LA SFIDA EDUCATIVA IN TEMPO DI PANDEMIA

Introduzione
Non ci sarà un anno come il 2020-2021: dopo questo shock, l’educazione, che è uno dei pilastri della società, sta subendo, insieme a tutti gli altri settori della vita e dell’umanità, un enorme cambiamento a causa del terremoto globale, che è veramente globale, causato dalla pandemia Covid-19.
Ci sono molte immagini da rinnovare e cambiare. È la metafora della scuola.
Dobbiamo disegnare nuove coreografie nell’educazione, nella scuola, nei nostri Centri di Formazione Professionale e dipingere un quadro diverso per superare l’amnesia della realtà e la vulnerabilità di una educazione vuota di persone.
La pandemia di Covid-19 ha generato una delle più gravi interruzioni nella storia dei sistemi educativi globali, impedendo a più di 1,6 miliardi di studenti in più di 190 Paesi di frequentare la scuola al culmine della crisi (UN, 2020: Policy Brief: Education during and after Covid-19).
Il tempo della “nuova normalità” sta arrivando e arriverà, a tappe, in diverse parti dell’emisfero. Dobbiamo superare il pericolo della “catastrofe generazionale” di cui ha parlato il segretario generale dell’ONU. Dobbiamo superare la possibilità di una “generazione Covid-19”. Più che mai, abbiamo bisogno di educazione e pastorale per riprenderci dalla possibilità di una calamità irreparabile, silenziosa e senza precedenti, segnata dal dolore, dal confino, dal lutto, dalla paura, dalla mancanza di senso. Dobbiamo raggiungere lo sviluppo del meglio in ognuno dei nostri studenti e toccare la chiave sensibile del bene che trasforma tutto, dando risalto e centralità al soggetto, alla persona, scommettendo sull’innovazione, cercando risorse e strumenti per lo sviluppo integrale di ognuno dei membri della comunità educativa, specialmente bambini, adolescenti e giovani.
La storia raccoglierà in manuali e saggi l’esperienza di trasformazione vissuta dall’umanità in questo tempo e nel nostro spazio. Una “nuova normalità” sta emergendo nei nostri spazi educativi e pastorali di fronte al vissuto, nel superamento di una metafora del vuoto, dell’autodistruzione e del disorientamento. L’educazione in generale (e la scuola/CFP in particolare) sarà capace di cambiare e riempirsi di una nuova ricchezza?
Cosa dobbiamo fare? Che sfide educative si presentano per il dopo della pandemia?

1. Un cammino che si fa camminando: il cammino verso l’Emmaus del nostro tempo
Mi permetto di fare un paragone fra questa realtà che (ancora) stiamo vivendo e il paradigma dell’esperienza del cammino di Emmaus (Le 24, 13-35).
Nel punto di partenza, tutto quello vissuto a Gerusalemme: sofferenza, morte, delusione. Due giovani, tristi per l’epilogo della vicenda di Gesù, hanno frustrazione e disperazione (v. 21) ed incredulità (vv. 23.34). Camminando quasi per inerzia, cercano di trovare risposte alla loro collezione di domande, dubbi, incomprensioni, cercando l’elemento che permetterà loro di incastrare la storia e darle una spiegazione.
È stata questa l’esperienza dell’umanità rappresentata nel vuoto di una Piazza di S. Pietro con Papa Francesco il giorno della preghiera Urbi et Orbi (27/03/2020) dove il Crocifisso, nel silenzio non immaginabile, era bagnato dalle lacrime del Cielo.
Parlano, i due giovani, di Emmaus, del significato di una “tomba vuota”, senza risposte alle loro aspettative di comprensione dalla realtà. Tuttavia, lì, sulla strada “il Signore è vicino per salvare coloro il cui cuore è spezzato e che hanno perso la speranza” (Sal. 34,18). Non è un cammino verso il nulla, ma un cammino di incontro con la Vita e con se stessi. Nell’incontro di verità piena, vinta la cecità, rinascono nella gioia di sapersi accompagnati dal Signore nel momento del loro più grande dolore. Così si scoprono bisognosi di “passare dai pensieri sul mio io alla realtà del mio Dio” (Papa Francesco, Regina Coeli, 26 aprile 2020).
Gesù chiese loro: “Di cosa state parlando lungo la strada? (Lc 24,17).
Non è forse vero che i termini coronavirus, pandemia, contagio, vaccino, dolore e morte... sono i nostri temi quotidiani oggi? Parlare ripetutamente di un evento doloroso può continuare per qualche tempo dopo l’evento. Soprattutto se l’evento è permanente, come nel caso della pandemia che stiamo vivendo. E cosa fare? Bisogna andare avanti. O meglio, ritornare al punto di partenza verso la nuova Gerusalemme dove una nuova vita, una nuova “normalità” ci aspetta nell’incontro con gli altri, per la testimonianza dell’ottimismo dalla vita, dalla bellezza del nostro vivere quando tutto si svolge per la realtà del Signore vivo e risuscitato.
Questa è la nostra più grande sfida educativa e pastorale in questo momento: fare un cammino insieme, di vicinanza e prossimità, con il Signore accompagnandoci, come bene abbiamo imparato da Don Bosco, per essere con i giovani e fra loro, nel cammino verso una speranza nuova. La stessa esperienza di speranza che hanno vissuto i discepoli di Emmaus nel loro ritorno alla comunità dei testimoni del Risuscitato nell’oggi del nostro agire educativo.
Papa Benedetto XVI nel 2008 ha parlato di una “grande emergenza educativa”, confermata dai fallimenti in cui i nostri sforzi per formare persone solide, capaci di collaborare con gli altri e di dare un senso alla loro vita, molto spesso finiscono in fallimento.
Papa Francesco, prima della pandemia, ha avvertito la necessità di un “patto educativo globale” dove si mette al centro la persona del bambino/adolescente e del giovane; dove si cerca il suo protagonismo, dove si costruisce una dinamica di proposte che rispondano ai desideri più profondi dei più poveri e bisognosi, che è molto in linea con il suo motto di “formare esseri umani eccellenti, cristiani autentici e veri servitori della società”, trasformando, innovando, facendo “nuove tutte le cose” (Ap 21,5).

2. La sfida della formazione integrale
La vera sfida educativa nell’era Covid-19 è la formazione integrale della persona.
È tempo di salvare quelle proposte che ci fanno andare verso l’interno, educare alla responsabilità e alla libertà, risvegliando nel cuore dei giovani un ideale che cerca sempre il bene degli altri, rafforzando il sentimento, il pensiero e l’azione verso ogni essere umano. Si tratta di formare persone non per se stesse e la loro individualità, ma per vivere armoniosamente nella società, che sanno vivere insieme agli altri e assumono la loro interdipendenza dagli altri.
La formazione integrale è un progetto educativo che parte da una visione della persona come unità indivisibile formata con l’obiettivo di sviluppare tutte le sfaccettature della persona, le sue facoltà, abilità e competenze in modo armonico, completo e progressivo.
In questo momento di pandemia, il comportamento etico alla ricerca del bene comune diventa più rilevante. Il progetto di vita etica è un’espressione della formazione ai valori che aiuta lo sviluppo integrale degli studenti con una visione della responsabilità (personale e collettiva) e della solidarietà (preventiva e attiva) davanti alle situazioni critiche.
Nel caso di Covid-19, sono necessarie nuove strategie educative per sensibilizzare e preparare gli studenti, che saranno i prossimi nuovi cittadini, a cercare soluzioni che tengano conto del rispetto della vita, dello sviluppo sostenibile e dell’impegno etico.
L’educazione come strumento per rendere gli studenti consapevoli dell’importanza di essere proattivi nella cura del loro ambiente e di essere capaci di vivere valori, cambiare comportamenti e stili di vita per il loro benessere individuale, sociale e ambientale.
«La scuola è senza dubbio una piattaforma per avvicinarsi ai bambini e ai giovani. Essa è un luogo privilegiato per la promozione della persona [...]. Tuttavia, la scuola ha bisogno di una urgente autocritica [...]. In realtà, una delle più grandi gioie di un educatore è quando può vedere uno studente diventare un protagonista forte, integrato e capace di dare (ChV. 221)».
Se il centro della proposta educativa è la persona, soggetto dei processi di crescita e maturazione e oggetto dell’intervento educativo, la prima risposta è la presenza, la vicinanza e l’accompagnamento della storia, dei processi e della vita di ciascuno, nel contesto, da parte degli educatori significativi. Prima di essere il compito di alcune figure specifiche, è un atteggiamento pedagogico fondamentale e una mentalità che permea tutta la comunità educativa.

3. La centralità della persona
«Occorre sempre rimettere al centro dell’azione educativa la relazione con la persona concreta e tra le persone reali che costituiscono la comunità educativa; relazione che non può trovare casa sufficiente nell’interazione mediata da uno schermo o nelle impersonali connessioni della rete digitale. La persona concreta e reale è l’anima stessa dei processi educativi formali e informali, nonché fonte inesauribile di vita per la sua natura essenzialmente relazionale e comunitaria» (Congregazione per l’Educazione Cattolica, Lettera circolare alle scuole, università e istituzioni educative, 10 settembre 2020).
La pandemia sta cambiando il modo in cui ci relazioniamo con il mondo, con gli altri e con noi stessi. Abbiamo bisogno di ricostruire e rinascere con più umanesimo, solidarietà e consapevolezza della responsabilità, di fronte ai segni dei tempi.
Una delle grandi lezioni del Covid-19 è stata quella di ricordarci ancora una volta quanto siamo fragili noi creature umane, esposte a forze sconosciute che possono causarci grandi danni, e che pretendiamo sempre di aver già dominato. Continuiamo a desiderare un “ritorno alla normalità” quando questa espressione non significa altro che un ritorno alla nostra fragilità e alla nostra dimenticanza di essa.
Dobbiamo cercare nuove formule e modi di stare insieme, di condividere, di vivere la gioia del Vangelo della Vita, di accompagnare i giovani e gli educatori a distanza, e a distanza di continuare a vivere per e con i giovani. Il mosaico polimorfo che rappresenta la realtà di ogni persona impedisce la “taglia unica” (“one size fits all”).
Nella crescita umana, l’importante è che l’individuo sia il protagonista della sua vita e della sua storia. Nella struttura dinamica di ogni persona, ci sono molte istanze uniche e irripetibili in gioco: la consapevolezza di sé (capacità di riflessione), l’intersoggettività (relazioni interpersonali), il contesto socio-culturale, la visione del mondo (o la sua mancanza), il mondo simbolico di significati e valori. L’interrelazione di tanti elementi costituisce una necessaria dinamica di personalizzazione nella propria dinamica (antropologica e individuale) in cui ci si muove e nei propri interessi vitali. Al centro c’è la persona. E questa espressione facile da dire costituisce un elemento di diversità di processi e realtà quando si parla di accompagnamento personale.
Personalizzare significa fare propri il processo (dinamiche e azioni) e i contenuti (proposte, valori, obiettivi); costruire, in termini di profondità, visione, assunzione critica, orientamento, la personale scoperta di senso. Si tratta di aggiornare liberamente il proprio percorso, di utilizzare al meglio le proprie risorse, la sintesi della propria personalità, i propri modi di esistenza, il proprio stile, l’originalità che ci contraddistingue, sfruttando la ricchezza e l’ampiezza delle possibilità che si offrono.
La pandemia ha evidenziato che l’educazione è intrinsecamente un’esperienza sociale, dove gli educatori continueranno a giocare un ruolo cruciale nel prossimo. Il Covid-19 ha rimesso al centro le relazioni e il bisogno di vicinanza come antidoto alla solitudine, non senza contraddizioni. Le persone stanno indubbiamente perdendo le connessioni sociali che hanno a scuola (alunni-alunni; alunni-insegnanti; insegnanti-insegnanti). La possibilità di stare con i loro amici dentro e fuori la classe è stata sospesa, e questo è difficile sia per gli studenti e le loro famiglie che per gli insegnanti. Questa interazione sociale è di vitale importanza per il benessere socio-emotivo di tutti. Gli insegnanti, per esempio, non sono immuni agli effetti di deprivazione sociale della pandemia, ma influenzano, in qualche modo, il senso di stabilità, incorporazione, integrazione degli studenti. In questo senso, è prioritario stabilizzare il benessere emotivo degli alunni prima ancora dei domini curricolari. I sentimenti sono troppo grandi per essere regolati senza questa guida, e l’alunno potrebbe non avere un caregiver di sostegno; è necessario aiutarlo a superare questo momento difficile sentendosi resiliente e sostenuto. Ricordiamoci che quando la crisi sarà finita, i giovani non ricorderanno ciò che avete insegnato loro, ricorderanno che li avete fatti sentire al sicuro e curati, accolti e amati. Le scuole dovrebbero quindi essere piene di insegnanti efficaci ed empatici che hanno interiorizzato l’immensa responsabilità che hanno nel plasmare la vita dei giovani. I buoni insegnanti sono essi stessi degli studenti per tutta la vita che ispirano, equipaggiano e mettono in grado gli studenti di realizzare il loro potenziale e avere successo. La tecnologia non può sostituire gli insegnanti; l’educazione rimarrà (e dovrebbe rimanere) un’attività ad alta intensità di interazione umana. In futuro, la sfida principale sarà quindi quella di trovare il giusto equilibrio tra sostenere l’adozione di strumenti digitali e continuare a investire nel fattore umano.
La base di qualsiasi processo educativo è la relazione umana tra un alunno e un insegnante e tra gli alunni e gli altri. Lo spazio educativo (formale e non formale) facilita le relazioni sociali. L’educazione e l’apprendimento si basano sulle interazioni umane, il dialogo e lo scambio. Altri sono essenziali per il nostro apprendimento.
Bisogna quindi capire l’impatto psicologico che questi lunghi mesi di quarantena hanno avuto sulle giovani generazioni che, senza alcuna preparazione, sono state catapultate in un mondo totalmente cambiato, un mondo “astronave” da cui osservare l’universo dall’oblò, senza poter partecipare alla vita degli altri.
Cosa hanno provato i bambini, i ragazzi, i giovani, nel confinamento di Covid-19? Che conseguenze avrà tutto questo nella loro vita futura? Questa nuova realtà li colpisce fisicamente, emotivamente, socialmente e accademicamente. Molti provano paura e senso di colpa al pensiero di infettare i loro nonni o genitori. Questo crea conflitti sociali ed emotivi. Per quanto riguarda l’impatto psicologico e sociale della pandemia, lo stress, l’ansia e la depressione, i problemi di salute mentale, la somatizzazione e il comportamento dirompente nella comunità scolastica sono realtà che devono essere affrontate. E quindi considerare anche le risposte agli atteggiamenti e ai comportamenti indisciplinati, integrandoli e rispondendo in modo appropriato. Non bisogna dimenticare che per molti alunni la scuola, il Centro di Formazione Professionale, l’oratorio, era il loro spazio sicuro e fidato, e che molti si sentiranno “riportati indietro” dai loro insegnanti con i quali hanno condiviso i loro dolori (adulti significativi e di fiducia). Riconquistare quella fiducia sarà un processo lento e complesso.
Riconoscendo che tutti gli studenti sono unici e hanno diversi bisogni e interessi, la nostra visione del futuro dell’apprendimento abbraccia modi flessibili di accesso e coinvolgimento con le risorse di apprendimento. Non dimentichiamo che le persone al centro dell’educazione sono reali, non virtuali.

a. Accompagnamento personale
La realtà di ogni persona implica un’attenzione permanente a ciascuno in un accompagnamento, più che mai necessario, personale, della vita, della storia, della realtà dell’alunno. Assorbire le ansie e le frustrazioni dei giovani e fornire loro un sostegno positivo contro la paura, i cambiamenti di comportamento. Coltivare il tipo di cultura che motiva le persone a prendersi cura degli altri. In situazioni di emergenza, le scuole sono un luogo critico per il supporto emotivo, il monitoraggio dei rischi, la continuità dell’apprendimento e il supporto sociale e materiale per gli studenti e le loro famiglie.
Le risposte devono rispondere alla diversità della situazione e dei bisogni di sostegno di ogni famiglia e comunità.

b. Relazione educativa
Rafforzare la dimensione delle relazioni personali in modo educativo. Ora più che mai. Le fragilità con cui ci avviciniamo alla vita scolastica saranno molte. E dobbiamo occuparci della relazione educativa.

c. Cura emotiva per la comunità educativa
Mantenere il benessere psicologico, sociale ed emotivo è una sfida per tutti i membri delle comunità educative: alunni, famiglie, insegnanti e altri membri della comunità educativa.
Investire in un sostegno concreto con coaching motivazionale, formazione e nuove strutture di supporto potrebbe portare a una migliore esperienza educativa. Garantire il benessere emotivo di bambini e adolescenti richiede un approccio olistico che tenga conto della salute mentale di genitori e insegnanti.
Un’azione prioritaria è quella di sostenere le famiglie e le scuole per identificare e prevenire i problemi emotivi dei bambini, e per promuovere un ambiente sicuro e premuroso. I genitori dovrebbero essere orientati con strategie di auto-cura e strumenti concreti in modo che possano a loro volta offrire sostegno emotivo ai loro figli e rilevare possibili allarmi che richiedono attenzione specializzata. Garantire il benessere emotivo degli insegnanti in modo che possano a loro volta sostenere i loro studenti.
Per questo motivo, il supporto socio-emotivo dovrebbe essere offerto agli insegnanti e garantire che abbiano strumenti di coping emotivo. A tal fine, è importante cercare meccanismi che contribuiscano a rafforzare le reti di sostegno tra gli stessi insegnanti, e garantire loro l’accesso a cure specializzate quando necessario.

4. Cosa farebbe Don Bosco oggi?
Sarebbe il primo a fare il cammino con i ragazzi e i giovani. Sarebbe il primo ad essere presente, facendo uso di tutta la sua creatività, capacità, competenze per muovere, preventivamente, i giovani alla speranza, credendo in loro stessi, offrendogli protagonismo, parlando a ciascuno della gioia di vivere e di crescere in armonia, formando al compromesso con e per gli altri, soprattutto i più bisognosi.

a. Accoglienza completa e cordiale
I dialoghi di Don Bosco con i giovani rivelano la sua capacità di accoglienza piena e cordiale, elemento fondamentale della relazione educativa salesiana. In un modello di comunicazione informale, situazionale e amichevole, Don Bosco arriva al cuore, superando le barriere di “distanziamento sociale” «Fai che tutti quelli che ti parlano diventino tuoi amici» (MB X, 1085) e in questo modo tutti si sentono accolti e amati (ognuno come “il preferito di Don Bosco”). Le sue doti naturali di simpatia e intelligenza emotiva catturavano rapidamente l’attenzione e la benevolenza dei giovani i quali rispondevano con la loro disponibilità, seguendo il prete educatore («frate o non frate, io resto con Don Bosco» - disse Cagliero).

b. Sintonia e apertura empatica
Don Bosco superò totalmente la figura dell’educatore impassibile, distante e padrone del tempo. Raccomandava ai suoi salesiani la vicinanza ai giovani (dal sogno epico dei nove anni), ricca di attenzioni e gentilezza. L’accettazione incondizionata della persona da parte dell’educatore è il primo passo della relazione educativa. Esempi paradigmatici di questa sintonia e apertura empatica si trovano nei primi dialoghi con ogni giovane (Bartolomeo Garelli, Domenico Savio, Francesco Besucco, Michele Magone). «Come ti chiami, chi sei, da dove vieni, sai fischiare?» Inoltre: «Ogni giovane, per quanto sfortunato possa essere, ha un punto sensibile per il bene, ed è il primo dovere dell’educatore scoprire questo punto, questa corda sensibile del cuore, e approfittarne» (MB V, 266).

c. Conoscenza del giovane e delle sue possibilità
La risposta positiva del giovane alle sfide dell’educatore di Don Bosco è generata dalla fiducia e dalla vicinanza offerta dalla possibilità di conoscenza concreta di ogni giovane e delle sue possibilità. “L’offerta di formazione e accompagnamento” che Don Bosco forniva ai giovani si differenziava in diversi itinerari, secondo le caratteristiche e il momento della vita di ogni giovane. Questo è evidente, ancora una volta, nelle biografie giovanili scritte da Don Bosco. Lì vediamo le sfide poste, le proposte adattate, il rispetto dei ritmi personali, la pedagogia del possibile con obiettivi raggiungibili per ognuno, generando motivazione e una risposta rispettosa e calibrata. Secondo la pedagogia di Don Bosco, il giovane può sempre trovare dentro di sé delle risorse personali che, messe in gioco, insieme alla “grazia”, lo portano a superare i suoi limiti e condizionamenti disumanizzanti e a proporre e raggiungere nuove mete di miglioramento e conquista di sé.

d. Esperienza educativa e pastorale nella vita quotidiana
Il tempo e lo spazio per l’accompagnamento dei giovani è la vita quotidiana dei giovani stessi nella “casa” salesiana e nei suoi vari ambienti. L’accompagnamento educativo si realizza nella vita quotidiana del cortile, per esempio, lo spazio (informale) per eccellenza per conoscere e accompagnare i giovani. Lo straordinario avviene nell’ordinario: nei momenti di vita quotidiana, educatore e studente si impegnano in frequenti conversazioni, condividono momenti di lavoro e di svago in un rapporto di conoscenza reciproca, spesso anche di intensa amicizia, che prepara alla fiducia, alla dedizione e alla docilità (“Fatti amare, non temere”).

e. Ambiente educativo e stile familiare
Cercando di imitare ciò che sperimentava nella propria famiglia, Don Bosco volle trasferire questo spirito familiare alla vita quotidiana di Valdocco. La convivenza tra gli educatori e i bambini doveva essere simile a quella tra genitori e figli. Don Bosco ha creato un ambiente educativo ben regolato, ricco di proposte educative e di relazioni umane. Don Bosco sapeva che gli ambienti da cui provenivano i suoi giovani non erano i più educativi e positivi. Gioia, spontaneità, amicizia e rispetto reciproco sono la spina dorsale di una buona esperienza educativa, con uno stile familiare. Dalla sua esperienza sentiva che l’accompagnamento personale, nel contesto (guadagnando dinamismo comunitario) fosse un lavoro cooperativo nell’ambiente. La crescita spirituale si impartisce in modo naturale se la struttura educativa ha una struttura familiare e uno stile familiare di relazioni, in modo che ogni giovane si senta a casa e possa svilupparsi adeguatamente, in virtù della qualità dell’ambiente educativo, in cui i giovani sono immersi e del ruolo attivo che viene loro affidato. Per questo Don Bosco ha voluto comunità educative consapevoli del loro compito prioritario, ferventi e sensibili alle preoccupazioni dei giovani. Ambienti positivi e felici. Perché l’ambiente, di per sé, educa. La cura di un ambiente che trasmette naturalmente dei valori è il fondamento su cui tutto il resto deve essere costruito. Per Don Bosco, questa era una di quelle “linee rosse” di cui si sente tanto parlare oggi. Curava ogni dettaglio perché nel suo oratorio ci fosse un’atmosfera accogliente, allegra, dove regnassero relazioni personali di fiducia reciproca, dove si lasciasse fiorire la spontaneità dei giovani, dove non mancasse la festa e la gioia.

f. Assistenza e vita condivisa con i giovani
“L’assistenza’’ era un accompagnamento educativo molto caratteristico di Don Bosco. Questa assistenza presuppone una presenza efficace e affettiva dell’educatore tra i giovani. L’educatore deve sempre amare il suo allievo. E poiché lo ama, deve prevenire i suoi rischi e pericoli. Come dice la “Lettera da Roma” di Don Bosco (10 maggio 1884): «La familiarità produce affetto, e l’affetto produce fiducia. Questo apre i cuori e i giovani manifestano tutto senza paura a insegnanti, assistenti e superiori. Sono franchi nella confessione e fuori della confessione e si offrono docilmente a tutto ciò che colui che sanno con certezza che li ama vuole comandare loro». Questo non toglie le esigenze di ciò che viene chiesto loro. Richiede ancora di più se l’obiettivo è il bene del giovane.

g. La prevenzione come sistema
Il concetto di “prevenzione” trattato da Don Bosco non è di natura puramente “assistenziale” e “protettiva”. È “promozionale”, mira al “potenziamento” per superare i fattori negativi che possono distruggere la persona. L’intervento educativo che mira a “prevenire” l’esperienza nociva, evitarla, neutralizzarla o contrastarla con motivazioni e risposte di tipo reattivo, liberatorio e terapeutico, si proietta verso la stimolazione dei dinamismi costruttivi della persona, dei suoi doni e delle sue possibilità in vista di un sempre maggiore protagonismo del giovane. Ma c’è di più: fu proprio questa mentalità preventiva che plasmò la creazione dell’ambiente educativo (ricco di proposte, informale negli atteggiamenti), l’ambiente contestuale dove Don Bosco sviluppò il suo approccio di accompagnamento fatto sistema preventivo.

h. Dinamiche olistiche di risposta: l’intera persona
Don Bosco si occupava di tutta la persona con la prospettiva di uno sviluppo olistico di ogni giovane. La proposta che Don Bosco fece all’interno del processo educativo globale, insieme alla circolazione dei valori e agli interventi educativi fece crescere e consolidare l’umanità dei giovani. Era una metodologia propria della sua visione antropologica concreta e ottimista della persona, in cui si sottolineavano sempre gli aspetti positivi e la capacità di bene del cuore. Un umanesimo cristiano. La guida del giovane comprendeva tutti gli aspetti: sportivi, fisici, relazionali della sua personalità, lo studio, la formazione al lavoro, il divertimento, l’arte teatrale, la musica e i doni ricevuti: la preoccupazione per il servizio e la collaborazione spontanea, la ricerca del bene degli altri, l’abnegazione e il sacrificio di sé, la pienezza della vita.

i. L’accompagnamento personale come direzione spirituale: la santità
L’educatore di Don Bosco è sempre unito al sacerdote evangelizzatore (“da mihi animas, coetera tolle”). La sua prospettiva non si limita all’umano, ma va allo spirituale, alla santità (il punto di eccellenza della vita di un cristiano: “la salvezza dell’anima”).
Il suo fine è la felicità totale (“paradiso”). E per questo fine va “fino alla temerarietà”. Tante sfide e tanto cammino da fare. Non stiamo da soli. Il Signore accompagna anche noi, facendo il nostro stesso cammino per fare “ardere il cuore nel petto” (Lc. 24, 32).

Conclusione
La pandemia ha chiuso le nostre porte, ma ha aperto le nostre menti. Non possiamo essere pacificati da un ritorno alla “normalità”. La normalità non funzionava più perché la “normalità” era un luogo in cui lo status quo dominava. La pandemia ci ha costretti ad evolvere rapidamente verso qualcosa di meglio di prima. Teniamocelo stretto. È possibile contrastare gli shock e trasformare le crisi in opportunità: costruire sistemi educativi più forti e più equi di prima. E virtuali e digitali!
Non torneremo ad ambienti di apprendimento vecchio stile o alle solite strutture di apprendimento nei nostri edifici scolastici, perché sappiamo che questo non è il modo più efficace per coinvolgere gli studenti.
Non torneremo all’approccio unico per fornire la conoscenza, perché sappiamo che ogni studente impara in modo diverso.
Non torneremo all’epoca in cui gli adulti possedevano il processo di apprendimento piuttosto che i bambini e i giovani, perché il rendimento degli alunni migliora quando essi sono padroni del loro apprendimento.
Non torneremo ad accettare il livello di comfort dello status quo perché “è il modo in cui abbiamo sempre fatto le cose”, quando sappiamo che lo status quo non serve tutti gli studenti allo stesso modo.
Non torneremo alla compiacenza di affrontare i divari di equità tra i bambini e i giovani, perché sappiamo che questi divari diventano voragini che perseguitano gli studenti in età adulta.
Non priveremo di nuovo i nostri studenti della preparazione e dell’adattamento a un mondo in continuo cambiamento, perché come abbiamo visto quest’anno, la flessibilità e la resilienza sono abilità necessarie per il successo di questa generazione.
Quindi, vediamo la speranza in questo tempo; vediamo l’opportunità di crescere e imparare insieme come squadre di studenti, famiglie, insegnanti e specialisti.
Valorizzare quanto abbiamo guadagnato da questa crisi (ambiente migliore, vita più lenta, stare insieme come famiglia) e quanto creativi e innovativi siano stati tanti educatori nel rispondere rapidamente ed efficacemente, per esempio con il digitale.
Molti attori - genitori, insegnanti, media e altri - avranno cambiato la loro visione e percezione del loro ruolo nel processo educativo. I genitori non sono più ai margini dell’educazione. Molti di loro sono in trincea con noi giorno dopo giorno, fornendo un sostegno continuo ai loro figli, dando voce alle loro preoccupazioni, facendo domande perspicaci, risolvendo problemi tecnici, anche se hanno il loro lavoro da fare.
Le cose saranno diverse e noi le vogliamo diverse. Niente è come Dantès: la vita, i legami, lo spazio e il tempo. Non vogliamo tornare dove eravamo, ma vogliamo cambiare in meglio, innovare, creare, credere in noi stessi, nelle nostre risorse, nell’educazione
come fattore di cambiamento.
Abbiamo bisogno di creatività per forgiare nuovi paradigmi e nuove risposte. L’audacia di una vita che è portatrice di qualcosa di veramente nuovo. Abbiamo bisogno di un sogno di una nuova vita che diventi realtà, perché il compito è arduo e durerà a lungo.
Non richiede improvvisazioni ma la sicurezza di una testimonianza, la gioia della nostra speranza, la sicurezza del nostro accreditamento. Più che mai, la nostra presenza e la nostra testimonianza sono necessarie. E più che mai i giovani che non possiamo lasciare soli (mai, ma ancor meno ora!) ci aspettano, a braccia aperte, per vivere ancora una volta la loro vita, con la forza di un amore capace di superare tutto, perché in tutto questo, solo l’amore può trionfare! Dobbiamo sognare di nuovo il sogno dei giovani.
Spero che abbiamo imparato ad essere più consapevoli della connessione umana, più determinati ad educare bene tutti i bambini e i giovani, più consapevoli del potere della gentilezza umana e più concentrati a lavorare con le famiglie e le organizzazioni per educare al futuro. Dobbiamo cogliere questo momento e andare avanti solo con quegli elementi che sono benefici per i ragazzi - tutti i ragazzi.

Don Ángel Fernández Artime