come indicatori analitici della situazione iniziale dei soggetti e dei loro requisiti di base), gli obiettivi (come competenze che i soggetti sono chiamati a perseguire), i nuclei tematici (i contenuti esperienziali e culturali da proporre) e degli esempi di sussidiazione. Sono evidenziate con () le Unità di Apprendimento ritenute centrali e in qualche modo obbligatorie, distinte da quelle secondarie che secondo le opportunità possono essere tralasciate ()» (Ruta, 2007° pp. 29-30; 2007b; 2008a; 2008b). La proposta, così articolata, non voleva essere un testo per l’insegnamento della Religione Cattolica ma aveva solo l’ambizione di offrire uno strumento organico e compiuto negli obiettivi e nei contenuti da offrire ai formatori che erano impegnati in questa particolare area. La proposta restava, dunque, coerente con l’impostazione precedente: uno sviluppo articolato della “dimensione etico-religiosa”. 4.2.5.4. Una nuova proposta coordinata da Maurizio Lucillo (2014 e anni successivi) Varie sono state le ragioni che hanno spinto la Federazione CNOS-FAP ad aggiornare la proposta elaborata nel 2007. Una prima ragione è legata alla sperimentazione dei percorsi di IeFP. Questa, iniziata nell’anno 2003 e continuata per quasi un decennio, ha permesso di mettere a punto un percorso formativo di durata sia triennale sia di un ulteriore anno formativo con il conseguimento di un di-ploma professionale. Sotto questo aspetto la proposta del 2007 era carente perché impostata solo su un percorso di durata triennale. Una seconda ragione è legata all’evoluzione normativa. A partire dalla legge n. 53/03 il se-condo ciclo del sistema educativo di Istruzione e Formazione comprende il (sotto)Sistema dell’Istruzione Secondaria Superiore e il (sotto)Sistema dell’Istruzione e Formazione Professionale (IeFP). Il Decreto Legislativo n. 226/05, attuativo della legge n. 53/03, tra i livelli essenziali delle prestazioni relativi al secondo ciclo che dovevano essere garantiti dallo Stato, prevede all’articolo 18, comma 1, lettera c) l’insegnamento della Religione Cattolica. L’Accordo Stato Regioni del 27 luglio 2011, nel mettere a regime il (sotto)Sistema di IeFP, ha riformulato quella parte che, tradizio-nalmente, veniva denominata l’area comune. Nell’Accordo citato sono stati definiti gli standard minimi formativi nazionali delle competenze di base (competenza linguistica, competenza matema-tica, scientifico-tecnologica, competenza storico, socio-economica) che devono essere garantite al termine del 3° e del 4° anno della IeFP. In attuazione del nuovo Concordato del 1984 è stata firmata una Intesa tra il MIUR e il Presidente della Conferenza episcopale italiana per l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche (28 giugno 2012). L’Intesa prevede, per la prima volta, li-nee guida per l’insegnamento della religione cattolica nell’Istruzione e Formazione Professionale contenenti indicazioni di competenze da raggiungere al termine del primo biennio, del terzo anno e del quarto anno formativo. Uno scenario così mutato ha spinto la Federazione CNOS-FAP ad aggiornare la proposta della dimensione etico-religiosa elaborata negli anni precedenti affidando il compito all’Università Pontificia Salesiana. Il riferimento per la stesura del nuovo progetto sono state, dunque, le Linee Guida del 2012, il cui assunto fondamentale è il riconoscimento del valore della cultura religiosa e il contributo che i principi del Cattolicesimo offrono alla formazione della persona ed al patrimonio storico, culturale, civile del popolo italiano. Alla luce delle competenze da raggiungere al termine del biennio, del terzo e del quarto anno, i curatori dei volumi, Lucillo Maurizio e Roberto Romio, hanno formulato un itinerario così scandito: - l’incontro tra l’adolescente e la religione (1° anno); - i grandi temi della fede cristiana (2° anno); - le riflessioni sull’uomo (3° anno); - la costruzione della professionalità (4° anno). Nell’insieme, l’opera è composta di 4 volumetti, uno per ciascun anno formativo e una guida all’intera opera; adotta un linguaggio semplice, adatto agli allievi della IeFP; fa riferimento al vissuto e agli interessi degli adolescenti; è scandito da nuclei tematici, articolati a loro volta in una o più Unità di Apprendimento; è corredato e supportato anche da sussidi multimediali. Così si esprimono gli autori: «Punto di partenza privilegiato è la persona dell’allievo, con il suo vissuto sia interiore che relazionale, dal quale emergono interrogativi di significato, che avviano un processo di ricerca, il quale viene portato, nel contesto didattico, ad un confronto con la fede religiosa cristiana. Il sussidio è composto da una sequenza di percorsi che consentono l’accostamento a tutti i nuclei tematici che costituiscono i contenuti della fede religiosa cristiana». (Maurizio, in corso di stampa; Maurizio 2014; Maurizio 2015; Maurizio 2016; Maurizio 2017). Si tratta di un sussidio che rispecchia ancora la scelta di fondo della Federazione, la forma-zione della dimensione etico-religiosa, anche se più vicino, nella sua formulazione, ad un libro di testo per l’Insegnamento della Religione Cattolica che tiene conto delle linee guida del 2012. 4.2.5.5. Oggi ancora “Dimensione etico-religiosa” o “Insegnamento della Religione Cattolica”? La domanda, a nostro parere, non ha ancora una risposta definiva. Ci limitiamo, pertanto, a tratteggiarne i termini della questione, riportando quanto scritto recentemente su Rassegna CNOS: «Anzitutto, vale la pena ricordare il motivo principale dell’inserimento dell’Irc nell’IeFP, operato dalle Indicazioni generali per il secondo ciclo d’intesa tra Miur e Cei . In proposito va tenuto pre-sente che non è questa l’unica posizione emersa precedentemente nel relativo dibattito in quanto non era mancato chi aveva sostenuto l’inapplicabilità della normativa del Concordato sull’Irc alla IeFP perché gli attuali percorsi di IeFP, di competenza delle Regioni, pur appartenendo oggi al sistema educativo di istruzione e formazione italiano in quanto inseriti nel secondo ciclo, non sarebbero identificabili con i percorsi propri del (sotto)sistema “Istruzione Secondaria Superiore”, ma sarebbero distinti da questi, e anche perché le istituzioni formative di ispirazione cristiana sono or-ganizzazioni di tendenza che godono della libertà di elaborare nel proprio progetto educativo mo-dalità di insegnamento della religione cattolica che si articolano con un ordinamento che non coin-cide con quello pattizio. Per i sostenitori della estensione alla IeFP la ragione è da ricercarsi nell’unitarietà del secondo ciclo di istruzione e formazione, che costituisce un caposaldo delle recenti riforme a partire da quella Moratti; l’IeFP non è più solo formazione, ma anche istruzione e consente alla pari degli altri seg-menti di assolvere l’obbligo di istruzione, assicurando a tutti i giovani il conseguimento delle me-desime competenze di base. L’Irc rientra certamente nell’area comune di tutti gli indirizzi di studio del secondo ciclo e se venisse a mancare sarebbe qualcosa di essenziale che l’IeFP si troverebbe a non offrire ai suoi allievi sul piano della loro formazione integrale. Venendo ora ai problemi e alle potenzialità, un primo aspetto da considerare riguarda la catego-rizzazione che dal dettato concordatario discende per la IeFP come scuola pubblica non universi-taria. Dei tre termini, due non sollevano alcuna perplessità: la IeFP non si può certamente classifi-care come università e va qualificata altrettanto sicuramente come un servizio pubblico, anche se a gestione non statale. I dubbi emergono riguardo all’applicazione del concetto di scuola che, se deve essere mantenuto in relazione al riconoscimento dell’opportunità di assolvere l’obbligo di istruzione all’interno della IeFP, al tempo stesso va precisato che deve essere inteso come espressione generica, comprensiva di tutti i segmenti scolastico-formativi che rientrano nell’unico sistema del secondo ciclo. Tutto questo fa pensare a una estensione di natura analogica del termine alla IeFP di cui però si sono un po’ perse le tracce nelle successive riflessioni ed elaborazioni. Un secondo aspetto riguarda il rapporto tra facoltatività dell’Irc e ispirazione cristiana delle istitu-zioni formative dato che queste sono spesso frequentate in percentuali consistenti da giovani migranti di religione non cattolica, per molti dei quali lo studio dell’Irc può apparire in contrasto con la propria fede. Se è vero che l’Irc non può più essere catechesi, e di fatto non lo è più, è anche vero che la cultura di giovani e di famiglie che per le loro tradizioni non sono in grado di applicare il concetto di laicità alle tematiche di natura religiosa, può costituire un ostacolo insormontabile, anche se spesso tali problematiche sono risolte in concreto dando la priorità ai bisogni formativi degli allievi e sacrificando qualcosa della natura dell’Irc. Certamente potrebbe aiutare a trovare una soluzione equilibrata a questo problema la valorizzazione della tradizione dei CFP di ispirazione cristiana di offrire un’area di contenuto religioso, integrata o distribuita nel quadro della cultura civica o etica insegnata al loro interno, evitando comunque ogni forma di catechesi o di proselitismo perché secondo il Concordato l’Irc è possibile solo se inserito nel quadro delle finalità della scuola. Inoltre, si potrebbe potenziare quanto emerso dalla ricerca, cioè che gli allievi di religione non cattolica scelgono l’Irc per la sua valenza formativa e culturale. In ogni caso, se la facoltatività dovesse produrre numeri consistenti di allievi che non scelgono l’Irc, sorgerebbe il problema economico del supporto ad attività alternative. Infatti, ad oggi le modalità di finanziamento della IeFP non preve-dono misure specifiche per iniziative a favore dei non avvalentisi. Un altro ambito di criticità è costituito dalla formazione e dal ruolo degli Idr. Questi sono stati di-segnati dal Concordato sulla base del profilo degli insegnanti dei diversi ordini e gradi di scuola per cui la qualificazione degli Idr della IeFP risulta per vari aspetti sovradimensionata in paragone a quella di molti formatori. Ne consegue l’impossibilità di continuare nella pratica di affidare l’Irc o un insegnamento di carattere più genericamente religioso a formatori già in servizio, i quali gene-ralmente mancano dei requisiti specifici di formazione accademica in materia teologica, anche se il problema potrebbe essere risolto con l’introduzione di un regime transitorio, subordinato a interventi di formazione in servizio come si è fatto in casi simili. Oltre ai titoli, non vanno dimenticate altre due condizioni: l’idoneità da cui non può esentare l’ispirazione cristiana dell’istituzione formativa e la nomina d’intesa con l’autorità ecclesiastica per la quale si dovrà pensare a un’applicazione analogica della normativa in vigore per le scuole statali a motivo del carattere regionale dello statuto giuridico del personale della IeFP. Sempre per analogia si può pensare che l’Irc possa disporre di un’ora settimanale che, però, nella IeFP di ispirazione cristiana deve essere considerata, a parere della Cei, come minimale. Inoltre l’Irc, in quanto disciplina scolastica, deve potersi servire di propri libri di testo, ma ciò è destinato a causare problemi nell’IeFP che invece tradizionalmente tende a non utilizzare tali sussidi, come è emerso anche dai risultati dell’indagine citati sopra. Più in generale, riguardo alla dimensione di-dattica dell’Irc si può dire che la strutturazione scolastica che discende dal Concordato, caratteriz-zata da programmi, libri di testo e valutazione formale, è destinata ad essere di impedimento nel momento in cui la si trasferisce nell’IeFP, che certamente non si ispira al modello scolastico. Pro-grammi , libri di testo e valutazione formale nella IeFP, infatti, sono piuttosto lontani dalla nor-mativa scolastica, ancor più in questo periodo in cui la IeFP si connota, anche a seguito della spe-rimentazione avviata attraverso il “sistema duale” , sempre più come “agenzia per il lavoro”. In conclusione probabilmente il risultato sarebbe stato diverso se nell’inserimento dell’Irc nella IeFP si fosse tenuto conto degli aspetti validi del paradigma formativo e si fosse tentata una ibridazione tra i due modelli, scolastico e della FP. Alla luce delle considerazioni riportate in questo articolo, tuttavia, le criticità segnalate potrebbero diventare oggetto di una specifica riflessione per declinare l’inserimento dell’Irc in maniera più coerente con la normativa del sistema di IeFP» (Malizia - Pieroni - Tonini, 2017, pp. 91-110). 4.2.6. L’alleanza con le famiglie Per presentare questa tematica utilizzeremo i risultati di una ricerca sul campo realizzata dalla Sede Nazionale del CNOS-FAP (Orlando, 2014). L’indagine ha affrontato un ampio ventaglio di problematiche tra cui anche quella della collaborazione educativa tra CFP e famiglie degli allievi: in ogni caso, la nostra disamina si focalizzerà solo su tale argomento. Significativa è anche l’ottica in base alla quale si affronterà la tematica in analisi: si tratta delle opinioni di un campione rappre-sentativo di 738 iscritti al CNOS-FAP che hanno risposto alle domande di un questionario molto ar-ticolato. Una prima area di attenzione ha cercato di identificare le proposte che i Centri fanno alle famiglie degli allievi per sostenerle nello svolgimento della loro funzione educativa nei confronti dei figli. Una maggioranza relativa dei giovani (40,2%) segnala che i loro CFP hanno offerto corsi di formazione ai genitori che in maggioranza (26,8%) vi hanno partecipato qualche volta e solo poco più del 10% (13,8%) spesso. Molto meno diffuse sono, invece, le associazioni per i genitori che sono state indicate dall’11,5% degli intervistati. In sintesi, si può affermare che diversi CFP assicurano almeno una certa offerta educativa alle famiglie. Passando alla partecipazione alla vita dei CFP, sono gli incontri con i formatori ad ottenere i maggiori consensi con le segnalazioni di spesso che si avvicinano al 50% (48,4%) e quelle di qualche volta che superano un terzo (35,1%); la stessa logica della cura del proprio figlio colloca, anche se a una certa distanza ma al secondo posto sia quanto a partecipazione assidua (29,5%) che in forma meno sistematica (39,2%), il coinvolgimento nelle decisioni su situazioni educative e disciplinari problematiche. In terza posizione si situa la partecipazione ad attività di natura extrascolastica. Anzitutto, si tratta del coinvolgimento in incontri periodici e/o in assemblee di programmazione e di gestione di alcune attività interne (spesso, 24,5%, e qualche volta, 36,2%). Segue la partecipazione a feste e a celebrazioni religiose (rispettivamente 16% e 36,3%) e a manifestazioni sportive, culturali e a gite (12,5% e 30,6%). Il coinvolgimento dei genitori in attività di natura istituzionale risulta meno diffuso e fre-quente. La definizione del progetto educativo vede una partecipazione che è considerata assidua so-lo nel 15,6% dei casi, anche se una frequenza occasionale riceve con il 40,4% il massimo dei con-sensi in questo tipo di risposta. L’altra forma di coinvolgimento istituzionale riguarda la partecipa-zione agli organi collegiali dei CFP e le percentuali sono più basse: 14,5% e 37,9% rispettivamente. La tematica è stata approfondita con un’altra domanda. Il questionario ha chiesto agli allievi di precisare le ragioni che avevano spinto i genitori a non partecipare alle attività offerte alle fami-glie. Il primo motivo che viene segnalato da una maggioranza assoluta di intervistati (51,1%) consi-ste nella mancanza di tempo. Le altre ragioni si collocano a notevole distanza: meno di un quinto (17,1%) ritiene che i genitori non siano interessati alle iniziative proposte dai CFP e intorno al 10% (11,1%) si lamenta che non si sentono adeguatamente coinvolti o evidenzia che non credono di poter essere di aiuto al CFP (8,1%). Una terza tematica molto significativa riguarda le relazioni dei genitori con i formatori. Una domanda si occupa in prima istanza di verificare la qualità dei rapporti. Le risposte sono in generale positive: il 60% quasi (56,1%) dichiara che sono di reciproco rispetto; poco al di sotto del 50% (47,3%) li qualifica come sereni e accoglienti e più del 40% (43.5%) li ritiene collaborativi. Le va-lutazioni negative sono segnalate da percentuali poco rilevanti: nell’11,5% dei casi si parla di rela-zioni professionali, ma distaccate, e tra il 2% e l’1% si collocano le indicazioni più critiche come rapporti inesistenti (2,4%), freddi (2%) o conflittuali (1,1%). Successivamente vengono approfondite le ragioni della cooperazione tra genitori e formatori, sempre secondo la prospettiva degli allievi. La motivazione che ottiene la maggioranza relativa dei consensi (43,4%) si presenta piuttosto formale: la collaborazione serve per far osservare le regole da parte degli allievi. Intorno a un terzo si collocano delle ragioni più significative da un punto di vista educativo, in quanto riguardano l’accompagnamento dei giovani: più in particolare, la cooperazione mira ad aiutarli a risolvere i loro problemi (35,4%) e ad aumentare il rendimento nei percorsi formativi (33,7%). Minore rilevanza ricevono degli obiettivi che in un CFP di ispirazione cristiana dovrebbero occupare il centro dell’attenzione e cioè l’educazione morale, spirituale e religiosa; tuttavia essi sono presenti e operanti nei CFP del CNOS-FAP e le percentuali non sono troppo basse perché si collocano tra il 30% e il 20% e riguardano le finalità di migliorare i comportamenti degli allievi (28,9%), sviluppare le doti personali (22,8%) e trasmettere valori (19,6%). La collaborazione non incide su un aspetto importante dell’educazione della personalità dei giovani e cioè l’aiuto a scegliere gli amici, mentre stupisce che più di un quinto degli intervistati non abbia preso posizione sulle ragioni della cooperazione tra genitori e formatori. La valutazione sufficientemente positiva dei rapporti tra le famiglie e i CFP trova un riscon-tro indiretto nelle percentuali veramente modeste di quanti segnalano la presenza di aspetti conflit-tuali. Appena intorno al 10% lamenta casi di disaccordo sui voti (11%), sul rendimento complessivo (9,8%) o sulla gestione della classe (8,5%). Egualmente pochi sono quelli che riferiscono tensioni sul comportamento disciplinare (8,7%), sullo stile di vita complessivo degli allievi (7,2%) e sui rapporti con i compagni di classe (4,9%). Sulla base di tutti i risultati della ricerca si è riusciti a costruire tre tipologie di famiglie di cui presenteremo quelle caratteristiche che interessano le tematiche qui in esame. La metà quasi degli intervistati (47,9%) appartengono a famiglie che si possono considerare sane e normali. Le ragioni di questa valutazione vanno viste nella natura delle relazioni tra genitori e figli in cui generalmente prevale intesa e accordo. Questo si riscontra anche per i rapporti tra le famiglie, i formatori e i CFP del CNOS-FAP che risultano, come si è visto sopra, collaborativi, accoglienti e di reciproco rispetto. Il clima d’intesa riguarda sia l’andamento negli studi sia soprattutto la trasmissione dei valori e l’apertura fiduciosa al futuro per cui la vita degli allievi si svolge in un orizzonte in cui la fede gode di una collocazione centrale. In questo contesto positivo i genitori si fanno coinvolgere nella vita dei CFP e gli operatori del CNOS-FAP dimostrano di conoscere sufficientemente la situazione delle famiglie. Un altro raggruppamento fa riferimento a un quinto circa degli intervistati (19,4%). Le loro famiglie si caratterizzano per una situazione che comprende al tempo stesso elementi di intesa e di conflittualità: la prima riguarda la normalità della loro costituzione e la seconda le problematiche per l’educazione dei figli. Questi ultimi lamentano relazioni non molto buone con i genitori, anche se non hanno difficoltà a parlare con la mamma. I rapporti con i formatori e il CFP sono conflittuali circa i comportamenti e gli stili di vita, mentre c’è sufficiente accordo per quanto riguarda la valuta-zione degli apprendimenti dei figli. In questo caso il coinvolgimento delle famiglie nella vita dei CFP risulta piuttosto modesto. L’ultima tipologia di famiglie comprende un terzo circa del campione (32,7%) e in un certo senso il suo identikit è un’immagine rovesciata del primo raggruppamento. Infatti, in queste famiglie prevalgono le tensioni e le difficoltà. Le relazioni dei figli con i genitori tendono ad essere pro-blematiche anche perché manca tra loro il dialogo e il codice familiare appare piuttosto variabile. I primi non considerano la fede in Dio qualcosa di rilevante per la loro vita; inoltre, il loro percorso scolastico si caratterizza per le difficoltà e gli insuccessi. I genitori tendono a non farsi coinvolgere nella vita dei CFP; tuttavia dimostrano rispetto per la struttura e i formatori, mentre la fiducia in loro e soprattutto la collaborazione vengono a mancare. In conclusione si può dire che le relazioni tra le famiglie e i CFP del CNOS-FAP sono suffi-cientemente positive. Infatti, nella metà quasi dei casi lo sono pienamente, mentre nell’altro 50%, pur essendo presenti aspetti problematici, tuttavia rimangono dimensioni che trovano consensi tra i genitori. Questa situazione non può accontentare il CNOS-FAP che fa dell’alleanza con le famiglie un elemento centrale del suo progetto formativo. La ricerca di cui abbiamo presentato i risultati principali insiste sulla necessità di farsi carico delle esigenze educative delle famiglie e di adottare le strategie più valide per instaurare con loro collaborazioni solide. Per orientamenti più dettagliati ci permettiamo di offrire dei suggerimenti relativi soprattutto alla compartecipazione/corresponsabilità dei genitori che, sebbene elaborati già da qualche anno, tuttavia mantengono a nostro parere auna loro validità almeno come quadro di riferimento (Malizia - Cicatelli - De Giorgi - Pieroni - Stenco, 2003; Malizia, 2015). 1) Nel coinvolgere i genitori nella vita della scuola/CFP non è sufficiente dare la parola e servirsi della loro consulenza, ma occorre fornire opportunità reali, che li mettano in grado di esercitare un proprio peso decisionale nell’azione formativa. 2) Inoltre pare necessario promuovere nella scuola/CFP attività specifiche per soli genitori, in forma programmatica e continuativa; tali attività infatti dovrebbero riguardare non solo iniziative a scopo ricreativo e culturale, ma anche più precisamente formativo. 3) Il coinvolgimento dei genitori non dovrebbe limitarsi all’organizzazione di attività extracurrico-lari, alla progettazione/realizzazione di manifestazioni religiose, ma dovrebbe estendersi ai pro-cessi di innovazione, alla scelta degli indirizzi e delle sperimentazioni, ai problemi disciplinari, alla determinazione degli orari e all’acquisto di strumenti e attrezzature. 4) Il riconoscimento di un ruolo dei genitori nella elaborazione del progetto educativo dovrebbe essere esteso a tutte le scuole/CFP. Ovviamente si tratterà di un ruolo complementare rispetto agli insegnanti e ai formatori, anche se non subordinato, e consisterà in una funzione consultiva e propositiva. 5) Bisogna fare in modo che non siano soltanto i genitori a venire alla scuola/CFP, ma anche quest’ultima dovrebbe andare presso le famiglie; in altre parole, spetta anche alla scuola/CFP partecipare con una presenza attiva e dinamica ai principali avvenimenti che riguardano la fa-miglia dell’allievo, così da far sentire la propria “vicinanza” e presenza anche all’interno del suo contesto di appartenenza. In tal modo l’alunno potrà sperimentare che il processo formativo non comincia con il varcare la soglia della scuola/CFP e non cessa quando egli si reinserisce nella vita sociale. 6) Risulta assai evidente la necessità che tutte le scuole/CFP si impegnino efficacemente a intro-durre e a sviluppare l’associazionismo per genitori e ad assicurare agli stessi un ruolo protago-nista e attivo nella conduzione delle scuole/CFP, in particolare la presenza e il funzionamento degli organi collegiali. 7) Nell’incontrare i genitori durante i colloqui periodici occorrerà portare l’attenzione non solo sull’andamento del figlio ma allargare la visione a tutta la vita della scuola/CFP, cosicché il ge-nitore avverta l’importanza di un progetto educativo integrale e se ne senta parte in causa. 8) Sarà necessario attivare tra scuola/CFP e famiglie degli alunni forme frequenti di comunicazione (servendosi dei vari e più moderni strumenti) che consentiranno di far entrare nelle famiglie “la voce” della scuola/CFP. In altre parole bisognerà mettere i genitori a diretta conoscenza delle at-tività svolte, delle decisioni prese, delle iniziative avviate, in modo che non si possa più dire di “non sapere”; e al tempo stesso si tratterà di invitare i genitori ad assumersi anch’essi le proprie responsabilità in rapporto a tutto ciò che si sta facendo in favore del figlio e della scuola/CFP nelle sue polivalenti espressioni operative. 4.2.7. Il Centro di Formazione per il lavoro, motore della buona formazione: prospettive di futuro Nel 2015 la Sede Nazionale del CNOS-FAP ha deciso di accompagnare il dibattito su “La Buona Scuola”, dedicando tre articoli a “La Buona Formazione” perché senza di essa non ci può es-sere buona scuola, nonostante lo “scolasticismo” di tanti politici, amministratori e pedagogisti del nostro Paese. Riproponiamo qui di seguito in buona parte il testo dell’ultimo saggio pubblicato su “Rassegna Cnos” che ha chiuso il dibattito, occupandosi soprattutto delle dimensioni comunitarie e organizzative in relazione con l’ambiente esterno (Malizia - Tonini, 2015a e b). Alla fine aggiunge-remo il riferimento a una nuova sfida: il CFP come impresa formativa non simulata. 4.2.7.1. Il CFP come comunità formatrice L'educazione è opera comune, presuppone un accordo di base sulle finalità, i contenuti, le metodologie da parte di tutte le componenti del centro (Malizia - Tonini, 2012; Malizia - Cicatelli - Fedeli - Pieroni, 2008). Una formazione efficace esige la costruzione di una comunità che sia allo stesso tempo soggetto e ambiente di educazione, centro propulsore e responsabile dell’esperienza formativa, in dialogo aperto con la comunità territoriale e con la domanda di sviluppo integrale della persona che proviene dai giovani. Anche nella FP la centralità della comunità formatrice significa promozione integrale delle persone; in questo caso, tuttavia, tale finalità prioritaria viene raggiunta attraverso l'acquisi¬zione di un ruolo professionale qualificato e di una specifica cultura professionale (Malizia - Tonini, 2012; Cnos-Fap, 2008 e 1989). Più in particolare la preparazione del soggetto lavoratore richiede la formazione a una serie di valori di base. Il primo di questi consiste evidentemente nella qualificazione profes¬sionale che dovrà con-sentire l'inserimento in maniera fattiva e dignitosa nel mondo del lavoro. Al tempo stesso la piena realiz¬zazione umana del soggetto lavoratore richiede la formazione della identità e della coscienza personale, la maturazione della libertà responsabile e creativa, sostenuta da conoscenze e moti-vazioni solide, lo sviluppo della capacità di relazione, di solidarietà e di comunione con gli altri, come egualmente della capacità di compartecipazione responsabile, sociale e politica. Sulla base di tali valori il destinatario della FP sarà posto in grado di esercitare un ruolo professionale specifico. Egli saprà affrontare la realtà, soprattutto quella lavorativa, con un ap-proccio globale in cui sa investire non solo la propria competenza, ma anche la propria identità personale totale; in tale accostamento si dimostrerà capace sia di mettersi in atteg¬giamento critico nei confronti anche delle conquiste del progres¬so scientifico e tecnologico, sia di far emergere nella trasfor¬mazione della realtà umana e materiale i fermenti positivi di solidarietà, di sviluppo e di servizio in vista del bene comune. Pertanto, egli potrà superare la contrapposizione artificiosa tra uomo e lavoratore e più in generale potrà vivere nel lavoro e nell'insieme della sua vicenda esisten-ziale la dimensione etico-religiosa, personale e comunitaria. In questo senso è messo in grado di ri-spondere alle complesse attese che la società post-industriale ha nei suoi riguardi. L'altro volano della centralità della formazione è costitui¬to dalla scelta di educare all'eserci-zio di una professionalità matura attraverso la proposta di una cultura che è professionale, umanistica ed integrale. In altre parole tale cultura sarà foca¬lizzata sulla condizione produttiva che, a sua volta, va inqua¬drata in una concezione globale dell'uomo e che ottiene la sua piena significatività nella dimensione etica e religiosa. Se si vuole passare agli obiettivi educativi, la FP offerta nel modello organizzativo che stia-mo proponendo dovrà fornire occa¬sioni significative per assumere e maturare conoscenze, atteggia-menti, comportamenti e abilità operative coerenti con l'esercizio efficace ed efficiente della profes-sione per cui ci si prepara o ci si riqualifica. Bisognerò anche abilitare a percepire e ad assumere gli elementi necessari per l'esercizio di un ruolo professionale adeguato. Inoltre, occorre-rà elaborare un itinerario di formazione culturale e professionale che miri a: umanizzare la for-mazione al lavoro e la scelta professionale; integrare l'esperienza lavorativa nell'insieme della vita di relazione; personalizzare la scelta e la pratica professionale all'interno delle strutture e delle procedure professionali e sociali; inserire il soggetto con competenza professionale e vitale nel mondo del lavoro e nella società. In sostanza la FP è chiamata a rispondere alla domanda personale e sociale di formazione professionale, non solo in termini quantitativi, ma anche qualitativi e globalmente umani. È a questo livello che si manifestano vari aspetti problematici. L'adeguamento dei processi di insegna-mento/apprendimento all'in¬novazione scientifico-tecnologica può risultare meramente funzionale alle imprese e tradursi in forme di selettività sociale. La domanda di autorealizzazione, se da una parte fonda l'istanza della personalizzazione dei percorsi formativi, dall'altra non è immune dal pericolo del ripiegamento nell'individualismo e nel corporativismo. Né va dimenticata la crisi delle ideologie che avevano sostenuto finora l'impegno del movimento operaio a favore della giustizia sociale o il grado particolarmente elevato di frammentazione culturale e strutturale che crea confusione e disorientamento. Sono tutte problematiche che esigono il raffor¬zamento dell'impegno per la formazione di un quadro di valori e di atteggiamenti personali di fondo Nei centri di ispirazione cristiana l’identità e l’azione educativa comunitaria trovano un ulte-riore riferimento fondativo e prospettico nella concezione cristiana della vita (Malizia, Cicatelli, Fe-deli e Pieroni, 2008; Perrone, 2008). La base è costituita anzitutto dal mistero trinitario del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, dalla dimensione comunitaria e relazionale che li unisce, dalla natura di un Dio che si manifesta come amore, paternità amorosa, dedicazione cristica e vivificazione dello Spirito, e dalla visione di una Chiesa, Corpo di Cristo e comunione che si estende in senso orizzontale e verticale. La tradizione educativa cristiana ha sempre ritenuto l'ambiente come formativo per se stesso (Nanni, 2008; Malizia - Tonini - Valente, 2008). Esso va inteso come l'insieme di elementi coesistenti e cooperanti, tali da offrire condizioni favorevoli al processo formativo in cui persone, spazio, tempo, rapporti, insegnamenti, studio, attività diverse sono elementi da considerare in una visione organica. L'ambiente formativo abbraccia l'habitat del centro e la comunità, e quest'ultima in se stessa e nella sua apertura alle famiglie, alla comunità ecclesiale, allo Stato e alla società civile. In quanto ambiente educativo cristiano, esso, per essere realmente permeato di carità e libertà, deve essere umanamente e spiritualmente ricco, caratterizzato da semplicità e povertà evangelica pur nella modernità delle attrezzature, qualificato da un clima comunitario, di partecipazione corresponsabile e di confidenza e spontaneità. Con tali punti di riferimento, perciò, il CFP di ispirazione cristiana, adottando un modello aperto di razionalità, deve promuovere l'assimilazione critica e sistematica del sapere e nell'attua-zione di questo compito si presenta come comunità formatrice che punta al coinvolgimento di tutti nell'opera formativa, alla gestione sociale da parte della comunità cristiana e alla vocazione a pro-durre cultura educativa. La comunità è perciò elemento fondante dell'educazione cristiana, poiché non si basa tanto nella tolleranza o nel semplice rispetto della libertà altrui quanto nella considera-zione dell'altro come offerta di una ricchezza che ci libera dal nostro egoismo e che si presenta con i tratti del volto di Cristo. Inoltre, se la Chiesa è anzitutto comunione, la scuola cattolica non può che definirsi in primo luogo come comunità, la quale diviene centro propulsore e responsabile di tutta la sua vita. Prima ancora che scelta pedagogica, si può quindi affermare che l'identità comunitaria del centro di ispirazione cristiana abbia un fondamento teologico nella natura della Chiesa e nella di-mensione relazionale che sottostà alla stessa Trinità e alla natura di un Dio che si rivela come amore. In questo ambiente comunitario la natura propria delle relazioni va identificata nello spirito di libertà e di carità. Come ogni vera comunità di persone, il CFP di ispirazione cristiana deve vivere di libertà e nella libertà, ma è soprattutto suo compito educare alla libertà, intesa come acquisizione di una adeguata capacità di prendere decisioni responsabili, specialmente in una società come l’attuale che tende a condizionare fortemente in senso negativo l’esercizio della libertà. Comunque, la pienezza dell’identità della comunità nel CFP di ispirazione cristiana deve essere ricercata nella carità che consiste nel lasciarsi guidare dall’amore di Dio e nel farsi servi gli uni degli altri: essa è così essenziale per la sua natura che, anche se esso insegnasse la cultura e la scienza nel modo più efficace, ma non fosse palestra viva di carità, non potrebbe essere considerato vera scuola/centro cattolico (Perrone, 2008). 4.2.7.2. Il CFP come organizzazione di servizi formativi per il lavoro A cavallo dei due millenni nei CFP si erano verificati fenomeni di involuzione burocratica (Malizia e Tonini, 2012; Malizia e Cicatelli, 2015). Infatti, non infrequentemente si notava una fo-calizzazione eccessiva sui bisogni degli operatori a scapito dei destinatari; inoltre, non mancavano casi in cui si privilegiava il controllo normativo sulle procedure rispetto alla verifica sostanziale sui risultati. In reazione a questi segnali degenerativi si è andata diffondendo l’esigenza di elaborare un modello alternativo al CFP tradizionale: più specificamente ne sono emersi tre e si tratta del CFP strategico, di quello agenziale e di quello polifunzionale. Qui ci limitiamo a ricordare sinteticamente il terzo che è quello adottato dal CNOS-FAP, mentre per la descrizione critica degli altri due riman-diamo a Malizia - Tonini, 2015a. Il modello polifunzionale, che fa capo al Cnos-Fap e alle sue ricerche, si qualifica per essere al tempo stesso formativo, comunitario, al servizio della persona, progettuale, coordinato/integrato, aperto e flessibile (Malizia - Tonini, 2012; Malizia - Cicatelli, 2015); questi aspetti sono state trattati ampiamente sopra ai nn. 2.2 e 3.3.2 per cui non verranno riesaminati qui. Ci soffermeremo invece su due dimensioni nuove che la crisi dell’ultimo decennio, in particolare quella del crollo dell’occupazione e della “desertificazione industriale del Sud”, ci hanno convinto di aggiungere (Salerno, 2015; Nicoli, 2015). Per effetto della prima problematica (Malizia e Gentile, 2015 e 2016), il CFP va considerato anche come centro di formazione professionale per il lavoro. Da qualche anno è in corso un allar-gamento delle funzioni dei centri in relazione ai servizi attivi per l’occupazione, indirizzati agli allievi dei corsi e agli adulti coinvolti nelle diverse transizioni della vita relative al loro lavoro. Di conseguenza i CFP si caratterizzano sempre di più come presidi per lo sviluppo delle risorse umane sul territorio. In proposito si prospetta la costituzione di una rete nazionale di centri al fine di para-gonare prassi e di organizzare la nuova configurazione del CFP, di stabilire collaborazioni, di rea-lizzare scambi di pratiche e di predisporre un progetto di comunicazione integrato per divulgare la notizia della loro presenza sul territorio tra le persone, gli enti e i media. La legge sul Jobs Act, n. 14/183 offre da questo punto di vista varie opportunità di sviluppo. Nel modello polifunzionale va anche prevista la creazione del laboratorio “CFP per il Mez-zogiorno”, tenuto conto delle percentuali molto elevate di dispersione scolastica e di disoccupazione giovanile che si riscontrano al Sud e del rischio di sottosviluppo permanente che questa parte del Paese corre (Svimez, 2015). Anzitutto, si mirerà a contrastare la graduale sparizione della formazione professionale nel Meridione, rilanciandola in maniera efficace. Si propone anche un modello di centro, capace di rispondere ai bisogni dei territori, comprensivo di servizi educativi e occupazionali per le persone e le imprese e in grado di raccordare recupero sociale, laboratori formativi e formule di alternanza e di diventare vivaio di ricerca autonoma del lavoro e di startup di impresa. 4.2.7.3.Il formatore come educatore professionale nella IeFP Per delineare efficacemente questa figura, bisogna partire dalle mete e dagli standard che regolano il sistema di offerta sotto forma di saperi e competenze, articolati in abilità/capacità e co-noscenze (Malizia e Cicatelli, 2015; Malizia, Nanni e Tonini, 2012; Malizia, Nicoli e Clementini, 2008; Nicoli, 2011abc e 2014). Tali mete e standard, in quanto livelli essenziali delle prestazioni, mirano alla riconoscibilità e comparabilità degli apprendimenti a garanzia degli utenti e degli altri soggetti coinvolti. Essi costituiscono il parametro di riferimento per la valutazione degli apprendi-menti dei destinatari. La competenza non è un fenomeno assimilabile al saper fare, ma un modo di essere della persona che ne valorizza tutte le potenzialità. Lavorare per competenze significa favorire la matura-zione negli allievi della consapevolezza dei propri talenti, di un rapporto positivo con la realtà so-stenuto da curiosità e volontà, in grado di riconoscere le criticità e le opportunità che si presentano, in modo che possano essere capaci di assumere responsabilità autonome nella prospettiva del servizio inteso come contributo al bene comune. L’elemento centrale di una formazione per competenze è costituito dalla possibilità di privi-legiare l’azione, significativa ed utile, in quanto situazione di apprendimento reale ed attivo che consente di porre il soggetto che apprende in relazione “vitale” con l’oggetto culturale da conoscere. Il discente è collocato in tal modo nella condizione di fare un’esperienza culturale che ne mobilita le capacità e ne sollecita le potenzialità positive. Il sapere si mostra a lui come un oggetto sensibile, una realtà ad un tempo simbolica, affettiva, implicativa, pratica ed esplicativa. Il formatore diventa, nel procedere secondo questo metodo, oltre che un esperto di una parti-colare area disciplinare, anche il “mediatore” di un sapere che “prende vita” nel rapporto con la realtà, come risorsa per risolvere problemi ed in definitiva per vivere bene. Ciò comporta, in corri-spondenza dei momenti cruciali del percorso formativo, la scelta di occasioni e di compiti che con-sentano all’allievo di fare la scoperta personale del sapere, di rapportarsi ad esso con uno spirito amichevole e curioso, di condividere con gli altri questa esperienza, di acquisire un sapere effetti-vamente personale. La metodologia propria dei percorsi di IeFP, nella logica della formazione efficace, mira a selezionare le conoscenze e le competenze chiave irrinunciabili, a disegnare situazioni di apprendi-mento per laboratori nei quali svolgere esperienze che permettano agli allievi di entrare in rapporto diretto con la conoscenza sotto forma di procedimenti di scoperta e di ricostruzione dell’oggetto co-sì da condurre ad una acquisizione autenticamente personale. Ciò consente di mettere in moto un processo di apprendimento attivo, quindi motivante e finalizzato, così da consentire una valutazione più autentica. Le risorse umane impegnate nelle attività formative devono a loro volta essere caratterizzate da una piena visione professionale fondata sulla libertà di insegnamento, non a carattere prestativo ma tesa ad una formazione efficace. Entro questo quadro, i docenti risultano in grado di operare nel-la logica del lavoro d’équipe al fine di condividere il progetto formativo e svolgere le attività colle-giali di supporto, gestire relazioni educative con i destinatari, programmare, realizzare e valutare occasioni di apprendimento attive ed efficaci all’interno di un particolare ambito del sapere, coordi-nare e collaborare entro attività a carattere interdisciplinare, impegnarsi all’esterno negli ambienti di apprendimento reali. Questa impostazione richiede il coinvolgimento di una pluralità di figure professionali e ne-cessita di una figura forte di coordinatore dell’équipe. Ciò implica un esplicito riconoscimento giu-ridico delle specificità professionali e la definizione di un adeguato organico di centro, che consenta di differenziare l’offerta formativa sia in termini di tipologie di insegnamenti, sia di orari e funzioni. Passando alla formazione dei formatori, probabilmente si è arrivati al momento in cui com-piere per quella di base un salto di qualità. Dato che nel 2007 il 60,7% possedeva una laurea, si po-trebbe richiedere per insegnare nella FP un titolo di istruzione superiore (universitaria o non univer-sitaria); in ogni caso, ciò che è decisivo a questo proposito è che gli obiettivi, i contenuti e le meto-dologie siano adeguate per preparare a svolgere il ruolo di formatore nello specifico della FP. È po-sitivo che si sia raggiunta la parità sul piano percentuale tra uomini e donne; non sarebbe però au-spicabile una femminilizzazione del corpo dei formatori perché tra l’altro comporterebbe una svalu-tazione sociale del ruolo a scapito proprio delle stesse donne. Inoltre, dovrebbero continuare i pro-cessi di ricambio generazionale che si sono registrati nella prima decade del 2000 (Malizia e Cicatelli, 2015). Per quanto riguarda la formazione in servizio, gli Enti di FP la considerano un’azione fon-damentale per l’animazione e l’affermazione della propria “proposta formativa” (Tonini, 2005). Comunque, per i particolari riguardanti il CNOS.FAP rimandiamo sopra alla sezione n. 4.2.2. 4.2.7.4.Una leadership morale e condivisa per la formazione La concezione di leader a cui facciamo riferimento si colloca all’interno dei modelli comuni-tario o collegiale e soprattutto culturale di organizzazione (Bush, 2008 e 2010; Malizia - Tonini, 2015) e di una concezione integrata tra leadership istruttiva (instructional) e trasformativa (tran-sformational) (Paletta, 2015; Bush, 2008). a. Una definizione della leadership In primo luogo, l’attenzione va focalizzata sulla dimensione valoriale del ruolo del dirigente la cui autorità e influsso devono fondarsi anzitutto su una concezione adeguata del giusto e del be-ne. Ciò che è centrale è «la capacità di agire in un modo che è congruente con un sistema morale e rimane tale nel tempo». Il leader morale si può definire come un dirigente che «è in grado di: testi-moniare una coerenza piena tra principi e prassi; applicare i principi alle nuove situazioni; creare una mentalità e una terminologia condivise; spiegare e giustificare le decisioni in termini morali; reinterpretare e riaffermare i principi se necessario» (Bush, 2010, pp. 184-185). Nel contesto in cui viviamo è certamente di particolare importanza la funzione, che potrem-mo definire di “management dei significati” per cui il leader è chiamato impegnarsi a favore del de-linearsi di sistemi di significati educativi condivisi fra i differenti soggetti (Sergiovanni, 2002, 2000, 2009). Ci sembra che in questo momento uno dei mali maggiori che travaglia la scuola e la FP sia l’incapacità di insegnanti/formatori e di studenti/allievi di dare e di trovare un senso profondo nelle cose che fanno a scuola/centro per cui mancano di passione, di entusiasmo e di motivazioni profonde nel loro mestiere di docenti/formatori e di studenti/allievi: pertanto, diventa necessario e urgente che il leader li aiuti a recuperare significato e ragioni dell’educare e dell’essere educati. Tutto ciò è ancora più vero per i CFP di ispirazione cristiana dove visione e missione hanno la loro giustifica-zione ultima nel messaggio del Vangelo. In questa direzione è anche interpretabile il processo di “dematerializzazione” che interessa le organizzazioni e in particolare la scuola/centro nel senso cioè di una minore importanza attribuita alle variabili strutturali a favore della preminenza dei soggetti che ne fanno parte, assieme ai quali si attivano processi di co-costruzione di una cultura condivisa, la quale, poi, fonda proprio quegli stessi processi. Dunque, il nuovo perno della professionalità del personale dirigente sembra essere costituito dalla capacità di dialogo e di mediazione fra differenti soggetti e il centro viene così a configurarsi come “CFP dei significati”, in cui i vari soggetti sono portatori di senso per la vita attraverso la loro specifica professionalità e il leader diventa il gestore delle mediazioni culturali perché tutto assuma e mantenga natura formativa. A questo punto conviene richiamare i più importanti principi organizzativi che costituiscono il quadro di riferimento del nostro modello di leader. Anzitutto, egli è un professionista riflessivo nel senso che il suo operare è caratterizzato dalla circolarità fra teoria e pratica e attinge contempo-raneamente a tre fonti: la scienza, l’esperienza e l’intuizione creativa. L’agire dei professionisti si fonda su una intuizione informata dalla teoria e dalla pratica: infatti, la scienza spiega i fenomeni, ci aiuta a criticare le pratiche, ma non le produce; le pratiche professionali nascono dall’esperienza at-traverso tentativi ed errori e sforzi intuitivi, ma vanno valutate dalla teoria; a sua volta l’intuizione creativa viene facilitata dalla scienza e va resa fattibile attraverso l’esperienza. Passando sul piano più strutturale, un principio importante riguarda le strategie per realizzare l’integrazione nel centro. Mentre nel passato il mantenimento dell’unità veniva affidato princi-palmente a modalità di carattere gestionale come il controllo e la gestione, ora in ambienti molto di-namici, con relazioni deboli sul piano organizzativo, che richiedono prestazioni straordinarie, anche per l’effetto dell’introduzione dell’autonomia, le varie componenti devono ricercare il collegamento in primo luogo nei valori. In altre parole l’integrazione gestionale e strutturale si completa e si supera in quella culturale. A sua volta la progettazione assume un carattere strategico e non più dettagliato. Ciò significa definire gli orientamenti di fondo, creare consenso sulle finalità, dare autonomia, assegnare responsabilità e valutare processi e risultati, garantendo che le azioni educative incarnino i valori condivisi. Ciò che è decisivo sono le capacità di autogestione, cioè la capacità delle varie componenti di sapersi gestire e collegare con le mete concordate. Per assicurare il consenso dei vari attori, il primo passo da fare è scegliere una modalità normativa che ottiene l’adesione delle persone perché queste sono convinte della validità delle attività formative poste in essere e percepiscono il loro coinvolgimento come intrinsecamente soddisfacente: su questa base si sviluppano i requisiti di lavoro, si decidono gli interventi da realizzare e si procede alla loro verifica. Particolarmente importante è la strategia motivazionale che non dovrebbe essere più princi-palmente “remunerativa” per cui viene fatto solo quello che è ricompensato e non viene fatto quello non è ricompensato, ma invece “espressiva”, nel senso che quello che è ricompensante, che mi rea-lizza, viene fatto e bene, o “morale”, nel senso che si è disposti a realizzare con impegno tutto quello che si ritiene buono e giusto. Il controllo dovrà basarsi sulla socializzazione professionale come strategia di lungo termine, cioè sulla formazione iniziale e in servizio, mentre nel breve e nel medio ciò che conta è arrivare a scopi e valori condivisi che possono offrire il collante che unisce le varie componenti in organizzazioni a legami deboli e in continuo cambiamento come i centri. b. Le funzioni del dirigente Incominciamo da quelle generali (Malizia - Bocca - Cicatelli - De Giorgi, 2004; Sergiovanni, 2002, 2000, 2009; Malizia - Tonini, 2015). - La funzione tecnica che consiste nell’uso di valide tecniche di gestione (pianificazione, gestione del tempo, coordinamento, programmazione, organizzazione ed altre). Una buona gestione tec-nica del lavoro formativo resta indispensabile per il funzionamento dei centri, in quanto assicura un senso di affidabilità, continuità ed efficienza. - La funzione di gestione delle relazioni umane che si esprime nella capacità di rapportarsi con le persone, si esplica nel sostegno al miglioramento e ha come base la motivazione e lo sviluppo degli allievi e del personale, a partire da quello formativo, nella prospettiva della collegialità e dell’autonomia. - La funzione educativa in senso stretto che deriva dalla conoscenza esperta dell’educazione e fa percepire il dirigente come leader riconosciuto dai propri docenti (formatore di insegnanti in quanto ha una forte pratica didattica maturata sul campo). - La funzione simbolica che parte dalla funzione di “capo” con cui il leader viene percepito e dal suo ruolo di rappresentare l’unità del centro. In particolare questa forza simbolica si esprime nella capacità di finalizzazione, di visione, o di far cogliere il senso delle cose, di indicare le priorità, di orientare ed identificare le varie componenti del centro e interpretare i loro sentimenti e aspettative; - La funzione culturale che è la forza chiave per creare un’identità condivisa attorno ai valori di-stintivi del centro, per inserire i nuovi collaboratori e allievi, per costruire un pensiero comune e una comunità formatrice. Il compito della leadership come costruzione di cultura è quello di in-fondere valori, creando l’ordine morale che lega il leader alle persone attorno a lui. Praticare le funzioni simbolica e culturale rappresenta oggi la base per la costruzione di una comunità formativa di successo e attraversa dinamicamente tutte le altre dimensioni “ordinarie” del lavoro formativo (tecnica, umana ed educativa). La leadership va esercitata in funzione del contesto. Per dirigere un centro efficace occorre tener conto di diverse possibili strategie: - quella basata sullo scambio, in cui le varie parti operano in nome di rapporti di forza e di con-venienze reciproche; - quella basata sulla costruzione, come offerta di condizioni che permettono di crescere con uno sforzo comune; - quella basata sull’unione, come capacità di valorizzare le relazioni tra le persone a partire dal riconoscimento della leadership; - quella basata sul legame, come riconoscimento di un “noi” e dell’autorità morale del leader in nome di idee e valori comuni. Il personale direttivo dovrebbe creare le seguenti condizioni: - sviluppare i valori comuni, trasformando i collaboratori da subordinati (che rispondono a pro-cedure e regole) in una comunità di leader (che rispondono ad idee e valori); - costruire in loro capacità di iniziativa, di autocontrollo, di autogestione e di auto-responsabilizzazione; - sviluppare l’empowerment (conferimento di potere) attraverso la delega e lo stimolo dell’iniziativa, ma chiedendo anche conto dei risultati; - esprimere capacità di realizzazione, passando da un potere su ad un potere per, dal controllo all’influenza e alla facilitazione; - sviluppare la collegialità come strategia e non come semplice adempimento, a partire dall’esempio personale di cooperazione, dal riconoscimento dei collaboratori, dalla coerenza ri-spetto ai valori conclamati; - enfatizzare la motivazione intrinseca delle persone rispetto a quella estrinseca (ricompense eco-nomiche o materiali); - assumere un orientamento alla qualità, come elemento distintivo del servizio del centro; - valorizzare la semplicità, rispetto alle architetture organizzative complesse; - riflettere in azione, evitando una navigazione a vista e promuovendo il confronto sulle buone pratiche e la ricerca educativa. Qui non si intende parlare del dirigente solo come di un professionista bensì anche dell'edu-catore, del formatore di uomini e quindi è opportuno cercare di indicare i requisiti personali. Dal punto di vista umano, siamo di fronte alla necessità di persone che presentano una forte passione per la relazione di servizio e per l'educazione in genere, persone che concepiscono il fe-nomeno educativo come una compartecipazione di diversi soggetti e non come espansione di uno stile proprio che si impone. Occorre anche una buona dote di ottimismo e di spirito di intrapresa, congiunta alla capacità di contenere ansia e preoccupazioni evitando di investire di tutto questo ogni collaboratore. Dal punto di vista professionale, il personale direttivo deve possedere una notevole cono-scenza del sistema educativo di istruzione e di formazione sul piano giuridico, istituzionale, meto-dologico e delle procedure operative. Esso necessita nel contempo di una capacità di individuazione del senso di tutti questi processi, pur non dovendo necessariamente diventare specialista in ognuno di essi, al fine di delineare uno stile gestionale organico ed orientato alla qualità. Ciò significa saper cogliere nell'insieme dei processi di cui si è responsabili le componenti di coerenza o non coerenza con il disegno adottato ed inoltre i segnali di conferma o smentita dello stesso, comprese le oppor-tunità future. Le sue competenze professionali dirette si riferiscono all'ambito delle relazioni interne, con la gestione dei collaboratori e la guida dell'organizzazione, ed inoltre a quello dei rapporti esterni, dove è richiesta la cura delle relazioni di rete e la ricerca delle opportunità di intervento. Tutto ciò ha una precisa ricaduta sui requisiti manageriali del personale direttivo, a cui è ri-chiesta una leadership basata sui fattori di guida, testimonianza e responsabilità. Esso deve saper esprimere da un lato il legame o l'identificazione nel progetto formativo, dall'altro la capacità di in-terpretare le opportunità ed i vincoli delineando una strategia di intervento che richiede una continua modificazione ed una capacità di indirizzo dei collaboratori verso le mete delineate. Per il dirigente/educatore cattolico che opera nei centri di ispirazione cristiana la consapevo-lezza della missione ecclesiale del centro e del suo progetto formativo conferiscono alla sua profes-sionalità caratteristiche specifiche: l'articolazione del rapporto fede-cultura-vita, il particolare signi-ficato pedagogico e teologico della comunità formatrice e il valore ecclesiale del suo servizio. 4.2.7.5. Il CFP come impresa formativa (non simulata): una nuova sfida L’esperienza formativa in contesti reali e “in assetto lavorativo” viene ritenuta sempre più oggi un’opportunità essenziale sia in vista dell’inserimento lavorativo, che in termini strettamente educativi. Il raccordo scuola/Fp lavoro, nelle riforme recenti si è realizzato soprattutto: - nella impresa formativa simulata; - nell’istituto dell’apprendistato accendendo contratti di lavoro; - nell’alternanza “rafforzata”. In generale, la scelta delle Regioni nel promuovere la sperimentazione del sistema duale è stata, secondo i monitoraggi più recenti, quella di privilegiare l’impresa formativa simulata (IFS) al primo anno e lasciare la scelta tra l’alternanza rafforzata e l’apprendistato negli anni successivi, ma con una grande eterogeneità di soluzioni che rischiano di compromettere le possibilità di una regia istituzionale nazionale. In tale deriva si può collocare anche la marginalizzazione di fatto subita dalle esperienze di “imprese formativa” (non simulata) che – al contrario – potrebbero (e dovrebbero) rappresentare un fattore di significativa discontinuità nel panorama formativo italiano, così come è avvenuto in altri paesi europei. Il Cedefop ha curato nel 2012 uno studio dal titolo Trends in VET policy in Europe 2010-12 Progress towards the Bruges communiqué, in cui vengono analizzati tra gli altri anche i progressi in materia di formazione al e sul lavoro. Tra questi, si possono ricavare interessanti elementi dalla se-zione dedicata al Work based learning e al Fostering innovative and entrepreneurial skills. Il Work-based learning rappresenta un ponte tra istruzione, formazione e lavoro. È un ap-proccio che ha una lunga tradizione in Europa, anche se le modalità organizzative e formative di ri-ferimento sono molto differenziate. Esso può essere ricondotto oggi alle teorie dell’”apprendistato cognitivo” e alle pratiche della “didattica professionale”. La formazione alla creatività e l’innovazione stanno invece diventando sempre più un aspetto decisivo dei nuovi curricoli della VET, orientati a formare skill e attitudini imprenditoriali. Solo a titolo esemplificativo si rileva come l’Austria, la Danimarca, la Francia, la Slovenia includano, ad esempio, specifici insegnamenti di “business/industry projects”. In Austria queste competenze sono parte dell’esame finale di qualifica. L’Irlanda del Nord ha lanciato nel 2011 il programma “Skills Strategy Success through skills - Transforming futures” finalizzato alla popolazione giovanile a più bassa qualificazione. Questa strategia include l’iniziativa “Made not Born programme” che inco-raggia lo sviluppo di competenze di leadership e le management skills in un ambiente aziendale reale. Anche alla luce di questi stimoli alcuni Enti di Formazione Professionale hanno deciso di cimentarsi con questa nuova sfida: l’impresa formativa (non) simulata. a Il contributo del CNOS-FAP (anno 2015) Avvalendosi della collaborazione di vari consulenti, il CNOS-FAP ha curato uno studio spe-cifico: L’impresa didattica/formativa: verso nuove forme di organizzazione dei CFP. Stimoli per la Federazione CNOS-FAP. La ricerca promossa ha: - analizzato la normativa esistente (e in corso di definizione) in materia di impresa formativa, sul piano giuridico generale, giuslavoristico, amministrativo e fiscale, comparandola a quella di altri Paesi europei (come ad esempio le “Entreprises de Formation par le travail” in Belgio o le “Stu-dent Companies” in Norvegia); - analizzato le esperienze esistenti nella Formazione Professionale in Italia (e nel privato sociale ad essa eventualmente collegato), al fine di identificare le buone pratiche e i relativi profili giuridici e modelli organizzativi più efficaci; - individuato le questioni cruciali, gli ostacoli e i possibili fattori di successo da considerare ai fini di una possibile trasferibilità del modello di “impresa formativa sociale” nei contesti degli enti di FP in Italia; - definito dei criteri guida organizzativi da proporre in eventuali sperimentazioni ad hoc promosse dal CNOS-FAP. Lo studio ha offerto, nel complesso, una sintetica rassegna di studi di caso in Europa e in Italia, una riflessione finalizzata ad individuare ed estrapolare aspetti rilevanti dei modelli organiz-zativi emergenti dalla letteratura e dallo studio dei casi analizzati, delle proposte progettuali per de-finire i possibili elementi costitutivi prioritari del modello organizzativo di un’impresa formativa nel medio periodo, e le fattispecie giuridiche e organizzative che possono essere consigliate ai re-sponsabili e agli operatori dei CFP e assunte come tali nel breve periodo (Cnos-Fap, 2015). In questo contesto la Federazione CNOS-FAP sta progettando una nuova ricerca-azione dal-lo stimolante titolo: FARE INTRAPRESA FORMATIVA. Un’alleanza vocazionale tra CFP ed im-prese madrine. Una pagina che è ancora da scrivere, ambisce ad elaborare una specifica risposta alla neces-sità di avviare una gestione integrata dei rapporti con le imprese tra servizi al lavoro e servizi for-mativi, a rinnovare il metodo relativo all’insegnamento della cultura del duale, a qualificare la pro-posta della “Intrapresa formativa – IF”, dove questa appare sempre più la formula pedagogica ed organizzativa propria del Centro di Formazione Professionale rinnovato. In questo nuovo CFP gli allievi, a parere dei proponenti della ricerca-azione, devono essere chiamati a far parte (ingaggio) di gruppi di lavoro che emulano le organizzazioni operative al fine di svolgere compiti di realtà dal valore professionale, civico ed espressivo di sé; tali compiti devono, inoltre, essere gestiti sia da imprese madrine ed enti partner nella formula della commessa esterna sia dal Centro stesso nella formula dell’autocommessa; lo stile adottato dai diversi attori, infine, è di impronta vocazionale, orientato alla scoperta dei talenti di ciascuno entro relazioni dotate di valore reale, il metodo è finalizzato all’acquisizione da parte degli allievi di una conoscenza autentica, in-tesa come capacità di padroneggiare le risorse (saperi, abilità, tratti della personalità) al fine di ri-spondere alle sfide, portando a termine compiti e risolvendo i problemi via via incontrati, in modo da fornire una risposta soddisfacente ai beneficiari della propria opera. b Il contributo di Scuola Centrale Formazione (SCF) Uno studio più recente ed aggiornato su questo tema – porta la data del 2018 - è il testo Im-presa formativa. Esperienze a confronto, curato dall’Ente Scuola Centrale Formazione (SCF). Il testo offre un quadro normativo e organizzativo più aggiornato rispetto allo studio precedente; anche questo studio analizza casi di studio europei e italiani e propone possibili itinerari da speri-mentare. Ci sembra davvero stimolante la conclusione, che riportiamo integralmente con solo qual-che adattamento grafico (Scuola Centrale Formazione, 2018): (inserito nella bibliografia?) “UNA POSSIBILE «ROAD MAP” A conclusione dell’analisi su alcuni casi relativi alle imprese formative, si può sintetizzare come la complessità dell’esperienza sia quella di perseguire obiettivi produttivi e formativi nello stesso tempo come la denominazione stessa delle imprese suggerisce. Se sono stati individuati i fattori chiave connessi alle linee guida (raccolte nei tre ambiti sopra de-scritti: partnership, organizzazione, educazione) una riflessione conclusiva può essere fatta riguardo il processo attraverso cui si può dare vita ad un’impresa formativa. Le esperienze analizzate hanno permesso di comprendere quale sia una modalità «idealtipica» (che non necessariamente deve essere seguita alla lettera da tutti coloro che vogliono promuovere espe-rienze di impresa formativa) che ha permesso lo stabilirsi e il consolidarsi delle realtà esaminate. Molto spesso la realtà è nata da una sperimentazione limitata, promossa con un progetto pilota, che ha permesso di “inquadrare” in un contesto territoriale ed economico specifico gli elementi di fatti-bilità dell’impresa. La business idea è stata successivamente approfondita e, dopo un successivo e dettagliato esame di fattibilità e sostenibilità economica (business plan) ha portato alla costituzione del primo nucleo dell’impresa. In molti casi l’iniziativa è sorta come “laboratorio molto strutturato” per poi diventare una realtà imprenditoriale a tutti gli effetti. Sulla base delle esperienze analizzate si può azzardare una “road map” (che rappresenti una sorta di percorso idealtipico a 4 step che dovrebbe seguire un Cfp o una scuola) per la costituzione di un’impresa formativa. Step 1: Dall’idea di base al legame con il territorio Ciò che si dovrebbe fare in questa fase è aprirsi a più opportunità evitando di non considerare tutte le ipotesi possibili. In un certo senso questa è la fase della creatività dove si può e si deve “guardare in grande”. Congiuntamente alla identificazione di una idea è importante stringere i legami con gli attori istituzionali e sociali del territorio. Ogni realtà formativa ha certamente legami con il territorio di riferimento che, in una fase di possibile promozione di un’impresa formativa (quando si è ancora nella fase nascente dell’idea), è imprescindibile si rinforzi per iniziare a stabilire un dialogo finaliz-zato a identificare concrete partnership (istituzionali e non) e possibili fonti di finanziamento. Step 2: Analizzare lo specifico ambito di intervento In questa fase si deve concretizzare l’idea di base (è la parte di percorso in cui le idee emerse anche in forma sommaria dalla fase precedente vengono passate all’esame di realtà) definendo: a. la business idea coerente con i percorsi formativi che si hanno in essere e/o che si vogliono atti-vare; b. le risorse necessarie; c. le eventuali azioni di fundraising e/o di attivazione di specifici progetti pilota finanziati; d. la definizione di un business plan. In questa fase è bene scegliere azioni davvero fattibili (si può sempre “aumentare” successivamente) e sostenibili nel lungo periodo. Step 3: Promuovere attività sperimentali È la fase di avvio delle attività e qui si deve soprattutto prevedere un monitoraggio costante di: a. la qualità dell’impresa formativa come agente formativo; b. la qualità dell’impresa formativa come attività di business. Ciò significa strutturare ruoli organizzativi di presidio (tutor formativo e tutor aziendale), percorsi per promuovere l’apprendimento in impresa, strumenti per valutare l’apprendimento, strumenti per valutare la sostenibilità economica. Step 4: Valutare e consolidare le esperienze L’ultimo step è quello del consolidamento. Dopo che la fase precedente ha «avuto successo» si deve consolidare (sulla base degli esiti dell’azione di monitoraggio) il modello e prevedere un suo even-tuale allargamento. In sintesi: una possibile road map per la promozione e il consolidamento dell’impresa formativa: Step Cosa fare Errori da evitare STEP 1 DALL’IDEA DI BASE AL LEGAME CON IL TERRI-TORIO  Definire più concretamente un’idea di massima  Rinforzare i legami con il territorio  Allargare le possibili ipotesi  Volere avere già la «propo-sta completa»  Rimanere ancorati ai legami esistenti  Censurare le idee sulla base della «non fattibilità prati-ca» STEP 2 ANALIZZARE LO SPECIFI-CO AMBITO DI INTERVENTO  Definire la business idea coerente con i percorsi formativi  Identificare le risorse ne-cessarie  Ipotizzare percorsi di fi-nanziamento  Definire il business plan  Non circoscrivere l’ambito di intervento e le dimensio-ni STEP 3 PROMUOVERE ATTIVITÀ SPERIMENTALI  Monitorare costantemente le attività sia sul piano del valore formativo sia su quello della sostenibilità economica  Dotarsi di strumenti  Non progettare specifici strumenti di monitoraggio STEP 4 VALUTARE E CONSOLI-DARE LE ESPERIENZE  Valutare l’impatto com-plessivo dell’esperienza  Non dotarsi di strumenti adeguati di valutazione Come accennato all’inizio di questo paragrafo, con queste brevi citazioni abbiamo voluto richiamare solamente un dibattito in corso che sta coinvolgendo la Federazione CNOS-FAP, ma non solo, nella ricerca di un nuovo modello di CFP, una pagina davvero stimolante ancora da scrivere. 4.2.8. Nuove sfide per la Federazione CNOS-FAP: Servizi al lavoro e progettazione europea Consideriamo le sfide che illustriamo brevemente come un cantiere aperto. Si tratta di attività recenti, delle quali è prematuro farne un bilancio. Tuttavia la descrizione di queste due sfide, che desideriamo si sviluppino nei prossimi anni, ci sembra importante. 4.2.8.1. La promozione dei Servizi al Lavoro (SAL) La Federazione CNOS-FAP ha messo a punto un progetto nuovo denominato «Servizi al Lavoro» (SAL). Il progetto consiste nell’apertura di « sportelli» dentro o fuori il Centro di Formazione Pro-fessionale, comunque autonomi, dotati di personale proprio, attrezzati per erogare: - servizi alla persona: informazione, accoglienza, orientamento professionale, consulenza orienta-tiva, accompagnamento al lavoro, facilitazione all’incontro tra domanda e offerta di lavoro; - servizi alle imprese: formazione su misura per le imprese, formazione delle risorse umane, con-sulenza aziendale, risposte all’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Anche i soli cenni sono sufficienti per mettere in evidenza il salto di qualità che il Centro di Formazione Professionale sta compiendo rispetto all’organizzazione precedente dove il tutor curava i rapporti con le imprese soprattutto per la realizzazione dello stage, dei tirocini e della formazione continua. Attualmente il personale dedicato allo sportello coordina tutta l’azione che il CFP compie in rapporto alle imprese e al territorio in maniera permanente e stabile. Due sono state le motivazioni che hanno spinto a promuovere questo progetto. Una prima motivazione è stata la sperimentazione del sistema duale. I CFP, come già detto anche all’interno di questo testo, hanno potenziato e rafforzato i sistemi di orientamento e di placement. Dallo stimolo a diventare CFP accreditati dal MLPS alla progettazione di uno sportello dedicato, il passo è stato breve. Una seconda motivazione è legata al potenziamento delle politiche attive del lavoro che si sta realizzando in questi anni in Italia. Come è stato riportato da una ricerca recente promossa dal CNOS-FAP, oggi, il valore complessivo degli avvisi di politica attiva regionale ha superato il valore degli avvisi rivolti alla formazione professionale. Si tratta di una linea di tendenza molto importante. L’insieme di questi fattori spinge la Federazione CNOS-FAP a realizzare in Italia una rete di sportelli che diventino, nel medio periodo, autonomi anche dal punto di vista finanziario per far sì che questa attività non gravi sui finanziamenti della IeFP che nei tempi più vicini a noi sono dimi-nuiti. Ma questa è una sfida ancora aperta. Il carattere “salesiano” e “carismatico” del servizio è stato illustrato in maniera efficace nella Linea Guida per i Servizi al Lavoro che la Sede Nazionale ha progettato: «Se ai tempi di don Bosco i fanciulli “pericolanti” erano coloro che venivano attirati dalle città dei primi opifici alla ricerca di una qualche forma di sopravvivenza, esponendosi ad ogni sorta di insidie materiali e morali, anche oggi si impone una risposta concreta ed umana all’emergenza lavoro dei giovani e degli adulti, spesso tenuti sospesi a mezz’aria, in bilico tra realtà e finzione. Una filosofia di vita fondamentalmente scettica ha sostituito l’etica del lavo-ro, ovvero l’idea di realizzare se stessi occupandoci degli altri, con l’estetica dei consumi, ov-vero la ricerca di un’identità mediante il mascheramento ed il perseguimento compulsivo di ciò che ci rende apprezzabili dagli altri (Baudrillard 1976). Liberato dalla schiavitù della routine, l’essere umano ha la possibilità di infondere nelle cose che fa, qualcosa della propria anima, ma si trova di fronte il percolo del disincantamento, che significa fare le cose per sopravvivere o farle per vendere (marketing). Il lavoro “cattivo” è quello che persegue i valori d’urto: novità (“cambiare, cambiare!”), in-tensità (avvincere) e stranezza (provocare). I prodotti ed i servizi del lavoro cattivo provocano uno stato di urgenza permanente, coltivano il “narciso frettoloso” sempre agitato, sempre in-soddisfatto. Il lavoro “buono” comporta il lavorare per gli altri, sapendo fornire loro prodotti e servizi che possano appagare le esigenze dell’animo umano, sulla base di valori di relazione: stabilità (certezza, fondatezza), durata (continuità nel tempo, ma anche miglioramento), fedeltà (essere prossimi come garanzia di risposta alle esigenze). In altri termini: l’humanitas, una concezione etica basata sull'ideale di un'umanità positiva, fiduciosa nelle proprie capacità, sensibile e attenta ai valori interpersonali, ai valori romani e ai sentimenti . Quest’ultimo valore è strettamente legato al valore della tecnica (dal greco τέχνη (téchne), "arte" nel senso di "perizia", "saper fare", "saper operare"), l'insieme delle norme applicate e seguite in una attività, sia essa esclusivamente intellettuale o anche manuale. In questo modo, si fonda un’etica del lavoro ben fatto, la disposizione propria del lavoro arti-gianale che mira a “fare bene una cosa per se stessa”, e ciò richiede necessariamente una mae-stria tale da consentire al soggetto il dominio completo dell’intera opera. Ad essa si associa l’etica dell’alterità: il lavoratore è una persona che si coinvolge nel lavoro in modo da mobili-tare le risorse buone proprie e quelle della comunità cui appartiene. La persona, per corri-spondere alla propria essenza di soggetto teso all’autenticità, è chiamata a valorizzare i propri talenti attraverso un servizio reso ad altre persone e quindi a volti umani che manifestano una richiesta da cui si genera una relazione che a sua volta implica un coinvolgimento ed una re-sponsabilità. Per questo la disoccupazione, prima che un problema economico, rappresenta un’offesa alla dignità umana ed un impoverimento del carattere sociale della vita pubblica. […] Si tratta di uno strumento dal forte carattere operativo e nel contempo aperto ad una varietà di soluzioni circa il legame che può insistere con i Centri di Formazione Professionale e le altre Opere salesiane. Pur in presenza di diverse soluzioni gestionali, rimane fermo il valore centrale che questo ser-vizio assume per l’impegno del movimento salesiano nell’attuale fase; con ciò si intende il va-lore educativo e sociale di un servizio che persegue la valorizzazione di ogni persona, nessuna esclusa, che intenda assumere un ruolo lavorativo positivo, al fine di farne emergere talenti e capacità, formare saperi e competenze, fornirgli le opportunità di inserimento nella società sulla base di un profilo di lavoro buono. Nel contempo, si intende valorizzare il ruolo delle imprese in quanto ambienti ricchi di valenze pedagogiche, soggetti che svolgono un ruolo formativo e promozionale svolto tramite l’azione economica e sociale a favore dei singoli e delle collettività (Cnos-Fap, 2014, pp 7-8; 18-19)». 4.2.8.2. La strategia della internazionalizzazione della Federazione CNOS-FAP Da qualche anno la Federazione CNOS-FAP ha messo a punto una nuova iniziativa passando dalla «occasionalità» (partecipazione occasionale a bandi) ad una «azione strutturata» (uno dei servizi permanenti di formazione e di coordinamento della Sede nazionale). La Federazione, come noto, ha, tra i suoi obiettivi, quello di favorire la cultura e lo scambio di esperienze transnazionali tra i giovani e tra gli operatori per far maturare in loro la consapevolezza di essere anche cittadini d’Europa e la crescita nella prospettiva di uno sviluppo solidale per tutti e per ciascuno. Per dare gambe a questo ambizioso obiettivo la Sede Nazionale ha organizzato un gruppo di progettazione con lo scopo di: - promuovere e coordinare tutte le attività formative di carattere internazionale; - coordinare la formazione di operatori che intendono specializzarsi in questo ambito; - costituire solide partnership europee ed extraeuropee. Partecipando alle opportunità europee, i formatori coinvolti nel progetto si sono dati anche obiettivi da raggiungere nel medio termine: - promuovere l'internazionalizzazione del profilo degli allievi e degli studenti e aumentare il loro potenziale di occupabilità; - promuovere il continuo sviluppo della professionalità del personale delle Associazioni, qualifi-cando e migliorando le loro competenze educative, pedagogiche, didattiche e tecniche; - migliorare la qualità dell’offerta formativa del CNOS-FAP e promuovere la “cultura” della for-mazione professionale a livello europeo e internazionale; - promuovere a livello internazionale il «marchio» salesiano CNOS-FAP e la visione salesiana del-la IeFP; - rafforzare a livello europeo e internazionale i legami con gli attori del mercato, al fine di miglio-rare il potenziale di occupabilità degli allievi e degli studenti; - migliorare la sostenibilità finanziaria del CNOS-FAP attraverso la promozione di una diversifi-cazione delle fonti di finanziamento pubblico-privato. Anche questo progetto, come quello richiamato sopra, è in fieri. Al momento si può afferma-re che la Federazione CNOS-FAP: - ha potenziato sia il settore progettazione della Sede Nazionale sia il coordinamento delle Asso-ciazioni regionali per aumentare le opportunità di partecipazione ai progetti europei; - cura la formazione continua degli operatori coinvolti; - sta potenziando il partenariato in Europa in ottica multiattore e dell’advocacy presso le istitu-zioni e i network UE su temi VET; - favorisce la progettazione integrata (formazione professionale, inclusione sociale, cooperazione internazionale); - colloca anche nell’ottica europea sperimentazioni italiane quali sistema duale, i servizi al lavoro, l’integrazione di soggetti vulnerabili. 5. Il retaggio dei primi 40 anni È tutt’altro che semplice delinearlo perché le iniziative sono state davvero numerose e le linee di azione risultano diversificate e complesse. C’è anche il rischio di una notevole soggettività dato che mancano studi storici adeguati e soprattutto manca il distacco necessario dagli eventi con-siderati. Alcune iniziative, poi, sono ancora in fieri. Al tempo stesso ci sembra doveroso fare un ten-tativo di redigere un bilancio, focalizzando l’attenzione sugli aspetti positivi perché sono quelli più utili per costruire un futuro altrettanto (e se possibile anche più) luminoso del passato e del presente. 5.1. Una crescita quantitativa tendenziale Ci è sembrato utile suddividere questo arco di tempo in tre periodi. Un primo bilancio lo ri-serviamo ai primi 25 anni, periodo che si caratterizzano per la nascita e per la prima crescita della Federazione CNOS.-FAP. Un secondo periodo, 10 anni circa, è legato alla prima importante speri-mentazione che ha dato vita e consistenza al (sotto)sistema di IeFP. Il terzo periodo, più vicino ai nostri giorni, è caratterizzato da una nuova sperimentazione, più breve ma ugualmente importante, l’avvio «inedito» per l’Italia del sistema duale. 5.1.1. Lo sviluppo dei primi 25 anni (1977 – 2002): un aumento quantitativo costante Nei primi quindici anni (1977-78/1991-92) l’aumento del sistema di FP del CNOS-FAP con qualche eccezione è stato in generale costante, ma al tempo stesso è rimasto entro limiti contenuti: infatti, si è restati in una fascia compresa tra il 10 e il 30% (cfr. Tav.1). Sono stati i corsi ad espan-dersi maggiormente, del 29,9%, passando da 411 a 534 e facendo quindi registrare una crescita in valori assoluti di 123. Anche i formatori registrano un andamento in costante aumento (+161 in va-lori assoluti), anche se percentualmente più contenuto dei corsi (+22,6%). Gli allievi presentano una battuta di arresto tra il 1981-82 e il 1986-87 nel senso che si riscontra una crescita zero (numeri indici 104,8 e 104,7 rispettivamente); comunque, nei quindici anni l’aumento è di 1.816, pari al 20,3% in percentuale. A loro volta, i centri sono in crescita, anche se solo di tre, da 36 a 39, e dopo aver regi-strato nel 1986-87 un aumento di 6. Tav. 1 – Evoluzione del sistema di FP del CNOS-FAP (anni scelti: in VA e IND) Sistema di FP del Cnos-fap 1977-78 1981-82 1986-87 1991-92 1996-97 2001-02 VA IND. VA IND. VA IND. VA IND. VA IND. VA IND. Centri 36 100,0 40 111,1 42 116,7 39 108,3 42 116,7 54 150,0 Corsi 411 100,0 448 109,0 477 116,1 534 129,9 698 169,8 1.125 273,7 Allievi 8.937 100,0 9.365 104,8 9.354 104,7 10.753 120,3 13.672 153,0 18.435 206,3 Formatori 714 100,0 777 108,8 827 115,8 875 122,6 880 123,2 1.177 164,8 Legenda: VA=Valori Assoluti; IND=Numeri Indici Fonte: Rielaborazione su dati CNOS-FAP Il primo balzo in avanti si realizza nel 1996-97 con gli allievi che crescono della metà (+53%; o +4.375 soggetti) rispetto all’anno della fondazione della Federazione; tra il 1996-97 e il 2001-02 continua l’espansione di un altro 50% per cui al termine dei 25 anni gli iscritti risultano più che raddoppiati (+106,3%, o +9,498). L’aumento è ancora maggiore nei corsi che tra il 1977-78 e 2001-02 sono quasi triplicati, essendo saliti da 411 a 1.125 (+714). Nel 1996-97 i Centri ritornano sui valori del 1986-87, 42 unità, e nel 2001-02 si attestano su 54 con un salto del 50% (+18) rispetto agli inizi. In questo secondo periodo (1991-92/2001-02), l’andamento dei formatori è al contrario molto contenuto e tra il 1991-92 e il 1996-97 la crescita è pressoché zero, anche se poi nel quinquennio successivo l’aumento supera il 40% e nei 25 anni si colloca al 64.8%, pari a 463. Nel 2001-02 (cfr. Tav. 2) oltre la metà degli allievi della Federazione (53,5%) frequentano corsi che in base alla terminologia della futura riforma Moratti possiamo chiamare di secondo ciclo: specificamente, più di un terzo (36,3%) è iscritto alla formazione professionale iniziale, il 10,7% ai corsi dell’istruzione obbligatoria in integrazione con la scuola e il 5,4% a corsi in integrazione con la media superiore. Un 10% quasi (8,8%) è collocato nella formazione superiore: il 7,8% nel post-diploma e l’1% negli IFTS. Il 35,8% è impegnato nella formazione sul lavoro: apprendistato (13.9%) e formazione continua di occupati e disoccupati. Gli allievi delle fasce deboli sono 343, pari al 2% circa. In sintesi, intorno agli anni 2000, si può dire che i CFP del CNOS-FAP sono diventati poli-funzionali, presentano cioè un’offerta formativa molteplice, e al tempo stesso hanno conservato la loro tradizionale attenzione alla fascia 14-18 anni. Tav. 2 – Tipologia di attività formative e di allievi (anno 2001-02; in VA e %) Tipologia di attività formative Corsi Allievi VA % VA % Istruzione obbligatoria 120 10,7 2.179 11,8 Formazione professionale iniziale 392 34,8 6.687 36,3 Integrazione scuola media superiore 58 5,1 994 5,4 Fasce deboli 30 27 343 1,9 Apprendistato 161 14,3 2.561 13,9 Post-diploma 65 5,8 1.441 7,8 IFTS 9 0,8 187 1,0 Form. continua occupati e disoccupati 290 25,8 4.043 21,9 Totale 1.125 100,0 18.435 100,0 Legenda: VA=Valori Assoluti; %=Percentuali Fonte: Rielaborazione su dati CNOS-FAP 5.1.2. Gli anni della sperimentazione dei percorsi di IeFP (2003 – 2011) Nell’anno formativo 2003-04 inizia la sperimentazione dei percorsi formativi di durata triennale in tutte le Regioni, sperimentazione terminata nel 2011 quando l’Accordo Stato – Regioni di quell’anno metteva a regime il sistema di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP). L’obbligo formativo, introdotto dalla legge n. 144/1999, la riforma costituzionale con la Legge n. 3/2001 e la legge 53/03 sono la base giuridica della messa a punto del (sotto)Sistema di Istruzione e Formazione Professionale quale articolazione del secondo ciclo. In questo contesto come ha agito la Federazione CNOS-FAP? Per rispondere a questa do-manda si sono riportare due tavole, una contenente dati globali, un’altra contenente dati regionali focalizzati soprattutto sul numero di allievi intercettati dalla sperimentazione della IeFP. Se al ter-mine dei 25 anni gli iscritti si sono più che raddoppiati, in questo decennio gli allievi che hanno fre-quentato i percorsi formativi di IeFP hanno continuato ad aumentare, come si evince dalla Tav. 3, passando da 8.842 a 13.211, anche se non in forma continua. Si registrano, infatti, variazioni in più o in meno, determinate soprattutto dalle politiche adottate dalle Regioni, le prime titolari della spe-rimentazione. In positivo si registrano i numeri consistenti di molte Associazioni regionali: Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Piemonte, Sicilia, Veneto, associazioni che hanno avviato e sostenuto la sperimentazione triennale e, in qualche territorio, anche del quarto anno, avvalendosi di una politica regionale favorevole. In negativo si riscontrano le situazioni più critiche delle Associazioni regionali operanti in Sardegna e in Abruzzo. La Regione Sardegna, avendo deciso di chiudere, in un triennio, la speri-mentazione, fa passare l’Associazione CNOS-FAP dai 1.463 allievi del 2003-04 ai 114 anel 2011. La Regione Abruzzo, che a sua volta ha chiuso la sperimentazione dei percorsi triennali, fa passare l’Associazione CNOS-FAP da 669 allievi (anno 2003-04) a 109 (2011-12). Situazioni difficili sono da registrare anche in altre Regioni che non hanno adottato la spe-rimentazione o l’hanno avviata in maniera residuale. La Regione Umbria, ad esempio, non ha avviato la sperimentazione; gli allievi riportati nella Tav. 4 frequentano corsi del diritto-dovere ma non i per-corsi formativi sperimentali. La Regione Emilia-Romagna ha allievi a partire dal secondo anno del percorso formativo triennale e la Regione Puglia ha avviato una sperimentazione di dimensioni limitate, così come la Valle d’Aosta che ha introdotto la IeFP solo dopo il 16 anno. Per debolezze interne e per scelte politiche le Associazioni CNOS-FAP Campania e Calabria non sono riuscite ad avviare attività formative in maniera strutturata. Tav. 3 – Numero allievi e corsi totali e nella IeFP (anno 2003 – 2011) Anno Allievi Allievi della IeFP Corsi Corsi nella IeFP 2003 / 2004 20.561 8.842 1.300 540 2004 / 2005 21.176 11.322 1.300 647 2005 / 2006 26.409 13.206 1.503 713 2006 /2007 25.932 14.057 1.495 766 2007 / 2008 20.609 10.369 1.295 598 2008 / 2009 18.779 12.203 1.061 614 2009 / 2010 20.100 12.620 1.173 646 2010 / 2011 22.954 13.517 1.645 740 2011 / 2012 24.779 13.211 1.749 690 Fonte: Rielaborazione su dati CNOS-FAP Tav. 4 – Allievi per Regione sulla base delle attività formative 14-18 anni (anno 2003 – 2011) 2003/2004 2004/2005 2005/2006 2006/2007 2007/2008 2008/2009 2009/2010 2010/2011 2011/2012 Abruzzo 669 1.013 490 286 208 60 121 201 109 Calabria 30 16 Campania 60 11 Emilia R. 379 517 310 313 409 475 558 384 326 Friuli-V. G. 4.123 4.505 706 607 272 272 444 1775 802 Lazio 834 1.013 904 804 849 891 891 1196 1026 Liguria 477 503 353 358 238 354 268 251 252 Lombardia 2.526 1,123 891 885 784 1163 968 1112 1296 Piemonte 4.877 5.712 4972 6482 3208 4477 4321 3456 3964 Puglia 210 143 126 224 162 150 110 102 150 Sardegna 1.463 1.885 654 384 126 90 163 649 114 Sicilia 1.739 1.772 1672 1707 2178 1928 2302 2045 2438 Toscana 17 Umbria 337 384 433 343 193 431 600 296 295 Valle d’A. 193 241 45 44 55 70 68 46 226 Veneto 2.657 2.335 1497 1538 1677 1849 1889 1995 2202 Totali 20.561 21.176 13.206 14.057 10.369 12.203 12.719 13.517 13.211 Fonte: Rielaborazione su dati CNOS-FAP 5.1.3. Gli anni della sperimentazione del sistema duale (2012 – 2017) In questa terza fase vanno sottolineati almeno due provvedimenti, rilevanti per il (sot-to)Sistema di Istruzione e Formazione Professionale. Il primo è legato all’Intesa del 16 dicembre 2010 riguardante l’adozione di Linee – Guida per realizzare organici raccordi tra i percorsi degli Istituti Professionali e i percorsi di IeFP. In pratica, nella cornice unitaria del secondo ciclo, per erogare l’offerta della IeFP, sulla base dell’Intesa possono agire sia le istituzioni formative accreditate dalle Regioni, sia le istituzioni scolastiche (gli Istituti Professionali, in particolare) con un ruolo complementare e integrativo. I monitoraggi attesteranno, in verità, che in alcune Regioni il ruolo delle istituzioni scolastiche è stato sostitutivo più che integrativo, vista la debolezza della IeFP di competenza regionale di quel territorio. Il secondo è legato all’Accordo Stato – Regioni per l’avvio di un’altra sperimentazione, quella denominata “Azioni di accompagnamento, sviluppo e rafforzamento del sistema duale nell’ambito dell’Istruzione e Formazione Professionale” (24 settembre 2015), sperimentazione di breve durata perché con la Legge di Bilancio 2018 il Governo ha reso da sperimentale a ordinamentale questa modalità. In questo nuovo contesto come ha operato la Federazione CNOS-FAP? Anche in questo secondo caso, per rispondere alla domanda, si sono riportate due tavole, una contenente dati globali, un’altra dati regionali focalizzati soprattutto sul numero di allievi nella IeFP. Prendendo il dato globale possiamo senz’altro affermare che la Federazione CNOS-FAP, nella stagione delle sperimentazioni, ha continuato a crescere. Considerando, infatti, gli allievi, i beneficiari dell’intera offerta formativa, dai 18.435 (dato dell’anno 2001-02) la Federazione è pas-sata ai 25.980 (dato dell’anno 2017-18), nonostante le drastiche riduzioni o chiusure avvenute in al-cune Regioni, già segnalate nel punto precedente. Tale conferma positiva tendenziale è confermata anche analizzando il numero di allievi rela-tivo al diritto-dovere (14 – 18 anni): dagli 8.842 (dato dell’anno 2003-04) la Federazione è passata ai 16.179 (dato dell’anno 2017-18); in pratica ha raddoppiato il numero degli allievi. In positivo, si possono registrare anche in questo arco di tempo la crescita quantitativa e l’avvio del 4° anno in Regioni dove era assente nel periodo precedente (Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Piemonte, Veneto). Analizzando i dati degli anni 2016-17 e 2017-18 più in particolare, si possono registrare crescite quantitative notevoli, per effetto della sperimentazione del sistema duale (tavv. 5 e 6). In negativo, si confermano i rilievi già segnalati sopra per alcune Regioni, soprattutto del Centro e del Sud. La Federazione CNOS-FAP non è riuscita ad avviare attività formative in maniera continuativa e stabile nelle regioni della Calabria e della Campania, ha continuato tale attività in maniera residuale in Sardegna e in Puglia, ha registrato scarsi effetti in Abruzzo e in Umbria (tavv. 5 e 6). Tav. 5 – Numero allievi e corsi totali e nella IeFP (anno 2012 – 2017) Anno Allievi Allievi della IeFP Corsi Corsi nella IeFP 2012/2013 24.489 14.220 1702 731 2013/2014 25.374 14.295 1.678 746 2014/2015 22.384 13.392 1.493 728 2015/2016 20.489 12.977 1.598 780 2016/2017 26.477 16.563 1.807 1015 2017/2018 25.980 16.179 1.708 970 Fonte: Rielaborazione su dati CNOS-FAP Tav. 6 – Allievi per Regione sulla base delle attività formative 14-18 anni (anno 2012 – 2017) 2012/2013 2013/2014 2014/2015 2015/2016 2016/2017 2017/2018 Abruzzo 74 156 56 528 125 196 Calabria 35 40 Campania 22 30 74 Emilia R. 308 328 335 396 367 416 Friuli-V. G. 1.065 1.034 649 441 655 631 Lazio 1.053 1.108 1.110 1.074 1.420 1.596 Liguria 320 285 373 234 290 296 Lombardia 1.387 1.610 1.709 1.778 2.711 2.794 Piemonte 4.195 3.666 3.807 4.224 5.562 5.471 Puglia 68 77 129 122 85 121 Sardegna 79 42 80 195 173 206 Sicilia 2.512 2,279 1.471 1.456 1.481 516 Toscana 89 138 Umbria 230 293 233 200 201 232 Valle d’A. 795 938 902 95 120 102 Veneto 2.134 2.457 2.538 2.199 3.254 3.350 Totali 14.220 14.295 13.392 12.977 16.563 16.179 A completamento di questo quadro si riporta anche la crescita quantitativa degli operatori impegnati dalla Federazione, soffermandoci soprattutto su quelli assunti a tempo indeterminato. La Federazione CNOS-FAP, iniziata l’attività con 714, è passata già a 1.177 nell’anno 2001/2012. Al termine della stagione della prima sperimentazione gli operatori si attestano a 1.333 (di cui 154 a tempo determinato). Oggi, anno 2017/2018 gli operatori sono 1.619 (di cui 277 a tempo determina-to). In quarant’anni la Federazione CNOS-FAP ha più che raddoppiato il proprio organico, segna-lando che, accanto a quello stabilizzato ruotano numerosi altri operatori coinvolti con altre modalità contrattuali. Con 40 anni di storia la Federazione CNOS-FAP si appresta ad affrontare il futuro con 15 Associazioni regionali, 5 Enti non salesiani diventati soci della Federazione e 67 Centri di Forma-zione Professionale che operano in 16 Regioni. Eroga 1.708 corsi di formazione professionale arti-colati in IeFP (970), Formazione Professionale Superiore (99), continua (288), altre attività anche non finanziate dall’Ente pubblico (351). Intercetta 25.980 allievi di cui 18.179 sono in diritto-dovere, 1.718 in formazione professionale superiore, 4.618 in formazione professionale continua, 3.465 in altre attività formative, anche non finanziate dall’ente pubblico. Per svolgere questo volume di attività coinvolge 1.342 operatori a tempo indeterminato, 277 a tempo determinato e numerosi formatori assunti con altre forme contrattuali. 5.2. L’impegno per una pari dignità della Formazione Professionale In questo caso, si farà riferimento alle parole di uno dei Presidenti del CNOS-FAP che si è battuto per la realizzazione di tale impegno. Una delle linee fondamentali costanti della politica della Federazione è consistita nella «piena valorizzazione della formazione di base di primo livello, in-novandola fortemente, come risposta alle esigenze di una larga fascia di giovani che non accedono alla scuola secondaria superiore o sono emarginati dal sistema scolastico, e come autentica risorsa per elevare la qualificazione dell’operaio e renderlo capace di rinnovamento. A questo scopo si desidera fare della formazione professionale un vero e proprio sistema […] che, nel quadro della formazione permanente, preveda interventi di primo, secondo e terzo li-vello, e rientri periodici per mettere il lavoratore in grado di affrontare i cambi sempre più incalzanti» (Rizzini, 1988, p. 176; cfr. anche Editoriale, 1987 e 1999). Fare della IeFP «un vero e proprio sistema»: ci sembra questo il filo conduttore che ha guidato la Federazione CNOS-FAP in questi 40 anni promuovendo le sue politiche formative e af-frontando, di volta in volta, le problematiche che allontanavano o facilitavano il raggiungimento di questo obiettivo. Per comprendere la fatica di questo lungo cammino può essere utile ripercorrere le tappe più importanti, anche se per cenni, della IeFP italiana nella quale la Federazione CNOS-FAP si è ci-mentata. Progressivamente, infatti, si è attuata una radicale trasformazione della valenza dei percorsi formativi offerti dalla Formazione professionale. Questo cambiamento, che ha visto alternarsi fasi critiche in cui ha prevalso un orientamento politico avverso e fasi di valorizzazione, si è concentrato, in particolare, su tre segmenti: - l’inserimento della FP nel sistema educativo di Istruzione e Formazione; - la delineazione di una filiera professionalizzante dai 15 ai 19 anni ed anche oltre; - l’inserimento nell’offerta formativa del “duale italiano” con alternanza prolungata ed apprendi-stato. 5.2.1. La Formazione Professionale nel sistema educativo di Istruzione e Formazione Mentre fino al 1999 i CFP si collocavano al di fuori dell’istruzione obbligatoria fissata in 8 anni di studio, con l’introduzione dell'obbligo formativo, sancito dall'articolo 68 della Legge n. 144 del 1999, si è avviato un percorso che ha portato con la legge n. 53 del 2003 all’inserimento della Formazione professionale nel sistema educativo di Istruzione e Formazione per l’assolvimento del diritto-dovere. Si è compiuto così un evento storico, e precisamente l’inclusione, nell’ambito del nuovo sistema educativo, del sistema di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP). Il valore storico di quanto è accaduto si può riconoscere nel confronto, per opposto, con l’introduzione della scuola media unica nel 1962 che veniva realizzata – al contrario - eliminando l’avviamento professionale, considerato come un fattore di discriminazione e diseguaglianza sociale. Mentre allora ha prevalso il criterio dell’uniformità e della unicità di un percorso formativo ge-neralistico, l’ulteriore elevazione dell’obbligo di istruzione, portato a 16 anni mediante il diritto-dovere, è avvenuta facendo riferimento al principio della pari opportunità dei cittadini e dell’equivalenza formativa dei percorsi, che quindi si presentano cammini differenti, ma equivalenti dal punto di vista del valore formativo. Questo passaggio riflette la crescente complessità sociale ed in particolare le differenze di condizione della popolazione, tenuto presente anche dei fenomeni immigratori, dell’overeducation, della disoccupazione giovanile e dei NEET. L’attuazione della legge n. 53 del 2003 ha portato quindi alla creazione di un «doppio cana-le» nel sistema educativo, anche se molto disomogeneo nella sua consistenza, ma non rigido e con la possibilità di passaggi reciproci, che colloca la Formazione professionale in diritto-dovere di Istruzione e Formazione nel secondo ciclo. 5.2.2. Dai percorsi di IeFP ad una filiera professionalizzante verticale La possibilità di scelta dei giovani comprendente l’offerta della formazione professionale si è arricchita nel tempo acquisendo la caratteristica di una filiera professionalizzante continuativa, in verticale, che interessa almeno la fascia d’età 15-19 anni, comprendente la qualifica professionale triennale di livello europeo (EQF 3), il diploma professionale o quarto anno (EQF 4) ed infine l’anno di specializzazione tecnica superiore – IFTS (EQF 4) ‒aperta all’Istruzione Tecnica Superiore – ITS (EQF 5), una formazione superiore non universitaria. In questo modo, la formazione professionale acquisisce un ventaglio di opportunità formative in verticale in grado di soddisfare le attese di un’utenza plurale che desidera inserirsi nel mondo del lavoro con titoli professionalizzanti di valore reale, riconosciuti nell’ambito comunitario, secondo una dinamica progressiva. Occorre aggiungere anche che il sistema italiano non prevede una rigida separazione di que-sto canale da quello dell’istruzione; infatti diversi allievi dei corsi IeFP gestiti dalle istituzioni for-mative accreditate, una volta acquisita la qualifica o il diploma professionale, si candidano per il passaggio all’istruzione tecnica o professionale al fine di poter acquisire un diploma di Stato. Va detto poi che l’accesso ai corsi di questa filiera non è limitato all’età del diritto dovere di istruzione e formazione, ovvero ai 18 anni, ma – specie per il diploma quadriennale, gli IFTS e gli ITS – risulta possibile anche oltre, in forza del diritto formativo di cui è titolare ogni cittadino. Que-sta opportunità, che in un primo tempo è stata limitata dalle Regioni e Province autonome ai soli minorenni, vede ultimamente un numero crescente di allievi che, provenendo da percorsi differenti di studio, di lavoro o di non lavoro, decidono di arricchire la propria preparazione al fine di assumere ruoli sociali riconosciuti e coerenti con le necessità dell’economia. Negli ultimi anni questa opzione risulta accentuata dal fenomeno dei «lavori orfani» - circa 250 mila richieste di lavoro che non trovano candidature soddisfacenti – e dalla pressante richiesta delle imprese ai CFP di figure formate nei diversi ruoli previsti. 5.2.3. L’introduzione della “via italiana al sistema duale” Dal 2014, l’offerta formativa nel nostro Paese è stata arricchita ulteriormente tramite l’inserimento dei percorsi del “duale italiano”, comprendente due significati differenti: in primo luogo indica una specifica tipologia di offerta formativa che si aggiunge alle altre, connotata da ca-ratteristiche sue proprie in particolar modo in riferimento al rapporto con le imprese, alla durata dell’alternanza, al contratto di apprendistato, alla formula progettuale e infine alle tipologie di uten-za cui si rivolge; in secondo luogo si riferisce ad un approccio formativo ed organizzativo che enfa-tizza ulteriormente il metodo peculiare della formazione professionale, applicabile pertanto all’intero ventaglio della sua offerta formativa, caratterizzato da un accordo più stretto con le imprese partner nella logica della corresponsabilità formativa, dal superamento del disciplinarismo, dalla metodolo-gia dei compiti di realtà, dalla configurazione organizzativa dell’intrapresa formativa. Da questo duplice significato discende la nuova tipologia di offerta formativa sollecitata an-che dall’introduzione del duale nella strategia della Istruzione e Formazione Professionale, e carat-terizzata da sette tipi di azioni, ognuna riferita ad un mix di utenti potenziali: - ragazzi provenienti dalla secondaria di primo grado, intenzionati a scegliere un percorso di istruzione e formazione professionale che permetta loro di apprendere un mestiere e inserirsi in tempi brevi nel mondo del lavoro; - giovani in cerca di primo impiego, dotati di un titolo di studio che non consente un facile inse-rimento nel mondo del lavoro; - disoccupati che hanno perso il lavoro e desiderano trovarne uno più stabile e coerente con le proprie caratteristiche (anche in collegamento con i servizi per il lavoro); - giovani e giovani-adulti dispersi e NEET che vogliono rimettersi in gioco con percorsi di for-mazione-lavoro basati su un accordo forte tra CFP e imprese (anche in collegamento con i nuovi CPIA-Centri Provinciali per l'Istruzione degli Adulti); - occupati che desiderano incrementare la propria professionalità o cambiare tipo di professione (es. percorsi a qualifica per adulti). I percorsi formativi del duale, dopo un inizio sperimentale, sono diventati ordinamentali a seguito della Legge di Bilancio 2018. Questa nuova modalità potenzia nei CFP la partnership con le imprese prevedendo una stretta integrazione tra la componente formativa e quella dei servizi per il lavoro, quest’ultima introdotta in quasi tutte le strutture a partire dalle norme nazionali e regionali miranti all’incremento dell’occupazione. In definitiva, mentre fino al 1997 sembrava che la formazione professionale fosse destinata a dover abbandonare l’ambito giovanile per dedicarsi esclusivamente alla formazione degli adulti e delle imprese, i tre cambiamenti indicati hanno portato ad uno scenario totalmente diverso e per molti versi innovativo, coerente con la preoccupazione per il rilancio dello sviluppo e dell’occupazione, specie a favore dei giovani, la componente che più di altre ha pagato le conse-guenze della crisi economica. Certamente, questa nuova configurazione dei CFP esige un ripensa-mento della propria missione ed una diversa gestione formativa ed organizzativa, in una direzione che ricorda quella delle Academy dei Paesi più avanzati nell’ambito delle politiche formative. Anche solo sfogliando la Rivista Rassegna CNOS si può evincere come la Federazione CNOS-FAP sia stata sempre attiva e propositiva per il raggiungimento degli obiettivi sopra richia-mati. La partecipazione alle sperimentazioni, la produzione di documentazioni pertinenti, le ricerche, i monitoraggi, gli studi ed i confronti europei sono stati gli strumenti più utilizzati per essere, nei vari contesti, voce attiva e propositiva. 5.3. I giovani e la formazione integrale Un primo criterio ispiratore dell’azione della Federazione nei 40 anni trascorsi consiste nella visione unitaria del giovane destinatario dei nostri interventi, senza dicotomie tra cultura e pratica, fra intelletto e corpo, fra rapporti personali e prestazioni, tra contenuti e tecnica (Malizia et alii, 2016; Orlando, 2014; Van Looy - Malizia, 1998). Ciò ha permesso di delineare un iter formativo in cui lo sviluppo cognitivo, quello tecnico, quello socio-politico e quello morale e religioso non costituiscono comportamenti stagni, ma sono tra loro fortemente intrecciati in modo da contribuire alla crescita della capacità della persona di accostare in modo attivo e maturo la realtà. È un orientamento che ha portato a potenziare nell’attività formativa i processi di persona-lizzazione in modo da educare soggetti solidi, maturi, consapevoli e capaci di assumere responsabilità sociali e professionali conformi alla propria vocazione. Per affrontare in modo vincente le sfide della “infosocietà” non basta una preparazione tecnico-professionale adeguata, ma i giovani devono essere capaci di: pensare in modo autonomo e critico; essere intellettualmente curiosi; instaurare rapporti positivi e stabili con gli altri, intrecciando con essi un dialogo fecondo, valorizzandoli, collaborando in progetti comuni; risolvere i conflitti; gestire il cambiamento con originalità e libertà; vivere la vita come vocazione e servizio. La personalità che si è intesa sviluppare in modo globale non coincide con un io separato o isolato rispetto alla comunità e al contesto di appartenenza. La soggettività, se rimane ripiegata su se stessa, può trasformarsi in un impedimento alla formazione integrale proprio perché manca l’apporto dell’altro. Al contrario il processo educativo deve tradursi in un iter in cui ciascuna individualità cresce con e grazie a quelle di tutti i soggetti con i quali si entra in relazione: infatti, per liberarsi del proprio centrismo è necessario assicurare un incontro dinamico tra differenze. Se orientare significa porre l’individuo in grado di prendere coscienza di sé e di progredire per l’adeguamento dei suoi studi e della sua professione alle mutevoli esigenze della vita, si capisce la stretta connessione dell’orientamento con la maturazione della personalità e anche l’importanza di una riaffermazione delle sue caratteristiche in chiave pedagogica e salesiana. Gli allievi della FP, sia per l’età che per la condizione di svantaggio in cui molti si trovano, hanno bisogno di tale accompagnamento da vicino, rispettoso e al tempo stesso propositivo, che li aiuti a conoscere le loro potenzialità, che li guidi nella complessità della realtà sociale, che li sostenga nella elaborazione di un progetto di vita come servizio agli altri secondo la propria opzione vocazionale. L’obiettivo finale è la costruzione dell’identità personale e sociale del soggetto in un adeguato progetto di vita, inteso come compito aperto alla realtà comunitaria e sociale, e come appello all’attuazione dei valori che danno senso alla vita. Passando più nello specifico, si è trattato di avviare alla ricerca della identità, di formare alla progettualità e all’autonomia decisionale e di far acquisire una maturità professionale adeguata che permetta di combinare sapere, saper essere, saper fare. Un ulteriore passaggio, piuttosto recente, è stato quello di assumere la qualità come criterio ispiratore dell’attività formativa (Isfol, 2003, Cnos-Fap, 2008; Malizia et al., 2016). A questo punto è opportuno richiamarne le dimensioni principali. 5.3.1. La qualità pedagogica e didattica salesiana La qualità pedagogica del percorso di formazione, sia esso tecnico che professionale, pone la persona al centro dell’attenzione educativa: il giovane viene accolto così come è. La pedagogia sa-lesiana dà particolare attenzione alla persona che è portatrice di valori etici, di potenzialità cognitive ed affettive, di progetti. Facendo leva su queste potenzialità i formatori e i docenti preparano questa persona ad inserirsi nella società e nel mondo del lavoro in maniera attiva e critica, forte di una co-scienza di cittadino e di lavoratore, attento e aperto alla complessità della società italiana, europea e mondiale. Tutto ciò prende forma in un progetto educativo e formativo, che tiene conto dei tempi, dei modi e dei ritmi di apprendimento che sono propri di ciascuno per assicurare a tutti il successo formativo. La qualità pedagogica ispira e stimola la qualità didattica. Qualità didattica significa, per i Salesiani, curare in modo particolare tre aspetti: - l’orientamento alle competenze che tende ad assicurare un insieme integrato di conoscenze, abi-lità, competenze, valori, atteggiamenti e comportamenti, finalizzato al conseguimento di una qualifica professionale o di un diploma di Stato; - l’apprendimento attraverso il fare che consente agli allievi e agli studenti, realizzando “capola-vori” di progressiva complessità, di sperimentare attivamente le proprie competenze anche at-traverso l’errore, di collegare l’operatività al sapere e al saper essere, di ritrovare il senso dell’apprendere e di riflettere sull’esperienza compiuta; - la pluralità dei contesti di apprendimento che superano di gran lunga l’uso povero dell’aula e del laboratorio perché valorizzano anche le opportunità formative che provengono dal mondo del lavoro e dal territorio. 5.3.2. La qualità dei risultati: una proposta di “valutazione” La valutazione è, in primo luogo, un processo formativo che riguarda gli allievi e gli studenti che sono aiutati a prendere coscienza del raggiungimento degli obiettivi di apprendimento, dei mi-glioramenti compiuti, delle risorse attivate e delle difficoltà incontrate. La valutazione è, in secondo luogo, un processo formativo che riguarda il servizio stesso che è spinto ad un miglioramento conti-nuo rispetto agli obiettivi raggiunti, le strategie adottate, i mezzi messi in campo. 5.3.3. La qualità dell’organizzazione a sostegno del progetto educativo È sempre questa visione di qualità a spingere i Salesiani a pensare all’organizzazione del CFP o della scuola non come una “agenzia”, ma come luoghi di apprendimento e comunità educative strutturati in modo da favorire la partecipazione e l’iniziativa degli allievi e delle famiglie. Sono anche centri di servizi che offrono, oltre che istruzione e formazione, anche orientamento, accom-pagnamento al lavoro, aggiornamento continuo. Data la complessità delle funzioni formative ed educative, l’équipe formatrice è composta di diverse figure professionali di sistema, chiamate tutte ad agire all’interno del progetto educativo. 5.3.4. La qualità del ciclo di vita del processo formativo Ogni CFP o ogni scuola a indirizzo tecnico corre, nel tempo, il pericolo dell’autoreferenzialità. Per prevenirlo, i Salesiani, in primo luogo, verificano che la propria offerta sia una risposta ai bisogni del territorio, oltre che dei giovani; cura, in secondo luogo, una rete di re-lazioni che agevolano i giovani nel loro diritto di compiere scelte anche reversibili e nell’apprendimento che, oggi, è sempre più permanente e aperto, cioè dato anche dai contesti non formali e in formali e non solo formali. 5.4. Il modello organizzativo del CFP polifunzionale Una società sempre più complessa come l’attuale richiede che le persone vengano preparate ad affrontare le esigenze che da questa situazione derivano (Malizia e Tonini, 2015a e b; Van Looy - Malizia, 1998). Le organizzazioni formative e in particolare i formatori, non potranno più accon-tentarsi di contenuti e di processi consolidati e in parte ripetitivi, ma dovranno divenire attori capaci di gestire la diversità, la varietà e il cambio. Da questo punto di vista, grande è stato l’impegno del CNOS-FAP per preparare gli operatori a lavorare sempre più per progetti anziché per programmi, per obiettivi anziché per procedure, per processi anziché per routine. Nella società dell’informazione la trasmissione delle conoscenze da parte del formatore perde di priorità a motivo dell’apporto molto significativo che può essere offerto dalle nuove tecnologie, mentre egli è chiamato sempre di più a svolgere un ruolo di mediazione tra l'educando e le in-formazioni per aiutare quest'ultimo a integrarle in un quadro sistematico di conoscenze. La sua fun-zione consiste più nel formare la personalità degli allievi e nell'aprire l'accesso al mondo reale che non nel trasmettere nozioni programmate, più nel fare da guida alle fonti che non nell'essere lui stesso fonte o trasmettitore di conoscenze. Circa la funzione/figura del dirigente va accettato anche nei nostri CFP l’allargamento che la riflessione e l’esperienza propongono in questo ambito: essa comprende oltre agli aspetti pedagogici e di animazione, anche compiti di natura manageriale. La funzione/figura del dirigente deve avere come terreno di azione un’area qualificata dalla compresenza di amministrativo e di educativo e della finalizzazione dell’organizzativo a sostegno dell’azione educativa. In particolare, il dirigente è chiamato a potenziare il clima dei rapporti con i docenti in tre direzioni: l’instaurazione di un’atmosfera di familiarità, il riconoscimento di una giusta autonomia al personale, l’attribuzione ad esso di una posizione di corresponsabilità nella vita dei CFP. Entro questo quadro, l’attenzione va focalizzata sulla dimensione valoriale del ruolo del di-rigente la cui autorità e influsso devono fondarsi anzitutto su una concezione adeguata del giusto e del bene. Ciò che è centrale è «la capacità di agire in un modo che è congruente con un sistema mo-rale e rimane tale nel tempo». Il leader morale si può definire come un dirigente che «è in grado di: testimoniare una coerenza piena tra principi e prassi; applicare i principi alle nuove situazioni; creare una mentalità e una terminologia condivise; spiegare e giustificare le decisioni in termini morali; reinterpretare e riaffermare i principi se necessario» (Bush, 2010, 184-185). Il rinnovamento e il potenziamento del ruolo del dirigente si inserisce in un progetto più ambizioso finalizzato alla diffusione nei Centri della Federazione di una nuova cultura organizzativa ispirata a un modello al tempo stesso formativo, comunitario, al servizio della persona, progettuale, coordinato/integrato, aperto e flessibile. Questo significa che la progettazione degli interventi dovrebbe consentire alla comunità formativa di identificare la domanda so¬ciale di formazione, di fissare gli obiettivi dei propri inter¬venti in relazione alle esigenze del contesto, di elaborare stra¬tegie educative valide in risposta al territorio, di valutare la propria attività in rapporto alle mete che ci si è posti. A loro volta, coordinamento e integrazione vogliono dire essenzialmente sincro¬nizzazione e armonizzazione delle azioni di un gruppo di persone e delle attività di tutte le articolazioni di una organizzazione in vista del raggiungimento di mete condivise; si tratta di favorire la combinazione più efficace degli sforzi dei singoli individui che compongono un gruppo o di più sottogruppi di un'or¬ganizzazione più ampia. L’esigenza dell’apertura al contesto si basa sulla considerazione che i Centri possono conser¬varsi solo sulla base di un flusso continuo di risorse da e per l'ambiente per cui lo scambio con il contesto costituisce il meccanismo fondamentale che consente il funzionamento dell'organizzazione. Nonostante il riferimento a un modello, l’organizzazione deve rimanere fles-sibile nel senso che la realizzazione del modello può essere la più varia mentre tutto dipende dalle particolari condizioni di ogni CFP per cui si può andare da un'attuazione molto ele¬mentare alla più complessa; quello che va assicurato in ogni caso è la presenza in ciascun CFP delle funzioni e non delle figure e, nel contesto territoriale, delle necessarie unità specialistiche di supporto. Le crisi dell’ultimo decennio, in particolare quella del crollo dell’occupazione e della “de-sertificazione industriale del Sud”, ci hanno convinto di aggiungere altre due dimensioni al modello del CFP polifunzionale. Per effetto della prima problematica, il CFP va considerato anche come centro di formazione professionale per il lavoro. Nel modello polifunzionale va anche prevista la creazione del laboratorio “CFP per il Mezzogiorno”, tenuto conto delle percentuali molto elevate di dispersione scolastica e di disoccupazione giovanile che si riscontrano al Sud e del rischio di sot-tosviluppo permanente che questa parte del Paese corre. Pertanto un impegno fondamentale è stato ed è quello di migliorare la formazione iniziale e in servizio del personale, in particolare per quanto riguarda gli aspetti salesiani. Sullo sfondo il cri-terio guida è quello di preparare il personale a rispondere in modo sempre più efficace ai bisogni complessi, vari e mutevoli dei destinatari dei nostri CFP. Più immediatamente un progetto di for-mazione in servizio va calibrato sulle esigenze dei formatori considerati non come utenti anonimi, standard, ma come persone concrete con le loro attese specifiche. Essenziale è anche preparare i formatori a lavorare per competenze perché significa favorire la maturazione negli allievi della con-sapevolezza dei propri talenti, di un rapporto positivo con la realtà sostenuto da curiosità e volontà, in grado di riconoscere le criticità e le opportunità che si presentano, in modo che possano essere capaci di assumere responsabilità autonome nella prospettiva del servizio inteso come contributo al bene comune. In conclusione si può dire che il cuore del nostro discorso è stato il CFP come comunità formatrice la cui finalità prioritaria è l’educazione intesa come sviluppo pieno della personalità dei propri allievi. L’organizzazione del CFP polifunzionale per il lavoro ha senso in quanto opera al servizio di un progetto che è eminentemente formativo, anche se trova nella professionalità la sua caratterizzazione distintiva. Motori principali delle diverse attività sono il formatore come educatore professionale e il dirigente come responsabile di una leadership morale e condivisa per la formazione dei giovani. 5.5. Il processo di insegnamento-apprendimento Molti degli orientamenti che riguardano questa sezione sono stati anticipati sopra ai nn. 5.3. e 5.4 per cui qui ci limitiamo ad indicazioni conclusive (Malizia et alii, 2016; Malizia - Piccini - Ci-catelli, 2015). Il nuovo ciclo economico rinvia a una nuova professionalità in cui predomina il lavoro pen-sato, fatta cioè di competenze più avanzate, di co¬noscenze più teoriche, di caratteristiche più spinte di riflessi¬vità, di libertà, di risposta, di adattamento e di controllo. La ricaduta sulla formazione è chiara: si esige una formazione di base più solida che comprenda un bagaglio di cognizioni tecnico-scientifiche più sofisticate, capacità di pensiero astratto più elevate, disponibilità alla formazione ri-corrente, possesso di abilità organizzative, progettuali, e di innovazione, capacità di sapersi relazio-nare con gli altri e di saper affrontare il cam¬biamento, senza farsi travolgere, ma conferendo ad esso un signi¬ficato umano e ponendolo al servizio dello sviluppo individuale e sociale. La nuova do-manda di formazione del sotto¬sistema economico ha portato i Centri salesiani a rafforzare la forma-zione della capacità di adeguarsi e di domi¬nare il ritmo accelerato del cambio tecnologico e scienti-fico. Il potenziamento del processo di insegnamento-apprendimento dei nostri CFP è stato collo-cato nel quadro dell’innovazione pedagogica degli ultimi anni. Più in particolare questa richiede una maggiore integrazione tra momenti formativi istituzionalizzati e momenti formativi informali in una prospettiva globale di educazione permanente e differenziata. La FP ha adottato le metodologie pro-prie di una pedagogia dei diversi e della differenza. La FP salesiana si caratterizza per alcune scelte di campo sul piano metodologico che vanno conservate. Anzitutto va ricordata l’attenzione al valore educativo del lavoro senza distinguere troppo tra attività manuale e intellettuale, una opzione importante sia dal punto di vista della moti-vazione dell’allievo sia da quella della preparazione professionale da dare. Un secondo aspetto è l’interesse per il giovane che viene accolto così come è, e di cui si considerano non solo le carenze, ma anche le potenzialità di maturazione. A ciò si aggiunge l’attenzione all’inserimento nel mondo del lavoro che, però, non porta mai a trascurare un orizzonte più ampio di formazione in cui ci sia spazio per attività mirate alla maturazione globale della persona. Da ultimo, va notato il progressivo allargamento dell’offerta a tutte le categorie di persone che richiedono interventi specifici di formazione professionale senza limitarsi ai giovani. Le caratte-ristiche dell’attuale sviluppo economico, in particolare il ritmo elevato di cambiamento e l’esigenza di livelli più alti di competenze, hanno portato a questo ampliamento dei destinatari che, tuttavia, rientrano sempre in quelle classi popolari che sono oggetto della nostra missione. L’allargamento degli utenti si è accompagnata anche a un ampliamento della gamma dei settori della FP offerta dalla Federazione. 5.6. Federazione CNOS-FAP e imprese Un capitolo particolarmente nuovo, rispetto ai decenni passati, è relativo al rapporto tra la Federazione CNOS-FAP e il mondo delle imprese. Per sviluppare questo tema ci serviremo, in modo particolare, di tre strumenti; oo studio effettuato da José Manuel Prellezo sulla storia della formazione professionale salesiana, che ci ha aiutato a ricostruire le origini salesiane del rapporto con le imprese e del «capolavoro» in particolare; la pubblicazione annuale sull’esperienza del Concorso Nazionale dei Capolavori, poi, che è servita per la descrizione della collaborazione con le imprese; sui contenuti della collaborazione con il mondo del lavoro, infine, facciamo riferimento agli Accordi/Intese repereibili sul sito www.cnos-fap.it (Prellezo, 2013; CNOS-FAP, 2010) In generale ci chiediamo: sul legame tra scuola e lavoro come si è mosso il mondo salesiano che in Italia è promotore e gestore sia di scuole paritarie che di Centri di Formazione Professionale accreditati? La Federazione CNOS-FAP, per dialogare con le imprese si è dotata, sin dalle sue origini, di Settori e di Aree Professionali le cui finalità sono state l'innovazione dell’offerta formativa. L’Associazione CNOS/Scuola, invece, che ha una storia più breve (è sorta nel 1995), ha promosso l’innovazione attraverso la costituzione di reti con il territorio e in tempi recenti con l’alternanza scuola-lavoro. Volendo riassumere l’approccio salesiano più recente adottato per dialogare con le imprese, due ci sembrano le modalità scelte, l’una più culturale, l’altra più operativa. 5.6.1. Modalità culturale: manuali per i docenti e i formatori La prima modalità è consistita nella compilazione di strumenti di lavoro da mettere a disposizione dei docenti e dei formatori contenenti stimoli per riflettere sul complesso rapporto tra mondo formativo e mondo produttivo. Per brevità facciamo riferimento solo a due strumenti di lavoro recenti: - Nicoli D. (a cura di), L’intelligenza nelle mani. Educazione al lavoro nella formazione professionale pubblicato presso Rubbettino nel 2014; - Nicoli D., Il lavoro buono. Un manuale di educazione al lavoro per i giovani pubblicato presso Rubbettino nel 2018. Con il primo volume ci si è posti il compito di fornire una lettura appropriata in chiave educativa e sociale dell’esperienza della formazione professionale, quale importante componente del sistema educativo italiano, oggi caratterizzata dall’armonizzazione di pedagogia della persona e didattica attiva aperta alla partecipazione delle varie componenti della società civile a cominciare dall’impresa. Il volume contiene numerosi temi: la Formazione Professionale contestualizzata nel più ampio quadro europeo e nei suoi aspetti pedagogici, didattici e organizzativi; il lavoro nella sua valenza formativa; l’orientamento alla scelta. Il volume si conclude con una breve storia della Formazione Professionale in Italia dal dopoguerra agli anni Duemila, storia oggi ancora poco conosciuta dal vasto pubblico. La seconda oubblicazione, destinata sia agli studenti del secondo ciclo, dell’Università e degli Istituti Tecnici Superiori che a genitori, docenti, educatori e orientatori, è un manuale di educazione al lavoro, centrato su tre assi portanti. Si propone il concetto di lavoro inteso - come ambito d’azione tramite il quale ciascuno partecipa pienamente, spinto da un’urgenza interiore (vocazione) e in un atteggiamento di servizio, ad un’opera comune, condividendo con gli altri non solo le prestazioni, ma anche i significati del vivere; - come esperienza che non può essere ridotta alle vicende psicologiche dell’individuo, ma ad un legame sociale entro cui il singolo entra in un gioco di relazioni, di bisogni e di attese che risultano indispensabili per chiarire il proprio io ed il compito cui si è chiamati; - come legame intenso tra le generazioni nel quale l’adulto-maestro, assieme alle abilità tecniche, trasmette ai giovani un modo di stare nel mondo e ne riceve in cambio, tramite l’entusiasmo di cui essi sono portatori, uno slancio di fiducia e di vivezza. Con queste opzioni di fondo, il volume contiene una proposta di una “storia del lavoro” nuova per molti aspetti e una “visione di lavoro buono e le sue virtù” visione stimolante per la situazione attuale: si tratta di «una sorta di pellegrinaggio culturale – afferma l’autore - che ci consente di cogliere, in questo passaggio d’epoca, la rilevanza speciale del «lavoro buono» come occasione per contribuire fattivamente allo scuotimento di una società incagliata affinché si possa risvegliare e mettere a frutto le proprie capacità generative». (Nicoli, 2018, p. 9). 5.6.2. Modalità operativa: sinergie con le imprese La seconda modalità è consistita nello stipulare Accordi o Intese con Imprese a supporto dell’innovazione che il singolo Settore o Area + chiamato a realizzare. La ricerca dell’impresa era dettata, però, non tanto dalla ricerca di avere una qualunque collaborazione quanto dalle necessità che ogni Settore o Area aveva per introdurre innovazioni nel proprio ambito. Questa ricerca mirata ha permesso, nel tempo, di dare vita ad vero e proprio sistema di relazioni che ha fatto crescere sia il singolo Settore o Area che la Federazione nel suo insieme. Naturalmente questo cammino non è stato né lineare né uniforme. Ad oggi, come si vedrà anche nel seguito di queste pagine, non è ancora compiuto per tutti i Settori e le Aree. Tuttavia si sta rivelando un “cammino razionale e virtuoso” che ha guidato e guida ancora oggi il mondo salesiano nel processo di rinnovamento della propria offerta scolastica e formativa. Va anche precisato che questo sistema di Accordi/Intese – iniziato intorno agli anni duemila ‒ si è sviluppato a livello nazionale, senza mortificare quella rete di rapporti che ogni Centro di Formazione Professionale in particolare ha avuto con il proprio territorio. Con ritmi e velocità diverse, i settori dell’automotive, della meccanica industriale, dell’elettricità, della grafica, dell’energia, dell’alberghiero hanno trovato nelle piccole, medie e grandi imprese l’apporto per sostenere l’innovazione che si rendeva necessaria per migliorare in maniera continua la propria offerta formativa. Piuttosto che elencare i contenuti dei singoli Accordi/Intese ci sembra più utile individuare quelle che, a nostro giudizio, appaiono le principali forme di collaborazione realizzate o in via di realizzazione. 5.6.2.1. La collaborazione per la formazione dei formatori e dei docenti Una prima forma di collaborazione con le imprese si è realizzata nella formazione dei formatori e dei docenti. Varie imprese collaborano per la formazione e l’aggiornamento che ogni anno il mondo salesiano organizza per i propri operatori soprattutto nel versante tecnologico e nella cultura d’impresa. Esemplificando, le forme più diffuse sono: - l’aggiornamento tecnologico; - la dotazione di manuali aggiornati su temi specifici; - l’accesso ai cataloghi FAD della formazione aziendale; - la possibilità di beneficiare di visite tecniche presso le Academy delle imprese; - in tempi più recenti la possibilità di sviluppare l’Alternanza Scuola – Lavoro (ASL); - le consulenze per l’aggiornamento dei piani formativi. 5.6.2.. La collaborazione per l’innovazione tecnologica e strumentale Una seconda forma di collaborazione è andata nella direzione dell’aggiornamento strumentale, l’aggiornamento dei “laboratori” in particolare, convinti che un “laboratorio aggiornato” concorre in maniera decisiva alla qualità dell’offerta formativa.In questo ambito le modalità di collaborazione sono state molto diverse, andando dalle agevolazioni economiche fino alla dotazione di strumenti aggiornati in forma gratuita. 5.6.2.3. L’apporto per l’innovazione strutturale degli edifici Una azienda in particolare, la Schneider Electric, ha collaborato con il mondo salesiano in un particolare ambito proponendo soluzioni per il risparmio energetico nella gestione degli edifici. È stata socializzata anche una guida operativa: La gestione sostenibile delle case salesiane: una pro-posta di Schneider Electric (2015). La proposta si rivela originale non solo per le soluzioni tecnolo-giche avanzate ma anche per le applicazioni didattiche possibili: un edificio ristrutturato diventa an-che “luogo didattico” per gli allievi. Schneider Electric, è universalmente noto, è lo specialista globale nella gestione dell’energia, con attività in oltre 100 Paesi in tutto il mondo. Offre soluzioni integrate per diversi segmenti di mercato, occupando una posizione di leadership nei comparti energia e infrastrutture, processi indu-striali, “building automation” e “data center”, industria 4.0, vantando inoltre una vasta presenza nell’ambito delle applicazioni per il residenziale. Di qui la proposta di collaborazione con le opere salesiane per la ricerca di soluzioni energetiche applicate agli edifici a destinazione formativa quali l’involucro degli edifici (pareti esterne, serramenti, coperture, solai, schermature, ecc.), il settore degli impianti (termici, elettrici, trattamento aria, ecc.), la gestione dei flussi energetici (gestione e monitoraggio dei flussi energetici, il sistema di gestione dell’energia SGE, ecc.). 5.6.2.4. Il sostegno al “Nazionale dei Capolavori dei Settori Professionali” Anche questa collaborazione è caratteristica per il panorama italiano e, per molti aspetti, origi-nale. Va precisato, in verità, che l’idea del “Concorso dei Capolavori” era presente, pur in modalità diverse, sin dalle origini della Congregazione Salesiana. Già don Bosco, infatti, con una chiara preoccupazione preventiva e con una esplicita finalità pratica “ quella di evitare i gravi pericoli morali presenti nelle officine della città e di dare una risposta concreta «alla gioventù abbandonata e pericolante”, bisognosa di apprendere un mestiere ‒ aprì tra gli anni cinquanta e sessanta dell’Ottocento ben sei laboratori: calzolai (1853), sarti (1853), legatori (1854), falegnami (1856), tipografi (1861), fabbri (1862). Scrive lo storico salesiano Pietro Stella, riportato da Josè Manuel Prellezo in un suo recente stu-dio: «Tra l’antico modo di stabilire rapporti di lavoro tra capo d’arte padrone di bottega con gli apprendisti e il nuovo modello della scuola tecnica prevista dalla legge organica sull’istruzione, don Bosco preferì percorrere la sua terza via: quella cioè dei grandi laboratori di sua proprietà, il cui ciclo di produzione, di livello popolare e scolastico, era anche un utile tirocinio per i giovani apprendisti». (Prellezo, 2013, p. 11). Quest’approccio eminentemente pratico, concepito prevalentemente come preparazione per un’arte o un mestiere manuale mediante concrete e prolungate esercitazioni di laboratorio, è all’origine delle successive Scuole di arti e mestieri, ulteriormente ripensate come “Scuole profes-sionali” che daranno vita ad una visione più organica del lavoro e della formazione culturale e pro-fessionale dei giovani. In un documento del 1910 si legge: Le scuole professionali devono «essere palestre di coscienza e di carattere, e scuole fornite di quanto le moderne invenzioni hanno di meglio negli utensili e nei meccanismi, perché ai giovani alunni nulla manchi di quella cultura, di cui vantasi giustamente la moderna industria». (Prellezo, 2013, p. 36). Le scuole professionali devono: «formare operai intelligenti, abili e laboriosi». (Prellezo, 2013, p. 37). Scendendo a indicazioni dettagliate, nel documento si legge anche: «l’ammettere l’alunno all’apprendimento il dì stesso che entra in labora-torio e l’alternagli l’insegnamento con il lavoro, costituisce quel metodo eminentemente teorico-pratico, che è il più atto ad abituare i giovani all’officina». (Prellezo, 2013, p. 36). Per stimolare l’attività e favorire l’emulazione degli allievi, infine, si proponevano: «esami, premi, incoraggiamenti, compartecipazione ai frutti del loro lavoro (la co-siddetta “mancia settimanale”), esposizioni generali e particolari degli oggetti co-struiti dagli allievi durante l’anno scolastico». (Prellezo, 2013, p. 37). È interessante notare il ricorrente richiamo, sin dalle origini, alle esposizioni dei prodotti realizzati nel periodo formativo. Uno stile, questo, che rifletteva anche il contesto culturale del tem-po, segnato dal progressivo sviluppo industriale che stimolava e caldeggiava iniziative simili a vari livelli quali esposizioni regionali, nazionali, universali. Un primo elenco di “prodotti” realizzati dai giovani si può leggere nella documentazione elaborata in occasione della 2° Esposizione organizzata nell’estate del 1904 a Valdocco, alla quale parteciparono 58 scuole professionali salesiane, e che era articolata in cinque sezioni: Arti grafiche ed affini, Arti liberali, Mestieri (falegnami, calzolai, sarti e fabbri), Colonie agricole, Didattica. I documenti salesiani e alcuni giornali dell’epoca parlano di: - pregevolissimi lavori delle scuole dei falegnami ed ebanisti (Torino – Valdocco, Liegi, Milano, San Benigno, Sampierdarena; - pregevoli saggi delle scuole di Disegno, di Plastica e di Scultura, con le statue provenienti dalle scuole di Statuaria di Valdocco e di Barcellona – Sarrià; - artistiche produzioni ceramiche dell’Istituto S. Ambrogio di Milano; - lavori svariatissimi, semplici ed eleganti di molte scuole di Calzoleria e Sartoria; - documenti e saggi didattici riguardanti la cultura professionale; - didattica agraria dell’Istituto S. Benedetto di Parma; - l’atlante didattico-professionale di Liegi; - la collezione dei cartelloni del Musée scolaire dell’Émile Deyrolle, destinato alla casa d’Arequipa. La Federazione CNOS-FAP ha voluto rilanciare, adattandola alla situazione attuale, questa prassi salesiana valorizzando soprattutto la collaborazione con le imprese. Così, il 18 aprile 2008, sono stati convocati a Roma, presso l’Istituto Teresa Gerini, 50 allievi per misurarsi con la realizza-zione di uno specifico “capolavoro”. Provenivano da varie Regioni italiane e frequentavano, presso i Centri di Formazione Professionale (CFP) della Federazione CNOS-FAP, percorsi formativi spe-rimentali di durata triennale nei settori della meccanica industriale, dell’auto, dell’elettricità e dell’elettronica, della grafica. Prendeva così il via il “Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali”. Ancora oggi l’iniziativa si propone di raggiungere vari obiettivi: - stimolare gli allievi a misurarsi sulla realizzazione di un «capolavoro», elaborato d’intesa con le imprese del settore, che rispecchia le competenze che deve raggiungere al termine del percorso formativo; - promuovere il miglioramento continuo del settore e del singolo CFP, soprattutto dal punto di vi-sta tecnologico e della cultura d'impresa; - approfondire e consolidare il rapporto locale e nazionale con il mondo delle imprese del settore; - favorire lo scambio di esperienze tra regioni diverse; - premiare l'eccellenza tra gli allievi. In questa iniziativa le imprese sono protagoniste - nel collaborare ad elaborare la prova/capolavoro da sottoporre agli allievi; - nel valutare il manufatto; - nel segnalare gli allievi più meritevoli; - nel collaborare con la federazione CNOS-FAP a sostenere l’iniziativa Ogni edizione può contare sulla presenza di numerose imprese a partire dai grandi marchi internazionali, segno eloquente della condivisione della proposta. I marchi riportati sotto sono riferiti all’anno 2017: 5.6.2.5 Altre modalità di collaborazione Meritevoli di attenzione sono anche altre modalità di collaborazione. Ci limitiamo ad elencarne solo alcune che ci sembrano particolarmente significative.  Il CFP del CNOS-FAP come centro accreditato dall’impresa per la formazione continua Così Heidenhain per la meccanica industriale, Meusburger per lo sviluppo degli stampi, Schneider Electric per il potenziamento della domotica, Schneider Electric e Siemens per l’attuale ambito dell’Industria 4.0.  La promozione di premi e gare Varie aziende promuovono premi o gare specifiche per i giovani dei CFP e delle scuole salesiane. A solo titolo esemplificativo ricordiamo, tra le iniziative più recenti: - il Campionato Fresatori e Tornitori promosso dall’Agenzia per il Lavoro Randstad e Siemens; - il Micro Automation Project promosso da Schneider Electric, - la Iunior Welding Cup promosso dall’Istituto Italiano della Saldatura.  La presenza delle imprese nelle Fondazioni di partecipazione Diverse imprese sono presenti nelle Fondazioni di partecipazione che hanno dato vita agli Istituti Tecnici Superiori (ITS) ove si trova anche il CNOS-FAP. Questa presenza si sta rivelando davvero prestigiosa e strategica.  Sostegno nella partecipazione del CNOS-FAP alle principali fiere Molte imprese hanno sostenuto il CNOS-FAP al fine di ottenere facilitazioni e/o agevolazioni per la partecipazione alle principali fiere nazionali e internazionali: - Autopromotec, - Salone dell'automobile di Francoforte, - MECSPE, ecc. 5.6.2.6. Focus su tre collaborazioni particolari Pur considerando “importanti” tutti gli Accordi sottoscritti, alcuni di questi hanno avuto caratte-rizzazioni, pesi e interventi specifici. Riteniamo doveroso offrire un focus su tre collaborazioni par-ticolari. a Il Contributo di Fiat Group Automobiles Spa (FGA) – oggi Fiat Chrysler Automobiles (FCA) Il Settore automotive ha iniziato la strategia del “raccordo” con le imprese del Settore dando vita ad un polo, il “Polo formativo tecnologico” nel 2006. Ma il salto di qualità l’ha compiuto con l’Accordo con FGA - Fiat Group Automobiles (oggi FCA) nel 2008 e CNH Industrial nel 2011. Il progetto, denominato TechPro2, Technical Professional Program, le cui caratteristiche sono de-scritte anche nell’apposito sito http://www.techpro2.com/it, iniziato nel 2008, è attivo ancora oggi ed è diffuso in varie parti del mondo. Il progetto è stato pensato per offrire una formazione tecnica specializzata ai giovani che hanno terminato la scuola dell’obbligo e che spesso provengono da situazioni disagiate o da quartieri pro-blematici. Il Protocollo di Intesa sottoscritto con FIAT nel 2008 e rinnovato nel 2012, ha contribuito - ad innovare i CFP del CNOS-FAP attraverso l’allestimento di laboratori attrezzati; - ad aggiornare i formatori attraverso una formazione mirata; - a facilitare gli allievi nell’ingresso del mondo del lavoro attraverso l’opportunità dello stage presso la rete di FIAT. Complessivamente con questo progetto FCA e CNH Industrial hanno allestito oltre 50 laboratori in vari Paesi del Mondo, di cui quasi venti in Italia. Il progetto ha previsto, per ogni laboratorio, la do-tazione di vetture sulle quali esercitarsi, componenti Power Train, attrezzature di diagnosi, attrezza-ture generali e specifiche, PC dedicati, manualistica, formazione formatori generale e specialistica. «Complessivamente, in otto anni di vita, il progetto TechPro2 ha formato quasi 13 mila giovani con oltre 380 mila ore di lezione e sono stati avviati più di 5 mila stage e tirocini presso le reti assisten-ziali di FCA e CNH Industrial: cosi il Comunicato Stampa del 7 giugno 2016 che riporta dati pre-sentati nel Sustainability Report del Gruppo FCA. b Domotica e automazione industriale promosso da Schneider Electric Anche la collaborazione con Schneider Electric ha superato i confini nazionali espandendosi in varie parti del mondo. Iniziata negli anni duemila in Italia con la collaborazione per la formazione formatori, il rinnova-mento / potenziamento di laboratori negli ambiti della domotica e dell’automazione industriale, la collaborazione per la ristrutturazione di edifici secondo l’ottica del risparmio energetico, l’agevolazione o donazioni di materiale didattico, nel 2017 la collaborazione è divenuta «mondiale». Scheider Electric si è impegnata in quell’anno a finanziare progetti presentati da scuole tecniche e professionali particolarmente bisognose ubicate in varie parti del mondo: «La Fondazione di Scheider Electric finanzia progetti presentati da scuole tecniche e professionali salesiane nel mondo per 2 milioni di euro. Cinque i progetti internazionali scelti fra le scuole tecniche e professionali salesiane, finalizzati ad uno sviluppo umano e sociale sostenibile, così il Comunicato Stampa dell’11 maggio 2017. c Le tecnologie mobili nella scuola e nella formazione professionale salesiana È opinione condivisa che le più profonde trasformazioni culturali in ogni ambito, dunque anche in quello pedagogico e didattico, si avverano quando sono precedute da altrettanto profonde trasfor-mazioni tecnologiche, tali da richiedere una riformulazione dei modi consueti di pensare e agire. Anche l’introduzione delle tecnologie mobili, in particolare del tablet, nella didattica sta richiedendo mutamenti nel modo di concepire il rapporto tra insegnamento e apprendimento. A ben vedere il nuovo dispositivo mal si adatta agli scenari pedagogici consueti ma, non appena utilizzato, richiama una nuova pedagogia, o pad-agogia dell’apprendimento finendo per mettere a dura prova la capacità di cambiamento delle istituzioni che lo adottano: i CFP e le scuole, concepite per l’accoglienza dello studente sedentario, saranno in grado di trasformarsi in funzione del nomadismo dello studente digitale? Per rispondere a questo ed altri quesiti il CNOS-FAP e il CNOS/Scuola hanno avviato, in anni re-centi, una sperimentazione nelle proprie scuole e nei propri Centri di Formazione Professionale (CFP) per studiare, indagare, verificare e socializzare domande, progetti e buone pratiche relativi all’introduzione dei dispositivi digitali nella didattica. Essendo l’obiettivo di questa nota raccontare il rapporto del mondo salesiano con le imprese, in questa sede ci limitiamo ad evidenziare con chi il mondo salesiano si è confrontato e a quali risultati è giunto per avviare questa sperimentazione. La collaborazione si è sviluppata, in modo particolare, con Apple, giungendo ai seguenti ri-sultati: - Accreditamento di un CFP da parte di Apple Il 15 febbraio 2016 l’Istituto Salesiano San Marco ha ricevuto il titolo di Apple Distinguished School dopo un discreto periodo di sperimentazione. Il titolo Apple Distinguished School viene ri-conosciuto ai programmi presentati dagli Istituti che si sono contraddistinti per innovazione, leader-ship ed eccellenza nella didattica, e che esprimono l’idea di ambiente di apprendimento esemplare secondo Apple. - Rapporti scientifici sulla sperimentazione CNOS-FAP e CNOS/Scuola hanno documentato la sperimentazione triennale curando la stesura di appositi Report e strumenti di lavoro. La problematica è stata affrontata dal punto di vista educativo, didattico, organizzativo e tecnologi-co. - Linee Guida per l’apprendimento attivo in presenza di tecnologie Oltre ai Rapporti è stata elaborata anche un’agile Linea Guida per i docenti e i formatori. È stata immaginata come uno strumento di lavoro che li guida ad un uso «uso intelligente» degli strumenti appartenenti alla famiglia delle tecnologie mobili. Quanto raccontato è il cammino percorso dal mondo salesiano, un cammino che ha già supe-rato la durata di un decennio. Si tratta di una strada avviata nel passato ma che, con i necessari ag-giustamenti, continua ancora oggi. La sperimentazione dei percorsi formativi nella modalità duale e l’Alternanza Scuola – La-voro che coinvolge, in modo particolare, le scuole sono le sfide più recenti e l’occasione più propizia per approfondire ulteriormente la collaborazione con le Imprese. Enti di Formazione Professionale e Istituti di ricerca cominciano a documentare casi di stu-dio esemplari significativi, segno che il rapporto con le imprese sta diventando sempre più intenso. In modo particolare le esperienze più recenti dimostrano come il ruolo formativo dell’impresa di-venga sempre più esplicito. Affermavamo all’inizio di questa nota che il legame tra scuola e lavoro non è un percorso privo di ostacoli. I pericoli di piegare le finalità di una istituzione scolastica o formativa alle esigenze dell’impresa sono sempre presenti. Il racconto, però, ha mostrato che il rapporto è riuscito ad andare oltre alle difficoltà. L’impresa si è messa in gioco su tanti fronti. L’alleanza, poi, con una istituzione formativa ha fatto sì che i risultati conseguiti abbiano puntato alla finalità fondamentale che è la formazione globale della persona. 5.7. La dimensione religiosa e pastorale Per superare la dicotomia o giustapposizione tra la Formazione Professionale e l’educazione cristiana si è cercato di realizzare un processo di evangelizzazione integrato nella vita dei Centri CFP (Van Looy e Malizia, 1998). Il relativo iter comprende le seguenti articolazioni: - un ambiente di vita permeato dei valori evangelici; - una cultura che sia focalizzata sull’integralità della persona, soprattutto che tenga conto della sua dimensione spirituale e religiosa; - momenti ed esperienze esplicite di evangelizzazione; - proposta a coloro che lo vogliono di un cammino di educazione alla fede da attuare in comunione con la comunità cristiana. Gli obiettivi sono identificati nei seguenti: - trasmettere agli allievi una concezione umanistica ed evangelica della realtà sociale; - offrire a tutti o a gruppi specifici esperienze spirituali e di apertura a Dio sia nella vita ordinaria sia in momenti significativi dell’attività formativo; - dare l’opportunità di effettuare esperienze di servizio gratuito e di solidarietà con le persone in situazione di svantaggio; - proporre la possibilità di un accompagnamento personale da parte di qualche educatore cristiano. Un aspetto centrale nel potenziamento del processo di evangelizzazione è costituito dal rafforzamento della comunità educativo-pastorale. Infatti, in una prospettiva pastorale non basta il personale preparato, un curricolo adeguato o attrezzature di avanguardia; è anche necessaria una comunità di persone che abbiano coscienza della globalità della proposta pastorale salesiana, che interagiscano in modo sistematico e reciproco sulla base del progetto educativo-pastorale locale, che verifichino continuamente e, di conseguenza, migliorino e innovino i processi educativi e pastorali, che si impegnino ad aprirsi al territorio, in particolare al mondo giovanile, e che realizzino un iter sistematico di formazione permanente. Se l'educazione viene ad assumere una posizione centrale nella società, è chiaro che il servizio più significativo che possiamo offrire alle nuove generazioni consiste proprio in una formazione solida. Questa non va intesa naturalmente in un senso riduttivo come semplice istruzione o adde-stramento, ma deve fornire a ognuno le capacità per vivere al meglio nella società della conoscenza. L’eredità di 40 anni di storia e di esperienza pone la Federazione CNOS-FAP in una posizione di vantaggio nel realizzare questo compito. Con il sostegno di Dio, di Maria Ausiliatrice e del nostro Fondatore, come Salesiani ci impegniamo a operare in futuro anche più efficacemente che nei primi 40 anni per offrire a tutti i giovani, specialmente a quelli più emarginati, un orizzonte di senso e di significato, una guida al loro agire e conoscenze e competenze adeguate per la vita e per il lavoro, in modo da aiutarli ad acquisire quella prepa¬razione valoriale, culturale e professionale elevata che consenta loro di inserirsi da protagonisti in un mondo sempre più artico¬lato e complesso. A supporto di queste istanze religiose e pastorali la Federazione CNOS-FAP ha adottato il modello organizzativo e di gestione adeguato alle normative vigenti (D. Lgs. 8 giugno 2011, n. 231 e successivi provvedimenti) ma ritenuto anche un utile strumento per rafforzare l’azione formativa e preventiva con tutti i soggetti che agiscono in una struttura salesiana. Il Codice etico, in particolare, è di aiuto e di guida per far sì che tutti gli operatori agiscano, dal punto di vista educativo, religioso e pastorale, nella medesima direzione, mettendo in atto quella comunità educativo-pastorale che è alla base di ogni efficace azione educativa (Cnos-Fap, 2008). L’ultimo strumento di magistero salesiano, a supporto dei CFP della Federazione, in ordine di tempo, è il sussidio elaborato dalla Congregazione Salesiana: La pastorale giovanile salesiana. Quadro di riferimento (2014), un manuale, così lo presenta il curatore Fabio Attard, Consigliere Generale per la Pastorale Giovanile, che deve ispirare ogni comunità educativo-pastorale per far sì che in ogni casa (Scuola, Centro di Formazione Professionale) ci sia una chiara proposta di evan-gelizzazione e di educazione; uno strumento di formazione di tutti coloro – salesiani, educatori ed educatrici – che sono corresponsabili della missione salesiana. (Dicastero per la pastorale giovanile salesiana, p. 9) 5.8. Pubblicazioni e RASSEGNA CNOS Da sempre la Federazione CNOS-FAP ha documentato e pubblicato studi, ricerche e speri-mentazioni e dal 1984 la Rivista Rassegna CNOS. In un particolare periodo, quello della sperimentazione dell’anno 2003, è nata una documentazione che riteniamo più organica e sistematica: la collana «Studi, Progetti, Esperienze per una nuova formazione professionale». La collana, oggi, ha raggiunto il lusinghiero numero di circa 200 pub-blicazioni. Ci piace dare qualche cenno sugli inizi della Collana, anni fecondi di studi e di ricerche e successivamente sulle caratteristiche della Rivista. 5.8.1. Studi, progetti, esperienze per una nuova formazione professionale I testi che hanno ispirato e guidato il monitoraggio della sperimentazione nelle Regioni sono, in particolare: D. NICOLI, Linee guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 1 ed. 2004, 2 ed. 2008; CNOS/FAP e CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati nelle comunità professionali alimentazione, aziendale e amministrativa, commerciale e delle vendite, elettrica ed elettronica, estetica, grafica e multimediale, legno e arredamento, meccanica, sociale e sanitaria, tessile e moda, turistica e alberghiera, (Anni 2003-2004); G. MALIZIA – D. ANTONIETTI – M. TONINI, Le parole chiave della formazione professionale, 2 ed. 2007 . Studi e forme di ricerca – azione hanno approfondito aspetti del percorso formativo triennale e quadriennale, dell’apprendistato, dei percorsi destrutturati, delle anagrafi formative. Si ricordano, in particolare: D. NICOLI – G. TACCONI, Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Rico-gnizione dello stato dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP, il 1° volume nel 2007 e il 2° volume nel 2008; S. D’AGOSTINO, Apprendistato nei percorsi di diritto-dovere, 2007, G. MALIZIA – V. PIERONI, Percorsi/progetti formativi “destrutturati”. Linee guida per l’inclusione socio-lavorativa di giovani svantaggiati, 2005; A. ALFANO, Un progetto alter-nativo al carcere. I sussidi utilizzati nel Centro polifunzionale diurno di Roma, 2006; G. MALIZIA, Diritto - dovere all’istruzione e alla formazione e anagrafe formativa. Problemi e prospettive, 2007. Sull’identità del formatore e sulla sua formazione sono stati promossi vari studi. Si ricordano, innanzitutto, gli studi coordinati da M. Pellerey: M. PELLEREY, Processi formativi e dimensione spirituale e morale della persona. Dare senso e prospettiva al proprio impegno nell’apprendere lungo tutto l’arco della vita, 2007 e M. BAY – D. GRZADZIEL – M. PELLEREY, Promuovere la crescita nelle competenze strategiche che hanno le loro radici nelle dimensioni morali e spirituali della persona, 2010. Sono da ricordare, inoltre, le pubblicazioni di G. Tacconi e S. Fontana sulla formazione al sistema preventivo di don Bosco, G. TACCONI, Insieme per un nuovo progetto di formazione, 2003, S. FONTANA – G.TACCONI – M. VISENTIN, Etica e deontologia dell’operatore della FP, 2003; i volumi di G. Ruta che hanno concorso a sistematizzare la formazione all’insegnamento della religione nella FP, G. RUTA (a cura di), Etica della persona e del lavoro, 2004, Vivere, Linee guida per i formatori di Cultura etica e religiosa nei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale, 2007. Per sostenere gli operatori della FP nella delicata azione di interazione con la famiglia e il mondo del lavoro, la Sede Nazionale ha elaborato alcune ricerche-azioni. Si segnalano: M. BECCIU – A. R. COLASANTI, La corresponsabilità CFP – famiglia: i genitori nei CFP. Esperienza triennale nel CFP CNOS-FAP (2004 – 2006), 2006; G. MALIZIA – V. PIERONI, Accompagna-mento al lavoro degli allievi qualificati nei percorsi triennali del diritto – dovere. Linee guida e raccolta di buone pratiche per svolgere le attività, 2009; G. MALIZIA – V. PIERONI – A. SAN-TOS FERMINO, Individuazione e raccolta di buone prassi mirate all’accoglienza, formazione e integrazione degli immigrati, 2009; oltre a due guide operative per gli operatori curate da F. GHERGO, Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo. Una proposta di percorsi per la creazione d’impresa, 2 ed. 2009a e da E. MARSILII, Dalla ricerca al rapporto di lavoro. Opportu-nità, regole e strategie, 2007. Aspetti di carattere di filiera e di carattere europeo messi a disposizione degli operatori per la loro formazione sono stati dati attraverso la pubblicazione dei volumi: M. PELLEREY (a cura di), Studio sull’intera filiera formativa professionalizzante alla luce delle strategie di Lisbona a partire dalla formazione superiore non accademica, 2008; M. COLASANTO (a cura di), Il punto sulla formazione professionale in Italia in rapporto agli obiettivi di Lisbona, 2008; G. MALIZIA, Politiche educative di istruzione e formazione. La dimensione internazionale, 2008; D. NICOLI, I sistemi di Istruzione e Formazione professionale (VET) in Europa, 2009. Non potevano mancare studi sugli aspetti pedagogici ed educativi degli allievi che frequen-tano i percorsi formativi triennali. Ricerche e monitoraggi sono stati documentati in vari volumi. Si ricordano, tra gli altri: G. MALIZIA – M. BECCIU – A. R. COLASANTI – R. MION – V. PIE-RONI, Stili di vita degli allievi/e dei percorsi formativi del diritto-dovere, 2007, G. MALIZIA – V. PIERONI, Follow-up della transizione al lavoro degli allievi/e dei percorsi triennali sperimentali di IeFP, 2008. Avvalendosi della consulenza del CENSIS la Federazione CNOS-FAP ha indagato con studi e ricerche mirate su specifiche questioni: la scelta dei giovani, la carenza di proposte di for-mazione nelle Regioni del Sud e il rapporto tra Enti di FP e imprese. I risultati sono riportati nei volumi: C. DONATI – L. BELLESI, Giovani e percorsi professionalizzanti: un gap da colmare?, 2007; L. BELLESI – C. DONATI, Ma davvero la formazione professionale non serve? Indagine conoscitiva sul mondo imprenditoriale, 2008; C. DONATI – L. BELLESI, Verso una prospettiva di lungo periodo per il sistema della formazione professionale. Il ruolo della rete formativa, 2009. Il monitoraggio delle sperimentazioni ha permesso alla Federazione e agli Enti di FP aderenti a CONFAP e a FORMA di essere protagonisti della sperimentazione e di documentarne gli esiti. Si riportano, per evidenziarne la quantità e la vastità, i principali testi: Emilia Romagna: E. LODINI – I. VANNINI, Istruzione e formazione: il monitoraggio dell’integrazione, 2006; G. SACCHI, Istruzione e formazione: l’integrazione possibile, 2006. Lazio: G. MALIZIA – V. PIERONI, Le sperimentazioni del diritto-dovere nei CPF del CNOS-FAP e del CIOFS/FP del Lazio, 2007. Liguria: R. FRANCHINI – CERRI R. (a cura di), Per una istruzione e formazione profes-sionale di eccellenza. Un laboratorio per la riforma del sistema educativo, 2005; D. NICOLI – M. PALUMBO – G. MALIZIA (a cura di), Per una istruzione e formazione professionale di eccellenza. Nuovi percorsi formativi per la riforma del sistema educativo, 2005. Lombardia: REGIONE LOMBARDIA. ISTRUZIONE E FORMAZIONE PROFESSIO-NALE, Progetto sperimentale triennale: linee guida dell’area professionale alimentare, commercio e vendite, edile e del territorio, elettrica, estetica, grafica e multimediale, meccanica, servizi impresa, 2003. Piemonte: G. MALIZIA – D. NICOLI – V. PIERONI (a cura di), Una formazione di successo. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali di istruzione e formazione professionale in Piemonte 2002 – 2006, 2006; D. NICOLI – M. COMOGLIO (a cura di), Una formazione efficace. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali di istruzione e formazione professionale in Piemonte 2002 –2006, 2008. Puglia: C. NALDI – L. CAPUTO, L’esperienza di formazione formatori nel progetto 2003. La riflessività dell’operatore come via per la prevenzione e la cura educativa degli allievi della formazione professionale iniziale, 2008; C. LANESE, Ci sono dei posti vuoti in classe. Analisi della dispersione scolastica e linee di intervento, 2009. Sardegna: CNOS-FAP SARDEGNA (a cura di), Repertorio dei profili professionali e dei corrispondenti percorsi formativi in Sardegna, 2003; CNOS/FAP (a cura di), Guide metodologiche per l’elaborazione di piani e di percorsi formativi, 2003; CNOS/FAP (a cura di), Il portfolio delle competenze individuali, 2003; CNOS/FAP (a cura di), L’orientamento in Sardegna. Un modello operativo di intervento, 2003. Sicilia: G. MALIZIA – V. PIERONI, Le sperimentazioni del diritto – dovere nei CFP del CNOS-FAP e del CIOFS/FP della Sicilia, 2007. Veneto: D. NICOLI – M. LOZZI – C. CATANIA – G. MALIZIA, Studio, ricerca, valuta-zione, monitoraggio delle politiche di formazione e istruzione, 2004; FORMA VENETO, Metodo-logie e strumenti per un nuovo modello regionale di riconoscimento delle qualifiche nel secondario e per un coerente processo di adeguamento delle competenze degli operatori della formazione pro-fessionale, 2004; CNOS/FAP (a cura di), Rapporto dell’esperienza sull’apprendimento per compe-tenze in 22 CFP degli Enti aderenti a Forma della Regione Veneto, 2006 (paper). 5.8.2. Rassegna CNOS, dal 1984 una voce che continua Dal 1984, anno della sua fondazione ad opera dei Salesiani, Rassegna CNOS affronta, con taglio interdisciplinare, i molteplici aspetti del sistema educativo di Istruzione e Formazione ita-liano, approfondendone, in particolare, gli ambiti ordinamentali, progettuali ed organizzativi inqua-drati nel più ampio orizzonte europeo e internazionale. La Rivista, a tale scopo, con il contributo dei suoi collaboratori, promuove e diffonde Studi, Ricerche, Progetti ed Esperienze realizzati dalla Federazione CNOS-FAP, ma non solo, ri-flette anche sui principali Rapporti e aggiorna uno specifico Osservatorio sulle politiche formative europee, nazionali e regionali. La Rivista, da sempre quadrimestrale, è stampata in circa 1.500 copie e viene spedita agli interlocutori istituzionali di livello europeo, nazionale e regionale, ai vari Enti di ricerca, alle Uni-versità, agli Enti di Formazione Professionale e ai rispettivi operatori. È coordinata da una Condirezione, da un Comitato Scientifico e da un gruppo di Collabo-ratori. La sua struttura è rimasta, nella intelaiatura generale, stabile: STUDI, ESPERIENZE, VI-TA CNOS. Oggi, benché più articolata, mantiene ancora una organizzazione vicina a quella originaria: Studi e ricerche, Progetti e esperienze, Osservatorio sulle politiche formative, Schede su Libri e Rapporti. Un allegato, che ha l’intento di offrire soprattutto materiali utilizzabili per la didattica, è “UNA RIVISTA” nella Rivista Rassegna CNOS per il suo spessore di pagine. Completano il nume-ro della Rivista l’Editoriale e alcune rubriche complementari quali: suggerimenti per l’uso didattico del film su temi vicini al mondo giovanile, della Formazione Professionale e del lavoro e indicazioni bibliografiche. Nei suoi «34 anni di vita», la Rivista è stata sempre fedele alla sua scadenza quadrime-strale. Ci piace ricordare per memoria e per affetto l’Editoriale del primo numero della Rivista, (Anno 1 – numero 0 – ottobre del 1984: «Il CNOS (Centro Nazionale Opere Salesiane), con la pubblicazione della presente Rassegna intende offrire agli Operatori della formazione professionale, ai Centri di Studio del settore e a quanti, soprattutto a livello regionale, sono delegati dalla Comunità alla promozione e al controllo delle iniziative pubbliche e convenzionate nel campo della F.P., un periodico saggio degli studi e delle ricerche degli esperti e l'esperienza degli operatori dei suoi 41 Centri, impegnati oggi particolarmente nella innovazione e sperimentazione della didattica e delle tecnologie formative. Modesto contributo dell'Ente alla vasta ricerca di «nuova professionalità», e di conseguente innovazione nel campo formativo: compito che ci appare del tutto primario e che non può non essere assunto globalmente dalla Comunità Nazionale nei confronti di tanti giovani inoccupati come dei lavoratori, oggi duramente provati dall'incertezza dell'occupa-zione. Con «Rassegna CNOS» l'Ente si pone modestamente in dialogo e confronto con le numerose, dotte ed esperimentate pubblicazioni, fiorite anche nel campo specifico in questo decennio e con le Istituzioni, di cui sono espressione, portando idee ed esperienze, in fedeltà alla Sua originale ispirazione, che non può non rifarsi alla sua memoria storica, a Don Bosco educatore e alla sua creazione geniale e prediletta «la Scuola di Lavoro». Oggi sono da più parti segnalate le forti carenze della formazione professionale; in particolare si vuol rilevare la separatezza esistente fra ricerca scientifica e tecnologica da una parte e formazione professionale dall'altra, ancor più il mancato coordinamento di quest'ultima con i processi produttivi, soggetti a rapida trasformazione per il cambio di or-ganizzazione del lavoro e per l'introduzione di nuove tecnologie. Il campo si fa ancor più vasto e di difficile interpretazione quando si tenga conto delle problematiche relative ai nuovi atteggiamenti assunti dall'uomo-lavoratore nei confronti del lavoro stesso e delle domande di «nuova professionalità», più umanizzante e più partecipativa. Il mondo Salesiano, che fa riferimento al CNOS, mentre avverte la sfida dell'o-dierna società postindustriale alle sue strutture formative, trova allo stesso tempo nella sua storia centenaria tra i giovani lavoratori e nella sua pedagogia umanistica e cristiana validi stimoli e fondamento ad approfondire la sua Proposta formativa per farne strumento di «educazione» a favore dell'«uomo-lavoratore» ed elemento di trasformazione dello stesso mondo produttivo. Le sottolineature sono nostre. Ci servono per evidenziare come alcune caratteristiche delle origini siano ancora presenti oggi nel suo impianto progettuale: - il «compito primario» o, possiamo dire oggi, la stretta connessione tra mondo del lavoro e for-mazione professionale: Modesto contributo dell'Ente alla vasta ricerca di «nuova professionalità», e di conseguente innovazione nel campo formativo; - lo «stile» mai spigoloso o di rottura ma «preciso e chiaro» nelle proposte: in dialogo e confronto con le numerose, dotte ed esperimentate pubblicazioni, fio-rite anche nel campo specifico in questo decennio e con le Istituzioni; - i «riferimenti fondativi passati» per affrontare le «sfide del futuro»: trova allo stesso tempo nella sua storia centenaria tra i giovani lavoratori e nella sua pedagogia umanistica e cristiana validi stimoli e fondamento ad approfondire la sua Proposta formativa per farne strumento di «educazione» a favore dell'«uomo-lavoratore» ed elemento di trasformazione dello stesso mondo pro-duttivo 6. La Federazione CNOS-FAP nelle Regioni tra numeri e attività 6.1. Abruzzo 6.2. Calabria 6.3. Campania 6.4. Emilia-Romagna 6.5. Friuli-Venezia Giulia 6.6. Lazio 6.7. Liguria 6.8. Lombardia 6.9. Piemonte 6.10. Puglia 6.11. Sardegna 6.12. Sicilia 6.13. Toscana 6.14. Umbria 6.15. Valle d’Aosta 6.16. Veneto Conclusione Ci piace concludere questo excursus riportando alcuni passaggi di un discorso autorevole che don Egidio Viganò, VII Successo di don Bosco, offrì ai Delegati della prima Assemblea CNOS-FAP del 1978: «Mi sembra che il ruolo e l'importanza di questa Federazione è non tanto di natura socio giu-ridica, ma di natura socio-culturale. È impossibile un dialogo, un confronto culturale nel mondo del lavoro, oggi a livello di ogni singolo Centro di Formazione Professionale, sia che questo operi a Selargius, a Sesto S. Giovanni o a Lecce. Non perché a questo livello ciò non si possa fare, ma risulterebbe condizionato dall'ambito ristretto e locale. Un più valido confronto si deve fare a livello del mondo del lavoro, che è una realtà molto complessa, organizzata e, purtroppo, troppo politicizzata e con una cultura monopolizzata da ideo-logie che sono spesso anticulturali. Non per questo dobbiamo abbandonare il campo e lasciare questo mondo culturale: ma dob-biamo far valere la nostra presenza non isolatamente, come formiche che arrivano per caso, ma come un corpo organico. […] D. Bosco era un uomo dalle vedute larghe e sapeva essere all'altezza di trattare con i Ministri del Regno e con il Papa sui problemi che riguardavano la Chiesa e le relazioni tra Chiesa e Stato. Questo tipo di politica, Don Bosco l'ha fatta: una politica a lettere maiuscole, una politica che rico-nosce alla cultura una grande importanza nel processo di crescita di un paese e di una nazione, sotto il profilo civile che noi sappiamo illuminato ed irrobustito dal Vangelo, anche se ciò non potrà essere sempre manifestato apertamente, perché il Vangelo c'illumina su certi valori che sono fondamentali … La conclusione di questa seconda riflessione è dunque: CAPACRÀ DI SOSTENERE IL CONFRONTO CULTURALE, sommando e facendo convergere tutte le forze disponibili su quali-ficanti progetti e programmi che impegnano la nostra presenza nel conseguimento di questo obietti-vo», (Viganò, 2012, pp 95-96). La storia della Federazione CNOS-FAP è stato anche questo: attraverso il confronto culturale proporre a tutte le componenti della società, come mondo salesiano, una formazione professionale che sia “educativa” per puntare allo sviluppo integrale della personalità del giovane/adulto, “profes-sionale” per facilitargli il difficile inserimento nella società e nel mondo del lavoro, fondata su basi “etiche e socio-politiche” per dotarlo di una formazione che punti al «buon cristiano e onesto citta-dino», l’ispirazione dell’«umanesimo educativo di don Bosco». Bibliografia ASSOLOMBARDA – ADAPT, Il futuro del lavoro, paper on-line, Milano, 2018. AVALLONE F., La metamorfosi del lavoro, Milano, Angeli, 1995. BENTIVOGLI M., Abbiamo rovinato l’Italia? Perché non si può fare a meno del sindacato, Roma. Castelvecchi, 2017. BERTAGNA G., Entra in vigore la “Morfiormini” (Moratti, Fioroni, Gelmini), in “Nuova Secon-daria”, 27(2010)7, 9-10. BOTTA P. 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Tra due culture dello sviluppo formativo 1.2. La nascita della Federazione Nazionale CNOS-FAP (fine anni ’70) e il suo consolidamento (anni ’80) 2. La Federazione CNOS-FAP durante gli anni ‘90 2.1. Una società inquieta in fase di attesa 2.2. Il CNOS-FAP e il CFP polifunzionale 2.2.1. Un modello formativo e comunitario 2.2.2. Un modello progettuale 2.2.3. Un modello al servizio della persona 2.2.4. Un modello coordinato e integrato 2.2.5. Un modello aperto 2.2.6. Un modello flessibile 2.2.7. Un modello qualificato 3. Agli inizi del terzo millennio: verso un sistema maturo ma disomogeneo di FP 3.1. L’avvento della società della conoscenza 3.1.1. I fattori strutturali 3.1.2. Le dinamiche culturali 3.2. Un decennio di riforme 3.3. Il cammino della Federazione CNOS-FAP 3.3.1. La promozione della Formazione Professionale Iniziale (FPI) nella riforma 3.3.2. L’aggiornamento del CFP polifunzionale 3.3.3. Il potenziamento della formazione dei formatori 3.3.4. La sperimentazione dell’obbligo formativo e del diritto-dovere 4. Gli anni della grande crisi: la resilienza della FP e del CNOS-FAP 4.1. Elementi di scenario e le principali riforme 4.1.1. I nodi problematici della situazione sociale 4.1.1.1. Nove gruppi per analizzare il sistema sociale 4.1.1.2. La situazione economica e sociale nel 2016 4.1.2. La riforma della “Buona Scuola” e i decreti attuativi 4.1.2.1. Il sistema educativo di istruzione e formazione: andamenti quantitativi 4.1.2.2. La riforma della “Buona Scuola” e la IeFP 4.1.2.3. La revisione dei percorsi dell’istruzione professionale e il raccordo con l’IeFP 4.1.3. La riforma del mercato del lavoro e potenziamento della formazione professionale 4.1.3.1. La riforma del mercato del lavoro: il Jobs Act 4.1.3.2. La sperimentazione del sistema duale promossa dal MLPS 4.1.3.3. Il rapporto tra sistema della formazione professionale e politiche attive del lavoro 4.2. Il cammino della Federazione CNOS-FAP 4.2.1. Gli apporti di tre sperimentazioni: 4.2.1.1. La via duale: «Imparare lavorando. In Italia si può» 4.2.1.2. La valutazione della IeFP: il progetto sperimentale VALEFP 4.2.1.3. L’introduzione delle tecnologie mobili nella didattica della IeFP: a. Sperimentazione nel mondo scolastico salesiano b. Sperimentazione nel mondo formativo salesiano 4.2.2. La formazione dei formatori 4.2.2.1. La formazione in servizio nel CNOS-FAP: qualità e gradimento a. la prospettiva di referenti significativi sulla qualità della partecipazione b. il gradimento delle attività di formazione in servizio del CNOS-FAP c. punti di forza e di debo9lezza della formazione in servizio del CNOS-FAP 4.2.2.2. Proposte per un potenziamento della formazione in servizio del CNOS-FAP 4.2.3. Il successo formativo degli allievi del CNOS-FAP 4.2.4. La proposta di «Il lavoro buono» 4.2.4.1. L’educazione al lavoro nella Proposta Formativa (1989) 4.2.4.2. L’educazione al lavoro nelle Linee Guida per i percorsi di IeFP (2003) 4.2.4.3. La proposta di «Il lavoro buono. Un manuale di educazione al lavoro per i giovani» (2018) 4.2.5. L’adattamento della IRC alle esigenze della IeFP 4.2.5.1. La scelta della dimensione etico-religiosa nella Proposta Formativa (1989) a. L’inscindibile legame con una ininterrotta tradizione di formazione professionale salesiana b. L’impianto metodologico della formazione professionale data dalla legge 845/78 4.2.5.2. La dimensione etico-religiosa nella “Guida di Cultura Generale” per i CFP (1991) 4.2.5.3. Un sussidio organico elaborato con il coordinamento del prof. Giuseppe Ruta (2007) 4.2.5.4. Una nuova proposta coordinata dal prof. Lucillo Maurizio (2014 e anni seguenti) 4.2.5.5. Oggi ancora «Dimensione etico-religiosa» o «Insegnamento della Religione Cattolica?» 4.2.6. L’alleanza con le famiglie 4.2.7. Il Centro di Formazione per il lavoro motore della buona formazione 4.2.7.1. Il CFP come comunità formatrice 4.2.7.2. Il CFP come organizzazione di servizi formativi per il lavoro 4.2.7.3. Il formatore come educatore professionale nella IeFP 4.2.7.4. Una leadership morale e condivisa per la formazione a. una definizione della leadership b. le funzioni del dirigente 4.2.7.5. Il CFP come «Impresa formativa (non simulata)»: una nuova sfida a. il contributo del CNOS-FAP (anno 2015) b. il contributo di Scuola Centrale Formazione (anno 2018) 4.2.8. Nuove sfide per la Federazione CNOS-FAP 4.2.8.1. Servizi al Lavoro (SAL) 4.2.8.2. La strategia della internazionalizzazione della Federazione CNOS-FAP 5. Il retaggio dei 40 anni 5.1. Una crescita quantitativa tendenziale ma disomogenea 5.1.1. Lo storico dei primi 25 anni (1977-2002): un aumento quantitativo costante 5.1.2. Gli anni della sperimentazione dei percorsi di IeFP (2003 – 2011) 5.1.3. Gli anni della sperimentazione del sistema duale (2012 – 2017) 5.2. L’impegno per una pari dignità della formazione professionale 5.2.1. La formazione professionale nel sistema educativo di Istruzione e Formazione 5.2.2. Dai percorsi di IeFP ad una filiera professionalizzante verticale 5.2.3. L’introduzione della «via italiana al sistema duale» 5.3. I giovani e la formazione integrale 5.3.1. La qualità pedagogica e didattica salesiana 5.3.2. La qualità dei risultati: una proposta di «valutazione» 5.3.3. La qualità dell’organizzazione a sostegno del progetto educativo 5.3.4. La qualità del ciclo di vita del processo formativo 5.4. Il modello organizzativo del CFP polifunzionale 5.5. Il processo di insegnamento-apprendimento 5.6. Federazione CNOS-FAP e imprese 5.6.1. Modalità culturale: manuali per i docenti e i formatori 5.6.2. Modalità operativo: sinergia con le imprese 5.6.2.1. La collaborazione per la formazione dei formatori e dei docenti 5.6.2.2. La collaborazione per l’innovazione tecnologica e strumentale 5.6.2.3. L’apporto per l’innovazione strutturale degli edifici 5.6.2.4. Il sostegno al «Concorso Nazionale dei Capolavori dei Settori Professionali» 5.6.2.5. Altre modalità di collaborazione 5.6.2.6. Focus su tre collaborazioni particolari a. il contributo di Fiat Chrysler Automobiles (FCA) b. Domotica e automazione industriale promossa da Schneider Electric c. Le tecnologie mobili nella scuola e nella formazione professionale salesiana 5.7. La dimensione religiosa e pastorale 5.8. Pubblicazioni e Rassegna CNOS 5.8.1. Studi Progetti Esperienze per una nuova formazione professionale 5.8.2. Rassegna CNOS: dal 1984 una voce che continua ancora oggi 6. La Federazione CNOS-FAP nelle Regioni tra numeri e attività 6.1. Abruzzo 6.2. Calabria 6.3. Campania 6.4. Emilia-Romagna 6.5. Friuli-Venezia Giulia 6.6. Lazio 6.7. Liguria 6.8. Lombardia 6.9. Piemonte 6.10. Puglia 6.11. Sardegna 6.12. Sicilia 6.13. Toscana 6.14. Umbria 6.15. Valle d’Aosta 6.16. Veneto

Coi tempi e con Don Bosco - Contratto di apprendizzaggio

Autore: 
CNOS-FAP
Categoria pubblicazione: 
Fuori collana
Anno: 
2018
Numero pagine: 
32
Don Bosco, contratto apprendizzaggio, educatore ante litteram, apprendistato, aspetti innovativi

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